The River Wild – Il fiume della paura (1994)

Il film The River Wild (The River Wild – Il fiume della paura, 1994) è un film diretto dal regista Curtis Hanson. Si tratta di un thriller completamente ambientato nella natura selvaggia, delle montagne dell’Idaho con la costante presenza del fiume Salmon.

Gail Hartman (Meryl Streep), esperta guida di montagna e conoscitrice delle tecniche del rafting, decide di trascorrere alcuni giorni a contatto con la natura assieme al figlio Roarke (Joseph Mazzello), navigando le acque del fiume Salmon nell’Idaho. Assieme a loro portano il cane di famiglia.  La relazione di Gail con il marito, Tom (David Strathairn), sembra ormai essere in crisi. Tom, geometra, è sempre impegnato a disegnare bozzetti e pensa al suo lavoro.  Al momento della partenza con il gommone per il viaggio lungo il fiume Gail e Tom conoscono un uomo anch’egli in procinto di navigare il fiume e che si professa un conoscitore della natura e delle rapide del Canyon.

Con sorpresa di Gail e di Roarke, Tom rispettivamente marito e padre dei due, giunge sul posto, intenzionato a trascorrere quella vacanza a contatto con la natura assieme alla sua famiglia, portando rigorosamente con se i suoi bozzetti a cui lavorare.

Durante il percorso lungo il fiume, sovrastato da possenti montagne e da una natura incontaminata, la famiglia incontra Wade (Kevin Bacon), l’uomo conosciuto precedentemente assieme ad un altro uomo di nome Terry (John C. Reilly). All’apparenza sembrano entrambi persone socievoli e amichevoli ma ben presto tramuteranno l’allegra vacanza della famiglia in un vero incubo.

La famiglia verrà presa in ostaggio, malmenata e sottoposta alle volontà di Wade e Terry i quali squarciano il loro gommone, costringendo la famiglia a viaggiare con loro. Il percorso lungo il fiume, oltre ad essere minacciato dalle rapide tortuose e dai massi spioventi, è terrorizzante per la minaccia dei due sequestratori i quali hanno delle armi con loro e stanno fuggendo perché sono due latitanti. La vacanza lungo il fiume diventa uno spregevole viaggio dominato da ansie, inquietudini e paura di morire.

Il film vuole forse suggerire come anche un posto estremo e incontaminato come la natura selvaggia dell’Idaho non possa del tutto sottrarsi alla malvagità insita nel genero umano. Uno spazio edenico, la purezza della wilderness divengono, quasi in maniera paradossale, il luogo del male e del crimine (la fuga dei latitanti, il sequestro e la minaccia con le armi).

Per un attimo sembra che il destino della famiglia possa risorgere quando sulla scena arriva un ranger del parco di nome Johnny (Benjamin Bratt). La famiglia sotto minaccia delle armi non può rivelare all’uomo che sono stati sequestrati e poi Wade uccide il ranger gettandolo nelle rapide.

Wade a Terry chiedono a Gail di guidare il gommone verso un punto del fiume particolarmente pericoloso, ricco di rapide e dove anni prima una coppia ha avuto un grave incidente in cui una persona è morta e l’altra è rimasta paralizzata.

Verso la fine la situazione precipita e Tom cerca di uccidere Wade, c’è una lotta tra i due ma momentaneamente entrambi si salvano. La battaglia termina con Gail che getta un borsone nell’acqua e da esso fuoriescono le banconote che i due tizi avevano rapinato e la stessa che spara mortalmente a Wade. Il male è stato eliminato, la famiglia si scopre più unita che mai e Terry viene arrestato dalla polizia.

Il regista sembra voler suggerire che avvenimenti forti e psicologicamente destabilizzanti quali il sequestro, la minaccia sotto armi, il tentato omicidio possono essere elementi che hanno alla fine un risvolto positivo nella coesione dell’unità familiare che all’inizio della storia era profondamente compromessa. In altre parole la violenza, la minaccia e la paura della morte rendono palese ai vari personaggi quanto sia grande il valore della vita e con esso il ruolo della famiglia.

Probabilmente se niente di tutto questo non fosse accaduto la coppia Gail-Tom, rinchiusa nella solita monotonia e fissità domestica, avrebbe finito per separarsi o divorziarsi mentre l’happy ending che solitamente nel thriller non è mai garantito, qui risulta una chiave d’interpretazione buonista e conciliatoria di come le relazioni umane possano cambiare in base agli eventi che accadono o che non accadono.

