Il n°27 della rivista di letteratura “Euterpe” dedicato a “profili ed esperienze femminili nella storia, letteratura e arte”

Dopo la recente pubblicazione del n°26 della rivista di letteratura online “Euterpe” che proponeva quale tematica “Emigrazione: sradicamento e disadattamento”, contenente pregevoli contributi critici e non solo tra cui brani di Mario Vassalle, Asmae Dachan, Rosa Elisa Giangoia, Maria Grazia Ferraris, Paolo Saggese e Valtero Curzi. 

La Redazione della Rivista ha diffuso nelle ultime settimane il comunicato relativo alla raccolta di materiali per il prossimo numero della rivista. Il nuovo numero monografico sarà aperto a contributi appartenente ai vari generi (aforismi, poesia, haiku, narrativa, saggistica, critica, recensioni, interviste) che abbiano relazione con il tema di riferimento: “Il coraggio delle donne: profili ed esperienze femminili nella storia, letteratura e arte”. Sarà l’occasione per approfondire le esperienze umane e gli itinerari culturali di poetesse, scrittrici, donne di scienza, eroine e di altre donne che, a loro modo e nei relativi campi d’appartenenza, si sono distinte in maniera rimarchevole. Nel banner che identifica l’invito a prendere parte al nuovo numero figurano i volti di alcune celeberrime donne della letteratura: la poetessa lombarda Antonia Pozzi (1912-1938), suicida giovanissima, la scrittrice sarda, premio Nobel per la Letteratura nel 1926 Grazia Deledda (1871-1936), la romanziera modernista Virginia Woolf (1882-1941), punta di diamante della letteratura contemporanea e la pacificante poetessa americana Emily Dickinson (1830-1886).

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I materiali dovranno essere inviati entro e non oltre il 15 Luglio 2018 alla mail rivistaeuterpe@gmail.com attenendosi alle “Norme redazionali” della rivista che sono consultabili cliccando qui.  Su Facebook è già presente il relativo evento Facebook che si può seguire, anche per rimanere aggiornati sullo svolgimento della selezione, per raggiungerlo, cliccare qui.

Per consultare i vecchi numeri della rivista è possibile cliccare qui, mentre per chi voglia prendere visione dell’archivio storico contenente la lista sintetica di tutte le apparizioni in rivista, ordinate in ordine alfabetico dei rispettivi autori è possibile cliccare qui.

“Quali sono le università più antiche del mondo?”. Articolo di Giulia Pianelli

di Giulia Pianelli

Quali sono le università più antiche del mondo occidentale? Ebbene sì, il nostro articolo inizia con una domanda. Risulta difficile, infatti, dare una risposta che sia precisa e accurata al 100%: dopotutto facciamo riferimento a fatti avvenuti all’incirca un millenio fa.

Stando alle fonti, il primato spetta all’Università al-Qarawiyyin (Marocco). Tuttavia, essa nacque – e rimase tale fino al XIX secolo – come una madrasa, cioè una scuola di teologia musulmana. Benché alcune classifiche la considerino come la prima al mondo, al-Qarawiyyin non era un’università nel senso moderno del termine. Precedentemente alla diffusione del metodo universitario, infatti, esistevano solo tre tipi di insegnamento: quello privato, le scuole di teologia e quelle di filosofia. Tale metodo è basato sul libero insegnamento, indipendente dal controllo pubblico e/o religioso, e la facoltà è autegestita laicamente da professori e studenti.

Per questi motivi la nostra classifica si aprirà con Bologna, dove nacque il moderno concetto di università.

Università di Bologna (1088)

Alma Mater Studiorum, cioè “madre di tutti gli studi”: è questo il titolo di cui si forgia l’Università di Bologna. Risale al 1088 l’apertura della prima facoltà, in cui si iniziarono ad impartire lezioni di Giurisprudenza. Il capoluogo emiliano introdusse il concetto di facoltà laica, aperta a tutti – uno standard che s’impose inizialmente in Europa e poi nel resto del mondo. Gli studenti potevano essere bolognesi come stranieri, sia nobili sia gente comune. Inoltre, l’Università di Bologna è anche «la più bella d’Europa e una delle più belle del mondo»; così l’hanno definita i critici del Times Higher Education. L’Alma Mater, infatti, vanta tutta una serie di splendidi edifici storici – come Palazzo Poggi, nella foto – e due ettari di Orto Botanico.

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Università di Oxford (1096)

Al secondo posto tra le università più antiche del mondo c’è Oxford. I primi insegnamenti noti risalgono al 1096, ma lo sviluppo vero e proprio della facoltà iniziò nel 1167, quando Enrico II vietò agli studenti inglesi di frequentare l’Università di Parigi. L’internazionalizzazione, per cui Oxford è famosa, ebbe inizio già nel 1190 con l’arrivo di Emo di Friesland, primo studente straniero noto. Oltre all’eccellenza, riconosciuta a livello mondiale, dei corsi di laurea offerti, l’Università di Oxford primeggia anche nelle strutture. I suoi edifici in stile gotico, ornati di aguzze guglie, e i suoi prati verdi le donano un tocco di magia senza tempo.

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Università di Parigi Sorbona (1170)

Medaglia di bronzo per l’Università di Parigi, la cui fondazione in realtà non ha una data ma si attesta all’incirca negli Anni 70 del XII secolo. Il motivo è dovuto alla formazione stessa dell’ateneo: essa fu il risultato della rapida crescita delle scuole parigine dell’epoca.Queste, raggruppate sulla collina di Sainte-Geneviève, fornivano tre livelli di istruzione: BaccalauréatLicenceDoctorate. Rispettivamente, venivano impartite lezioni di: grammatica e dialettica; matematica, geometria e musica; medicina, legge e teologia. Nel corso del XIII secolo, iniziarono a formarsi quattro “nazioni” all’interno della Sorbona. Esse erano composte ciascuna da studenti provenienti da diversi luoghi, cioè Francia, Normandia, Picardia e Inghilterra. L’Università di Parigi è stata completamente ricostruita durante la Terza Repubblica (1870-1940), concepita come un vero e proprio “tempio del sapere”. Il suo stile rispecchia a pieno la grandezza della capitale francese.

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Università di Modena e Reggio Emilia (1175/1188)

Le origini dell’Università di Modena e Reggio Emilia  risalgono sorprendentemente al 1175 circa. In quell’anno, Pillio da Medicina, dottore in leggi a Bologna, venne invitato a Modena per aprire una scuola di stampo giuridico. Tuttavia, l’avvento della signoria degli Este (XIV secolo) fu alla base di una crisi che culminò nel 1391, quando fu fondato l’ateneo di Ferrara. I sudditi della signoria, infatti, furono obbligati a conseguire la laurea presso la nuova università. Solo a partire dal 1682, in seguito alla “devoluzione” di Ferrara allo Stato Pontificio, poterono riprendere le lezioni nel modenese. L’Orto Botanico, il Teatro Anatomico e il Museo di storia naturale risalgono tutti alla metà del 1700, mentre gli altri edifici al post-1814, quando gli Este fecero ritorno a Modena.

