Stefano Baldinu, Le creazioni amorose di un apprendista di bottega, Helicon, Arezzo, 2017.
Recensione di Lorenzo Spurio
Il poeta bolognese Stefano Baldinu, dopo aver fatto incetta di prestigiosi premi letterari per la poesia in tutta Italia mostrando l’ampia e ricercata capacità lirica di trasfondere col verso la profondità dell’animo, ha recentemente pubblicato un volume dal titolo Le creazioni amorose di un apprendista di bottega (Helicon, Arezzo, 2017) che contempla una serie di testi poetici appositamente selezionati attorno ad un unico fil rouge, quello dell’amore. Collaboratore della rivista di letteratura online “Euterpe”, Stefano Baldinu ha precedentemente dato alle stampe i libri Sardegna (Dreams Entertainment, 2010), Scorci piemontesi (Aletti, 2012) e Genova per me (Aletti, 2013) dedicandosi negli ultimi tempi anche alla poesia dialettale sarda (variante nuorese) essendo conoscitore di quell’idioma per ragioni di carattere familiare.
Se nelle precedenti raccolte aveva impiegato un punto di vista privilegiato verso il mondo esterno, cantando e affrescando luoghi cari alla sua geografia intima, nel nuovo libro il poeta si dedica in maniera assai più approfondita e viscerale a indagare gli scavi emotivi. Con un metro poetico che spesso sembra strizzare l’occhio alla prosa e una tendenza espositiva atta di frequente a narrare, Baldinu cadenza la sua poesia e compie con acume e perizia introspettiva un esame acuto di alcuni momenti nevralgici dell’esistenza umana, tra i vari stadi dell’approccio amoroso.
L’amore – tematica che è ravvisabile e ben percepibile in tutte le poesie qui contenute – diviene una dimensione logica, vale a dire l’unico filtro con il quale è possibile rievocare, raccontare e vivere il quotidiano. Non viene chiarito quale è il destinatario dei componimenti ma la cosa più ragionevole mi pare quella di credere che, in effetti, i destinatari impliciti siano vari e diversi. Un canzoniere d’amore, dunque, non all’antica maniera dove l’autore innalzava le doti fisiche e morali di una lei precisa, caratterizzata per elementi che consentissero la certa identificazione ma un diván (termine che definisce una raccolta poetica prevalentemente nella cultura islamica), ossia un’antologia compiuta di brani che hanno intenzioni e finalità diverse, tutti accentrati attorno al macro-tema del sentimento amoroso: cosa detta in chi lo vive, come anima gli individui, quanto coinvolge mente e corpo e quanto la fine di un amore possa essere un fatto cruciale e doloroso da sostenere.
Un amore che non è solo fremito sensazionale ed esigenza atavica d’unione che l’uomo sempre sperimenta ma anche il resoconto di attimi andati che si rievocano con nostalgia, nonché proclami di bisogno, attestazioni di assenze che pesano. Con un’argentina precisione sintattica che dà compimento a quella organicità e pulizia del verso quanto mai apprezzabile, il Nostro affronta così anche i dilemmi di un rapporto consumatosi nel tempo, s’interroga sulla possibilità di un futuro senza l’amata, affronta il lato più mesto degli addii dolorosi.
La poetica di Baldinu guarda spesso al passato, a un tempo che non è importante decifrare in termini di conta degli anni che ci separano da quei momenti, piuttosto amplificati dal silenzio del quale il Nostro sembra volersi attorniare come pure una più spontanea reclusione nella stanza della propria casa dove osserva la fine della giornata.
La natura – com’è in ogni “fare” poetico di spessore – è presente al punto da giocare distintamente il suo ruolo: le ambientazioni, che si richiamano con puntigliosità e che fungono da direttrici ambientali agli episodi vergati sulla tabula delle emozioni, nel loro contorno di presenza sono determinanti e inscindibili nel processo di recupero delle immagini e dei ricordi. La luna – spesso presente –, pur nella complessità di un presente complicato e di un animo travagliato, sembra essere lì pronta a tendere una mano, a scuotere certezze un tempo credute inattaccabili.

