Francesca Innocenzi con “Formulario della presenza” a Palermo il 17 aprile

Giovedì 17 aprile alle 17.30, presso la libreria Nuova Ipsa di Palermo (via dei Leoni 71) si terrà la presentazione della silloge poetica della poetessa, scrittrice e saggista marchigiana Francesca Innocenzi dal titolo Formulario per la presenza (Progetto Cultura, Roma, 2022). L’opera, pubblicata nella collana “Le Gemme”diretta da Cinzia Marulli, approda per la prima volta in Sicilia, dopo diversi eventi letterari in Italia e anche all’estero: la versione italo-spagnola della raccolta, Formulario para la presencia (Ediciones Letra Dorada, Colombia, 2024), con traduzione di Emilio Coco, è stata presentata a Madrid lo scorso 21 febbraio.

A dialogare con l’autrice in questa occasione, le poetesse palermitane Ornella Mallo e Patrizia Sardisco. Modererà l’incontro Isidoro Farina.

Formulario per la presenza comprende poesie già incluse nelle sillogi scritte e pubblicate dall’autrice fino al 2019: Giocosamente il nulla, Cerimonia del commiato, Non chiedere parola. L’idea di questo volumetto nasce dall’esigenza di riunire quelle liriche che si potessero considerare portatrici di un senso oltre le contingenze che ne avevano determinato la genesi. Il titolo, Formulario per la presenza, potrà forse disorientare, data la mancanza di un nesso evidente con i testi, che recano anzi, a più riprese, tracce di assenze, lacune e sparizioni. Queste cadute nei baratri dell’assenza si sono rivelate tappe obbligate di un percorso, esistenziale e poetico, che ha a poco a poco avvicinato alla sostanza delle cose – anche attraverso l’essenzialità della forma – nell’esercizio al qui e ora, nel cogliere l’unicità di istanti in sé perfetti, nel perseguire un barlume di integrità nella frammentazione interna che sempre ci abita. Questa piccola raccolta è un formulario per la presenza, perché ogni verso è una pietra miliare in più verso l’esserci, nel mondo e per il mondo. Vuole essere un esercizio per travalicare la narrazione di un io intrappolato nel dolore, attraversare la parola per approdare nel luogo dove superarla, annientarla: «qui/ non chiedere parola/ ma rimani/ in qualunque tempo e forma tu sia».

Trattandosi di una scelta antologica operata direttamente dall’autrice, qualcuno potrà considerarla un’iniziativa dai toni autocelebrativi. In realtà l’intento è la messa in atto di una scrematura, di un punto nave da cui emergano scorie e persistenze di un modo di fare poesia che inevitabilmente si intreccia con le fluttuazioni esistenziali, da un lato, e con i nutrimenti che il mondo offre, dall’altro. Alcuni testi sono stati sottoposti a lievi modifiche, quasi sempre nella costruzione del verso, che merita grande attenzione poiché il rapporto tra la parola scritta e il bianco del foglio che la segue o la precede rinvia alla relazione tra il suono e il silenzio. «De la musique avant toute chose» ebbe a dire Verlaine. In definitiva, Formulario per la presenza può essere letta come la vera opera prima dell’autrice.

L’autrice

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). Laureata in lettere classiche, è dottoressa di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (Manni 2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (Edizioni Progetto Cultura 2007), Cerimonia del commiato (Edizioni Progetto Cultura 2012), Non chiedere parola (Edizioni Progetto Cultura 2019), Canto del vuoto cavo (Transeuropa 2021); la plaquette Formulario per la presenza (Edizioni Progetto Cultura, Quaderni di poesia Le gemme, 2022); i saggi Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (Eum 2011) e Voci dal tempo indicibile. Ventuno saggi brevi sulla poesia (Rossini 2023); i romanzi brevi Sole di stagione (Prospettiva 2018) e Diario di una stalker mancata (Edizioni Progetto Cultura 2022). Nel 2023 è uscita in Romania la plaquette bilingue Halou de toamnǎ/ Alone d’autunno per Edizioni Cosmopoli di Bacǎu; nel 2024 la silloge Formulario para la presencia (Ediciones Letra Dorada, Colombia), tradotta in spagnolo da Emilio Coco. Per Edizioni Progetto Cultura ha diretto una collana di poeti esordienti, «La scatola delle parole», tra il 2007 e il 2012, e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010); la raccolta di saggi brevi sull’antichità classica L’antro di Proteo (2025). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole», della rivista online «Poesia del nostro tempo» e collabora con vari blog letterari con recensioni e articoli sulla poesia greco-romana e contemporanea. Ha ideato e diretto il Premio di poesia Paesaggio interiore ed è direttrice artistica dell’omonimo Festival.

“Una luce perenne contro l’oscurità”. Il saggio-traduzione di Franca Canapini sul celebre discorso lorchiano sui libri del 1931

La poetessa e scrittrice toscana Franca Canapini ha recentemente pubblicato, per i tipi di Helicon di Arezzo, un importante lavoro letterario tra poesia, traduzione e saggio. Si tratta della rilettura commentata, oltre che della traduzione, del celebre testo del poeta Federico García Lorca (1898-1936) letto nel settembre 1931 all’atto dell’inaugurazione della Biblioteca Pubblica di Fuente Vaqueros, suo luogo natale, nei dintorni di Granada.

L’opera, che ho avuto il piacere e l’onore di poter leggere in anteprima e in progress durante il suo sviluppo e che mi ha dato la possibilità di stilare la prefazione, è uno studio attento e meticoloso, ricco di riflessioni della Nostra sul mondo dei libri, dell’importanza della cultura e della comunicazione a partire dalla alocución del Granadino che, se non è tra i testi maggiormente noti e citati del suo ampio repertorio, merita senz’altro una particolare attenzione.

La Canapini ha individuato nelle varie parti che costituiscono questo brano le parole chiave, i punti cruciali di svolta del pensiero lorchiano e, mediante una fertile attività esegetica e interpretativa, ne ha costruito un libro in cui non solo legge l’autore spagnolo – nel contesto della guerra civile che l’avrebbe visto, indirettamente, coinvolto e una delle più celebri vittime – ma lo rilegge in relazione al contesto odierno, alla società globalizzata nella quale viviamo. La nuova contestualizzazione dell’opera nello scenario odierno è funzionale a far emergere in maniera ancor più decisiva i temi fondanti del discorso lorchiano. Puntuali note a piè di pagina forniscono ulteriori approfondimenti su date, momenti decisivi o persone – tra amici e intellettuali – con le quali Lorca fu in contatto ma anche – in un’ottica più ampia e generale – a tutta la storia della scrittura (che è storia della civiltà) passando attraverso le fasi della trasmissione del libro nelle sue varie forme, all’editoria come scienza e soffermandosi anche sul valore del libro come oggetto prezioso, per contenuti ma anche per fattura e tradizione.

