Un premio letterario dedicato alla poetessa Anna Elisa De Gregorio. Come partecipare

La famiglia della poetessa Anna Elisa De Gregorio (1942-2020)[1] nelle persone del marito Nello, della figlia Monica e del nipote Sirio, ha inteso indire un premio letterario nazionale, dedicato alla poesia, in suo nome.

Autrice di varie opere poetiche, tanto in lingua che in dialetto, la poetessa ottenne considerevoli e pregnanti giudizi critici tra cui quello del professore (e a sua volta poeta) Alessandro Fo che, nella prefazione dell’opera omnia della Nostra uscita postuma per Affinità Elettive di Ancona nel 2022 sotto il titolo Poesie, ebbe modo di osservare: «Con Anna Elisa ha preso da noi congedo una poetessa di grande finezza, persona delicata, dolce, autenticamente e profondamente umana. Resta la sua poesia, semplice, diretta disarmante nella sua dolente vicinanza ai nodi più intimi di ogni singola vita, con escursioni dall’umorismo brillante alla più calda pietas per le creature ferite».

Sarà possibile partecipare con una sola opera (indifferentemente se edita o inedita) a tema libero, scritta in lingua italiana che non dovrà superare i 40 versi.

Le opere andranno inviate in formato digitale in forma anonima con la richiesta di indicare nel corpo dell’e-mail i titoli e i dati anagrafici dell’autore: nome, cognome, codice fiscale, data e luogo di nascita, indirizzo di residenza, recapiti telefonici e indirizzo e-mail.

Le opere, unitamente ai necessari dati personali e alla ricevuta del versamento del contributo di partecipazione di 20€ (Bonifico bancario – IBAN: IT76 S 01030 02600 000001442288; INTESTAZIONE: Nello Bolognini; CAUSALE: nome e cognome e titolo della poesia) andranno inviate unicamente a mezzo e-mail entro le 24:00 del 31 luglio 2025 alla mail premioannaelisadegregorio@gmail.com

Le opere pervenute verranno passate al vaglio e all’attenta valutazione in due diverse fasi: una prima giuria tecnica effettuerà, infatti, una selezione delle opere per quanto attiene alla forma e ai contenuti e, in seconda battuta, una seconda giuria nominata all’uopo dagli organizzatori procederà alla selezione per la costituzione della classifica finale dove si distingueranno tre opere.

La giuria di merito è composta da Alessandro Fo (docente universitario, poeta) che la presiede e da Lucilla Niccolini (giornalista, vincitrice nel 2015, del premio di poesia Arcipelago Itaca nella sezione inediti) e Luigi Socci (poeta, direttore artistico del Festival internazionale “La Punta della Lingua” e dell’omonima collana per l’editore Italic Pequod).

Nel caso dovessero presentarsi posizioni “ex aequo” sarà insindacabile giudizio del Presidente di Giuria decidere in tal senso.

Consistente il premio messo in palio ovvero una somma monetaria di 1.000€ unitamente alla targa che pure verrà conferita al 2° e al 3° premiato. I termini del bando specificano che ogni classificato che risiede in un comune che dista più di duecento chilometri dal luogo di premiazione (il capoluogo dorico) si vedrà riconosciuto il pernottamento, la prima colazione e la cena per il giorno della premiazione. Tutti i classificati saranno avvertiti dalla segreteria e sono tenuti a ritirare i premi o, in caso d’impossibilità, a delegare una persona di fiducia.

La cerimonia di premiazione è sin d’ora fissata alle ore 17:00 di sabato 25 ottobre 2025 in Ancona, presso The Mole, Caffè letterario sito all’interno della Mole Vanvitelliana (Banchina Giovanni da Chio n°28).

INFO:

Contattare il sig. Nello Bolognini

Tel. 340 629180 (dalle 10:30 alle 20:30)

Mail. premioannaelisadegregorio@gmail.com  


[1] Un approfondimento sul nutrito curriculum letterario di Anna Elisa De Gregorio può essere reperito sull’Enciclopedia libera Wikipedia e su altri spazi dedicati alla poesia. Nel blog è presente una mia nota dal titolo “Ricordo di Anna Elisa De Gregorio” pubblicato l’indomani della dipartita della poetessa in data 25/09/2020, testo raggiungibile a questo link: https://blogletteratura.com/2020/09/25/ricordo-di-anna-elisa-de-gregorio/

“Arte e artificio (nel cinema come in tutte le arti)”. Articolo di Rodolfo Vettorello

La notizia che il regista danese Lars Von Trier ha ricevuto di recente la Palma d’Oro al Festival del Cinema di Cannes, suggerisce delle considerazioni sull’arte cinematografica che, se non sono nei miei interessi primari, mi invitano comunque a dei chiarimenti, anche solo per mia cultura personale, rispetto alle arti in generale.