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Università di Cambridge (1208)

Gli albori del XIII secolo vedono come protagonista l’Università di Cambridge. Essa iniziò a prendere forma a partire dal 1209, quando alcuni studenti di Oxford si rifugiarono nella cittadina inglese per sfuggire alle ostilità dei cittadini. Già nel 1226, gli studenti erano talmente numerosi da poter formare dei gruppi e organizzare dei corsi di studio. Sono chiare, quindi, le ragioni della storica rivalità tra le due università più antiche del Regno Unito. Nonostante questa competizione, le strutture architettoniche di Cambridge somigliano molto a quelle di Oxford. Splendidi edifici goticheggianti, vetrate colorate e prati all’inglese caratterizzano l’intera cittadina universitaria.

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Università di Salamanca (1218)

Si tratta della prima università spagnola, fondata da re Alfonso IX de León. È l’unica di tutta la Spagna ad aver mantenuto la sua attività attraverso i secoli (esattamente quest’anno ne festeggia otto). L’Università di Salamanca vanta un importante patrimonio storico-artistico, tra edifici e spazi emblematici. In particolare, si distingue l’Edificio della Scuola Maggiore con la sua facciata, all’interno del quale si trova la Biblioteca Generale Storica che conserva quasi 3.000 manoscritti e circa 62.000 volumi. Degno di nota è anche il patio (cortile) della Scuola Minore, che ospita in una delle sale il celebre dipinto Cielo di Salamanca attribuito a Fernando Gallego.  

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Giulia Pianelli

 

L’autore del presente testo acconsente alla pubblicazione su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi pretesa o problematica possa nascere a seguito di riproduzioni e diffusioni non autorizzate, ricadendo sull’autore dello stesso ciascun tipo di responsabilità.

“Flâneur. L’arte di vagabondare per Parigi” di Federico Castigliano

“Flâneur. L’arte di vagabondare per Parigi” di Federico Castigliano
Nota di Lorenzo Spurio

Gentile prof. Castigliano,

Le confesso che – oramai vari anni fa – all’università degli studi di Urbino “Carlo Bo”, nella quale studiavo, una professoressa molto innovativa ci propose – nelle sue ore in cui la materia era “Storia dell’arte contemporanea” – una serie di lezioni in merito alla “Storia del camminare” vista e riletta attraverso varie pitture, sculture e pratiche assai comuni. Lette, però, in una chiave molto interessante, ossia di tipo sociologico che – mi pare di capire – anche Lei ha adottato nella stesura di questo pregevole lavoro del quale non posso che complimentarmi vivamente con Lei.
20861601_729363677271478_2397785198668349000_o.jpgIn tale circostanza, tra i vari materiali di studio e di supporto per l’espletamento degli studi inerenti al corso in oggetto, vi era proposto il libro (saggio) che Lei ben conosce, in quanto lo cita nella bibliografia, di Rebecca Solnit. Un volume molto interessante e foriero per me di divagazioni di vario tipo. M’incuriosì il fatto che, pur essendo ancorato fortemente agli studi di matrice letteraria e linguistica, un volume del genere riuscisse a trasportarmi in maniera molto efficace su altri lidi. Fu davvero una illuminazione. 
Non le nego, infatti, che – anni dopo – quando mi capitò di figurare quale Presidente di Giuria di un premio letterario dal titolo/tema “Camminanti” e qualcosa del genere, la cui premiazione si tenne a Recanati, poco distante da me, e a pochissimi passi dalla celebre casa del Poeta romantico, non ci pensai due volte – visto l’aderenza al tema – di provvedere, assieme alla relativa organizzazione, all’acquisto di un tot di copie della Solnit da fornire quale ulteriore premio e riconoscimento ai vincitori.
Mi perdonerà per la digressione, ma ci tenevo a dirglielo perché, leggendo il suo testo, ho provato qualcosa di simile. Nel senso che ha avuto la grande capacità di riportarmi a quei momenti di studio sul testo della Solnit e, ancora, ad affacciarmi in maniera così precipua all’universo dei flâneur. I saggi che compongono il suo volume rendono assai merito e vivida questa figura tratteggiandola in ogni aspetto in maniera assai congrua e completa. Ho apprezzato in particolare i contrasti che lei pone per descrivere la figura del flâneur in maniera contrastiva – e sottrattiva – rispetto al turista, al barbone o, ancora, al semplice passeggiatore. Gliene rendo merito. E’ un testo molto ben fatto che, nella sua compattezza, riesce a delineare in maniera chiara quello che è stato ed è più “un modo d’essere” che “un modo di fare”.
Rimarchevole è il modo in cui Lei si sia spinto ad occuparsi della città anche ai nostri giorni dandone tracce di ciò che in essa freneticamente si compie dove l’oggettivizzazione della realtà (e qui bisognerebbe chiamare in causa il “realismo terminale” fondato da Guido Oldani) sembra fare da padrone. Assai curiose e interessanti le parti dove affronta i temi-cruciali del nostro Secolo in merito al “non-luogo” e alla “iperrealtà”.
Queste sono solo delle impressioni a caldo, ovviamente, dettate dalla piacevolissima e istruttiva lettura del Suo volume; un’analisi più dettagliata meriterebbe maggior tempo che spero di poter ave più avanti. La ringrazio di cuore per avermi messo al corrente della Sua opera, con preghiera di darmi notizia – se e quando ce ne saranno – di ulteriori sue pubblicazioni che possano in qualche maniera seguire o ampliare questo filone di studi.

Con viva cordialità

Lorenzo Spurio 

Il nuovo numero della rivista “Euterpe” dedicato a “La cultura al tempo dei Social Networks” (invio partecipaz. entro 31-07-2017)

Ritorna l’appuntamento con le pagine della rivista online di letteratura “Euterpe”, aperiodico tematico fondato e diretto dal poeta e critico letterario Lorenzo Spurio nell’ottobre del 2011 ed entrato a far parte delle attività più interessanti e coinvolgenti dell’omonima associazione culturale fondata nel marzo 2016 a Jesi (AN). 

Numerosissimi gli interventi in questi ventitré numeri della rivista che per ogni numero proponeva una tematica o un’immagine di riferimento alla quale potersi rifare argomentando una propria visione o pensiero. Particolarmente curata a trattare le varie sezioni, dalla poesia alla narrativa breve passando alla saggistica con attenzione per la critica letteraria, la forma testuale dell’articolo e della recensione libraria. Interessante anche l’apparato dedicato alle interviste, introdotte a partire dal n°16 della rivista, la cui sezione è curata dalla poetessa, scrittrice e haijin Valentina Meloni. Ad arricchire i contenuti anche la sezione di critica d’arte (denominata “Démon du midi”), introdotta a partire dal n°22 e curata dallo scrittore, poeta e critico Antonio Melillo. 