La scomposizione del testo di Lorca in vari capitoli facilita questo lavoro di studio e lettura di Franca Canapini dei tanti elementi degni di essere presi in esame, approfonditi, sviscerati[1]. La successione delle varie parti, con la traduzione in italiano (importante il supporto e la supervisione dell’argentina Cecilia Casau in questo) e il relativo commento, sono di particolare utilità anche per chi non ha padronanza della lingua spagnola e potrà, in tal modo, usufruire di un mezzo molto efficace, preciso, attento a ogni approccio. Non di minore importanza è la scelta dell’apparato fotografico che correda in maniera proporzionata e visivamente adeguata la componente testuale. Tra le immagini uno scatto del 1914 di un giovanissimo Lorca in compagnia dell’amata sorella Isabel (1909-2002) mentre le insegna a leggere ma anche uno scatto del 1976, nel quarantennale dell’uccisione del poeta, per il primo evento-omaggio Cinco a las cinco (che da allora annualmente si tiene in sua memoria) a Fuente Vaqueros. Nella prima fila, del foltissimo pubblico presente all’aperto (6.000 persone, riportano le cronache) di questo spettacolo corale (uno dei primi eventi pubblici in cui fu possibile partecipare ed esprimersi con la riappropriata libertà dopo il buio della dittatura), si distingue l’allora sessantasettenne sorella Isabel al centro e poco lontano, alla sua destra, probabilmente Antonina Rodrigo, l’unica donna della “Commissione dei 33” che organizzò l’evento celebrativo.

Particolarmente rilevanti risultano, tra i tanti, i capitoli 6 e 7 dell’opera che contengono lo studio di quelle parti di testo di Lorca forse più note e da Canapini contraddistinti con i titoli che richiamano le sue stesse parole “Non solo di pane vive l’uomo” e “Libri! Libri! Orizzonti, scale per salire sulla vetta dello spirito e del cuore”.

Lo scritto di Lorca, mediante la circumnavigazione delle vicende dell’oggetto-libro, è una storia condensata della cultura dell’uomo, delle vicende proto-editoriali che hanno contraddistinto l’evoluzione delle tecniche di stampa, nella convinzione che il libro sia un potente fattore di conoscenza, cultura e di socialità, ben al di là della mera erudizione. Ed ecco perché il tono impiegato dallo spagnolo è quello di un oratore lieto e soddisfatto: con la fondazione della Biblioteca non si prende parte a una cerimonia istituzionale ma a una festa collettiva, un momento di felice condivisione tra chi (come lui che tanto lesse e altrettanto scrisse) ama i libri e ne difende l’importanza. Riconosce e consacra la libertà del singolo e delle masse.  La tutela e la promozione del libro, in qualsiasi modo si realizzino, attengono a un fenomeno di spiccata rilevanza poiché garantisce “unica salvezza dei popoli”. Libertà d’espressione e riconoscimento di diritti che di lì a poco sarebbero stati duramente messi al bando dall’oppressione fascista nel duro conflitto civile (1936-1939) e poi del dominio dittatoriale franchista (1936-1975) che, come ogni dittatura, introdusse una dura attività di censura preventiva e organizzò indici di libri proibiti.

Il capitolo che chiude l’opera, il ventottesimo, contiene l’estremo omaggio di Lorca in difesa di quel mondo di libertà e di conoscenza per il quale sempre si impegnò nel corso della sua breve vita e ha la forma anche di un riconoscimento verso coloro che, a vario titolo, hanno difeso nel corso del tempo le medesime libertà. Qui troviamo, in un climax lirico che non può rimanere inavvertito, il senso compiuto dell’intera alocución che è e permane, in fondo, il suo testamento universale:

E un saluto a tutti. Ai vivi e ai morti, giacché vivi e morti compongono un paese. Ai vivi per augurargli felicità e ai morti per ricordarli con affetto perché rappresentano la tradizione del popolo e perché è grazie a loro se siamo tutti qui. Che questa biblioteca doni pace, inquietudine spirituale e allegria a questo paese e non dimenticate questo bellissimo detto che scrisse un critico francese del secolo XIX: Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei”.

Lorenzo Spurio

Matera, 05/04/2025

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L’autrice

Franca Canapini è nata a Chianciano Terme (SI), risiede ad Arezzo dal 1975. Laureata in Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Perugia, è stata docente di Lettere nella Scuola Secondaria di primo grado. Ha pubblicato nove raccolte di poesia: Stagioni sovrapposte e confuse (2010), Tra i solstizi (2011), Il senso del sempre (2013), Viaggio nella poesia (2014), Gente in cammino (2014), La bellezza tragica del mondo (2016), Semi nudi (2021), Haiku per un anno (2022), Misteri d’amore – Poema ispirato al Simposio di Platone (20249. Al suo attivo ha anche un romanzo (Un giorno, la vita, 2017) una raccolta di favole (Favolette per grandi e per piccini, 2017), un romanzo breve (Melina – Una storia surreale, 2019) e un racconto di memorie (Dal fondo – I miei primi dieci anni, 2019). Ha ricevuto premi e riconoscimenti per la sua opera poetica e narrativa. Per la saggistica ha pubblicato: Una luce perenne contro l’oscurità. Alocución al pueblo de Fuente Vaqueros di Federico García Lorca (2025). È stata Consigliere e Vice Presidente dell’Associazione degli Scrittori Aretini “Tagete” dal 2013 al 2023, nonché membro di giuria in alcuni premi letterari.


[1] L’autrice ha dedicato anche un interessante articolo a questo libro di Lorca focalizzando l’attenzione sull’importanza della lettura come “buona pratica”: Franca Canapini, “Dalla Alocución al pueblo di Fuente Vaqueros di Federico Garcia Lorca del 1931 alla necessità odierna di creare una consuetudine con il libro, «La casa del vento», 16/03/2025, Link: https://tinyurl.com/ypz3a8jz (Sito consultato il 05/04/2025).


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Il 31 agosto e il 1 settembre a San Vittore di Cingoli va in scena il Festival di Poesia “Paesaggio Interiore”

Sabato 31 agosto e domenica 1 settembre, presso Villa La Quercia a San Vittore di Cingoli (MC), si terrà la nuova edizione del Festival di Poesia “Paesaggio Interiore”. L’evento approda quest’anno a San Vittore di Cingoli, dopo Genga (edizione 2022) e Cerreto d’Esi (edizione 2023). Far conoscere e valorizzare i luoghi dell’entroterra marchigiano – rilevanti dal punto di vista naturalistico e storico – è un importante obiettivo del Festival, che è animato dall’intento di incentivare la produzione letteraria, intesa in special modo come ricerca interiore, e valorizzare lo studio della letteratura. La direzione artistica del Festival è affidata alla scrittrice e poeta Francesca Innocenzi, che ne è anche l’ideatrice. Alla strutturazione dell’evento hanno collaborato Gabriella Cinti, scrittrice, italianista e grecista; Luciano Innocenzi, poeta, scrittore e storico; Loredana Magazzeni, poeta e ricercatrice; Luciana Raggi, poeta; Lorenzo Spurio, poeta e critico letterario.

Nel corso dei due pomeriggi si susseguiranno i reading e le performances poetiche degli autori presenti, intervallati dagli interventi musicali alla chitarra eseguiti dal Maestro Massimo Agostinelli.

