“Chiantulongu / Piantolungo” di José Russotti. Recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

L’ultima opera in ordine di tempo del poeta siciliano José Russotti (Ramos Mejía, Buenos Aires, Argentina, 1952) è Chiantulongu (Edizioni Museo Mirabile, 2022) che, in doppia lingua (siciliano variante malvagnese – comune della provincia di Messina – e italiano), propone un suggestivo percorso poetico tra le vene più profonde dell’interiorità del Nostro.

Il suo è un “pianto lungo”, un’opera che, pur snodandosi in varie sottosezioni, è idealmente e potenzialmente un percorso lirico continuo e infinito, un canto di dolore e malinconia per l’età andata che tratteggia il passaggio del tempo, l’assenza delle persone amate, il ricordo nitido dei momenti del trapasso dei suoi cari.

Con quest’opera si propone quella polarità studiata dalla critica lorchiana, in ambito spagnolo, attorno a un componimento elegiaco quale il noto Pianto per Ignazio Sanchéz Mejías che il celebre Granadino dedicò nel 1934 all’amico torero deceduto per una cornata di un toro. Se il titolo originale dell’opera parlava di Llanto (ovvero Pianto) nel procedimento di traduzione nella nostra lingua vide prediligere la forma di Lamento. Non sempre il lamento, però, è assimilabile a un vero pianto. Sta di fatto che – per smarcarsi da Bo e Rendina – Caproni decise di mantenere fedeltà all’originale traducendo con Pianto. L’opera di Russotti mi fa pensare a tutto questo: il suo è un Pianto vero e proprio ovvero un componimento che, pur non avendo la forma del poemetto ma delle singole poesie, muove attorno all’idea del dolore e del compatimento, della sofferenza lacerante e della costernazione. Il lutto, pur individuato in specifici piani temporali, non si stempera col passare del tempo e i versi contengono, come raggrumate, le lacrime di disperazione e strazio dell’uomo. Siamo dinanzi a una sorta di romanzo di formazione in versi: l’esperienza del dolore è elemento di cerniera, si configura come un rito di passaggio ineliminabile. Passando per questa fase l’individuo non sarà più come prima della sperimentazione del cordoglio, dell’assenza. Della pena. Ecco che Russotti, poeta versatile grande amante della lingua orale della sua zona, ci consegna una delle opere più sentite e personali che abbia mai scritto, più accorate e dolenti, più strazianti e, proprio per questo, più vivida e potente.

Il volume si apre con una dotta prefazione a firma di Maria Nivea Zagarella e si chiude, come in un percorso circolare innervato su riflessi poetici e bagliori esegetici attorno al percorso dell’Autore, con un nutrito apparato critico nel quale sono riportati estratti di analisi, recensioni e valutazioni ermeneutiche di altrettanti poeti, scrittori e intellettuali sull’opera di Russotti. Tra queste “considerazioni amicali sulla poesia” vi sono, tra le altre, note del professor Tommaso Romano e dei poeti Santina Paradiso, Pietro Cosentino e Francesco Giacalone.

Possiamo dire che José Russotti è poeta – in italiano e in lingua siciliana – per nascita e vocazione, per spirito innato, per caparbietà, per la sua grande diluizione nel mondo socio-etno-antropologico della provincia di Messina che ha contribuito a narrare anche in altre forme: con la musica (ha pubblicato un cd su sonorità etniche dal titolo Novantika, Ballate sulle rive dell’Alcantara edito da Novantika nel 2004) e mediante un’apprezzatissima opera fotografica (Malvagna miain bianco e nero, tra suggestioni e fantastici ricordi edita dal marchio da lui stesso creato denominato Fogghi mavvagnoti, nel 2022.

Tuttavia è in campo letterario che Russotti ha raccolto i maggiori consensi[1] grazie a una intensa attività autoriale di libri ma anche di curatore editoriale: notevole la pubblicazione di tre tomi della Antologia di Poeti contemporanei siciliani edita per i tipi di Fogghi mavvagnoti (I volume, 2020; II volume, 2021; III volume, 2022)[2]. Come autore la sua produzione si è dispiegata in varie sillogi: Fogghi mavvagnoti (autoedizione, 2000), Spine d’Euphorbia (Il Convivo, 2017), Arrèri ô scuru / Dietro il buio (Controluna, 2019) ai quali ora si aggiunge quella che – senza infatuazioni o piaggerie – definirei opera magnum ovvero Chiantulongu (Edizioni Museo Mirabile, 2022).

Parlando della sua poesia il poeta, scrittore e saggista modicano professor Domenico Pisana ha sottolineato che «i suoi versi hanno il sapore di un sincero scavo interiore che si fa dono e che la sua anima traduce in canto poetico di autenticità e di vita». Ce ne rendiamo conto piuttosto bene inoltrandoci con adeguata attenzione e spirito di riflessione nelle pagine che compongono Chiantulongu.

Il libro si snoda tra poesie dedicate agli affetti: il padre, la madre, la moglie e la figlia Elyza. Una sezione è anticipata dall’iscrizione “Nei giorni chiusi” dove si ritrovano riflessioni che sembrano essere state partorite nel tempo infausto del Covid-19 (leggiamo, infatti, in una di esse «In questi istanti di morbo infame / il cuore si gonfia a mantice e scoppia», p. 59); segue “A Malvagna, il paese della memoria ritrovata” con liriche di pregevole caratura euritmica riferite al borgo – se non natale, dato che l’Autore è nato in Argentina – ancestrale, del suo ceppo familiare.

Cospicua è, infine, l’interrogazione dell’io lirico sulle questioni di ampia risonanza che coinvolgono l’approfondimento esistenziale, inserite nella sezione conclusiva, “Sulla vita e sulla morte”. Il pensiero attorno al trapasso si fa qui particolarmente pronunciato: intere poesie sono dedicate a sorella morte come “Ci sono giorni” il cui explicitQuando morirò! (Se morirò!) / vorrei restare per sempre / nel cuore e nella mente di chi mi ha voluto bene, / come un qualcosa che mai si marcisce / o un lampo splendente, / prima del buio!», p. 83) ricorda, ancora, il Lorca del Cantejondo (la struggente “Memento”) quando scrisse: «Quando morirò, / lasciate il mio balcone aperto. / Il bambino mangia aranci. /Dal mio balcone lo vedo». Quello di Russotti è un richiamo alla terra, all’estrema volontà di ricongiungersi anche in un al di là alle tracce del suo passato ma anche un desiderio di essere ricordato. Da notare la vena autoironica e giocosa dell’autore quando, tra parentesi d’incisi e non di specificazioni, annota vagamente e con un fare illusorio, «Se morirò».