In un passato non troppo remoto, Von Trier ha osservato, con la sua acutezza di artista, che il Cinema è l’arte più artificiosa che esista e questo per ragioni evidenti a chiunque.

I sentimenti e le emozioni che passano attraverso una sequenza di pochi minuti, sono costruiti con pazienza, in tempi spesso lunghissimi, con sedute successive realizzate da specialisti. Queste osservazioni hanno portato Von Trier a produrre il manifesto “Dogma95” che poi lo ha indotto a realizzare il film Idioti, senza luci artificiali, con nessun effetto speciale, con telecamere quasi amatoriali tenute tra le mani.

Il regista danese Lars Von Trier

Ora è evidente che il Cinema è un’arte artificiosa e artificiale, portata alle estreme conseguenze. Per coerenza bisogna però riconoscere che ogni arte ha la sua dose di artificio. Il concetto è così indiscutibile che le parole “arte” e “artificio” sono esse stesse testimonianza di una vicinanza, di una contiguità più che logica. Tutta l’arte ha i suoi artifici. Se la scrittura poetica ha la sua artificiosità nell’uso della parola e se la parola è differente nelle diverse lingue, è chiara l’artificiosità a volte imperdonabile della traduzione da una lingua ad un’altra. E questo al punto che è stato detto che “tradurre” è un po’ “tradire”.

Della musica si è sempre sostenuto che è l’arte più alta per non avere mai bisogno di traduzioni e questa è verità sacrosanta. Se esiste un quid di artificiosità anche nella musica, è solo nel fatto che i suoni sono sempre prodotti da strumenti differenti e ogni strumento ha una sua voce e un suo colore particolare. Qui la parola è da lasciare agli esperti.

Qualcuno ha osservato che in diversi suoi film il regista Von Trier si è rivelato decadente ed essenzialmente simbolista e questo concetto merita una digressione. Se tutta l’arte e anche la scrittura, specie poetica, ha le sue artificiosità, si deve constatare che questa arte che è in fondo una clamorosa sfida alla Natura, rappresenta il tentativo umano disperato di sfuggire al ciclo naturale di vita e morte. Lo sapevano bene i simbolisti e prima degli altri Charles Baudelaire che aveva spiegato come l’uomo sia stato da sempre intrappolato tra due poli. Da una parte lo spleen, cioè la malinconia, la tristezza o meglio il sentimento profondo dell’insufficienza esistenziale e il polo dell’ideal, cioè l’Eden, il Paradiso e a volte i paradisi artificiali. La vita per i simbolisti tutti è un ondeggiare tra due opposti estremi. Il Regista Lars Von Trier si propone, in certo modo, come il simbolista della più artificiosa tra le arti, cioè in Cinema.

Se mi sento obbligato a riconoscere l’artificiosità di tutte le arti e a considerare che anche la Poesia ha le sue evidenti artificiosità, mi sento obbligato anche a un ripensamento del tutto personale rispetto al Cinema. Nella mia gioventù ho amato molto il cinema e questo, accontentandomi dei messaggi che gli artifici del cinema stesso potevano somministrarmi. Se con il tempo, ho perso interesse per una forma d’arte sempre più artificiosa e artificiale, alla luce della considerazione che “arte” è sempre “artificio”, mi propongo di ripensare al Cinema nei modi suggeriti da Lars Von Trier.

RODOLFO VETTORELLO


Il presente testo viene pubblicato su questo spazio dietro l’autorizzazione dell’Autore dichiarando che non ha nulla a pretendere all’atto della pubblicazione né ne avrà in futuro. La riproduzione del presente testo, in formato di stralci o integrale, su qualsiasi tipo di supporto, non è consentita in assenza di autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione, con i precisi e completi riferimenti di pubblicazione e il link, è liberamente consentita.

“Le Istantanee di un Atmonauta” di Domenico Guida. Recensione di Fiorella Cappelli

Con la silloge Le Istantanee di un Atmonauta (Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2024) l’autore, Domenico Guida, si presenta al lettore prendendolo teoricamente per mano conducendolo, mediante un percorso tematico, alla scoperta di un ideale viaggio sensoriale tra parole, profumi, musica e immagini elaborate, su un pentagramma di diversi versi sciolti e liberi, mostrandosi abile nell’arte della “Retorica” con un linguaggio evocativo-figurativo, servendosi di molteplici figure: di suono, di significato, di costruzione atte a creare svariati effetti per il tramite di versi modulati in un concetto d’insieme: l’io  e te, il “Noi”.