Domenica verrà inoltre presentata la silloge Nella tempesta presente di Loredana Magazzeni, un’autobiografia poetica attraverso cui l’autrice, riproponendo testi composti negli ultimi venticinque anni, ridefinisce il senso del proprio percorso di scrittura, e nel contempo si interroga sulla labirintica multiformità dell’oggi.

Seguirà la presentazione di Lo spazio e l’onda. Una teoria di giovani poeti marchigiani, antologia che raccoglie alcune tra le voci più significative della giovane poesia delle Marche, tra peculiarità e ricorrenze tematiche, stilistiche e intertestuali. Entrambi i volumi presentati sono stati pubblicati da Seri Editore, che presenzierà al Festival.

A seguire la locandina con il programma dell’evento con la lista degli Autori che prenderanno parte al Festival.

N.E. 02/2024 – Recensione a “Erotanasie”, poema a due voci scritto da Giannino Balbis ed Emanuela Mannino. A cura di Ornella Mallo

Il poema a due voci di Giannino Balbis ed Emanuela Mannino, ha un titolo altamente suggestivo: Erotanasie. Deriva dalla fusione di due sostantivi di origine greca: Eros, che significa amore, e Thanatos, che significa morte. Nella prefazione i due autori fanno presente che l’allusione al termine “Eutanasia” è voluta, anche se vaga. Vedremo poi perché. Intanto è immediato il richiamo a Freud e alla teoria da lui esposta nel saggio Al di là del principio di piacere, incentrato sui temi dell’Eros e del Thanatos, ossia sulla “pulsione di vita” e sulla “pulsione di morte” che, pur opposte e contrastanti tra loro, presiedono alle dinamiche comportamentali di tutti gli individui. In questo testo il padre della psicoanalisi moderna si ispira a Empedocle e al conflitto psicologico in termini dualistici, preconizzato dal filosofo greco, tra la forza aggregante della Philia, ossia dell’Amore, e la forza disgregante del Neikos, ossia dell’Odio, che produce distruzione e morte.
Per cui, se da una parte Eros ci spinge verso l’Altro, e ci porta a creare con lui un’unità simbiotica, dall’altra Thanatos suscita in noi atteggiamenti respingenti e demolitivi, per cui tendiamo ad allontanarci  riducendo in macerie la relazione. Non solo. Per Freud Thanatos, nel suo significato primigenio di morte, esprime anche il desiderio di concludere la sofferenza della vita e tornare al riposo, alla tomba.

Eros e Thanatos sono la scaturigine degli “aporemi del cuore” di cui parlano Abbagli Insonni e Costanza, i due protagonisti dell’opera. La morte aleggia per tutto il poema: viene individuata come evento tranciante della relazione amorosa che i due personaggi hanno avuto in vita, e da cui è nato un figlio, dal nome emblematico di “Astrolabio”. Emblematico non solo per il suo significato di carpitore di stelle, [da astron, stella, e lab, radice del verbo greco lambano, che significa acchiappare, prendere], indicativo della funzione tutelare della relazione da lui assolta mentre i protagonisti erano in vita: “Astrolabio / piange lontano /[…] ed io / inerme madre / l’abbraccio forte”, scrive Costanza; ma anche per essere il nome proprio del figlio di Abelardo ed Eloisa, passati alla storia per la forza dirompente della loro passione dagli esiti infausti.

Balbis e Mannino, nel loro poema, non solo li citano espressamente, ma continuamente fanno riferimento ad altre figure storiche, che si sono distinte per i loro amori tanto intensi quanto infelici: Isabella di Morra e Diego Sandoval, Susette Gontard e Hoderlin, Giulietta e Romeo, Orfeo ed Euridice, la Baronessa di Carini ed Emily Dickinson, giusto per fare qualche esempio. Tutti amanti che, per ragioni molteplici e diverse, non hanno potuto realizzare sulla terra il loro ideale di amore. La domanda che sembrerebbero allora rivolgere gli autori del poema a sé stessi e al lettore è: se in vita è difficilissimo, se non addirittura impossibile, realizzare un progetto amoroso, dopo la morte sarà possibile?

Il quesito su cui si impernia tutta l’opera è preannunciato nella prefazione scritta dai due poeti. In essa spiegano che i protagonisti dopo la morte raggiungono l’Eterno, e da lì si scrivono in versi. Perché il legame tra i due, non è solo dato dall’Eros che intensamente persiste, seppure come ideale, e dal figlio Astrolabio, “monco di albero padre”; il legame risiede nella Poesia, valore indiscusso grazie al quale il loro amore sopravvive alla morte: “io sposo a te di versi / […] tu sposa mia di rime”, asserisce Abbagli Insonni. Se tutto viene meno, restano in piedi soltanto i versi, che non saranno erosi dal tempo. Sono l’emblema dell’Eterno, limbo del “tutto-nulla” in cui “cerca riposo / – fuggendo immaginando – /” l’infelicità dei due protagonisti.

Abbagli Insonni, nell’incipit del poema, parla di una “nebbia di tempo” che li “avvolge e non dirada.”  Scriveva Joe Bousquet: “La morte è la solitudine delle persone amate, / questa nebbia intorno a loro che nessuna / tenera parola può attraversare. / La morte è il dolore e la disperazione / nelle stesse parole che furono l’ebbrezza / della felicità. La morte sono i pianti che / sgorgano ascoltando una / parola che voleva dire amore.”

Leggendo più approfonditamente l’opera, emerge come la morte fisica non abbia che conclamato quella morte spirituale che era stata inferta al rapporto dai due amanti mentre erano in vita. I versi infatti sono pervasi dallo struggimento che i protagonisti provano per non essere stati capaci di difendere il loro amore, e in questo si sentono vicini a tutti gli amanti della storia, accomunati dalla stessa sorte. Scrive Costanza ad Abbagli Insonni: “quanto dolore salmastro / tra gli amanti ignoti / quanta malinconia sparsa / nell’Eterno dei perché recisi dal silenzio.” E in altri versi afferma: “Sì, amato mio, / forse avremmo dovuto lottare / contro i cinici cieli aggrottati / e le comari nuvole accigliate / contro ai venti negri di invidia, / e le lingue nemiche / persino le malelingue amiche.” Abbagli Insonni le fa eco: “È questa allora / la pena degli amanti maledetti, / colpevoli non già d’amarsi a scandalo / dei falsi moralisti, / ma di scoprirsi inetti alla difesa / del proprio santo amore.” È il rimprovero che più frequentemente muovono a sé stessi gli amanti quando elaborano il lutto per la fine del loro amore: “Il mio amore di te non si ama”, annotava Kafka nei suoi diari, citazione quanto mai espressiva di quel Thanatos latente che uccide l’Eros.

L’Eros pervade il poema nella stessa misura in cui lo pervade il Thanatos, e si esplica in due sentimenti fortemente presenti nelle epistole che si scambiano i due protagonisti: il sentimento dell’Assenza, da cui scaturisce il desiderio di rivedersi per insufflare vita in sé stessi e nel loro amore; e quello dell’Attesa, provato nella sua urgenza carnale da Abbagli Insonni, che inizialmente alimenta la speranza di possedere nuovamente la sua amata, mentre Costanza appare subito mistica nel suo dire, e si mostra rassegnata alla definitività del loro addio.