La morte non è solo un’immagine, pur nella forma vacua di un’idea, ma diviene in Russotti uno dei motivi principi che muovono l’esigenza del dettato lirico da farne un topos, un elemento ricorrente, un vero e proprio assillo che, comunque, tratta di volta in volta con velature inedite, mai repliche delle stesse. In “Questa morte che ci teniamo addosso” è possibile fruire di questi versi: «Quando spunti nel buio della notte / come la morte quando vuole arrivare, / nera di scorza dura, con il mento / che trema e il sangue che ghiaccia. / Questa morte che ci portiamo addosso / come il vinavil appicciato fra le dita / o un vecchio motivo che frulla in testa» (p. 95).

Viene alla mente una celebre frase dell’attrice Anna Magnani che ebbe a dire: «Morire è finire: perché si deve finire? Un uomo dovrebbe finire quando decide di finire, quando è stanco, pago di tutto: non prima. Oddio, c’è una tale sproporzione tra la dolcezza con la quale si nasce e la fatica con la quale si muore». Eppure per Russotti la morte, pur cantata, fatto oggetto dei sui lamenti per i genitori venuti a mancare, non sembra concepita realmente come destinazione ultima, come atto definitivo e concluso in per se stesso. Vita e morte, come nella più alta letteratura di tutti i tempi – innervata su un sentimento cristiano – non sono facce di un Giano bifronte, antipodi invalicabili e recalcitranti ma, al contrario, l’una contiene l’altra, ne è una sua progressione e sfaccettatura. La morte s’iscrive nella vita e non è solo il completamento finale, inderogabile e ultimo. Ecco perché Russotti parla di vinavil, di qualcosa che è attaccato al nostro essere, inglobato alla nostra epidermide di esseri coscienti. Volenti o nolenti.

Toccante il ricordo della morte del padre (citiamo in italiano ma ricordiamo che l’intera opera è proposta anche – anzi in prima battuta – è in lingua siciliana nella variante malvagnese): «Quanto ti chiamai quel mattino. Quanto? // […] / ma tu non sentisti e mai ti voltasti» (p. 15). Il dolore di quell’addio persevera al presente, in ogni momento che l’Autore riflette sul percorso del padre e lo ricorda nei momenti di condivisione: «[P]iango aspettando ancora / il canto dell’ultima volta. / Vivo e mi consumo / dietro il ceppo di un sorriso amaro / inseguendo il tempo che sfugge. // […] [F]in quando insacco ricordi / e mi nutro di malinconia» (p. 21). Di grande intensità è anche la successiva poesia “Grappolo d’amore”, questa volta dedicata alla figura della madre: «La morte è una croce da sopportare, / un canto amaro che mai si spegne / in questi giorni di calca e pianto» (p. 29).

La poesia rimane comunque imprescindibile, una costante sicura, un faro nel quale appigliarsi in ogni circostanza della vita, in ogni ora della giornata. Russotti ne è convinto. Sa che il canto lirico vive della contemplazione e della solidarietà dell’uomo, dell’impegno all’ascolto e alla conoscenza dell’animo. Ne è certo. Come quando in “L’ora sospesa” annota «Si vive d’amore e di nulla, / di stenti e sostentamenti / ma non toglietevi la poesia dal cuore!» (p. 87). E persuade anche noi lettori.

LORENZO SPURIO

Jesi, 15/04/2022


[1]Consensi che sono giunti tanto dalla critica che dal giudizio di numerosi premi letterari nazionali, contesto nel quale ha ottenuto numerosi e importanti riconoscimenti tra cui: Premio “Vann’Antò-Saitta” di Messina, il Premio “Città di Chiaramonte Gulfi – La città dei Musei”, il Concorso letterario “Salva la tua lingua locale” di Roma; il Premio “Pietro Carrera” di Catania, il Premio “Luigi Einaudi” di Paternò (CT), il Premio “Poesia Circolare Epicentro” di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), il Premio di Poesia “L’arte in versi” di Jesi (AN) e l’ambito Premio “Città di Marineo” a Marineo (PA); il Premio di Poesia “Colapesce” di Messina.

[2] Al primo volume ho dedicato un’articolata recensione pubblicata su varie riviste: «Lumie di Sicilia» n°150 (65 online), maggio 2021, pp. 19-20; «Culturelite», 03/05/2021; «Tony Poet – Dialogo con la rete», 03/05/2021, «Xenia», anno VI, n°1, marzo 2021, pp. 82-86; «Vesprino Magazine», n°129, aprile 2021, pp. 33-35. Nel secondo volume di quella che, per il momento, è una trilogia, figura un mio contributo critico quale Prefazione del volume.


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“Antologia poetica al femminile” a cura di Alberto Barina. Recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Esporsi con giudizi di merito o, in qualche modo, valutativi dinanzi a opere collettanee è sempre qualcosa di pericoloso e di depistante al contempo. Questo perché, per quanto ci si possa avvicinare a determinati testi proposti cercando di fornirne una lettura, si cade nell’errore di approfondire il dato componimento in maniera asettica e a comparti stagni, senza prendere in esame l’opera completa del dato autore, il suo percorso, i passi – più o meno decisivi – che ha compiuto nel mondo della letteratura. Cercherò, pertanto, di evitare il periglio dinanzi alla recente opera curata da Alberto Barina nella quale ha deciso di contemplare una serie di voci di poetesse più o meno giovani.

Come ogni antologia la scelta degli inserimenti è materia che non può (né deve) essere oggetto di analisi, discussione (né di polemica) da parte di chi fruisce l’opera. Nel corso della storia della letteratura, infatti, molti asti, atteggiamenti di sfida e provocazioni belle e buone (quando non addirittura ciniche invettive, depistaggi e tentativi di condanna perentoria) sono nate tra autori e curatori, ma anche tra autori non inseriti (visibilmente delusi e inneggianti a una loro qualche “superiorità” o diritto (divino) ad esserci in quella “messe” di voci) e quelli che, a detta di qualcuno, non avevano diritto a stare in un volume collettivo. Questo perché l’antologia avrebbe, secondo un’impostazione che il curatore dovrebbe ben delineare al lettore, l’intenzione di fornire una scelta selezionata di voci di repertorio (riconoscendo ad esse qualche merito o conformità a un canone da lui ricercato) che, secondo delle volontà più o meno chiare, sarebbero rappresentative, se non addirittura distintive e peculiari, fondanti e costituenti la stessa cernita di “fiori”, così come l’operazione crestomantica dell’antologia imporrebbe.