Il poeta Stefano Baldinu a Jesi durante la premiazone del Premio Naz.le di Poesia “L’arte in versi” di cui è membro di giuria.
Le pagine di Baldinu contengono moniti di una rivincita personale dove l’io, pur addolorato e frastornato, ha l’obbligo di riscoprire la validità della sua essenza. Dinamica dell’inconscio che si realizza prendendo itinerari inconoscibili e imprevisti ma che nell’autore è dettata da ansimi di speranza e ragioni tendenti al bene. Nella rinnovata autocoscienza che si compie, Baldinu ritrova il senso che precedentemente aveva attribuito a un soggetto/oggetto fuori da lui. Ecco allora che può avvenire la riscoperta della luce. Se “la notte è un arido esercizio d’amore”, il giorno diviene rituale cognitivo che, mediante l’introspezione e l’autostima, dà alla persona gli strumenti per ritrovare la direttrice del suo esserci al mondo.
L’amore che ci descrive Baldinu è un sentimento totalizzante e illogico, irrefrenabile eppure indispensabile: se è fautore di ricchezza dell’anima, di conoscenza e di condivisione empatica con l’altro, può anche essere motivo di preoccupazione, che fiacca, fa arrovellare e indebolire l’uomo e la sua mancanza può causare l’inasprimento di odio e rabbia e, dunque, l’adozione di atteggiamenti fobici che possono divenire incontrollabili. La fine di un amore non sempre corrisponde all’allontanamento fisico degli amanti sicché questo alone indicibile fatto di profonde ricordanze e di sete inappagabile può ispessirsi in un tempo che in poco si fa smisurato e incontrollato. Si compie così la nudità dell’inverno, vale a dire quel passaggio inesplorato di un tempo che si rattrappisce spaesando l’uomo.
Nel silenzio che ormai s’è ancorato alle giornate che si susseguono indifferenziate e dinanzi a un passato fulgido e appagato si perde così anche il senso di esserci al mondo: “Tutto ha sapore di niente”. In quell’assenza prende piede la perdita d’identità dell’uomo, lo svelamento delle sue problematiche forse mai concepite come tali né sanate, l’annullamento di un benessere vivido una volta ed ora dissipato. Con toni crepuscolari l’autore attesta l’insorgenza di una disaffezione e di una non voluta negligenza verso l’esistenza che, con compassionevole inclinazione, può trovare voce in toni ripiegati: “ho smesso di volare”, toni dall’asciuttezza sbalorditiva che eludono accoglimento.
Sono solo gli ultimi componimenti della raccolta a raccogliere in maniera più asfittica e tesa il dolore di un uomo che subisce o s’appresta all’abbandono dall’amata; il volume, infatti, predispone il lettore a svariate strade più o meno parallele d’affrontare il più importante sentimento cui l’uomo possa riconoscere, giungendo solo in chiusura a darne una lettura piuttosto soccombente nei riguardi degli accadimenti. Amore al quale il Nostro dedica in maniera sentita tutti i versi che compongono il volume, complice una profondità di sentimento e di rigore umano nella quale Baldinu s’identifica in un tempo spesso sciatto e indifferenziato come il nostro dove l’esigenza intima viene spesso asservita al roboante caos di fuori. Solo in tali circostanze e con una rilassatezza che non di rado sembra impraticabile risulta plausibile l’identificazione di un argine a una lancinante situazione d’assenza o d’isolamento: “io sono il gesto taciuto di un ombrello che si ferma/ a calmare il dolore”, scrive. La forza ignota che divampa e scaturisce da noi stessi è il solo valido ingrediente che possa permettere di “continua[re] a sognare, a fuggire il male/ sperando il bene”.
Jesi, 23-04-2017