A proposito del tormento inflitto dall’Assenza, scrive Abbagli Insonni: “È questa / la nostra dannazione? / Questa nebbia / che della tua presenza… (sei qui, sento / di te ogni palpito, vedo il tuo corpo / fremere, e le tue labbra aprirsi, / vedo i tuoi occhi ridere, / respiro il tuo profumo) / che della tua presenza / fa disperata assenza?” Sull’Assenza, detta “Erwartung”, in “Frammenti di un discorso amoroso” Roland Barthes scriveva: “Il discorso dell’Assenza è un testo con due ideogrammi: vi sono le braccia levate del Desiderio, e vi sono le braccia tese del Bisogno”. Quello di Abbagli Insonni è l’Hímeros greco, ossia il desiderio pressante della carne; quello di Costanza è il Pothos, ossia il bisogno spirituale dell’amato lontano, misto al senso di dolorosa rassegnazione all’impossibilità di un ricongiungimento. Ragion per cui lei scrive: “Aspettami, senza aspettare – / come s’aspetta il / suggello dell’onda / sull’orme del dipinto desìo / radice di china di mare, dall’Eterno mondo / dei ritorni di Chi / s’è appartenuto / oltre i navigli delle ombre.” E aggiunge: “Va’, amatissimo mio, va’ / lasciami qui / a riprendermi le verità / taciute al mio seno: / donna senz’uomo donna senz’Eterno / donna / in attimi d’Inferno / donna senza – / donna diamante / amante di insondabili vuoti / che nel vuoto / riempie già.”

Si conferma nella morte il senso di solitudine già provato in vita per il mancato appagamento dei propri bisogni. Ed emerge la risposta al quesito circa la possibilità di una realizzazione dell’amore dopo la morte: venendo meno la fisicità, l’amore non potrà essere vissuto concretamente. I due amanti restano lontani. Scrive Abbagli Insonni: “noi, amata mia, / non fummo […] servi del dio Amore ma servitori al mondo / che volle giudicarci… / Per questo ora ci amiamo / separati dal mare / che non fu mai solcato. / E solamente in sogno / possiamo l’uno all’altra ritornare.”

Gli ultimi versi del poema spiegano il richiamo all’eutanasia, anticipato dai poeti nella prefazione. Scrive Costanza: “Leggero appare l’abbandono / e soave il canto di nuovo amore.” L’accettazione dell’impossibilità di riaversi rende dolce la morte del loro amore fisico. Resta eterno l’amore spirituale, che non è che un anelito mistico, intriso del ricordo idealizzato dell’altro. Ragion per cui vale la pena concludere le nostre riflessioni su Erotanasie con i versi di Emily Dickinson, la cui vita è “presa in prestito” dai due amanti come esempio di amore irrealizzato, e che esplicitano il senso essenziale di Erotanasie: “Chi è amato non conosce morte, / perché l’amore è immortalità, / o meglio è sostanza divina. / Chi ama non conosce morte, / perché l’amore fa rinascere la vita / nella divinità.”

Da un punto di vista squisitamente formale, il poema risponde a criteri classici, il lessico è molto elegante e ricercato. Le due parti, quella di Abbagli Insonni e quella di Costanza, sono perfettamente integrate. I versi sono di struggente bellezza e intensità nella resa del dolore per il distacco, e della malinconica accettazione dell’invivibilità dell’amore. Da leggere.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Meraviglie” di Simone Magli, recensione di Lorenzo Spurio

La nuova pubblicazione del poeta pistoiese Simone Magli, Meraviglie (Antipodes, 2023), contiene una cinquantina di testi brevi dal taglio prettamente esistenziale, spesso connotati da una forte carica simbolica. Quest’opera, che segue le precedenti L’ultimo ermetico (Puntoacapo, 2021), Imparando (Puntoacapo, 2021) e La solitudine di certi voli (I.S.R.Pt Editore, 2022), prosegue, come naturale percorso, nell’approfondimento intimo delle vicende esperenziali del Nostro mediante un eloquio per lo più breve, spesso emblematico, fondato sulla sua canonica predilezione per il frammento e per forme tendenzialmente succinte. Non è un caso che Magli sia un apprezzato aforista e un haijin; quest’ultima definizione individua anche la corrispondenza con un’altra sua importante propensione, ovvero quella d’imprimere immagini in maniera istantanea e assai vivida. È, infatti, un apprezzato fotografo e questa sua abilità, travasata in ambito scrittorio, fa di lui un destro e avvincente costruttore di versi brevi, spesso lapidari e imprevisti, in cui è contenuto un messaggio polisemico. Qualcosa che è presente e detto con vocaboli scelti con attenzione e qualcos’altro – vuoi per libera associazione, per rimando, per implicazioni di varia tipologia – a cui si allude e che a volte può essere inferito o, comunque, fatto oggetto di libera appropriazione dal lettore. La costruzione dei significati – come molta critica ha spesso enfatizzato – deriva dall’interazione operante e robusta che il lettore mette in campo all’atto della fruizione di un’opera che l’autore ha prodotto. Ciò appare tanto più vero leggendo i versi di Magli.

Una meritata attenzione va posta tanto sul titolo dell’opera quanto sull’immagine di portata. Il titolo, Meraviglie, richiama subito a un mondo altro, una sorta di surrealtà, in cui coesistono oggetti ed esperienze impraticabili nella vita ordinaria. Il meraviglioso richiama velocemente a un mondo di molteplici possibilità, di magia, di difficile raggiungimento con i capisaldi della normale logica, uno spazio incontaminato da categorie di sorta dove tutto è potenzialmente possibile. È un fantastico positivo che Magli ci descrive richiamando alcuni elementi naturali che hanno in sé straordinarietà, bellezza, rarità e, in quanto tale, incomprensibilità e impossibilità di raggiungimento. Fenomeni come l’equinozio, il passaggio della luna, i moti ondosi del mare, ma anche il fioccare della neve, sono episodi in sé abbastanza rituali e comuni che hanno, però, del meraviglioso. Così come lo è il mondo della musica e, chiaramente, quello della poesia di cui Magli si “serve” e fa dono.

L’inconsueta immagine di copertina (con un probabile ammicco alla metafisica di De Chirico) ci propone alcune scale che, dal basso, salgono verso una posizione apicale. L’elemento – che è contraddistinto per avere una posizione centrale e una colorazione gialla – si trova al centro e fa da contrasto ai toni della campitura di sottofondo che fa pensare tanto all’immensità di un mare quanto all’indefinitezza di un cielo con squarci cromatici dorati. Opera di Giacomo Niccolai – come specifica il colophon – ben si coniuga ai motivi trainanti di questo piccolo libro.

Nelle sue nuove liriche Magli pala dell’esigenza di una condivisione concreta con l’altro, in quella “eleganza d’incontrarci” (15). Le sue riflessioni partono da un’esperienza concreta dei fatti, da una coscienza matura con la quale dialoga e arriva a partorire contenuti senz’altro interessanti. Le divagazioni che i versi propongono sono i rovelli esistenziali e gli assilli, i dubbi ricorrenti e le nevrosi comuni che, a diversa altezza, ci concernono tutti. L’autore parla di “nuovi mondi” (16) quelle realtà parallele dove con il pensiero è possibile vagare e compiere l’impossibile: “ho tracciato / l’universo” (16).