Il poeta, musicista, scrittore e cantautore, definisce la sua opera composta, con la frase, nel sottotitolo di copertina, riportata a caratteri leggeri, chiari, in corsivo Raccolta di pause e poesie aprendo la sua anima anche al dialogo con se stesso, nella profondità del suo “io”, nello spazio-tempo del “qui e ora”, atto a fermare il momento, l’istante fatto di respiro e tempo: un’istantanea che lascia traccia, impronta, forma nella voragine più profonda del suo essere, con il suo linguaggio dell’amabilità che, nell’espressione multiforme, avvalendosi dei quattro elementi e i cinque sensi fusi tra loro, si fa viatico di vibrazioni di quell’istante cristallizzato ed ecco allora che il suo mezzo espressivo apre a un linguaggio  universale e “la verità del poeta” traspare nel dare colore ai toni di grigio.

Con Le Istantanee di un Atmonauta Guida si offre al lettore con la sua silloge svelandoci il suo “Alter-ego”: Atmo, un personaggio di sua creazione (materializzatosi in una graphic novel e facente parte, insieme al libro e al concept-album, del suo ultimo progetto “Retorika”). Atmo, capace di “lasciarsi andare e fluttuare veloce ed alto, decide di navigare l’aria ed il tempo… fuggevole” (scrive il poeta), ma anche per intraprendere un volo “dagli occhi al cuore” occorre avere un punto di partenza e questo il Guida lo sa bene perché inizia il suo viaggio dai riferimenti certi con la lirica “A mio Padre”, una dedica al suo “eroe/impavido, guerriero/; ed ecco, il prosieguo, /tu ed io in successione come un verso/…Un cuore grande come il tuo/… trabocca da ogni dove…”.

Nell’emozione che il lettore raccoglie, ogni parola, ogni riferimento creano colore, evocano immagini, Lidia Tavani, che ne ha curata l’introduzione, tra gli svariati temi affrontati da Guida nel suo tomo, sceglie quello dell’istante e dell’istinto senza pero tralasciare l’intensità del sentimento ed “il ritmo dei fonemi” che accompagna tutta l’opera.

FIORELLA CAPPELLI


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Il 14 marzo l’evento “Insieme con Lucia” per ricordare la poetessa Lucia Bonanni (1951-2024)

Venerdì 14 marzo a partire dalle ore 17 presso l’Auditorium di fronte alla biblioteca a San Piero (FI) si terrà l’evento culturale in memoria della maestra e poetessa Lucia Bonanni, recentemente scomparsa. L’iniziativa, dal titolo “Insieme con Lucia” si terrà con il Patrocinio morale del Comune di Scarperia e San Piero.

Lucia Bonanni nacque ad Avezzano (AQ) il 16 marzo del 1951. Poetessa, critico letteraria, saggista e scrittrice di racconti, coltivò da sempre l’amore per la poesia e l’arte in genere. I primi riconoscimenti giunsero fin dalle scuole elementari. Agli inizi degli anni ‘60 la famiglia si stabilì in Toscana dove avvenne la sua formazione intellettuale e sociale, che l’avrebbe accompagnata nel suo percorso di vita. La svolta che mise ordine alla sua produzione poetica, si manifestò durante una delle sue escursioni in montagna. S’iscrisse ad associazioni culturali e furono anni densi di studio e di applicazione alla scrittura che l’avrebbero guidata a prendere parte a vari concorsi letterari. Il primo riconoscimento giunse nel 2006 al Concorso “Raffaello Cioni” per la lirica “Trine brumali”. La sua poetica si arricchiva di nuovi contenuti e generi e, oltre alla poesia intimista, quella che prediligeva era la poesia civile, quella dedicata alle vicende umane, alla natura. Lesse con avidità gli autori del Novecento e s’iscrisse a corsi di spagnolo per poter leggere gli autori anche in lingua originale. S’interessò anche ai poeti dialettali. Nel corso degli anni ha ricevuto attestazioni e lusinghieri consensi per le liriche presentate ai concorsi letterari, anche per quanto concerneva la scrittura di haiku. Pubblicò due opere poetiche in volume: Cerco l’infinito (2012) e Il messaggio di un sogno (2013), tutt’ora inedita è una gran parte della sua ultima produzione letteraria.