Nel tempo le tendenze generali dell’antologia sono state da una parte quella del repertorio-arsenale che ne ha fatto nel tempo una sorta di “museo”, dall’altra quella della codificazione di tendenze, generi, scuole, vale a dire il “biglietto da visita” di una data generazione, corrente o, come spesso si suol dire al presente in attinenza alle nuove tendenze, di “onda”. È pur vero che l’antologia è divenuta negli ultimi decenni anche un metodo di facile guadagno, tanto per editore e curatore (sottolineo che non è questo il caso, ovviamente!) poiché l’inserimento di molteplici autori in un unico volume consente di avere una pubblicazione unitaria (con una sola elaborazione delle bozze, un solo codice ISBN e, dunque, una lavorazione singola) col beneficio, congiunto, di molteplici autori pubblicati che, più o meno interessati, acquistano, divulgano e fanno conoscere – ciascuno con i propri mezzi – l’opera che li “reperta” e ne dà (forse) una qualche visibilità.

Eviterò di azzardare considerazioni di questo tipo non conoscendo, nel caso specifico, le intenzioni che hanno mosso il capace e poliedrico Alberto Barina – autore lui stesso di varie opere poetiche dal sottoscritto già attenzionate – nella creazione di questo agevole e fresco volumetto, Antologia poetica al femminile (Place Book Publishing, 2022) nel quale, dopo una sua breve lettera-commento anticipatoria, trovano posto i testi di ben diciassette poetesse. Nomi che, solo in alcuni casi, nel tempo ho avuto modo di leggere velocemente sulla rete e, nella maggior parte dei casi, mi giungono nuovi e, dunque, motivo di ulteriore interesse nell’avvicinarmi all’opera.

Il diorama delle autrici selezionate e qui proposte è abbastanza ampio sebbene per ciascuna vengano forniti solo tre o quattro componimenti, non sufficienti a poter dirimere un discorso sulla compiutezza formale, l’originalità espositiva né la varianza tematica. Tuttavia sono un inizio di traccia valida per (eventuali) e future ricerche, approfondimenti, letture delle loro opere integrali dalle quali i testi proposti sono stati estratti.

Incontriamo, giustamente proposte in ordine alfabetico (sebbene Barina – ed è l’unica “critica”, se così vogliamo, mi sento di muovere – avrebbe potuto, a ragione e a nutrimento della curiosità del lettore, accludere qualche notizia, pur sintetica, sull’esistenza biografica e letteraria delle – così diversamente – sconosciute voci) le poetesse: Mariatina Alò (Cosenza, 1974) con poesie estratte da Una luce minima (2020); Lucia Apreda (Sorrento, NA, 1985) con poesie estratte da Sotto mentite spoglie (2021); Anna Bellisai (n.d.) con poesie estratte da Pensieri scalzi (2021); Maria Cristina Buoso (n.d.) con poesie estratte da Schegge di parole (2021); Roberta Canu (n.d.) con poesie estratte da Lassù piovono fiori (2021), Irene Carlevale (Frosinone, 1982) con poesie estratte da L’affetto instabile (2021); Athena Cesari (Roma, 1998) con poesie estratte da Sussurri di memoria (2021); Lorella De Bon (Belluno, 1968) con poesie estratte da Identità minerali (2021); Giorgia Deidda (Orta Nova, FG, 1994) con poesie estratte da Sillabario senza condono (2020), unica, tra le opere qui evocate delle varie autrici, da me letta per intero in precedenza; Biancamaria Folino (Milano, 1963) con poesie estratte da Risonanze interiori (2020); Aurora Gionco (Mirano, VE, 1993) con poesie estratte da Con spietato affetto (2020); Lidia Gabriella Giorgianni (Messina, 1964) con poesie estratte da Approdi tra cielo e mare (2022); Alessia Lombardi (Pontecorvo, FR, 1996) con poesie estratte da L’affetto instabile (2021); Anna Maria Massobrio (Torino, 1964) con poesie estratte da Le Rive di Persefone (2020); Mietta J. Mizzi (n.d.) con poesie estratte da L’inverno del mio scontento… e altre stagioni (2020); Raffaella Porotto (Novi Ligure, AL, 1952) con poesie estratte da Cronologie di un’anima (2020); Serena Tonezzer (n.d.) con poesie estratte da L’ombra indaco (2021).

Come osserva Barina nel prologo gli stili e i linguaggi delle poetesse sono tra loro dissimili e distanti, segno che ciascuna di esse ha fatto un percorso (tanto di studi, che di vita al presente) differente, di cui vi è traccia nei versi. Quel che è possibile rivelare è che vi sono poesie di tendenza classica, con ricorrenti elementi della natura e la vena mai doma di una memorialistica del ricordo emozionale che riaffiora tra le pagine, ma anche componimenti più dinamici e destrutturati, di evidente posa “visuale” del testo – com’è il caso della poetessa Maria Cristina Buoso – che ci danno l’idea di una grande sperimentazione e di avanguardia. Lidia Gabriella Giorgianni propone anche un testo in dialetto siciliano, adesione alla vena popolare e orale della lirica locale che è da considerare come un buon segno se pensiamo a quanto il dialetto fatichi, soprattutto in varie zone del Belpaese, ad essere coltivato e proposto. A dispetto di una genealogia recente e postmoderna che tendenzialmente è portata a interrogarsi (o per lo meno a confrontarsi) con gli accadimenti (e i disagi) della contemporaneità (tanto locale che nazionale e, ancor più, sulla scia di un esterofilismo sempre vivo, internazionale) risultano per lo più assenti (tranne un paio di testi sul totale) gli interessi d’indagine sociale ed etico vale a dire una poetica di taglio civile e d’impegno.

Le tematiche che via via risaltano leggendo le liriche sono numerose. Sono quelle della poesia di sempre e (forse) quelle che mai verranno meno nella poesia del domani. Sentimenti di dolore e desiderio di ritrovare legami e un linguaggio che si è perso nel tempo. Situazioni di attesa, più o meno logorante (che ritorna spesso nelle poesie di Serena Tonezzer in particolare), fascino disincantato (mai esaltato o pleonastico) verso l’ambiente che, più che “natura” diviene per lo più spoglio e indistinto “contesto”. Non un vero luogo ma circostanza. Vi sono anche considerazioni sull’ordinarietà di un vissuto che sembra spalmarsi tra azioni ben più che rituali da apparire banali. Alcuni reconditi riferimenti alla mitologia fanno capolino tra liriche che interpellano il passato con l’evidenza di una difficoltà sempre più ingestibile nel rievocare in maniera nitida momenti che hanno contraddistinto un prima. La minaccia dell’oblio è sempre dietro l’angolo. Anche in donne giovanissime come le nostre poetesse qui raccolte. Si riflette altresì su quello spazio manchevole di codici distintivi, sul silenzio, sulla lontananza e sull’incertezza che ci riguarda tutti. Altre immagini che s’impongono in maniera netta sono quelle che attengono a dimensioni di difficile investigazione, quale il dubbio, la libertà, la condizione spoliante dell’esilio, il senso di realtà (cito Aurora Gioco che, nell’explicit di un suo testo, scrive: “La sola verità / penetra gli abissi / di silenzio”, p. 68), l’inadeguatezza e una sorta d’inettitudine esistenziale (cito Alessia Lombardi che, nella poesia “Lolita”, annota: “Provavo un fastidio enorme – / quello / di non appartenere”, p. 83).