Il meraviglioso è riconducibile a situazioni di svago, fuga dalla razionalità, rincorsa delle curiosità, tentativo di appellarsi a dubbi insondabili, magie illusorie ed epifanie coinvolgenti. Il tutto non sfocia in tessiture fantastiche perché si riconnette alla natura dell’uomo, forte della sua esperienza sensibile e del suo essere illuminato: “quanto è vasto il cielo / di un uomo” (27) scrive in “Stasera” dedicata a un imprecisato Davide.

La meraviglia si riconnette anche allo stupore che si prova, al fascino del perduto, al mondo incontaminato dell’infanzia con le sue narrazioni favolistiche e tempi rilassati, col sogno che ripropone il bello ormai lontano; ecco perché alcuni versi non possono esimersi da questa tendenza volta al recupero come quando, testualmente, Magli si trova in una condizione dettata “a cercare l’infanzia” (46).

Sono versi piacevoli, i suoi, che non navigano a vista, piuttosto tendono a sfiorare l’impossibile, riconducendo l’uomo dinanzi all’invisibile e alla meraviglia alla sua natura di transeunte e imperfetto. C’è spesso una situazione di limite che viene proposta, non solo una demarcazione temporale, un qualcosa – frattura, confine, limbo – che individua i contorni dei mondi paralleli, quello reale e gli altri, infiniti e approdabili solo con la mente. Non è un narrare in versi l’irreale, piuttosto è la possibilità di riscoprire la meraviglia nell’ordinario. Un fantasticare lieve e cosciente, che avviene sempre ad occhi aperti. “Poi è sceso qualcuno / e mi ha salvato la vita” (40): è il segno di una presenza che si fa essenza. Quest’ultima interviene in maniera concreta e illuminante, ed è capace di attuare il cambiamento in maniera salvifica. La stasi dei giorni è frantumata dalla capacità di visione e dalla sensibilità del Nostro.


Questi testi vengono pubblicati nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionati dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – “Poesie novissime” di Francesco Soriano, recensione di Maria Pina Ciancio

Non rovine –ma un nuovo aprile.
non ti appartiene il balbettio
ma l’apparizione che risana
(F. Soriano)

Leggere queste poesie di Giuseppe Soriano[1] è come immergersi un altro luogo e un altro tempo. Essere qui e anche altrove. Già dal titolo Poesie novissime, l’autore fa una scelta. La scelta è quella di essere se stesso, con la sua voce, il suo sentire e la sua idea di poesia.

Non poesie nuovissime, ma “novissime”, nuove dunque, come foglie e rami che si stagliano nel cielo del presente, con le radici salde nell’humus della tradizione poetica del passato. E come rami e foglie, le parole si nutrono della loro stessa essenza, dentro un’atmosfera luminosa di assorto stupore e di magica sospensione nel silenzio cosmico.

La raccolta si compone di cinquantanove poesie che, come scrive nella prefazione Claudia Valsania “costituiscono nel loro insieme un solo lungo poema che non conosce progressioni o sviluppi, ma le cui parti ruotano intorno a un unico punto rappresentato da un  vuoto spazio silenzioso ‘presto invaso da luce’”.

Un lungo poema caratterizzato da versi brevi, concisi e diretti, modulati sul respiro di visioni e sogni, in un crepuscolo di luci e ombra, dove l’amore, il pathos, la preghiera, le inquietudini, l’accoglimento sono forze, motivi ispiratori e valori che costellano di pause e di riprese i suoi versi. Il suo procedere a frammenti rivela e svela intuizioni, stupori, ricerca dell’eterno, segreti tentativi di una superiore armonia “sono accordi da scoprire/ quelle inquietudini/ devote soltanto/ alla sorpresa/ al mistero/ dell’arcano// ma di questo/ sei tu la deriva” (26).

Leggendo questa raccolta si coglie l’immensa intensità del suo lirismo che avvolge e cattura fin dalle prime pagine e non ha bisogno di chiarimenti o di interpretazioni, parchè il ‘mistero’ della vita vi scorre dentro come acqua sorgiva che disseta. Il messaggio poetico coinvolge totalmente il lettore occupandone i sensi, soprattutto l’udito, grazie alla suggestione del metro, del ritmo, della musica. Il poeta “trova” parole e melodia in tutto ciò che lo circonda, cose, persone, oggetti, natura, perché alla parola spetta il compito di evocare e rivelare. Ecco che i suoi versi assumono un carattere espressamente visivo e uditivo, fatto di immagini e di suoni, dove domina la componente soggettiva e autobiografica, che privilegia il colloquio come prassi costitutiva del discorso, con un’alternanza del “tu” e del “noi”.  «Noi siamo un colloquio» scriveva Hölderlin “a noi/ non resta/ che il cuore dischiuso- / insanguinato: / l’amore deposto/ fra i sospiri dei lamenti” (40), laddove l’interlocutore appare essere una creatura amata, oppure se stesso, oppure un tu indeterminato. Le ragioni del colloquio/ragionamento nascono dal bisogno di ascolto, di invocazione e di aiuto, di comprensione e di confessione, dalla volontà di attestare la propria fede e il proprio credo metafisico e spirituale. Ciò che si avverte preponderante in questa raccolta è sopra tutto la libertà e la sincerità del poeta, che abbraccia la poesia come un dono che si schiude alla rugiada di un nuovo giorno. Una poesia nobile e pura, in tutta la sua estensione.

*

e vennero le sere
i mesi
gli anni.

i giorni gli stessi
gli attimi
le attese.

vennero –le foglie morte
le estati bianche
gli inverni bluintenso
i tanti aprile

la memoria –
quella sì
morta e sepolta.

poi prima
che le immagini si sbiadiscano
equazioni, specchi
cose incomprensibili
dietro quell’angolo di strada
color rosa.

te ne stavi a scegliere
le parole
ad una ad una
ma tutte in fondo
vivevano di vita propria

(82-83)


[1] Francisco Soriano ha pubblicato numerosi saggi storici e poesie tradotte in persiano: Dove il Sogno diventa Pietra, Vita e Morte di Mirza Reza Kermani, Nuova antologia poetica di Zahiroddoleh, Dalla Terra al Cielo, Tusi e la setta degli Assassini di Alamut. Ha pubblicato i volumi: Fra Metope e Calicanti (Lieto Colle, 2013), La Morte Violenta di Isabella Morra (Stampa Alternativa, 2017), Haiku Ravegnani (Eretica Edizioni, 2018), Noe Itō – Vita e morte di un’anarchica giapponese (Mimesis Edizioni, 2018), Non porgere l’altra guancia (Eretica Edizioni, 2019), La Via Lattea (Eretica Edizioni, 2020), Frammenti (Eretica Edizioni, 2022).


