Il presente “trittico poetico” -naturale evoluzione del dittico a due voci perfezionato da Emanuele Marcucio- attorno al tema della strage di Nizza si compone delle poesie “Sulla Promenade des Anglais” di Lucia Bonanni, “L’ultimo battito” di Lorenzo Spurio e “Nice” di Emanuele Marcuccio.
SULLA PROMENADE DES ANGLAIS
DI LUCIA BONANNI
Iridescente
il suono delle parole
libertà-fraternità-uguaglianza
che nella sera si fonde
in giochi di polvere esplosiva
specchiati sulla battigia
edulcorata dalla festa.
Non sono insorti
i cittadini che annullano frontiere
sul lungomare illuminato
la Bastiglia, la prigione-fortezza,
è già stata presa in un martedì 14 di luglio
la carestia annullata e la miseria sconfitta.
Ma la violenza è cancrena inesorabile
e la verità che impatta gli occhi
ha vettori simili a punte acuminate
per reiterate stragi di innocenti.
Il mare vomita lo scempio.
La schiuma urla e si addensa.
Le stelle e le onde
hanno il volto distorto
da smorfie di dolore.
Sull’asfalto bagnato
insieme ad una nuvola di zucchero filato
è rimasto un sandalino rosa.
Dal giornale al teatro
dal museo alla Promenade des Anglais
il tricolore francese
è listato a lutto e la pietra scagliata
più non dà animo alla rivoluzione della Pace.
Il blu della bandiera si fa cielo
e il bianco è strada di campagna
invasa da primule rosse e silenzi senza peso.
L’ULTIMO BATTITO
DI LORENZO SPURIO
A chi darà la mano
la bambola nuova
acquistata ieri l’altro?
È appena diventata orfana.
L’invertebrata bambola
sfregiata dal secco asfalto
i capelli smossi da fiati:
ma non è vento.
Ogni corpo falciato è
piombato d’aria fradicia
a terra ancorato, greve
in pose turbolente.
Il fantoccio amico
non accetta il lutto
del pargolo padrone.
Lambisce il minuto indice,
gli sussurra una nenia,
gli strizza l’occhio:
anche il cuore di plastica
ha cessato il battito.
(Liquefatta la passeggiata inglese
In una pozione di odio fluido.)

La Nike di Samotracia, conservata al Museo del Louvre a Parigi
NICE[2]
DI EMANUELE MARCUCCIO
e il carro d’acciaio
armato dalla furia
mieteva
in quella via
di una città
e l’azzurro
la costa
e sangue
e il suo nome
ricorda vittoria
Commento a “Nizza” di Emanuele Marcuccio – a cura di Lucia Bonanni
Il verbo “mietere” è proprio del grano e dei cereali maturi. La mietitura richiama l’azione del tagliare a mano, fa vedere la fatica e l’impegno nel lavoro dei campi e il beneficio che ne deriva. Ma nella propria estensione lessicale il verbo “mietere” può indicare anche l’azione di una forza distruttrice quale può essere la furia della guerra oppure quella di eventi catastrofici.
Nel componimento “Nice” l’autore colloca il verbo “mietere” in un verso isolato dall’inarcatura proprio dopo la parola “furia”, personificazione della violenza qui attuata non da un carro agricolo, destinato al carico di mannelli del grano, ma da un carro d’acciaio, armato per distruggere.
La prima terzina introduce un’immagine di guerra, una desolazione aspra, consumata su un fronte dove non ci sono schieramenti opposti a fronteggiarsi col fuoco delle armi, ma persone inermi e del tutto ignare del pericolo incombente su quella costa lambita dalle onde.
“[E] l’azzurro/ la costa/ e sangue” è questa strofa la chiave di volta dell’intero componimento, una terzina di analisi e sintesi, orchestrata su accostamenti cromatici e orientamento spazio-temporale dove sembra esistere una voce fuori scena a narrare il disastro degli eventi che sembrano essere rappresentati su un palcoscenico dove gli attori recitano, seguendo un canovaccio usuale. “[E] l’azzurro”, archetipo del cielo, è immenso, si flette e si fonde nell’elemento liquido e in quello aeriforme; “e sangue”, elemento vitale che vortica e fluisce, inzuppa il selciato mentre l’emoglobina si spezza in molecole perse nel vuoto di una sera riverberata dai fuochi d’artificio.
L’azzurro del cielo e quello del mare, il rosso del sangue, il bianco della costa che si fa sudario di pianto, formano il mosaico di una bandiera, costretta a patire ancora e di nuovo un lutto atroce.
«[E] il suo nome/ ricorda vittoria»: la denominazione di quella città è “Nice”, appellativo che deriva dal ben noto termine greco “Nike”col significato di “Vittoria”, un risultato conseguito non dopo una battaglia bensì in una contesa determinata a vincere le forze del male e conferire foglie di alloro a quel bene spesso usurpato alle umane genti.
Sono versi sintetici, essenziali, concreti, quasi scarni, sobri, ma non eterei e sfuggenti, quelli che scrive Marcuccio che in rappresentazioni di forte impatto visivo ed emozionale e con un lessico ben curato e ben misurato nella forma espressiva e di significato, pongono il lettore dinanzi ad un groviglio di sensazioni che occorre esaminare attraverso l’amore per la parola in un rapporto dialogico col Mondo affinché la bellezza cardine delle parole “libertà”, “fraternità” e “uguaglianza” sia sempre invitta nel percorso etico e sociale di ciascun Uomo.
NOTA:
I tre testi poetici vengono pubblicati su questo spazio per gentile concessione dei rispettivi autori e con la loro autorizzazione.
Le immagini presenti su questo post hanno fini esclusivamente culturali e non commerciali.
[1] Una composizione di due poesie di due diversi autori, scritte indipendentemente, anche in tempi diversi, e accomunate dal medesimo tema in una sorta di corrispondenza empatica.
[2] Scritta in memoria della strage di Nizza del 14 luglio 2016, in cui persero la vita 84 persone di varie nazionalità, tra cui 10 bambini.
Per il titolo ho preferito utilizzare la lezione francese del nome della città, perché etimologicamente più vicina al greco antico “νίκη” (nike), “vittoria”. [N.d.A.]