C’è la poesia stessa quale campo d’indagine e riflessione che assurge a motivo ontologico, confidente, intertesto nutrito di un’esistenza votata alla confessione col sé e all’interrogazione della natura primordiale dei sentimenti autentici che spesso convivono in un’interiorità rissosa di accadimenti. Cito, per concludere, alcuni estratti di un componimento della poetessa pugliese Giorgia Deidda che non solo scrive poesia ma s’interroga su di essa, costruendo col suo componimento, una sorta di piccolo ma elegante manifesto di (sua) poetica, una dedica intima eppure valevole per una pluralità di soggetti, frutto di una continua e fertile immersione nella creatività intelligente: “Alla poesia, / che mi è fiorita nelle ossa e mi ha tagliato il mondo / in milioni di pezzi diversi / […] / perché quando la poesia interviene, / tutto si aggiusta per miracolo” (p. 57).

LORENZO SPURIO

Jesi, 12/04/2022


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Un webinar sulla scrittrice e filosofa spagnola María Zambrano a Roma

Articolo di Lorenzo Spurio

Si terrà il 22 aprile prossimo dalle 17 alle 20 il webinar che la EuroMed University in collaborazione con la InterUniversity Platform ha deciso di dedicare alla nota scrittrice e filosofa spagnola María Zambrano (1904-1991).

Originaria di Málaga (Andalucía), dove nacque nel 1904, la poetessa si trasferì con la famiglia a Segovia (Catilla y León) prima di trasferirsi nella capitale spagnola. María crebbe a contatto con letture e la frequentazione, grazie alla figura paterna, di intellettuali di spicco del periodo tra cui il poeta Antonio Machado e José Ortega y Gasset, frequentando lezioni da lui tenute. Nel tumultuoso periodo sociale degli anni Trenta fu assistente alla Cattedra di Metafisica all’Universidad Central dove resta sino al 1936 agli albori del conflitto civile. Durante il periodo della Seconda Repubblica importanti furono le relazioni e le amicizie sviluppate con autori quali Luis Cernuda, Miguel Hernández e José Bergamín, direttore della rivista «Cruz y Raya». Dopo una breve parentesi in sud America dove si recò per seguire il marito che ricopre incarichi diplomatici nel 1937 fece ritorno in Spagna e a Bilbao, col marito, venne intercettata dai franchisti. Due anni dopo assieme a sua madre e sua sorella riuscì a varcare il confine spagnolo per mettersi in salvo nella vicina Francia. Fu l’inizio del suo lungo esilio che l’avrebbe condotta in vari paesi in tutto il mondo. Non smetterà mai di viaggiare ritornando più volte in Sud America (Cuba e Messico soprattutto) dove insegnò in alcune istituzioni. Negli anni Cinquanta, dopo essere stata un periodo a Parigi, giunse a Roma dove rimase sino al 1964. La sua permanenza nella Capitale le permise di entrare in contatto con vari intellettuali italiani e spagnoli presenti a Roma perché fuggiti dalla barbarie della dittatura franchista tra cui Rafael Alberti e Jorge Guillén. Nei primi anni Settanta vennero pubblicate le prime opere anche in italiano. Premi alla sua carriera non mancarono come l’ambito Premio “Principe di Asturie” e il conferimento della Laurea Honoris Causa dell’Università di Malaga. Solo nel 1984 poté ritornare nella sua Spagna natale che non abbondonò più sino alla morte sopraggiunta pochi anni dopo. Tra le sue opere più note vi è il libro “Filosofia e poesia” pubblicato nel 1939 che affrontava, in maniera convergente, i due grandi ambiti della sapienza umana e dell’approfondimento esistenziale, sottolineandone peculiarità e distanze. La Zambrano dedicò anche una serie di saggi ad autori quali Unamuno, Galdós e Freud. Vastissima è la sua bibliografia; citiamo anche le opere “I sogni e il tempo” (1959), “Il sogno creatore” (1986) e “Le parole del ritorno” (1995). Sulla sua permanenza nel nostro territorio è stato pubblicato “Per abitare l’esilio: scritti italiani” (2006) a cura di Francisco José Martin e “L’esilio come patria” (2016) a cura di Armando Savignano.

Il programma della conferenza-evento dal titolo “María Zambrano a Roma”, si annuncia particolarmente ricco e vedrà gli interventi di poeti, scrittori, giornalisti, docenti universitari e studiosi di letteratura. Parteciperanno alla conferenza, che sarà moderata dalla poetessa Isabel Jimeno, Inés María Guzmán (poetessa, Universidad de Málaga), Floriana Porta (poetessa, pittrice e fotografa), Rosa Mascarell Dauder (promotrice culturale, pittrice, saggista, membro del Patronato de la Fundación María Zambrano), Miriam Bruni (docente e poetessa), Isabel Rezmo (poetessa), Maria Benedetta Cerro (poetessa), Victoria Clemente Legaz (accademica, studiosa, promotrice culturale), Ana Silva (poetessa e giurista), Alinaluz Santiago (docente e poetessa), Stefania Tarantino (accademica, docente e cantante), Marijose Iglesias (docente e scrittrice), Mauro Perego de Salvia (musico flamenco e di jazz), Rocío González Naranjo (docente, investigatrice, attivista), Mónica Manrique de Lara (poetessa).

Sarà possibile accedere al webinar utilizzando il link che si terrà sulla piattaforma Zoom: https://us06web.zoom.us/webinar/register/WN_yAAxzv3fSoCYP3KnLY0aeQ

LORENZO SPURIO


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“La leggenda del santo ergastolano” di Giuseppe Bommarito, recensione di Marcello Maria Pesarini

La leggenda del santo ergastolano (Affinità Elettive, Ancona, 2022), un titolo beffardo, quasi irriverente, proprio come vogliono essere le parole del figlio del protagonista, Ninì, il quale durante l’adolescenza scopre con estremo dolore l’appartenenza del padre a Cosa Nostra e si impegna con tutte le energie nei comitati antimafia che sorgevano a Palermo negli anni ‘90. Eppure la beffa dura l’attimo in cui viene pronunciata, svelando, appena scompaiono le parole, una narrazione sul dovere, anzi sui doveri umani.

Le 254 pagine dell’ultimo parto di Giuseppe Bommarito, edite dalle Affinità Elettive di Valentina Conti, casa editrice anconetana, si compongono di una prima storia sotto forma di romanzo di Rocco Russo e famiglia, e della seconda storia, narrata dal carcere in forma epistolare. Il dovere, per l’autore, è in primis quello del rispetto per se stessi, tradotto invece dal protagonista nell’inganno della rispettabilità, concessa agli “uomini d’onore” in Sicilia.