Assai ampio il repertorio delle voci poetiche, critiche e di estimatori dell’arte e della cultura che in questi sei anni hanno scritto sulle pagine di “Euterpe”; tra di esse è bene citare la presenza in rivista di testi – editi e inediti – di Dante Maffia, Corrado Calabrò, Marcia Theophilo, Nazario Pardini, Franco Buffoni, Elio Pagliarani, Tomaso Kemeny, Mariella Bettarini, Giorgio Linguaglossa, Donatella Bisutti e tanti altri ancora.

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Il prossimo numero della rivista, che propone un tema nevralgico e al tempo attualissimo, fonte di indagini di carattere sociali e di studi veri e propri su tendenze dei nostri giorni, sarà dedicato a “La cultura al tempo dei Social Networks”, vale a dire ci si domanderà, nelle forme che ciascuno reputa maggiormente proprie, quale è l’incidenza di internet e dei social, la potenzialità e quanto funziona, in termini sociali e collettivi come collante o, al contrario, come deterrente. Culturalmente, in un’età in cui le riviste cartacee stanno scomparendo o sono già avito ricordo di un’età di splendore delle Lettere, cosa apportano o come migliorano la nostra conoscenza i Social Network se, effettivamente, ci poniamo nell’ottica di riconoscegli una propensione e una finalità comunicativa e sociale? 

Sarà possibile partecipare al prossimo numero della rivista inviando i propri elaborati (attenendosi alle Linee redazionali contenute sul sito cliccando qui) entro il 31 Luglio 2017 inviando le proprie proposte unitamente a una propria scheda biobibliografica o curriculum letterario alla mail rivistaeuterpe@gmail.com 

Per chi, invece, voglia avvicinarsi alla rivista come “lettore”, facilitiamo il link di riferimento al sito dove possono essere localizzati tutti i numeri precedenti divisi in ordine cronologico e per tematica. Numeri che possono essere scaricati facilmente in formato .pdf, salvati e letti comodamente a titolo gratuito. 

Il mondo del teatro, tema del prossimo numero della rivista di letteratura “Euterpe” – Scadenza 21-05-17

16299011_1816826958569728_1671577101441895574_nSegnaliamo la selezione per il prossimo numero della rivista di letteratura “Euterpe” tutt’ora aperta che scadrà il prossimo 21 maggio 2017.
Il prossimo numero della rivista, il ventitresimo, propone come tema al quale è possibile ispirarsi e rifarsi liberamente quello della “Scrittura teatrale e i suoi interpreti”.
Per poter prendere parte alla selezione dei testi è richiesto di seguire le semplici e basilari “Norme redazionali” presenti sul nostro sito a questo link http://rivista-euterpe.blogspot.it/p/norme-redazionali.html  pena l’esclusione.
I materiale dovranno essere inviati esclusivamente a mezzo elettronico alla mail rivistaeuterpe@gmail.com entro e non oltre il 21 maggio p.v. 

Info: rivistaeuterpe@gmail.com 

“Paris…c’est la vie” di Flavio Scaloni

Paris…c’est la vie. Pillole di parigitudine di Flavio Scaloni, Intermedia, Orvieto, 2016, pagg. 230, ISBN: 978-88-6786-163-7, Prezzo: 12 €

img_0964Sinossi:  Questo volume non vuole essere la solita guida turistica della città, ma una raccolta di autentiche ‘Pillole di Parigitudine’. Ne emerge un ritratto nuovo e accattivante della Ville Lumière, per chi già conosca la città e ne conservi un ricordo romantico ma anche per chi si appresti a visitarla per la prima volta e desideri saperne di più sullo stile di vita parigino. L’autore ci guida nelle pieghe della città, a partire dalla ricerca di un appartamento fino alla scoperta degli angoli meno conosciuti e più amati dai parigini. Nuove tendenze e abitudini consolidate, modi di dire e di fare, aspetti culturali e sociali: Paris… c’est la vie!

Estratti:

Ho trovato uno studio di 23,3 mq a 1000 euro! Certo è al sesto piano senza ascensore, non c’è una vera cucina, il bagno è senza finestra, gli affacci danno nel cortile interno e la moquette puzza un po’ di muffa… ma ha quell’aspetto così bohémien che mi fa sentire tanto parigino.

Il gesto, o meglio la smorfia, che caratterizza meglio la gente di Francia, l’equivalente del nostro ‘che dici?’, è lo sbuffo. Sbuffare è un’arte sopraffina. Un’eredità millenaria scritta nel codice genetico. Un tratto distintivo imprescindibile.

I Bo-Bo, da me ribattezzati ‘bobi’, siedono nei caffè giusti a leggere riviste di fotografia avvolti in una nuvola di fumo. Sembrano dire ‘Siamo fighi ma ce ne freghiamo’, quando più probabilmente pensano ‘Siamo fighi e speriamo vivamente che ve ne siate accorti’.

Il luogo dove vi aspettano le peggiori figuracce è sicuramente la pasticceria. Non provate proprio a chiedere un vassoio di pasticcini ‘mignon’, o dei ‘bignè’ con crema ‘chantilly’….

 

L’autore:

Flavio Scaloni ha curato la rubrica ‘Corrispondenze da Parigi’ per il Circolo Letterario Bel Ami di Roma dal 2012 al 2014.  Nel 2012 ha dato vita al blog ‘Flavio & la Musa’ (flavioelamusa.blogspot.it) nel quale pubblica regolarmente propri versi, poesie di autori da tutto il mondo, recensioni e commenti analitici. La sua opera prima ‘Stella di Seta’ (Genesi Editore) ha vinto il premio ‘I Murazzi’ nel 2013 nella sezione ‘poesia edita’. Nel 2013 è tra gli autori finalisti del premio ‘Marguerite Yourcenar’ nella sezione ‘poesia inedita’. Sempre nello stesso anno fonda insieme a Maria Carla Trapani il magazine on-line di arte e letteratura contemporanea ‘Diwali – Rivista Contaminata’ (rivistadiwali.it). Nel 2014 ha vinto il premio ‘Alberoandronico’, sezione ‘silloge inedita’. La sua seconda raccolta poetica ‘Via Parini 7’ è edita da Teseo Editore. Vive a Parigi ma è spesso in Italia e in giro per l’Europa per il suo lavoro da consulente scientifico.

Ninnj Di Stefano Busà su “La recherche” di Marcel Proust

Marcel Proust e la sua Recherche del tempo perduto: A’ l’ombre des jeunes filles en fleurs

a cura di Ninnj Di Stefano Busà 

Diciamo subito, che nei primi decenni del Novecento la Francia continua ad avere grande seguito in quel ruolo di guida culturale dell’Europa, che ha già impersonato negli ultimi decenni del secolo precedente. L’autore che ha avuto un ruolo preminente per lo sviluppo delle letterature europeiste, per la validità significante dei suoi risultati, per l’influenza, infine, che avrebbe rappresentato per tutta la narrativa europea è Marcel Proust.