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 01/2023 – “La rosa segreta. Velate assenze d’armoniche rime” di Paolo Ottaviani. Recensione di Lorenzo Spurio

Il mondo parla una sua lingua oscura

di cui l’anima avverte rare note

che il verso dona in una lingua pura. (p. 49)

Il poeta umbro Paolo Ottaviani (Norcia, 1948) ha recentemente dato alle stampe, per i tipi di Manni editore, una nuova raccolta di poesia dal titolo evocativo e curioso La rosa segreta. Il testo, che porta quale sottotitolo Velate assenze d’armoniche rime, si apre con due citazioni in esergo, una tratta da “Settima fuga” del triestino Umberto Saba e l’altra da L’ordine del tempo del fisico Carlo Rovelli nella quale saggiamente sostiene che “la nostra esperienza del mondo è dall’interno”. La doppia apertura nozionistica, per estratti, quella da un’angolatura poetica e meramente letteraria di Saba e quella scientifica di un’analista e investigatore della realtà fisica, sul tema dell’interiorità, dell’intimità e della segretezza (richiamata nell’opportuno titolo dell’intero lavoro), è il metro duplice – mai bipartito e scisso, ma molteplice e complessivo di una dualità in sé non manifesta – che l’Autore propone al lettore, l’andatura cadenzata che la successione dei vari componimenti propone e facilita. Lo si vedrà anche con la poesia “Gli Infiniti” che nella citazione fa riferimento ai due “infiniti”, quello introspettivo e filosofico tutto leopardiano (“tra questa immensità / s’annega il pensier mio”) e quello del fisico Stephen Hawking connaturato nella complessità della sua “teoria del tutto” che apre varchi a nuove letture della realtà fisica e dei suoi meccanismi (non a caso uno dei suoi maggiori volumi conosciuti nel nostro Paese è l’autobiografia-testamento Verso l’infinito edito da Piemme nel 2015).

La nuova opera s’inscrive in un percorso professionale e letterario di tutto rispetto e motivo di attenzione da parte della scena culturale contemporanea. Laureato in Filosofia con una tesi su Giordano Bruno, Ottaviani ha pubblicato negli «Annali dell’Università per Stranieri di Perugia» saggi sul naturalismo filosofico italiano. È stato direttore della Biblioteca della medesima Università e ha fondato la rivista «Lettera dalla Biblioteca». Quale poeta ha pubblicato le opere Funambolo (1992), Il felice giogo delle trecce (2010), Trecce sparse (2012), Nel rispetto del cielo (2015) e La rosa segreta (2022). In idioletto neo-volgare (con traduzione in italiano) ha pubblicato Geminario (2007). Hanno scritto di lui, tra gli altri, Maria Luisa Spaziani, Paolo Ruffilli, Maurizio Cucchi e Mauro Ferrari. Il poeta marchigiano Eugenio De Signoribus, inoltre, nella sua qualità di Direttore Letterario, lo ha invitato a pubblicare suoi testi nei fascicoli d’arte “Passaggi” editi dall’Associazione Culturale La Luna.

La nuova opera fornisce al lettore quattro percorsi (se non tematici, in qualche modo organizzativi del vario materiale da parte dell’Autore) contraddistinti dalle quattro porzioni che lo contraddistinguono, “Comete e comete” (pp. 7-29) che è la parte iniziale e quella contenutisticamente più nutrita; “20 sonetti” (pp. 33-52) in cui con fedeltà alla metrica Ottaviani si allinea a una tradizione alta e sempre rispettata del “far poesia”; “Spigolature” (pp. 54-65) che, come recita il titolo, sono di genere vario e di tipologia diversa (vi troviamo, infatti, testi nell’idioletto umbro, il nursino d’epoca medievale, da lui impiegato ma anche distici e haiku) e, infine, una sezione contenitiva ben più generica sotto la definizione di “Altre poesie” (pp. 69-77).

Immergendoci nella raccolta incontriamo poesie dedicate alla meraviglia naturale degli ambienti a lui cari, tra cui il Monte delle Rose, il Lago Trasimeno, mare dell’Umbria, la natia Norcia (“questa mia terra inghiotte ogni altra terra”) e le cascate delle Marmore che lo animano a una riflessione continua sull’esistenza, sui rapporti primordiali dell’uomo tra natura e cultura: “Se l’Uomo o la Natura / a governare l’immane potenza / delle acque dottrina più sicura // non può mai dire. S’inchina la Scienza / alla Bellezza” (p. 35). Non mancano i ricordi di momenti appartenuti a un’altra fase dell’esistenza impressi attorno a immagini indelebili o contenuti olfattivi che, con l’atto della rimembranza, l’autore sembra riconquistare.

Ottaviani, che è un grande cultore della materia letteraria (non mancano citazioni dantesche ma anche dediche a poeti dei nostri giorni quali Franco Scataglini, difensore originalissimo di un dialetto neo-volgare con recuperi dell’antico veneziano intessuti nel dettato gergale dell’anconitano) fa ricordare il Genio Recanatese quando nella lirica “Sorella mia ginestra” parla di un fiore tanto amato a Leopardi e al quale dedicò uno dei componimenti più celebri. Il testo del poeta umbro è, a suo modo, un valido viatico per una rilettura del presente e una comprensione degli istanti che fuggono; non è un caso che la chiusa, dal velame esistenzialista, contenga queste parole: “dimmi se il tutto è solo un vano errore” (p. 14). Il canto della terra, che in Ottaviani ben si eleva da liriche di diverso contenuto, è forse meglio espresso in “Madre nostra terra”, componimento dedicato alle esistenze disagiate delle popolazioni che, tra Marche e Umbria, furono duramente colpite dal terremoto del 2016: “Più d’un mare in tempesta madre nostra / terra da furie e viscere irrequiete / smuove montagne altere e qui ci prostra/ […] // Madre perché, perché ci sei sì cara?” (p. 22).

Non manca in questa raccolta l’adesione ai fatti del mondo, la compartecipazione autentica e sentita ai drammi quotidiani come è evidente in “Cera una volta”, lirica dedicata – come recita il sottotitolo che parla di “favola” (una favola amara, è vero) – a un “meraviglioso ragazzo friulano” ovvero al ricercatore Giulio Regeni assassinato in Egitto nel 2016 e sulla cui vicenda non si sono mai dileguate ombre né e opacità. Ottaviani nella sua poesia che, come nella migliore delle favole inizia con un “C’era una volta”, ci fa ricordare la brutta vicenda di un giovane dileguatosi in una terra straniera, percepita ancor più inospitale e disattenta verso la natura spassionata del sorriso del ragazzo: “Oggi Giulio splende con la luna”, chiosa il Poeta nell’explicit, un messaggio lapidario e dolente, una sintesi innaturale di un’esistenza dissipata nel bel mezzo del suo fulgore. L’idea della luce – quale segno vivo che testimonia una presenza, seppur in altra dimensione – è l’immagine scelta dal poeta umbro per dire che quella di Regeni è una storia che non dimenticheremo (che non dovremo mai dimenticare).

La poesia “Queste placide nuvole” è dedicata alla sciagura più grande dei nostri tempi, quella dell’epidemia del Coronavirus che “traghetta[…] il dolore / tra gli oscuri riverberi che allagano // il verde della terra e ne dismagano / il volto” (p. 38). C’è spazio anche per affrontare, col solito piglio garbato e rispettoso, un altro grande tema, quello dell’immigrazione, quando l’Autore parla delle “bocche dei vivi o morti in mare” (p. 9).