Il film fu accolto dalla critica con opinioni divergenti e contrastanti. Alcuni parlarono di una trama debole ma enfatizzarono il setting naturalistico e selvaggio che fa dell’intera storia il punto di maggior forza evitando di presentare una banale thriller story ma ampliando l’interesse cinematografico anche verso l’aspetto visivo e legato all’azione. Le scene di rafting lungo il pericoloso fiume richiamano all’attenzione il tradizionale tema di sfida dell’uomo alla natura e ci immergono in uno spazio estremo e particolarmente minaccioso.  Inoltre, la presenza dell’attrice Meryl Streep nei panni di Gail arricchisce ulteriormente la pellicola.

Il critico americano Roger Ebert diede un’analisi abbastanza negativa del film sostenendo che « film come questi sono troppo prevedibili […] The River Wild fu costruito a partire da molte idee, personaggi e situazioni riciclate da altri film».[1]

Secondo il mio modesto parere si tratta di un ottimo film, ricco di elementi e chiavi di spunto per un’eventuale analisi più dettagliata. Coniuga generi diversi che vanno dal thriller, all’azione fino al film naturalistico in cui i vari aspetti sono coniugati e tessuti in un’unica trama particolarmente avvincente e innovativa. Seppur il critico Robert Ebert sostiene che i temi, i personaggi e gli elementi messi in scena non sono altro che una rivisitazione di altri film, a tutt’ora non ho trovato nessun film analogo che mi abbia trasmesso la stessa suspance e desiderio di vedere il film con coinvolgimento sino alla fine.

 

LORENZO SPURIO

03-03-2011

 


[1] La traduzione dell’estratto è mia. Il testo originale è: «movies like this are so predictable in their overall stories that they win or lose with their details…The River Wild was constructed from so many ideas, characters and situations recycled from other movies that all the way down the river I kept thinking: Been there.», in Rogert Eber, “The River Wild”, Chicago Sun Times, 30 September 1994.

Il genocidio rwandese (1994)

L’eccidio del Rwanda, avvenuto durante il 1994 nell’omonimo paese africano è una pagina nera della storia mondiale che è stata scarsamente oggetto d’interesse dell’opinione pubblica e che recentemente ha inspirato vari film a carattere documentario e cronachistico. Il Rwanda è un paese africano minuscolo che confina a ovest con la Repubblica Democratica del Congo, a nord con l’Uganda, a est con la Tanzania e a sud con il Burundi. Nel paese si parla il francese, il kinyarwanda, l’inglese e lo swahili. La capitale è Kigali. Il paese è retto da una repubblica. Colonia del regno del Belgio, ottenne l’indipendenza nel 1962. La popolazione del Rwanda è costituita da due gruppi etnici distinti, i Tutsi (19 %) e gli Hutu (80 %).  I Tutsi sono i ricchi e rappresentano quindi una sorta di classe aristocratica mentre gli Hutu sono dediti al lavoro nei campi.

Per secoli le due tribù condivisero la stessa cultura, lingua e religione ma a seguito della dominazione del Belgio si creò un forte divario tra i due gruppi etnici. Il governo accordò ai Tutsi maggiori poteri rispetto agli Hutu che furono costretti a vivere in una situazione d’inferiorità. I Tutsi hanno dominato sempre sugli Hutu ma in tempi più recenti si sono avuti periodi d’alternanza in cui al potere stavano gli Hutu o i Tutsi. Una serie di contrasti e lotte tra le due etnie portò ai tragici massacri perpetuati nel 1993; l’Onu intervenne cercando di trovare una soluzione tra le parti ma la componente Hutu si rifiutò di accettare il trattato e cominciò una serie di violenze e genocidi sul popolo Tutsi.

Dal 6 aprile fino alla metà di luglio del 1994 per una durata di cento giorni vennero massacrate un gran numero di persone con fucilazioni sommarie, colpi di machete e sistemi di inaudita violenza. Le vittime furono prevalentemente appartenenti all’etnia Tutsi, la minoranza rispetto l’etnia Hutu. Le perdite ammontano alle 800.000 persone (il 20% di etnia Hutu, il restante di etnia Tutsi). L’Occidente e la comunità internazionale in generale non prese voce ai forti conflitti in atto in Rwanda e mostrò un atteggiamento freddo ed indifferente; Francia e Belgio inviarono dei contingenti militari con il solo fine di mettere al riparo i loro connazionali.