Nato a Parigi nel 1871 da famiglia agiata, ma non ricchissima borghesia. Dopo un’infanzia tormentata da un’asma che lo avrebbe condannato per l’intera esistenza, segue assai irregolarmente gli studi.

Più tardi nel 1880 inizia a frequentare i salotti mondani, ricercato per le sue qualità di fine parlatore, i suoi vezzi da dandy, coi quali contribuisce a creare una certa raffinatezza e attrattiva nei luoghi di frequentazione.

Alla morte della madre alla quale era legatissimo, Proust inizia il grande ciclo narrativo: Alla ricerca del tempo perduto a cui  è legata la sua fama.

L’opera è composta da tre parti. La prima parte, rifiutata da Andre Gide, viene respinta dall’editore Gallimard, poi stampata in proprio dall’autore stesso, nel 1913. La seconda: All’ombra delle fanciulle in fiore, presa in esame in questa introduzione, ottiene il premio Goncourt  nel 1919.

Successivamente le altre parti vengono pubblicate dopo la sua morte, avvenuta nel 1922. Tutta l’opera comprendente più di tremila pp, si articola in sette parti e si conclude con una illuminazione che è anche una dichiarazione di poetica: fissare con la creazione artistica i momenti del passato equivale a recuperare il tempo perduto (Il tempo ritrovato).

Pur trattandosi di un’opera estremamente originale, la critica ha indicato per la Recherche alcuni fondamenti culturali della tradizione francese.

Per primo l’entroterra culturale, con una produzione memorialistica e diaristica di tanti autori tra il Seicento e il Settecento che hanno descritto il loro ambiente dal di dentro, con dovizia e ricchezza di dettagli. Proust infatti si mostra molto attento ai costumi del tempo che ne determinano il sapore, il clima, il soggettivismo, le ambientazioni del mondo reale e sociale. La sua attività di scrittore  e frequentatore dei salotti-bene di Parigi si snoda nel periodo compreso tra la repressione della Comune di Parigi e gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale; egli seppe cogliere in pieno, dunque, la trasformazione della società francese del suo tempo, con la crisi dell’aristocrazia e l’ascesa della borghesia durante la Terza Repubblica francese.

Proust ci dà un’approfondita rappresentazione del mondo di allora e della modificazione sociale del periodo storico cui appartengono le sue opere. L’importanza di questo scrittore è tuttavia legata alla capacità espressiva della sua scrittura che si autodetermina e si sviluppa nella sua potenza narrativo-introspettiva, nelle minuziose descrizioni dei processi interiori, attraverso i filamenti sottili di una psiche legata al ricordo e ai sentimenti; la Recherche infatti è un viaggio nel tempo e nella memoria che si snoda tra vizi e virtù, tra realtà e fantasia, tra aristocratiche dissolutezze e simbolismi filosoficamente compiaciuti di un più “nuovo” sentire.

L’indagine analitica sui suoi scritti ci mostra la sua abilità psicologica di meticoloso e vigile indagatore dell’animo umano. Più precisamente, Proust prende in rassegna i sentimenti, le suggestioni, le emozioni attraverso la lente dei moralisti del Seicento francese, fino a giungere al romanzo psicologico di fine Ottocento.

Inoltre nella sua scrittura si riscontra la filosofia di Bergson, con la teorizzazione del tempo interiore, del “tempus”-rivisitatio-  visto e indagato nella sua essenza (o veste) di Comedia umana, come durata temporale, e infine, tutte le conquiste della poesia francese di fine ottocento, che avevano portato alla valorizzazione delle “corrispondenze” come egli le definisce, ovvero, dei reconditi rapporti tra gli stati d’animo e la natura, tra l’evocativa, analogica assemblee emotivo/psicologica e le connotazioni naturali del genere umano, che si differenziano in ognuno.

Già Bergson aveva parlato di coscienza interiore, cioé di una coesistenza tra il passato e il presente proprio in riferimento alla caratterizzazione dell’essere. Proust ritiene vi siano due stadi, due gradi di recupero possibile della coscienza e ne distingue soprattutto due: memoria volontaria e memoria spontanea.

954_001La prima richiama tutti i dati del passato, pur se in termini logici, senza restituirci sensazioni, suggestioni, sentimenti che in una  determinata circostanza vi appaiono irripetibili; la memoria spontanea (o sensoriale), riferita soltanto a un amarcord dei sensi, si caratterizza come un revival della felicità protetta nell’intimo della psiche: un profumo, un sapore, una musica, un suono, una nota, un tramonto che riportino l’occasionale analogico, ovvero la “casuale” sensazione di un momento cronologico, la qual cosa, sì, ci rituffa nel passato, ma senza riferimento logico: una sorta di <sentire> a distanza ravvicinata, (a pelle), un tentativo di far rivivere impressioni e atmosfere di un tempo andato, di un ricordo sopito o accantonato, (non del tutto rimosso).

È questa la famosa teoria dell’intermittenza del cuore per il recupero memoriale dei sensi, una vera e propria (re)incarnazione della propria identità passata, che diventa sollecitazione dei sensoriale somatico della psiche richiamando in superficie l’invito a ritornare al passato, (apparentemente) tempo perduto, (mai rimosso), che si presenta come un reverie un de ja vu momentaneo, che non ha nulla della cancellazione definitiva di memoria, perché permane dentro di noi, persiste nell’inconscio e, all’occorrenza, riaffiora in superficie, riappropriandosi delle sensazioni provate o delle suggestioni mai dismesse. Proust con le sue opere riprende in mano lo studio della psicologia e la fa rivivere nei suoi romanzi come la trama e l’ordito, che determinarono la vena letteraria del suo repertorio, ma successivamente ne caratterizzarono l’impianto  logico, dopo di lui. Si tratta dunque di un recupero memoriale che interpreta la creazione artistica, come coscienza di sé, trattasi di una forma perfettibile (se non perfetta) di realtà che orienta a quel paradiso (perduto), cui fa riferimento il narratore.

Critici che dedicarono molta attenzione a Proust sono stati i nostri: Giacomo De Benedetti, Giovanni Macchia, Pietro Citati, Giovanni Raboni, Franco Fortini.

