Tre poesie del giovane poeta “labirintista” Mariano Menna
IL CREPUSCOLO
Muore lentamente tra le acque un bagliore:
è fuoco che si spegne all’imbrunire.
La luce indietreggia al cospetto del tempo,
s’inchina alla notte, elegante signora,
lasciando nel buio le sue lacrime lucenti:
lucciole cosmiche che danzano nel cielo.
Nell’immensa quiete crepuscolare
prendono vita i melanconici pensieri,
infinite tracce dell’umana ragione:
la loro notte calerà col nuovo giorno,
con il risveglio di spaventosi automi,
con i rumori del quotidiano incedere.
Le piogge su Belgrado
Piove sulle mie speranze di libertà,
su ciò che rimane della mia felicità,
su questo fallito con in testa un tirolese
che sembra leggero per il freddo di ogni mese.
Piove su una Belgrado devastata dalla guerra,
la mia città crolla per il dominio di una terra,
che non porterà niente nelle tasche dei signori,
semmai rovinerà un uomo e fin troppi straccioni.
Odo una melodia che quasi combatte con le urla:
è lieve e ben nascosta, ma riesco ad ascoltarla.
Rinnega il senno dell’uomo che lo sfrutta con l’istinto,
perché una bomba a mano non basterà a salvarlo.
Uno zingaro è il signore di queste soavi note:
almeno per un giorno curerà le altrui ferite.
Una rossa fisarmonica asseconda le sue dita,
rinnovando nella morte le sue speranze di vita.
Il labirinto dei rimorsi
L’umana debolezza, col flusso di coscienza ,
scolpisce e non cancella i troppi errori erranti,
che vagano nell’ombra, tra gemiti assordanti,
nel labirinto oscuro che non reca provenienza.
Rimorsi che divorano le membra senza indugi,
son bestie della mente, come cani randagi,
scatenano la forza dei più cruenti naufragi:
non servono ripari, non servono rifugi.
La notte apre le porte al dedalico presagio,
scalfisce le barriere illusorie di ogni cuore;
sei schiavo del tuo giorno, del tacito rumore:
come Teseo, da solo, dovrai trovar coraggio.