Lucia Bonanni legge e analizza l’antologia poetica sulla città curata da Lorenzo Spurio

BORGHI, CITTÀ E PERIFERIE

L’antologia poetica del dinamismo urbano

a cura di LORENZO SPURIO

Nota critica di lettura di Lucia Bonanni

 

cover agemina stesa-page-001“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del discorso é segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli e ogni cosa ne nasconde un’altra”.

Il filo segreto che unisce il discorso di questa raccolta antologica è ordito su un telaio immaginario e la spoletta passa da una città all’altra a tramare un arazzo di testi la cui rappresentazione artistica è data dalla voce di più figure poetiche.

Così abili mani  annodano argomenti quali le bellezze architettoniche e paesaggistiche, i ricordi, il contrasto tra la realtà del passato e quella del presente, il disagio esistenziale, il degrado dell’ambiente, la diversità, l’inquinamento, le trasformazioni subite dai centri abitati, la mancanza di lavoro, la speculazione edilizia, i vari accadimenti, il progresso tecnologico, l’emigrazione, le marginalità, le tradizioni popolari, le menzioni più o meno esplicite ai grandi poeti nonché il dialetto e quelle “escursioni fuori porta” che invitano il lettore ad una continua metamorfosi di analisi e sintesi e identificazione con i testi letterari.

“Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano” ed “È dolce il tuo abbraccio, così intenso e corposo,/ed io mi ritrovo ragazza, quando a vent’anni, /mettevo radici forti ai miei sogni infiniti” come dice Anna Scarpetta, pensando alla sua città, Napoli, il cui viso è ben scolpito nella sua mente con “il mare che scivola e unisce il limite del cielo” e   dove adesso “si fatica, per via della crisi, ad andare più avanti”.

Ma il passato delle città è anche “un segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, virgole” e per Vincenzo Monfregolanon è facile raccontare dei sorrisi nati nel  degrado”, però l’autore non perde mai di vista la capacità di saper affermare la propria dignità di uomo e la “grande voglia di rivalsa”, cercando una catarsi anche dove “i fiori neri sembrano belli”; e se Anna Scarpetta ci dice delle bellezze architettoniche e paesaggistiche della sua città, Vincenzo Monfregola vuole “un prato verde/con alberi grandi” per raccontare al mondo di una gioia che chiamano vita. Ma nell’immaginario di ciascuno “Napule è” pur sempre “mille culure… e a voce de’ creature che saglie chianu chianu”.

La memoria storica di ogni città è scritta “negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre” e troviamo Luigi Pio Carmina a firmare la tela di un acquerello in cui Palermo è rappresentata in ogni suo aspetto, dai mosaici di Monreale, alla Vucciria dei mercati, ai veri quartieri cittadini, al festino dedicato alla Santuzza, alle bellissime spiagge dove le onde del mare alla sua “ode donano colore”; e poi c’è monte Pellegrino “antica roccia” che si erge dalle “salse acque/di Palermo” e che porta Emanuele Marcuccio a chiedersi perché le sue strade “stridono luttuose” e “remoti mali” la schiantano, realtà a cui fa riferimento anche Carmina, dicendo che l’intera isola “Chiu bella fussi senza vossia”, cioè senza quelle persone “carenti di onore” che si aggirano tra aranceti e vigneti.