Quest’ultimo che fu uno dei critici più accreditati agli studi di Proust ritenne che egli proseguisse in un discorso tutt’altro che lineare, senza ordine cronologico normale, né logico, tra passato e presente, in un andirivieni movimentato, a rembour, e con una narrazione che non segue il ritmo usuale, perché questi passaggi o transizioni creano vere sospensioni, ritardi, intervalli, effetti d’eco e variano continuamente, senza assumere precise connotazioni, cronologie e forzature, tra i rapporti umani e gli eventi. Anche se questo suo stile basato sull’altalenante impiego del tempo/spazio, è spesso rivolto al caos di successioni mnemoniche o sensazioni improvvise, si delinea lucido e acuto, votato tuttavia ad evocare un “sentire”, che obbedisce al sapiente gioco delle “rispondenze”, quasi ad un reciproco integrarsi tra un evento e l’altro, tra un velocissimo sguardo e la parola.

In tutta la Recherche s’incrociano vari piani psicologici. In Proust l’interesse si sposta dal personaggio alla dinamica del gioco, dalla coscienza alla psicologia strategica di un processo retrospettivo memoriale quasi yunghiano, su cui si porranno altri analisti del pensiero: Joyce soprattutto e tanta parte della narrativa del Novecento, che si concluderà col famoso flusso di coscienza. Proust ha ricreato il mondo del romanzo dal lato della relatività immaginifica, dando per la prima volta una matrice connotativa alla letteratura di fine secolo; un equivalente teorico della fisica moderna (E. Wilson). In realtà la Recherche è un’opera assai complessa, una straordinaria e suggestiva discesa agli inferi della coscienza dell’essere, che nel riappropriarsi del meccanismo che introduce ai meandri della complessa macchina umana, ne fa una ricognizione dettagliata, una rivelazione in progress, ricreando il romanzo alla maniera di cui, infine, disporrà l’arte narrativa dell’intero Novecento.

Da più parti ci si è chiesto da dove è venuto questo fortunato titolo, molto azzeccato in verità, perchè è divenuto quasi una locuzione proverbiale della sua scrittura. Pare gli sia stato suggerito dall’amico Marcel Plantevignes.

Nella simbologia proustiana, le “fanciulle” costituiscono un perfetto ed esemplare connubio, tra il mondo turbativo degli elementi esterni e “la felicità sconosciuta e pur possibile nella vita”, attraverso di esse si dipana e acquista splendore e turgore quel mondo esemplarmente sognato, facendo scatenare tutto il virtuosismo dialettico e linguistico proustiano: certi luoghi, certi soggetti, certi paesaggi che sono la caratterizzazione delle Fanciulle fanno emergere nel lettore tutta la stupefazione per la Bellezza della natura.

Esse vengono designate di volta in volta come “uno stormo di gabbiani”, “una luminosa cometa”, “una bianca e vaga costellazione”, “un’indistinta e vaga nebulosa”,”una rosea infiorescenza” etc, insistendo sui dettagli, sulle sottili interconnessioni, sui dialoghi, sulle presenze fascinose e sublimi di Albertine, Andrée, Gisele e Rosemonde.

Balbec è il luogo-simbolo, il teatro (per così dire) delle scene che  i protagonisti della storia si apprestano ad impersonare, ciascuno per proprio conto, attraverso le tendenze, le stravaganze, i vizi e i difetti delle variegate figure.

Palladium-Proust-1000x667-870x490Lo stesso scenario “marino” ambienta una rappresentazione di quello che, secondo la tendenza artistica del secolo, costituisce la pittura impressionista.  

Credo che queste siano alcune osservazioni che vanno proposte per l’approccio alla lettura de la Recherche.

Proust ha (ri)creato il mondo del romanzo dal lato della –temporalità relativa – , con una ricognizione libertaria e caotica del genere umano e dei suoi meccanismi di difesa (della  psiche), entrando nei labirinti dell’animo come nessun’altro narratore, con le proprie frustrazioni, le proprie insicurezze, gli indugi, le complesse manifestazioni edonistiche dell’uomo,

le parvenze rarefatte e sottili della coscienza, soprattutto rivolte alla fisionomia dei personaggi, al loro labirintismo, la qual cosa li porta ad affinare immagini, a evidenziare e metabolizzare circostanze, episodi e avventure, tali da rievocare e portare alla luce ambienti, persone, stati d’animo, profumi, odori e sapori dell’infanzia: un tempo perduto viene così ritrovato; il resto: l’esteriorità minutamente descritta nei dettagli fornisce agganci per comprendere il difficile meccanismo che entra in gioco nella coscienza dell’essere, quando viene fagocitata dall’esterno.

Vi sono pagine mirabili e fondamentali nell’opera di Proust, in cui egli indaga con stile raffinato e insieme con la precisione di un bisturi la capacità di esprimere le più impalpabili, minute e segrete sfumature del genere umano.

Il suggestivo: All’ombra delle fanciulle in fiore è il terzo titolo della raccolta (1919) e ne rappresenta la tappa essenziale, una sorta di riferimento fondamentale di tutta l’opera. In questo volume sono tanti i risvolti psicologici, gli orli, i nodi, le pieghe,  le dritte e i rovesci, gl’incantamenti che vi si riscontrano.

Ogni avvenimento è scandito secondo le luci, le ombre, i chiaroscuri, i colori, i ritmi delle ore, una sorta di reverie che sa scatenare, alla luce di una lettura accurata e attenta, tutti i sommovimenti della sapienziale e filosofica struttura linguistica.

In tutta l’opera lo scrittore ci dà mostra di sé, del suo approcciarsi ormai ai livelli di scrittura degli autori considerevoli e professionalmente più preparati, un mondo fin lì sognato, (poterli eguagliare!), quasi desiderio inaccessibile, per l’incrociarsi di eventi e accadimenti che segnano la scrittura dei grandi narratori e ne marcano profondamente la vena.

L’entroterra culturale dell’autore si rivelò in grado di sfondare la cortina di nebbia, tale da segnare la sua identità artistica di narratore come pochi altri. Nessun’altro infatti aveva mai scritto in prima persona quanto Proust. La sua vena risulta assolutamente sterminata nei dettagli, nelle piccole, inafferrabili arguzie dei retroscena umani. Le 4.870 pagine de la Recherche potrebbero bastare a far conoscere l’ampiezza della vasta gamma dei sentimenti che albergano nella psiche.

Proust si rivela immenso, penetrarlo è un’impresa non facile. L’astrattezza dei pensieri, delle immagini viene continuamente mossa da una sorta di circonvoluzione cerebrale, con una trama fitta, ma sottile, che dà ampio respiro alle sensazioni, anche meno significative, ve ne diamo un es: “…le ragazzine che avevo scorto procedevano leste, con quella destrezza dei gesti che nasce da una perfetta scioltezza del corpo e da un disprezzo sincero per il resto dell’umanità, procedevano leste, senza esitazione né rigidità, compiendo esattamente i movimenti voluti, in una piena indipendenza reciproca di tutte le membra, mentre la maggior parte del corpo conservava quell’immobilità così notevole nelle buone ballerine di valzer”. 