Rocco, cavallo di razza, non esita ad unirsi ai mafiosi coi quali il padre era colluso, appena dopo l’uccisione dello stesso da parte di una cosca rivale.

Inizia così una saga dei dannati, dei predestinati ad un futuro senza scelta, che tanto li identifica con i parigini descritti ne “L’ammazzatoio” da Emile Zolà.

Gli “ultimi”, che si erano inurbati e vivevano alle periferie della, forse, più prestigiosa città europea del tempo, partivano alla mattina verso il centro città alla ricerca di un impiego spesso giornaliero; solo alcuni arrivavano alla loro meta.

Zolà li descrive perdersi in osterie, in liti fra di loro, in diversivi perdenti. Il loro destino è segnato e la fine di molti protagonisti, miserrima, sarò lenta e inesorabile come quella di Rocco Russo.

Nel romanzo di G.B., Rocco Russo si illude che il suo dovere sia di arricchirsi e, innamoratosi di Sara, giovane donna la quale si ostinerà per quieto vivere a non vedere le vere occupazioni del marito, farà di tutto per non farle mancare nulla, con un sincero affetto che metterà su un gradino ben più alto degli agi ottenuti col suo tremendo lavoro di killer.

Tanto sarà l’impegno del protagonista nell’assolvere tale lavoro, che inizierà a disegnare la sua fine quando denuncerà al Capo Cosca il comportamento “poco professionale” e disumano di due suoi scagnozzi, uno dei quali si accanirà verso lui come collaboratore di giustizia.

Si apre ora una delle pagine più profonde e sofferte del romanzo, la denuncia degli effetti terribili delle droghe e dell’alcool su chi le assume.

La trasformazione di menti, spesso già predisposte, in un misto di superomismo e di risentimento verso l’umanità, che si illudono allo stesso tempo di potersi fermare e di poter punire chiunque, azzerando qualsiasi briciola di umiltà e di relazione col mondo esterno.

Pagine queste che ritorneranno in maniera diametralmente opposta nella seconda parte del romanzo: a fronte delle figure della moglie Sara che, proprio in nome dell’amore, analizza la sua precedente connivenza, e della figlia Consuelo che si addentra nella mostruosità della istituzione dell’ergastolo ostativo, dall’altra parte Rocco si ergerà a uomo che non ha voluto tradire altri colleghi, dannati consapevoli come lui, appuntandosi una immaginaria medaglia sul petto di uomo d’onore.

Molti i doveri a cui richiama Giuseppe Bommarito: leggere il libro fin in fondo, per comprendere quanto ingiusta sia l’istituzione della morte a lento rilascio (per questa rimando alle note di seconda pagina), essere umili e non giustificare mai le proprie scelte con le circostanze, accettare di essere composti di tante spinte contrastanti e non considerarle una debolezza.

Un romanzo di formazione degli anni 2000, nel quale lo stile non si piega alle circostanze, ma descrive facendo partecipe il lettore ai momenti di crudeltà come a quelli dell’amore più profondo.

MARCELLO MARIA PESARINI


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“Battute d’arresto” di Julio César Pavanetti Gutiérrez: il noto poeta uruguaiano tradotto in italiano

Articolo di Lorenzo Spurio

Venerdì 29 aprile a partire dalle ore 18 a Roma presso l’Enoteca Letteraria (Via San Giovanni in Laterano n°81) si terrà la presentazione del nuovo libro del poeta e scrittore Julio César Pavanetti Gutiérrez, Battute d’arresto (deComporre Edizioni, Gaeta, 2021). Interverrà la poetessa e giornalista Michela Zanarella che presenterà al pubblico l’opera di questa importante voce poetica e non solo.

Julio César Pavanetti Guitérrez (Montevideo, Uruguay, 1954) è poeta e organizzatore culturale. Nel 1977 ha lasciato l’Uruguay nel contesto di una situazione socio-politica molto difficile. Da allora e fino al 2013 ha vissuto a Benidorm, nella provincia di Alicante (Spagna), attualmente risiede a Villajoyosa, sempre nell’alicantino. La sua produzione in volume è vastissima. Citiamo alcune opere: La spirale del tempo/Spirala timpului, bilingue spagnolo-rumeno (2012), Attenzione! Può contaminare (2012), Cantare alla vita (2015), Mërgimi dhemb (Il dolore dell’esilio) pubblicato in albanese (2021) e Battute d’arresto, pubblicato in italiano (2021).

Nella prefazione del libro la poetessa Claudia Piccinno osserva: «La poetica di Julio Pavanetti si colloca tra il canto d’amore per le proprie radici e la propria terra e le rivendicazioni di diritti civili, sulla scia del mio amato Neruda. […] Questa raccolta rappresenta un viaggio verso il ricordo, un mare di ricordi… Resta come inconscia paura la ricerca di un posto, anche là dove il posto non c’è, permane in questi versi, l’eco di un vento lontano che ricorda le origini e la terra natia, ma il poeta sa aprirsi anche al mistero di una canoa che levita sul lago di Como ed è in questa straordinaria capacità di stupirsi ch’Egli trova la forza di neutralizzare il dolore».

Julio César Pavanetti Gutiérrez ha un profilo letterario e accademico di lunghissimo corso e di ampio prestigio. Fondatore e Presidente dell’Associazione Internazionale di poeti “Liceo Poético de Benidorm”, Accademico associato dell’American Academy of Modern Literature, Direttore del Festival Internazionale di Poesia “Benidorm & Costa Blanca” (FIPBECO), Membro onorario dell’American Academy of Modern Literature, del Circolo degli Scrittori del Venezuela, dell’Associazione degli Scrittori e Artisti Spagnoli (AEAE), dell’Associazione Collegiata degli Scrittori della Spagna (ACE) e del World Poetry Movement. Ha partecipato, in rappresentanza della Spagna e/o dell’Uruguay, a numerosi festival, summit ed eventi internazionali di poesia. È stato inserito in oltre ottanta antologie nazionali e internazionali sia su carta che in digitale. Ha scritto prefazioni, introduzioni e commenti critici per numerosi libri. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti a livello nazionale e internazionale sia per il suo lavoro poetico che per il suo lavoro culturale. Recentemente ha vinto il 1° premio per poeti stranieri dell’VIII Edizione del Premio d’Eccellenza Internazionale “Città del Galateo – Antonio De Ferraris” (2021). È stato presidente e membro della giuria di vari concorsi di poesie e racconti nella provincia di Alicante e Murcia, in Spagna, e membro della giuria del Poetry Slam organizzato dalla Lega Italiana Poetry Slam (LIPS), Associazione “G. Carducci” di Como (2015). Le sue poesie sono state tradotte in inglese, italiano, siciliano, catalano, arabo, francese, rumeno, portoghese, croato, azero, polacco, islandese, tedesco, olandese, giapponese, cinese, bulgaro, slovacco, serbo, bosniaco, turco, malese, bengalese, greco e sono state pubblicate su innumerevoli quotidiani e riviste internazionali.