Un populu/mittitilu a catina/spughiatilu/attuppatici a vucca/è ancora liberu. Livatici a tavula unni mancia/u lettu unni dormi/ è ancora riccu” un popolo diventa povero e servo “quannu ci arrubbanu a lingua”, allora è perso per sempre, è perso perché perde la propria identità culturale, le proprie radici, quella identità tramandata di padre in figlio  con gli usi, i costumi, le tradizioni che lo rendono forte e rispettabile. Però a Carmina “ni ristò a vuci d’idda” per cantare la propria terra come la voce di lei,  quella della madre, la parola dialettale, resta a Marinella Cimarelli che con piglio felice e fare giocoso ci fa conoscere la città di Jesi che è “’na bella cittadina… trullarero trullallà senza Jesi ‘n se po’ sta’” anche perché questa città con tutti quei nomi dei campioni , ha il vanto di essere la città dello sport per cui “non è fantasia, ma pura realtà… che questa seguro è la città de Jesi!”. E la parola dialettale resta anche per Mario De Rosa  che ci narra di Morano Calabro con profonda nostalgia tanto che “ti scinni ‘nd’u coru nu’ scurunu” perché poco distante da L’Annunziata “c’è un vicinato/dove prima regnava l’allegria/di gente buona/di gente buona con le vecchie usanze/che faceva teatro in mezzo alla via”. Il medesimo sentire si riscontra nei versi di Sandra Carresi che in “giro fra le bancarelle sotto il sole cocente d’agosto” ripensa che un tempo era tutto diverso, quando in giri valzer o danze più scatenate davano vita a legami amorosi, mentre nel tempo dell’oggi “nessuna musica, ognuno in casa  propria riposa… nella piazza solo qualche chiacchiera” e bottiglie vuote saranno “silenziose testimonianze del tempo che racconta il suo passaggio”; un passaggio  che si ferma in quella che è “una delle più belle Piazze del Mondo” per la rievocazione di un’antica usanza primaverile in cui il carro brucia e la “colombina (che) s’è rotta”. Intanto l’Arno continua a scivolare sotto i ponti “come un poeta visionario” e “a scalare/con fragore/le cascate” e Maria Luisa Mazzarini attraversa il ponte e dopo la Messa in chiesa va alla ricerca della tomba del Poeta. Dagli indizi che ci dà l’autrice, penso si tratti del ponte Vespucci che porta al quartiere di San Frediano e di lì per via Pisana a Badia a Settimo dove si trova la tomba del Poeta. Ma proprio perché si tratta di quel poeta che presso le Giubbe Rosse cercava di vendere i suoi Canti Orfici, mi piace immaginare che il ponte sia quello di Santa Trinità dove “i piloni fanno il fiume più bello/e gli archi fanno il cielo più bello”. “Dino Campana/Poeta 1885-1932” è l’epigrafe sulla tomba che si trova nella cappella della chiesa di San Salvatore. “Le donne dicevano ai ragazzi: è il poeta! senza sapere chi” scrive Piero Bargellini che dal cimitero di San Colombano fece traslare le spoglie mortali di Dino Campana nella chiesa di San Salvatore. “Sulle increspature/dell’Arno al tramonto/si è specchiato il tuo volto” e forse quello che cerca Anna Grecu è il volto del Poeta che in giro per la città “fugge l’inganno/di (quel) mare in tempesta” che è la sua stessa esistenza.

La metropoli, come ricorda Michela Zanarella, “ha i colori del tempo… nelle enormi arterie (si ) divorano mescolanze (e) grigie abitudini”, terreno fertile del disagio sociale, delle solitudini, delle marginalità, delle distanze e “tra casucce ammonticchiate/e vicoli oscuri”, quelli descritti da Francesca Luzzio, si vedono  “ventri gonfi di bambine/che danno vita/ma non sanno come” mentre il “passo tremante di ubriaco” rammenta ai passanti che “Si è/ vasi fragili/davanti/a certe aporie/dello spazio-tempo”, davanti a problematiche che non offrono soluzioni, che affannano e allontanano anche dall’essere persone coscienti del sé, per cui “nessuno sa/cercare/un passaggio orientato/nelle antinomie post moderne dell’identità” come sostiene Lucia Bonanni che insieme a Maria Rita Massetti nelle “cartilagini del tempo” vorrebbe rinvenire il “sospiro dei secoli… sui muri smemorati” delle case che cadono nel silenzio per destarsi poi “nel livore di un’alba/ancora assopita… assetata/di colori e rugiada”.

Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine, dove l’uomo cammina sui lentischi e sulla creta… scricchiola e si corrode ogni pietra, da secoli” scrive Salvatore Quasimodo nella prefazione del testo La terra del rimorso, sintesi della ricerca etnografica in Salento, condotta nel 1959 da Ernesto De Martino per studiare il fenomeno del tarantismo dal punto di vista storico, culturale e religioso. Fenomeno velatamente evocato nei versi di Teresa Anna Rita De Salvatore che in quella “Lecce franta nel ricordo” fa rivivere “gli incubi antichi” di una città quale “isolato tempio” con “i sogni dei poveri/(che) andavano a vedere in piazza i presepi” mentre i giocattoli grandi erano riservati soltanto ai bambini più ricchi. Ma la Puglia non è soltanto tarantismo, povertà e solitudine, essa è una terra ricca di arte, di storia, di cultura e di fede che si manifesta in “Cuore e spirito” all’interno  di un “sacro luogo di riconciliazione” dove ci conducono i versi di Maria Pompea Carrabba, decisa a difendere il “sacro luogo del cuore” in attesa che San Nicola faccia ritorno nella chiesa e si avveri “il sogno di un piccolo paese”. E “tra scorie di viaggi logori”, come vuole la tradizione “A piombo rappreso,/il Santo, nel suo tempio d’altezza,/guardava sonnolento” la città di Ancona di cui è Patrono; in questo caso è Lorenzo Spurio a narrare le atrocità inflitte a San Ciriaco, obbligato a ingoiare piombo fuso e poi decapitato. “Con Betlemme/hai piantato un ulivo” e in questi tempi di amarezze  il pensiero della De Salvatore si unisce a quello di Anna Scarpetta e va verso la Terra Santa dove il prezzo della cristianità è costato  sacrificaci crudeli per mano di “furiosi gendarmi”. La fede che è accoglienza, speranza, unione di cuore e spirito, accettazione dell’altro, condivisone, aiuto reciproco, nei versi di Elvio Angeletti  apre anche al “musicante (che sta) ancora lì/solo nel suo destino/ad aspettare la mano di una  amico” come si volge a chi è diverso,  “diverso da chi e da cosa/c’è forse una regola/c’è forse uno stampo” si interroga Franco Andreone, ricordando un giardino “nel bel mezzo di una piazza” dove un tempo “andava a far scorrazza”.