Si dedicò anche alla critica letteraria stilando varie recensioni e note critiche per autori contemporanei e alla saggistica con un notevole apporto di approfondimenti e studi su autori italiani e stranieri. Nel 2015, in omaggio al poeta Federico García Lorca, nel 79° anniversario del suo assassinio, scrisse “Nel secco degli aranci”. Sue liriche sono state selezionate in varie raccolte antologiche, tra cui: «Antologia tematica dello Yellow Reading Indossando la Poesia» (2014), «Borghi, Città e Periferie», «Risvegli: il pensiero e la coscienza» e «Mario Luzi» (2015), «Dipthycha 3» (2016), «Il canto vuole essere luce. Leggendo Federico García Lorca» (2020) e «Dipthycha 4» (2022).

Nel novembre 2016 è risultata vincitrice del primo premio assoluto (poesia in lingua italiana) alla quinta edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi (AN). Nel 2021, grazie alla curatela del poeta e aforista Emanuele Marcuccio col quale a lungo collaborò, diede alle stampe Saggi Scelti. Volume I. I Classici, primo di un progetto di critica letteraria e saggistica in due volumi, il secondo dei quali, su autori contemporanei, vedrà la sua luce in forma postuma.

Si occupò anche di arte fotografica, ricevendo svariati consensi in mostre e concorsi di fotografia.

Si è spenta all’età di settantatré anni dopo una lunga malattia a Scarperia e San Piero a Sieve (FI) il 9 luglio 2024.

“Il piano inclinato” di Roberto Alajmo. Recensione di Gabriella Maggio

Il titolo dell’opera, Il piano inclinato (Sellerio), immette il lettore, attraverso una metonimia, nell’universo diegetico dell’opera, evidenziato anche dall’immagine di copertina di Markenzy Julius Cesar connotata di forte espressività. Il piano inclinato su cui si muove il giovane Ousmane costituisce anche un fondale di palcoscenico, una delimitazione drammaturgica che dà corpo all’allegoria sottesa alla narrazione, alla quale rimanda la prima frase del testo: “Chiamiamolo Ousmane”. È un avviso al lettore, la comunicazione esplicita del patto narrativo che dà al protagonista Ousmane il ruolo di rappresentante di tutti gli altri minori non accompagnati che compiono lo stesso itinerario di migrazione.

Ousmane ha deciso di lasciare Kalabougou, nel Mali, per cercare fortuna altrove, in quello che chiamerà il “nuovo mondo”, secondo il consiglio che gli ha dato il padre in punto di morte: “aprire una finestra”. Ousmane sa di affrontare una grande avventura, di stare su un piano inclinato, ma non riesce a immaginare se sarà in salita o in discesa: “Ousma aveva sedici anni, e a sedici anni si ha una percezione abbastanza confusa dei fatti che accadono, anche quando accadono molto vicino.”.

Il romanzo è duro e rivendicativo. Roberto Alajmo racconta il fallito percorso di formazione on the road dell’ingenuo Ousmane nella spietata società odierna, nell’amara consapevolezza delle “occasioni mancate” della politica nei confronti degli immigrati, lasciati in un vuoto disperante dopo l’accoglienza iniziale.

Nel nuovo mondo in cui arriva, Ousmane non riesce a dare le risposte “giuste” alle domande che gli sono poste, a volte neppure riesce a rispondere, soltanto dopo molte delusioni e amarezze, oltrepassa, senza accorgersene “la soglia di consapevolezza… che marca la differenza fra quello che prima no e adesso invece sì… Ancora ha un’idea abbastanza vaga di cosa fare, ma è molto deciso a farlo.”. Trovandosi nella terra di nessuno, in attesa che la Commissione gli conceda il permesso di soggiorno, il ragazzo avrà il coraggio di rivendicare la propria dignità e dare un senso alla sua vita. Alajmo narra con vigore, alterna il ritmo lento, a quello concitato, la terza persona, all’indiretto libero. Senza facili cedimenti sentimentali dà vita a un personaggio fragile, combattuto: “Se ci riflette sopra si vergogna di certi suoi pensieri egoistici, cerca di scacciarli. Poi però pensa che finché prova vergogna è autorizzato a credere che il ragazzo ingenuo che era non è stato del tutto cancellato…”. Il piano inclinato è certamente un libro oggi necessario, aderente alla realtà, affronta, senza gli abusati cliché pietistici, il tema dei migranti, dà voce alla loro rivendicazione della propria dignità umana, non tace sulle mancanze e sulle ipocrisie del “nuovo mondo”.

GABRIELLA MAGGIO


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