Una foto che ritrae il poeta

Battute d’arresto è arricchito da una nota critica di Giampaolo Mastropasqua. Le opere contenute nell’opera sono il frutto della meticolosa traduzione di Daniela Sannipoli, Laura Garavaglia e Carla Zancanaro. Nulla è lasciato al caso in questa pregiata pubblicazione che conta anche un significativo apparato iconografico rappresentato dai disegni di Carlo Naos Beltrán. Quattro le sezioni che compongono il volume che sono così rappresentate (ricorriamo alle parole di Mastropasqua): «La prima è dominata dal sentimento del duende, […] le battute d’arresto hanno a che fare proprio con il battito degli antenati, col mistero che giunge quando s’intravede una possibilità di morte, sono poesie notturne e magnetiche, luoghi d’intimo dialogo lorchiano e goethiano. […] Nella seconda [l’Autore], citando Whitman (“Eravamo insieme / il resto l’ho dimenticato”) apre la sezione dell’amore, dell’origine, del ricordo che passa come un vento leggero. […] La “passione” pavanettiana è anche passione per gli ideali, viaggio nell’etica della vita che incontra l’altro da sé, passione è indignarsi e non divenire mai schiavi dell’indifferenza, è provare vergona e orrore per l’appartenenza ad un genere umano che spesso si macchia di delitti. […] [Nella terza parte] Pavanetti incontra il canto generale di nerudiana memoria introiettandolo e personalizzando, tra le spire sudamericane della fatica quotidiana, una donna che emblema di tutte le Donne entra come una figura eroica nella sopravvivenza del tempo». Ben rimarcata è questa vena prettamente civile dell’Autore come ha ben messo in luce Mastropasqua quando parla di quel sentimento autentico che con gran forza anima il singolo a sentire su di sé i drammi del mondo: «[Pavanetti] giunge a una visione panica delle cose e del mondo, dove ogni dolore umano benché lontano geograficamente ci riguarda come un figlio». La quarta sotto-sezione si riferisce a una poesia di stampo esistenziale, come la definisce la Piccinno nella sua nota richiamando alcuni versi del Poeta: «È che per caso sono un altro quando scrivo? / O è solo allora che io sono me stesso?».  

LORENZO SPURIO


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Prefazione di “In aeternum poetic@”, la nuova opera del poeta rumeno Dumitru Găleșanu

Pubblichiamo a continuazione, con il permesso dell’autore Dumitru Găleșanu, la prefazione al suo ultimo libro, “In aeternum poetic@”, che raccoglie una serie di saggi critici, proprie creazioni e quelle di altri autori, dalla Romania o da altre parti del mondo. La prefazione è stata tradotta in italiano da Floarea Sima.

Nel continuum della creazione lirica contemporanea, l’intimo riverbero interiore della personalità multivalente dell’uomo come uomo, non c’è spazio per le banalità. Come in ogni respiro della vita, la perpetua ricerca di senso esistenziale comporta spesso salti quantici al limite della comprensione umana, attraversando i vecchi stati d’animo (che tendono a conservare la loro tradizione con una semplicità assolutamente disarmante) verso un paradigma sempre diverso, più capace di evocare le connessioni infallibili della realtà sulla soglia della trasparenza.

Ogni nuova partitura della parola scritta irrompe dal profondo del globo oculare della mente di ogni artista-poeta attraverso interstizi quasi impercettibili, non sempre facili da intravedere, come minuscoli ponti tra il reale-reale e il reale-possibile, da rivelare infine attraverso un linguaggio poetico intriso di immagini, nella chiave di particolari orizzonti stilistici e sfumature, sentimenti profondi, stati di fatto stillati sul volto misterioso del mondo e riflessioni colte in esperienze personali sedimentate nel corso del tempo.

Avvolto su una spirale invisibile di quiete e luce, come una sfinge orientata verso l’alba della materia, per il modo in cui è riuscito a risuonare con l’esistenza il Poetico si è dimostrato capace di resistere di fronte all’eterno, in competizione con la magica natura dell’uomo affinché germogli nell’interazione tra tempo e storia / identità e alterità.

La dimensione umana del poetico e la dimensione poetica dell’uomo interferiscono nell’universo infinito delle parole, ma il lessico di una lingua non si limita alla poesia, ma implica guardare al di là del confine fra scienza e filosofia, poiché contiene livelli profondi della realtà, attentamente guidati dai pilastri della saggezza umana.

Ci sono innumerevoli temi affrontati nella letteratura di genere, così come infinite luci e apparenze di forma sono associate a qualsiasi impresa poetica di successo.

Come un implacabile esploratore del reale, in un impulso creativo complesso che tende a riempirsi della pienezza del sensibile: l’arte poetica autentica porta nei suoi drappeggi la genesi stessa della parola, e l’effetto lirico soggettivo suggerito dall’autore ai fini emotivo-affettivi e concettuali-simbolici impreziosisce la scena alla fine, affascinando i nostri cuori con imprevedibili lampi di luce.

Accedendo alle energie della mente umana, chiunque potrà diventare un genio nell’arte, nella letteratura o nella scienza, la prima e la più importante condizione essendo quella di essere dotato di uno spirito libero e di essere capace di sperimentare in modo ispirato e costantemente immutabile l’intero dominio della conoscenza valida messa a disposizione in un dato momento dalla società e, infine, di rimanere profondamente attaccato ai valori più sensibili nella sfera di interesse delle sue preoccupazioni.

Chiaramente il talento con cui lo scrittore, il pittore o il poeta sarà dotato (ovviamente per natura), può avere un impatto decisivo che lo aiuti a plasmare il proprio destino, secondo il ritmo della sua vita autoimposta e il percorso artistico che ha scelto di seguire, ma questo da solo, senza un lavoro tenace e (il più delle volte) sacrificale, non costituisce una garanzia che certifichi assolutamente la sua potenziale consacrazione nella gerarchia spirituale universale. Qui, solo la posterità decide, nella sua magnificenza fattuale.

Un capolavoro non significa altro che il più infimo punto di contatto spirituale tra le generazioni che si succedono da un secolo all’altro, nel fluido della storia mettendoci la propria impronta, in uno sforzo di profondo coinvolgimento.

In concreto, la presente raccolta In aeternum poetic@” ha lo scopo di cogliere dal firmamento infinito dell’attimo universale l’eco appassionato della fatica del pensiero, il pensiero di tutti quei meravigliosi letterati, la maggior parte dei quali condividono la mia meraviglia filosofica, rinomati studiosi hanno approvato di ritenere che l’effimero brivido dietro lo specchio dell’opera non poteva passare del tutto inosservato attraverso l’arco del mezzogiorno di un mondo troppo impaziente di dissiparsi nel vapore del passato e nell’incertezza del futuro.