Se letto con calma, All’ombra delle fanciulle in fiore evidenzia tutta la potenza introspettiva e il glamour dell’intero repertorio proustiano, delineandosi come un classico dalle splendide e indimenticabili descrizioni, che il narratore investe di grande humor e più dettagliatamente delineandone le attese dell’alta società francese del suo tempo, avendone individuato spesso le vicissitudini amorose, i gesti, i dialoghi,  e interpretandone vizi e virtù. Questo romanzo apre a sfondi metafisici e filosofici finora mai eguagliati. Ad es. la conclusiva descrizione dell’ultimo giorno vacanziero: “il giorno d’estate ch’ella [la domestica] scopriva sembrava altrettanto morto e immemorabile d’una sontuosa e millenaria mummia che la nostra vecchia domestica avesse liberata con cautela da tutte le sue fasce, prima di farla apparire, imbalsamata nella sua veste d’oro”).

Un’opera come poche, allora, che predilige il dipanarsi della narrazione in mille rivoli introspettivi, e appare (ir)rrisolta, per certi aspetti analogici che guardano ai dettagli, ma pur sempre, senza il frammentarismo in cui si può facilmente cadere. Tutto sembra avvenire come quando si osserva un panorama col binocolo, molto ravvicinato o molto distanziato dall’oggetto in esame, oppure, si capovolge l’immagine che diviene altro da sé: la visione allora prende la forma di un caleidoscopio che guarda al puzzle occasionale, alla realtà virtuale e chiude in un corteggiamento tutte le altre forme e, nello stesso tempo, scopre l’impossibilità di trovare la felicità che cerca nell’amore, poiché esso rimane compresso tra i propri limiti e la natura stessa dell’individuo che v’interagisce.

Tutta l’opera è un capolavoro della letteratura francese.

Per Marcel Proust il recupero del passato e la creazione artistica coincidono, si combaciano, fin quasi a colmare la brevità illusoria del tempo, forse anche a recuperarlo, a conservarne aromi e freschezza dentro l’anima che è tutta attraversata dal desiderio della giovinezza fuggitiva, ritenendola parabola stessa della vita, in un percorso di relatività spirituale, ancorché biologico e naturale della specie.

Ninnj Di Stefano Busà

Milano, giugno 2013                                   

La I edizione del Premio di Poesia dedicato alla memoria di Léopold Sédar Senghor

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PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA

PRIMA EDIZIONE – Anno 2015
Sulle orme del poeta Léopold Sédar Senghor

“ Ho sognato un mondo di sole
Nella fraternità dei miei fratelli
Dagli occhi blu.” L.S. Senghor


Regolamento

Scarica scheda di partecipazione  e il regolamento.

ART.1: Finalità
Promuovere la cultura della Pace, della Solidarietà e dell’Amore tra i popoli tramite la scrittura poetica; far conoscere la visione e diffondere le opere del grande poeta Léopold Sédar Senghor;
ART.2 Destinatari
Il Premio Internazionale è aperto a tutte le donne, a tutti gli uomini del mondo purché abbiano compiuto diciotto anni e scrivano in italiano o in francese. Il Premio è aperto a tutto lo spazio francofono: Africa, Caraibi, Europa, America ed è composto da Tre (3) sezioni.
ART.3: Sezioni previste
Sezione A: Libro di poesia in lingua italiana edito negli ultimi 4 anni
Tema: libero
Opere ammesse: (1)
Ogni concorrente può partecipare con un libro di poesie pubblicato dopo il 1 gennaio 2011.
Sezione B – Poesia inedita in lingua italiana a tema libero
Opere ammesse: (1-2)
Ogni concorrente può partecipare con un massimo di due composizioni poetiche inedite non premiate o segnalate ad altri concorsi
Sezione C – Poesia inedita senza limiti di versi in lingua francese
Tema: libero
Opere ammesse(1-2)
Ogni concorrente può partecipare con un massimo di due composizioni poetiche solo in lingua francese non premiate o segnalate da altri concorsi.
Nota Bene: Per le sezioni A et B saranno accettate anche le opere in altre lingue purché accompagnate dalla traduzione in italiano.
Le poesie concorrenti della sezione C dovranno essere scritte in lingue francese. Nessuna traduzione sarà accettata.

ART.4 Modalità invio opere
Per le sezioni B e C, le opere dovranno essere inviate, unite alla scheda di partecipazione, via email tramite file pdf o word al seguente indirizzo:premiodipoesiasenghor@gmail.com
In alternativa è possibile inviare la scheda di partecipazione e (07) copie cartacee della propria opera all’indirizzo Africa Solidarietà Onlus, Via Cavour n°3- 20862 – Arcore (MB).
Per quanto riguarda la sezione A, le opere sono da inviare in numero di copie (07) al seguente indirizzo: Africa Solidarietà Onlus, Via Cavour n°3- 20862 – Arcore (MB).

ART.5: Modalità e quota di partecipazione
Ogni partecipante dovrà compilare la scheda di partecipazione e inviarla insieme all’opera come indicato nell’art 4. La scheda dovrà essere firmata. In caso di invio tramite e-mail la scheda dovrà essere allegata in formato pdf. Il mancato recapito della scheda di partecipazione o sottoscrizione della stessa sarà causa di esclusione dal concorso. Ogni autore può partecipare a più sezioni contemporaneamente, rispettando il numero massimo di opere indicato per ciascuna sezione.
È gradito un contributo di euro Dieci (10,00) per spese organizzative e di segreteria per OGNI SINGOLA SEZIONE a tutti partecipanti dei paesi europei e occidentali.
I partecipanti di altri continenti non residenti in Europa e in Canada sono esonerati per il versamento del contributo. Le quote di partecipazione dovranno essere inviate all’indirizzo dell’organizzazione e nel termine indicato tramite bonifico bancario:
Coordinate bancarie
BANCA PROSSIMA C/O AFRICA SOLIDARIETA’ ONLUS
IBAN: IT 34 A 03359 01600 100000131668 BIC: BCITITMX
Specificare nella causale: PARTECIPAZIONE PREMIO INTERNAZIONALE DI POESIA Anno 2015.
La ricevuta o relativa fotocopia di qualunque tipo di versamento dovrà pervenire con le opere o spedita via mail o posta in base alla modalità di invio individuata.
La quota di versamento può essere anche versata in contanti. In questa caso, l’organizzazione declina qualsiasi disguido in caso di smarrimento.

ART.6: La Giuria
La Giuria, il cui giudizio è insindacabile e inappellabile sarà presieduta da Pap Khouma Direttore della Rivista della Letteratura della Migrazione El Ghilbi ed è composta da:Desideri Adele, Gaye Cheikh Tidiane, Ghinelli Paola, Giangoia Rosa Elisa, Infante Maria Teresa, Raimondi Stefano, Riva Silvia, Taddeo Raffaele e Vidoolah Mootoosamy .