Le ragioni dei contrasti tra le due etnie derivano dalla dominazione belga che contribuì a differenziare le due etnie, dandogli differenti poteri e ruoli nella società e favorendo i Tutsi. Sebbene si fa riferimento al genocidio del Rwanda vennero coinvolti anche i paesi ad essa limitrofi, Burundi, Uganda e Tanzania.

Solamente quattro anni dopo il genocidio, nel 1998, vennero processate ventidue persone responsabili delle violenze perpetuate e colpevoli di genocidio. Nel 2000 è stato eletto il presidente Tutsi Paul Kagame che ha siglato nel 2002 una tregua con la Repubblica Democratica del Congo.

Nel 2005 vennero processati altri responsabili del genocidio e il presidente Kagame resta in carica tutt’ora, votato da percentuali bulgare. Il presidente ha soppresso i principali partiti d’opposizione e in molti parlano di brogli elettorali; nel paese non esistono mass media indipendenti e la comunità internazionale sembra non interessarsi della vicenda da vicino. Contrasti e asti tra le due etnie non sono scomparsi sebbene le violenze si siano attenuate.

Sui tragici eventi del genocidio del Rwanda sono stati scritti vari libri di carattere storico e cronachistico e racconti di memorie di chi ha sperimentato quelle violenze. Recentemente il tema è stato oggetto di un maggiore studio e interesse; questo ha permesso di conoscere meglio una realtà tragica della nostra attualità. Questo è stato reso possibile anche ad alcuni film che sono stati prodotti basandosi su questo tema. Tra i più noti e importanti vanno ricordati Sometimes in April (regia di Raoul Peck, paese: Usa/Francia/Rwanda, 2005) tradotto in italiano con Accadde in Aprile e Hotel Rwanda (regia di Terry George, paese: Canada/Regno Unito/Sudafrica, 2004).

Il film Hotel Rwanda (regia di Terry George, paese: Canada/Gran Bretagna/Sudafrica, 2004) tratta del tragico eccidio rwandese del 1994 focalizzandosi sulla storia di Paul Rusesabagina, direttore dell’Hotel des milles collines di Kigali, capitale del Rwanda. Paul trasforma l’hotel in un rifugio per entrambe le etnie Hutu e Tutsi di tendenza moderata e non cede alle insistenze di vari signori della guerra di abbracciare le loro idee oltranziste.

Nel film, una cassa di legno che cade rompendosi a terra celando il contenuto di varie decine di machete fa capire quali saranno le armi impiegate nell’eccidio. Nel frattempo iniziano a manifestarsi casi di violenza tra le due etnie; Paul riuscirà a salvare le persone asserragliate nel suo hotel ma perderà i suoi cognati. Anche il film da voce ad una verità fastidiosa e criminale: il disinteresse del mondo, dell’Occidente e degli Usa nei confronti della tragedia. Film assolutamente da non perdere.

 

La cantante romana Paola Turci ha scritto una canzone intitolata propria “Rwanda” ed inclusa nell’album Tra i fuochi in mezzo al cielo (2005). Il ritmo incalzante e minaccioso e la voce urlata e implorante della cantante si sposano con il suo testo asciutto e diretto che ha come ritornello «Quando il silenzio esploderà, questa terra sarà già deserto.. Quando la fine arriverà la storia non salderà il conto». La Turci individua il senso opprimente e doloroso del silenzio che deriva dalla mancanza di uomini a seguito dell’eccidio e ci presenta un mondo silente, perché gli uomini sono tutti morti. Tanta violenza, tanta morte e tante offese al genere umano, per la Turci, non troveranno mai un riscatto e non potranno mai essere dimenticate.

La Turci, cantante impegnata e già autrice di canzoni sociali (“Bambini”, “Il gigante”, “Un bel sorriso in faccia”) ci apre gli occhi su questa realtà tragica, dimenticata o più precisamente non ascoltata e non conosciuta. La canzone non è passata alla radio, forse perché poco radiofonica o più probabilmente – come ha rivelato la Turci in occasione di una serata a cui ha partecipato- perché presenta una realtà difficile, sconosciuta e della quale è difficile parlare. La canzone può non piacere a chi è attratto da melodie cadenzate, canzoni commerciali o strazianti canzoni d’amore (che oggi sembrano andare per la maggiore) o semplicemente a chi non gradisce la voce e il temperamento della Turci ma va comunque ascoltata per l’impronta del suo testo, oltre che per il motivo per la quale è stata scritta: per ricordare un evento «con i riflettori spenti» come ha detto la Turci.

 

LORENZO SPURIO

16-02-2011

Un sito WordPress.com.

Su ↑