Vi sono, qui, pagine fitte che rappresentano studi, note critiche e riferimenti, recensioni, note di lettura e cronache, prefazioni, postfazioni, ecc. sulle opere pubblicate tra il 2010-2021, raccolte e riprodotte secondo il formato originale, in ordine di apparizione, così come sono state trovate nei documenti di fonte primaria (cartacei o elettronici), principalmente riviste e giornali (in lingua romena o straniera), almanacchi letterari, blog specializzati in arte e cultura e, ultimo ma non meno importante, il corpus stesso dei XIII libri curati dall’autore. A queste si aggiungono le proprie annotazioni e asserzioni critiche scritte sul contenuto tematico di alcune opere, qualcuno esposto in occasione di presentazioni pubbliche, altri fungono da introduzione o come parola finale dell’autore.

Nel complesso, la traduzione dei testi ha giocato un ruolo importante nel plasmare il libro e l’intera mia creazione.

Al di là di ogni sentimento di soddisfazione – porto una profonda gratitudine agli esegeti presentati nel volume, liberi pensatori che vivono attraverso la parola, ma anche ai lettori da ogni dove, a tutti coloro che, come l’angelo della luce nella poesia, in un modo o nell’altro, si sono chinati sul mio scritto, assaporando con esso i profumi dell’inizio del terzo millennio.

Si dice che ogni viaggio nella vita ci porta invariabilmente – dopo tutto – nel punto di partenza.

Nella contemplazione poetica, prevedo che il “mistero” cosmico discenderà maestoso dal volto dell’immensa notte, e non mi resta altro che aspettare il cielo che si rivesta fervidamente con raggi di luce –, nello strato di rugiada mattinale liberandomi dall’attimo insignificante con le sue glorie senza senso.

Specie nomade, come il poeta che vaga nella luce,/ il pensiero bohémien esplora l’universo dei miei libri./ Come quando principe della metafora io c’ero ancora –/ sulla terra dell’amore germogliando tra le giovine stelle –/ a me stesso, imbrividito chiedo:/ -Cosa…, ne sarà di loro nei secoli a venire

Dumitru Găleșanu

Râmnicu Vâlcea

Il cantautore Andrea Del Monte esce con un ricco omaggio al poeta di borgata Pier Paolo Pasolini

Articolo di Lorenzo Spurio

Il nuovo libro del musicista Andrea Del Monte, Puzzle Pasolini (Ensemble, Roma, 2022) come ben recita il titolo è un concentrato di testi e musica in omaggio di uno dei più grandi intellettuali del Belpaese, il poeta di borgata Pier Paolo Pasolini, l’uomo che fece dell’inchiesta sociale uno delle sue principali scandagli della società italiana.

Il volume, che come la stampa ha sottolineato è un “libro ascoltabile”, è interamente dedicato al celebre poeta friulano artefice impareggiabile di opere sceniche quali La ricotta, Mamma Roma e l’allora considerato disdicevole e inopportuno Teorema.

Del Monte, originario di Latina, ha dato alle stampe per i tipi della nota Ensemble Edizioni della Capitale il libro Puzzle Pasolini in concomitanza con le numerose attività e progetti che in questo 2022, in cui ricorre il centenario della sua nascita, imperversano, tanto in ambiti accademici e istituzionali, quanto autoriali com’è appunto questo il caso.

Il connubio artistico Del Monte-Pasolini non è affatto nuovo se solo diamo uno sguardo all’intenso profilo artistico del giovane latinese. Chitarrista, cantautore e compositore nel 2016 ha musicato e cantato la poesia “Supplica a mia madre” di Pier Paolo Pasolini. L’anno prima era uscito il disco Caro poeta, caro amico. A Pier Paolo Pasolini dove raccolse in un diorama di grande impatto emotivo dodici canzoni (testi di Renzo Paris, Antonio Veneziani, Tullio De Mauro, Walter Siti, Susanna Schimperna, Giancarlo De Cataldo, Ninetto Davoli e altri) dai lui musicati, cantati e registrati, eseguendoli poi anche dal vivo in alcuni eventi. Del Monte ha esordito nel 2007 con il singolo Il giro del mondo (brano ispirato dal film Il Grande Dittatore di Charlie Chaplin), col quale si è aggiudicato il Premio della critica al Festival “Il Cantagiro”. Al suo primo omonimo EP hanno collaborato John Jackson, storico chitarrista di Bob Dylan e l’etnomusicologo Ambrogio Sparagna. Con questo disco raggiunse la Top 20 di iTunes. Tra i lavori più recenti si segnala il disco-libro Brigantesse. Storie d’amore e di fucile, in cui l’album si apre con la lettura di una brano da parte di Sabrina Ferilli.

I contributi di Puzzle Pasolini si collocano seguendo un percorso suggestivo in cui il lettore è come se venisse chiamato a raccogliere e costruire con esattezza le tante tessere di un puzzle, proprio come recita il titolo. La campitura che si forma a completamento del posizionamento di tutte le tessere è sorprendente e al contempo assai stimolante perché Pasolini viene raffigurato in vari modi e soprattutto sono i diversi codici, quello testuale e musicale in primis, a ricordarcelo, a rendercelo ancor più uno di noi, vicino ai dimenticati, parte di un sentimento collettivo che riscopre l’autenticità dei bisogni dell’altro, attento all’ascolto.

Questo volume di Del Monte è senz’altro un omaggio sentito e particolarissimo, unico nel suo genere, che s’inserisce in quella letteratura della postmodernità che intenta fare i conti con i modi del narrare. Si va ben oltre alla spicciola narrazione e all’argomentazione non volendo essere il volume un saggio di approfondimento – come tanti ne esistono, pullulano e continuano ad essere partoriti sul controverso autore di Ragazzi di vita – ma è un libro dinamico, un’opera aperta, multidisciplinare, volutamente sfaccettata e, pertanto, polifonica e versatile: per essere letta e approfondita, ma anche ascoltata, riprodotta e musicata, elaborata su spartiti non solo musicali ma emozionali.

Si è detto che è un libro musicale. Non lo è solo in termini eufemistici e metaforici, ma è una vera e propria opera dotata di uno sviluppo uditivo, piacevole alla fruizione sonora. Difatti le undici canzoni si possono ascoltare scannerizzando l’apposito QR-code sulla nota piattaforma musicale “Spotify”, codice che si trova riprodotto nella bandella della quarta di copertina dello stesso libro o dai QR code messi sotto i testi delle stesse canzoni.