ART.7: Premi e Premiazione
È prevista una rosa di 5 finalisti su ogni sezione. Targhe, attestati e diplomi saranno rilasciati ai tre vincitori di ogni sezione disegnati dalla Giuria. I trofei e i Primi Premi devono essere ritirati personalmente dall’autore o per delega oppure saranno spediti 30 giorni dopo la premiazione a spese del destinatario all’indirizzo indicato nella scheda di partecipazione.
La cerimonia di premiazione si terrà a Milano nel mese di dicembre.
La segreteria del Premio comunicherà il giorno esatto e il luogo della premiazione tramite email e/o lettera. L’elenco dei finalisti sarà pubblicato sul sito dell’Associazione:http://www.africasolidarieta.it, sulla pagina Facebook: Premio Internazionale di Poesia Leopold Sedar Senghor e su altri mezzi di stampa.
Per ogni sezione di concorso saranno premiati i primi tre classificati. I nominativi dei vincitori saranno comunicati il giorno della premiazione. Il giudizio della giuria è insindacabile e inappellabile.

ART.8: Scadenza
Tutte le opere in concorso dovranno pervenire all’ente organizzatore entro e non oltre il 15 ottobre 2015. Per l’invio delle opere tramite posta farà fede il timbro postale di spedizione.
L’organizzazione non si ritiene responsabile di possibili disguidi postali.
ART.9: Privacy
In base all’art. 13 D.L 196/2003 sulla tutela dei dati personali, si comunica che gli indirizzi dei partecipanti al premio vengono usati solo per comunicazioni riguardanti il concorso Premio Internazionale di Poesia sulle Orme di Léopold Sédar Senghor e attività dell’Associazione Africa Solidarietà Onlus.

ART.10: Norme accettazione regolamento concorso
La partecipazione al Concorso comporta la totale accettazione del presente regolamento in ogni parte.
Per ulteriori informazioni, si prega di contattare la segreteria del premio a:
premiodipoesiasenghor@gmail.com

Presidente del Premio:
Cheikh Tidiane Gaye -Poeta e Scrittore

Via Cavour 3 Arcore 20862 – Italia
E-mail: premiodipoesiasenghor@gmail.com
http://www.africasolidarietaonlus.it

Su “Brescia Oggi” la notizia dell’antologia di traduzioni dal francese di Luciano Domenighini

Un articolo uscito sulla rivista “Brescia Oggi” il 13-06-2015 inerente alla pubblicazione curata dal poeta e critica letterario Luciano Domenighini dal titolo “Petite anthologie” nella quale traduce una serie di poeti dal francese.

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“Petite Anthologie”: la raccolta di lirici francesi tradotti da Luciano Domenighini

Esce “Petite Anthologie”, piccola antologia di poeti classici francesi, tradotti dal poeta Luciano Domenighini 

Esce nella collana “Collana Arancione – Antologie” di TraccePer LaMeta Edizioni: «Petite Anthologie. Piccola Antologia di poesia francese: Da Villon a Jammes», sotto la cura editoriale del poeta e aforista Emanuele Marcuccio. Nel Volume, con testo a fronte in lingua originale, il critico letterario e poeta Luciano Domenighini, sceglie e traduce poeti classici della letteratura francese tra Quattrocento e inizio Novecento: François Villon, Marceline Desbordes-Valmore, Charles Baudelaire, Stéphane Mallarmé, Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Jules Laforgue, Francis Jammes, Guillaume Apollinaire.

142petiteanthologie900L’opera si aprirà con una prefazione a cura del prof. Mario Pietro Zani e si chiuderà con una postfazione a cura dello scrittore Giordano Tedoldi. Chiuderà il libro una quarta di copertina con una nota critica a cura del poeta, scrittore e critico letterario Aldo Occhipinti.

Leggere la parola “antologia” sulla copertina di un libro, riporta immediatamente, per necessità lessicale ma anche per la consuetudine di ciò che abbiamo appreso sin dai banchi di scuola, all’immagine fredda e meccanica di una “raccolta di passi scelti di uno o più scrittori confezionata per scopi didattici”. Più forte è l’associazione quando, poi, riconosciamo all’istante i nomi degli autori, perché celeberrimi esponenti di una forte e consolidata tradizione letteraria. In realtà, quando la selezione dei testi di una “antologia” è frutto non di esigenze didattico-divulgative bensì del gusto e del percorso estetico, culturale e immaginativo del curatore, la parola “antologia” si carica di una valenza ben diversa.

Vieppiù, quando, oltre ad esserne il curatore critico, del “florilegio” di testi lo studioso è anche il traduttore – originale, appassionato e attento – il libro si carica di un valore del tutto diverso da quello solitamente attribuito alla parola “antologia”: non è più un semplice e sterile “raccoglitore”, bensì un’opera d’arte autonoma e compiuta in ogni aspetto. È il caso della presente Petite Anthologie, dove Luciano Domenighini dà la sua personalissima «testimonianza di una lettura disorganica e quasi casuale, dislocata e disseminata in un lungo arco di tempo di vita e sedimentata nella memoria come un frammentario bagaglio culturale specifico».

Villon, Desbordes-Valmore, Baudelaire, Mallarmé, Verlaine, Rimbaud, Laforgue, Jammes, Apollinaire, fulgidissimi testimoni della produzione poetica in lingua francese tra Quattrocento e Novecento, sono i maestri accolti nel volume. In appendice, poi, si aggiunge un nome che, tra tanti “puro sangue” così indiscussi e rappresentativi, può sembrare un “intrus”: è quello dell’abruzzese Gabriele d’Annunzio. Il camaleontico artista italiano, in realtà, avendo contribuito – prima, durante e dopo il suo soggiorno in Francia – alla storia letteraria d’Oltralpe con opere poetiche, narrative e teatrali vergate in francese, può e deve a buon diritto collocarsi all’interno della Répubblique littéraire française della Belle Époque. È così che, a chiusura di questa squisita Petite Anthologie, possiamo leggere – sapientemente tradotti – tre dei dodici Sonnets Cisalpins, opera quasi del tutto sconosciuta in Italia, che ha sancito l’avvio dell’esperienza letteraria in francese del d’Annunzio. (Aldo Occhipinti)

 

Luciano Domenighini (Malegno – BS, 1952) dopo il liceo classico si laurea in Medicina lavorando come medico, professione che svolge tuttora.  Come letterato ha ottenuto alcuni riconoscimenti in premi letterari nazionali di poesia. Nel 2004 pubblica la silloge poetica Liriche Esemplari. Inoltre ha svolto saltuariamente in varie sedi l’attività di critico per la musica operistica e di critico letterario. In questa veste si è occupato di alcuni poeti italiani contemporanei raccolti nell’antologia critica, La Lampada di Aladino (TraccePerLaMeta Edizioni, 2014). Fra questi si è soffermato in particolare sull’opera poetica del siciliano Emanuele Marcuccio, che Domenighini, in varie sedi, ha commentato quasi integralmente approfondendone la lettura critica e individuandone il ruolo nel panorama letterario nazionale contemporaneo. (Risvolto di quarta)