In “Un invito a cena”, una delle poesie che chiudono la raccolta, Ottaviani riflette sulla figura del poeta considerando il tema del silenzio (requisito spesso necessario per la giusta captazione dal mondo e l’accoglimento della chiamata creativa). Già in “L’acqua senza suono” aveva riflettuto sulla dimensione di atonia, della mancanza di rumore, ma in questo caso “La vastità tranquilla del silenzio / induce a conversare di minuzie” (p. 75) sino all’evidenza dell’imperscrutato (il lettore consentirà l’uso di questa enigmatica costruzione che ben rimarca il labile confine tra il visibile e l’invisibile): “La poesia sembra non presente / ma sta in disparte, ascolta e lenta tra una / portata e l’altra / […] / volge in canto” (p. 75).

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Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

“Tutto chiede salvezza” di Daniele Mencarelli. Recensione di Gabriella Maggio

Recensione di GABRIELLA MAGGIO

Daniele Mencarelli scrivendo Tutto chiede salvezza (Mondadori, vincitore nel 2020 del Premio Strega Giovani) consegna al lettore un libro coraggioso e sincero. L’autore si racconta senza nascondersi nelle parole, mettendo a nudo il disagio esistenziale di chi ha dichiarato guerra alla vita, ha aperto porte invisibili assumendo ogni genere di droghe, ha creduto a tutto, poi ha rinnegato tutto con l’unica certezza di non avere trovato quello che cercava. Nella narrazione autobiografica Daniele disarticola i falsi miti contemporanei che vogliono tutti noi vincenti, felici, perfettamente realizzati e omologati. Sferza le famiglie ansiose, ossessionate dal successo dei figli,  ma anche lancia un  j’accuse  ai sanitari indifferenti alla sofferenza ed ai bisogni dei  malati. C’è tanta umanità, desiderio d’amore e d’attenzione nei degenti di quello stanzone del reparto psichiatrico in cui Daniele si ritrova e dove inizia un viaggio alla scoperta di sé attraverso le debolezze e la fragilità dell’altro accettato senza giudicarlo. Tutto chiede salvezza si può anche definire il racconto del nostro limite, concetto non di moda, ma essenziale. La focalizzazione adottata da Mencarelli ha qualcosa di leopardiano nel guardare la realtà e restituirla nella sua crudezza, senza illusioni, senza nulla concedere a forme consolatorie. La storia è ambientata nella torrida estate del ’94, l’anno dei mondiali, ma Daniele Mencarelli non potrà seguirli con gli amici perché per una settimana deve subire il TSO, trattamento sanitario obbligatorio, in un reparto psichiatrico. Ha appena vent’anni Daniele e da tre anni è alla ricerca di un ancoraggio che non trova neppure nelle cure che gli sono state proposte dai medici; un gesto fuori controllo lo porta in ospedale. L’incontro con Madonnina, Gianluca, Giorgio, Alessandro, Mario è un’esperienza formativa per Daniele che lo porta a comprende che: “Semo tutti equilibristi, che da un momento a un altro uno smette de respirà e l’infilano dentro ‘na bara, come niente fosse… Salvezza. Per me….  Per tutti… La mia malattia si chiama salvezza, ma come?A chi dirlo?”. Sicurezza e incolumità dai pericoli desidera Daniele per tutti gli uomini perché: “A terrorizzarmi non è l’idea di essere malato, a quello mi sto abituando, ma il dubbio che tutto sia nient’altro che una coincidenza del cosmo, l’essere umano come un rigurgito di vita, per sbaglio…”.  Mario ex maestro di scuola dà dei consigli a Daniele: “fidati pure dei farmaci, dei medici, ma non smettere di lavorare su te stesso, di fare di tutto per conoscerti meglio”. A lui Daniele confida di scrivere poesie e di leggere poeti come Bellezza e Saba e di apprezzare la poesia onesta perché con le parole si deve “arrivà  all’osso, ce se deve spoglià, invece tanti poeti me pare ce se vestono, ce se nascondono dentro”. La poesia è uno svelamento di sé, uno strumento d’indagine che permette di ritrovarsi e di comunicare le proprie lacerazioni interiori. La narrazione di Tutto chiede salvezza è divisa in sette capitoli, quanti sono i giorni che Daniele resta in ospedale. L’uso del dialetto romanesco mescolato all’italiano rimanda ai sentimenti più intimi, alla difesa dal modo esterno, al bisogno di rappresentare una realtà cruda. Ma non limita la comprensione per la sua vicinanza con l’italiano.

GABRIELLA MAGGIO

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“Bella come sei. Pentagrammi di donna”, l’evento di Euterpe APS sabato 11 marzo al Centro Pergoli di Falconara M.

Sabato 11 marzo a partire dalle 17:30 presso il Centro “P. Pergoli” di Falconara Marittima (AN) si terrà l’evento “Bella come sei. Pentagrammi di donna” organizzato dall’Associazione Culturale Euterpe APS di Jesi. L’iniziativa, inserita all’interno del fitto programma di iniziative del Comune di Falconara Marittima per celebrare la Giornata Mondiale della Donna, vedrà al suo interno la performance “Le lucenti demiurghe” a cura di Morena Oro e Lucia Nardi, in arte LuNa.

L’iniziativa, fortemente voluta dalla maestra e scrittrice chiaravallese Alessandra Montali – Consigliera di Euterpe APS – vedrà la presentazione delle opere letterarie di tre autrici del nostro territorio, rispettivamente “Cuor di rubino” (Arpeggio Libero, 2021) di Maria Sabina Coluccia, “Ventinove settembre” (Le Mezzelane, 2018) di Maria Anna Mastrodonato, “Parole silenzi echi ritorni” (Ventura, 2019) di Velia Balducci. Le prime due opere sono romanzi mentre quello di Balducci una raccolta di poesie.

Lo scrittore Stefano Vignaroli presenterà le autrici e rivolgerà loro qualche domanda mentre la lettrice Valeria Cupis interpreterà alcuni brani scelti dai libri. La poetessa dialettale Marinella Cimarelli intratterrà il pubblico con una divertente scenetta nel vernacolo jesino.

In questo connubio di interventi e di arti ci sarà anche l’esposizione di alcune opere pittoriche legate al tema della donna, di Manuela Testaferri e Angela Giovagnoli.

Ad arricchire il nutrito evento sarà la presenza di alcuni alunni dell’ISS “Podesti Calzecchi-Onesti”, guidati dalla docente Matilde Giordani, che proporranno laboratori e l’apprezzato musicista il Maestro Massimo Agostinelli che eseguirà selezionati brani alla chitarra.

Sarà possibile godere di un aperitivo “a tema” al costo di 7€, previa prenotazione al nr. 339-3292732 (chiamare dopo le ore 18).

Info:

www.associazioneeuetepe.com

ass.culturale.euterpe@gmail.com

“Questa mattina. 24/02/2022” di Anna Manna. Segnalazione di Lorenzo Spurio

Segnalazione di LORENZO SPURIO

La nota poetessa e divulgatrice culturale romana Anna Manna Clementi ha recentemente dato alle stampe una nuova opera. Si tratta del volume dal titolo Questa mattina edito da Tabula Fati di Chieti. Il sottotitolo riporta la datazione 24/02/2022 e fa riferimento, dunque, a un momento specifico – dello scorso anno – che ha contraddistinto non solo la vita della Nostra, ma quella di noi tutti.