Tali tracce sonore, vere e proprie canzoni, non sono altro che le poesie scritte da altrettanti poeti che Del Monte, grazie alle sue doti artistiche e con uno speziato tocco d’ingegno, ha poi musicato e cantato. Alla realizzazione delle musiche hanno collaborato John Jackson, che nei suoi trascorsi vanta una lunga collaborazione con Bob Dylan, e Roberto Cardinali, chitarrista nel film Loro di Paolo Sorrentino.

Il cantautore Andrea Del Monte

Per quanto attiene, invece, alle interviste, queste sono state rilasciate da circa una quarantina fra scrittori, attori, registi e ricercatori di chiara fama e riconosciuta carriera artistica, alcuni dei quali hanno conosciuto direttamente e personalmente Pier Paolo Pasolini o hanno lavorato con lui. Altri, invece, che non hanno avuto la fortuna di un incontro fisico con l’io lirico di Poesie a Casarsa, lo hanno studiato per i suoi romanzi, per i suoi film o per i suoi scritti corsari. Le loro parole, i loro ricordi, gli aneddoti e le curiosità degli incontri con l’autore friulano, contribuiscono a delinearne la controversa e complessa figura e lasciano sulle pagine del libro tracce che possono trovare ulteriore approfondimento. Brani che arricchiscono e di molto l’idea spesso generale – quando anche molto generalizzante – che si possiede di Pasolini, che non hanno la pretesa d’iscriverlo in particolari pagine della storia della letteratura italiana, semmai di raccontarcelo com’era come uomo, nella sua spontaneità di spirito libero, tracciando alcuni momenti curiosi e importanti della sua permanenza nell’ambiente letterario: le sue intuizioni e polemiche, le sue scoperte e le sue condanne. Un concentrato, quello del puzzle di Del Monte, assai incisivo perché fornisce – proprio come le tessere di un puzzle che concepiamo potenzialmente infinito – assaggi di letture, vedute, interpretazioni, riflessioni attorno alla vita dell’uomo Pasolini.

Sono raccolte nel volume le interviste che sono state condotte a Enrique Irazoqui, Ninetto Davoli, Federico Bruno, Alessandro Golinelli, Giuseppe Pollicelli, Franco Grattarola, Citto Maselli, David Grieco, Walter Siti, Maria Borgese, Igor Patruno, Alcide Pierantozzi, Fulvio Abbate, Lucia Visca, Susanna Schimperna, Pino Bertelli, Giancarlo De Cataldo, Tullio De Mauro, Emanuele Trevi e Renzo Paris. Di questi va sottolineato che Siti e Trevi hanno entrambi vinto il noto Premio Strega, rispettivamente nel 2013 e nel 2021.

Questi sono, invece, gli autori delle poesie/canzoni: Renzo Paris, Alberto Toni, Giovanna Marini, Fernando Acitelli, Giulio Laurenti, Titti Rigo de Righi, Antonio Veneziani e Tiziana Rinaldi Castro, Claudio Marrucci, Ignazio Gori e Clea Benedetti

Il progetto editoriale risulta essere una nuova versione, rivista e implementata, di un libro che era precedentemente uscito nel 2015 in occasione del quarantennale della morte di Pasolini pubblicato col titolo Cari poeta, caro amico. Ad arricchirlo, rispetto alla prima edizione, sono tre racconti: “Un uomo generoso” di Franco Tovo, “La sua passione per il calcio” di Silvio Parrello e “La sua solitudine” di Renzo Paris. Franco Tovo è stato uno degli attori del film Mamma Roma, mentre Parrello è “Er pecetto” del romanzo Ragazzi di vita. I tre ricordano in particolare i loro incontri con il poeta. Scrive Renzo Paris: «Pier Paolo mi voleva bene, sapeva delle mie origini sottoproletarie e temeva che prima o poi sarei diventato un “mostro” come i suoi borgatari».

Si tratta, in definitiva, di un libro e di un album per capire meglio Pasolini perché a cento anni dalla sua nascita, continua a rappresentare un enigma da risolvere, un rompicapo nella storia della cultura italiana, un “puzzle” i cui incastri sono resi difficoltosi dalla sua immagine sfaccettata e dai misteri che ha lasciato irrisolti.

Nel 1981 uscì per Mondadori il libro Morte di Pasolini di Dario Bellezza, un poeta che era stato proprio Pasolini a scoprire e valorizzare e che, dopo il massacro dell’Idroscalo di Ostia, continuò a compiangere con dolore l’assenza del  suo mentore-amico. Di quel libro Domenico Porzio (“Panorama”, 14 dicembre 1981) rilevò “la perentoria felicità con cui un poeta legge un poeta: lo legge con una rabbia, con una ingordigia e con una violenza che forse non chiedono di essere condivise, ma che enucleano verità le quali, altrimenti, non sarebbero state estratte dal doloroso corpo dell’opera di Pasolini”. Un coinvolgimento emotivo e viscerale che traspare anche dal libro Ricordo di Pasolini, uscito postumo nel 2009 per le edizioni Via del Vento di Pistoia, e anche dai testi che “Pagine corsare” ha pubblicato nel 2009. Si tratta di una testimonianza in prosa e di due poesie, una delle quali scritta nel 1976, un anno dopo la morte di Pasolini.

Il poeta romano Dario Bellezza, che prese parte e animò la cosiddetta “Scuola romana”, attorno alla quale Pasolini gravitò e partecipò, come tanti intellettuali che lo conobbero lasciò un suo ricordo – a suo modo (si ricordi la natura volutamente ambigua e polemica di Bellezza) affettuoso – nel quale scrisse: «Proiettavo, identificavo su Pasolini una figura grosso modo paterna e anche materna. Il padre, diciamo così, era l’ideologia, era l’intelligenza, era la sapienza. La madre, invece, era la poesia. […] La vita di un poeta è la vita di chi arricchisce la collettività. […] [S]’è perso, però, il senso di che cos’e un poeta e che cos’è la poesia. […] non c’è riuscito nessuno a spiegare cosa sia la poesia. Son cose che o si sentono o non si sentono». Pare ragionevole citare anche Bellezza che, morto nello sprezzo e nel disinteresse generale nel 1996 dopo una vita di dissipazione e reale dannazione, è stato ingiustamente dimenticato e immotivatamente sottratto dai fasti della letteratura italiana contemporanea. Lui che – un po’ come Pasolini, su una scia abbastanza similare che qualcuno ha voluto descrivere come identica, in maniera semplicistica e distorta – visse la periferia, conobbe gli abitatori della notte, amò e seppe farsi amare con intensità, privo di quel pudore che divenne ragione privilegiata e ricorrente nell’attacco – anche spietato e dalle tinte offensive – mosso dalla classe borghese. La medesima che Pasolini con le sue opere e l’atteggiamento critico pose sullo sfondo delle vicende di alcune delle sue opere maggiori.

Lorenzo Spurio

Jesi, 01/04/2022


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