TITOLO: Petite Anthologie

SOTTOTITOLO: Piccola Antologia di poesia francese: Da Villon a Jammes

AUTORE-TRADUTTORE: Luciano Domenighini

CURATORE: Emanuele Marcuccio

PREFAZIONE: Mario Pietro Zani

POSTFAZIONE: Giordano Tedoldi

EDITORE: TraccePerLaMeta Edizioni

PAGINE: 182

ISBN: 978-88-98643-35-6

COSTO: 12 €

“Rimbaud, come si difende un mito” di Gianpaolo Furgiuele

Rimbaud come si difende un mito
di Gianpaolo Furgiuele
Fontana di Trevi edizioni, Roma, 2013,
Pagine: 208
Costo: Euro 16,00
ISBN: 9788897263180
 

ImmagineRimbaud come si difende un mito è il titolo di un saggio a cura di Gianpaolo Furgiuele, edito da Fontana di Trevi edizioni, 2013. Dopo essere stato presentato alla Fiera del Libro di Roma,iù Libri, più Liberi, è da oggi nelle librerie.

Il testo affronta alcune delle problematiche e degli scenari socio-letterari che hanno dato vita alla nascita dei cosiddetti poètes maudits. Tra gli altri, il mito di Arthur Rimbaud, nato fuori da qualsiasi ragione letteraria, ha assunto una dimensione simbolica ed estrema, praticamente mitica.

Dietro al fenomeno mitologico non c’è dunque il solo aspetto letterario ma una più vasta serie di fenomeni: cinema, fotografia, teatro, giornalismo, esposizioni. La fascinazione collettiva prodotta dall’industria di massa è il motore che ha permesso al mito Rimbaud, tra realtà e finzione degli eventi, di essere re-interpretato. L’insieme del materiale evidenzia come a partire dal 1871 la produzione culturale nata attorno al poeta contribuì a creare nell’opinione pubblica una vera e propria distorsione della realtà. I numerosi articoli, i saggi, le testimonianze apparse sui maggiori quotidiani francesi del XIX secolo e inizio del XX, imprigionarono il ricordo del poeta in un “limbo”, in uno spazio senza uscita, dove l’unica realtà possibile divenne la contraddizione, l’opposto, il vociferare. Al poeta Rimbaud si preferì l’omosessuale Rimbaud, così come al rivoluzionario del verso si preferì l’esploratore africano. La parola “poesia”, così come quella “poeta”, furono utilizzate quasi come delle esche per poi precipitare in brani, testi e discussioni che con la critica letteraria poco avevano in comune, se non il protagonismo di coloro che si vantavano di aver fatto la conoscenza del giovane ardennese.

Ancora più interessante da notare è che i protagonisti non erano sconosciuti autori ma le firme più autorevoli del tempo; da Théodore de Banville e Philippe Burty, da Émile Blémont a Leon Valade e Paul Bourde, passando per Edmond de Goncourt e Guy de Maupassant; da Armand Silvestre e Anatole France, da Jean Louis Forain a Georges Rodenbach e Edmond Lepelletier.

Il testo contiene la traduzione di articoli di giornali, corrispondenza e brani d’epoca mai presentati al pubblico italiano. In evidenza è il contributo degli autori cosiddetti minori, alcuni dei quali sconosciuti in Italia poiché ancora non tradotti, oppure dimenticati ma grazie ai quali è stato possibile ricostruire lo scenario in cui prese forma la nascita di questo mito.

Conclude il brano un’intervista inedita allo scrittore francese Pierre Michon.

Gianpaolo Furgiuele è nato a Cosenza nel 1981. Laureato all’università La Sapienza sotto la direzione di Giuseppe Scaraffia con una tesi sulla nascita del mito Rimbaud, vive in Francia, dove insegna italiano e dove ha in corso un dottorato di ricerca in letteratura francese all’Università di Lille/Paris X. Si occupa di Malédiction littéraire nel XIX e Xx secolo e tra gli altri ambiti di ricerca ci sono anche quelli relativi agli immaginari sociali e letterari.. Tra gli altri testi pubblicati: Tempo  imperfetto (Roma 2007, con la prefazione della poetessa Gabriella Sica) e Altri Cieli (Roma 2011). E’ tra i redattori di Q, quadrimestrale di cultura. Ha scritto su Stilos, Capoverso ed altri.

In Francia, riconosciuta la corrida come bene culturale

La Francia in questi giorni ha riconosciuto la corrida come Bene d’interesse culturale. Infatti non sono solo la Spagna e il Portogallo in Europa a preservare ancora oggi manifestazione di lotta taurina. Il quotidiano madrileno ABC titolava infatti oggi nella sezione dedicata alla cultura in questa maniera: “Francia inscribe las corridas de toros en su lista de patrimonio cultural”.

Nell’articolo veniva fatto riferimento alla grande tradizione della tauromachia attiva nella parte meridionale della Francia in maniera particolare nelle regioni di Aquitaine, Midi Pyrenées, Languedoc-Roussillon, e Provence dove ogni anno si celebrano festejos taurinos in almeno 47 località. Famosa nella regione di Provence è l’arena di Arles di costruzione romana nella quale anche nell’antichità venivano inscenate rappresentazione di forza tra l’uomo e animali dalla forza bruta (leone, toro) e oggi utilizzata per le corride. Anche l’arena di Nimes (nella regione di Languedoc-Roussillon) richiama un gran numero di spettatori per i festejos taurinos soprattutto in concomitanza ai festeggiamenti per san Isidro che cadono a metà Maggio.

L’Osservatorio Nazionale delle Culture Taurine (ONCT) ha informato che la Francia ha iscritto le corride nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale, venendo a rappresentare il primo paese che include la tauromachia nei propri beni culturali, se si eccettua la recente decisione presa dalla comunità autonoma di Madrid, in Spagna. Una decisione che lascia un po’ basiti dato che si è soliti considerare la Spagna il paese tradizionalmente della corrida e delle pratiche legate alla tauromachia. Mentre la Francia innalza al massimo riconoscimento le corride come espressione di cultura, in Spagna invece la Catalogna si prepara a salutarle per l’ultima volta dato che secondo la legge votata dalla Generalitat (parlamento catalano) le corride saranno abolite a partire dal prossimo anno.

(In alto la foto della plaza de toros (arena) di Nimes).

La notizia è stata annunciata alla plaza de toros di Arles da André Viard, presidente dell’ONCT accompagnato da altre autorità francesi in questioni taurine tra cui Michel Vauzelle e il sindaco della città di Arles, Hervé Schiavetti.

FONTI

http://www.abc.es/

http://www.burladero.com/


LORENZO SPURIO

22-04-2011

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