La pubblicazione è tesa a indagare sulla pagina scritta quelle che sono le angosce e le speranze, tra pensieri e tentativi di fuga in una realtà liquida e caotica – quella dal presente – dominata dalla frenesia, dal disprezzo e dal dramma della guerra in Ucraina. Un contesto non facile nel quale, pure, non va dimenticata la traumatica esperienza della pandemia.

In copertina è riportata una pregevole opera dell’artista Antonio Fiore dal titolo “Guerre stellari Ufagrà”, un acrilico su tela delle dimensioni di 150×100 che, per il suo stile richiama la tecnica dei collage e degli accostamenti cromatici curiosi cara al secondo futurismo.

Una delle particolarità del libro è la sua ciclica reversibilità, vale a dire che si può iniziare la lettura partendo da qualsiasi parte di esso, senza pretese di continuità o di linea progressivo-narrativa da seguire, in linea con il fermento creativo e cautamente sperimentale dell’Autrice.

A seconda del percorso di lettura che s’intraprende è possibile giungere a considerazioni e riflessioni in parte diversificate anche se il messaggio finale è unico e ben delineato per volere della Nostra. È un libro libero – senz’altro – ma nel quale non ci si perde né si rimane imbrigliati.

La data a cui si riferisce l’opera è quella dell’inizio delle operazioni militari sovietiche nei confronti dell’Ucraina, di fatto la dichiarazione concreta dell’apertura delle ostilità in un conflitto – sul quale non ci esprimiamo – ma che sta continuando a mietere vittime ambo i lati.

Non sono mancate iniziative, anche a livello letterario, che hanno preso la briga di dar voce ai poeti ucraini, reading ad hoc, in cui i versi si mischiano al dramma di esistenze appese al filo che hanno visto sradicare le proprie identità da una terra vessata. Nel nostro Paese ricordo la pregevole iniziativa antologica a cura di Nadia Cavalera – indomabile e fervente attivista a favore di varie cause sociali – Chiamata contro le armi. Sessanta poet* reclamano la pace edita da Puntoacapo editore nel 2022, con inserimenti di notevoli voci poetiche nostrane (Quintavalla, Serofilli, Magazzeni, Curci, Buffoni, Spagnuolo, etc.). La Manna con quest’opera s’inserisce in questa stagione dell’impegno, della denuncia, della partecipazione attiva dinanzi all’efferatezza dello scenario bellico nel cuore dell’Europa.

Anna Manna non necessita di nessuna presentazione, essendo ben nota al grande pubblico e rappresentando – il suo percorso ben parla da sé – una “pietra miliare” della nostra cultura letteraria odierna. Autrice di varie pubblicazioni di poesia, narrativa e saggistica, ha svolto un’intensa attività culturale a Roma e a Spoleto, ha fondato e diretto premi letterari di pregiato riconoscimento. Nel 1995 in Campidoglio ha fondato il Premio “Fiore di roccia” che ha condotto per i dieci anni consecutivi e nel 2001 il progetto culturale “Le rosse pergamene del Nuovo Umanesimo” che si esprime prevalentemente mediante l’omonimo Premio Letterario dedicato all’amore e alla solidarietà. Numerosi i riconoscimenti a lei attribuiti tra cui i Premi alla Cultura all’interno del Premio “Boncompagni Ludovisi” di Roma e “L’arte in versi” di Jesi. Per la diffusione della Poesia ha ricevuto la Medaglia della Commissione Cultura della Camera dei Deputati.

Nel frontespizio del volume è possibile leggere (e gustare) due commenti anticipatori sull’opera da parte di due fini intellettuali: Elio Pecora e Anna Maria Giancarli. Pecora, in un frammento di missiva personale all’Autrice, scrive: “Cara Anna, il tuo libro è fatto di umori e di passioni che lo contraddistinguono. E che riflettono quel che porti e comunichi nelle tue giornate”. Con il suo personale linguismo le fa eco la Giancarli che, convinta, annota: “Cara Anna, nonostante tutto, nelle tue poesie, fioriscono versi di “fiori increduli” che cercano di mitigare il “male d’esistere” in questa unica, splendida madre terra che reclama ed implora rispetto, pace e giustizia. I poeti, devono, come te, guardare oltre e anelare ad un mondo migliore per poi realizzarlo”.

LORENZO SPURIO


E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore.

Esce “Con semplicità e candore. Nove recensioni per Fabio Grimaldi” a cura di Lorenzo Spurio

In questi giorni è stato pubblicato il volume Con semplicità e candore. Nove recensioni per Fabio Grimaldi che contiene testi critici scritti dal poeta partenopeo Antonio Spagnuolo sull’opera poetica del poeta maceratese Fabio Grimaldi. Il volume, edito in pregiata carta dalle Grafiche Fioroni di Casette d’Ete (FM), è stato curato dal poeta e critico Lorenzo Spurio che, in apertura, ha dedicato un lungo saggio introduttivo e di approfondimento all’opera di Grimaldi e alla raccolta di recensioni di Spagnuolo qui proposte dal titolo “Fabio Grimaldi, una vita in versi”.

L’opera, frutto del lavoro costante e assai partecipato, è nata e si è sviluppata a partire da maggio di quest’anno e porta, quale collaborazione, anche quella dell’Associazione Culturale Euterpe APS di Jesi (AN) che, per l’occasione, ha fornito il suo Patrocinio Morale.

Nelle cinquanta pagine che compongono il volume, oltre al testo critico di Spurio e alle nove recensioni di Spagnuolo su altrettante opere di Grimaldi è possibile consultare, in posizione finale, una bibliografia minima della produzione di Grimaldi (non solo poeta “maturo” ma anche per l’infanzia nonché critico e studioso di Mario Luzi) unitamente a una bibliografia essenziale di interventi critici, tra recensioni e saggi, sulla sua attività letteraria.

Nella quarta di copertina compare un estratto del testo di Spurio nel quale è possibile leggere: “Si sono dette tante cose sulla produzione poetica di Fabio Grimaldi e tante rimarrebbero da dire ancora. Questo volume, dall’avvincente titolo Con semplicità e candore (tratto da un pezzo della nota critica di Spagnuolo su Via Dolorosa Via Gloriosa del 2008), raccoglie con precisione tutti gli interventi critici che Antonio Spagnuolo – poeta di lungo corso e critico glabro ma raffinato – ha scritto nel corso delle varie pubblicazioni di Grimaldi. C’è una fedeltà autentica, oltre che un’amicizia importante, tra Fabio e Antonio Spagnuolo che ha consentito questo scambio continuo, nel tempo non tempo della poesia, di raccogliere commenti, giudizi spassionati, riflessioni sui suoi versi che, come osservato da tanta critica, sono andati cambiando, irrobustendosi, prendendo vie diverse che non erano certo pronosticabili a partire dall’esordio nel solco ermetico”.

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