Un ragazzo moccioso/(con i) pantaloni larghi e  sporchi/(ma) lesto, furbo e sapiente”, tradito dagli uomini, si staglia nelle parole di Emanuela Di Caprio come nel dire di Osvaldo Crotti si anima un “temprato guerriero/dallo spirito ribelle/pioniere di lotte senza fine/unico e degno/ maestro/di tanta dignità” il Clochard con “gli occhi pieni di stelle” che vive per strada e la sua coperta è “un cartone e un pizzico di luna”. Tante volte nelle vie cittadine si incontrano “cani legati al guinzaglio dai loro padroni/che fanno il giro per i loro bisogni come barboni”, ma sono pigri e indifferenti con gli occhi pieni di tristezza e persino il loro abbaiare è diventato così poco credibile da sembrare addormentato; di questo si rammarica Patrizia Pierandrei che con occhio attento riesce a notare ciò che in altro contesto aveva subito notato il povero Marcovaldo un mattino mentre aspettava il tram. “Chissà da dove vengono quei poveri funghetti,/il vento forse li ha costretti,/a crescere tra le dure pietre lastricate”, ma quei funghi non possono nutrire né il barbone e neppure l’emigrato. Dato che “l’arte vuol sempre irrealtà visibili” proprio come afferma J.L. Borges, vediamo Cristina Lania perdersi nelle vie della sua  città, ricordando i fasti passati e l’autrice ritorna dove “la Madonnina del Porto/si erge come eterea vision/nitida nella sua unicità” e il mare è “effluvio e respiro della (sua) terra (e) Zancle non è più chimera lontana /(mentre) il cielo si frantuma in cristalli di luce”.

Per Francesco Paolo CatanzaroNella piazza il vecchiume si crogiola al sole./La città è solenne/nei suoi vapori di smog e di frenesia metal meccanica”, “Ci si accorgerà nel corso del tempo/quanto la tecnologia ha prezzo,/quanto la ferraglia, l’acciaio/inondi il paesaggio/ e provochi lo tsunami della civile inciviltà” in quel cuore di latta che, secondo l’autore,  ha adesso la città.

Ma la città è anche incanto e bellezza che giungono come un’eco sulle musiche di Respighi che celebra i pini e le fontane di Roma “per riapparire ancora” tra le righe di Giuliana Montorsi e in quelle di Michela Zanarella  in un “abbraccio universale/ eppur donato a ognuno” e “dove le pietre fondono memoria/freme l’asfalto confuso/ed il Tevere veglia/il sotterraneo mutare dell’aria/(che) si rinnova nell’incanto dei palazzi/e nello zampillo limpido delle fontane”. Cristina Vascon scrive che “tra le nebbie/sboccia una luce (e) mille albe si stemperano/in rugiade/(mentre) tra solchi d’immense nuvole/germoglia il sole”. Le due autrici, entrambi venete, fanno tornare alla mente i palù, quei paesaggi delle aree pianeggianti tra il Veneto orientale e il Friuli e il cui termine è usato al plurale come metonimia per indicare le aree prative dove cresce il palù, un’erba del genere carex, diffusa in quelle zone, oggetto di studi antropologici e rivisitata anche nei componimenti di impegno sociale, scritti da Andrea Zanzotto.

Dalla malinconia dei campielli si va “verso i pioppi sugli argini/là dove la curva del fiume/risplende/come lastra d’oro” e il fiume lambisce la città in cui “le cuspidi ardite/riecheggiano un passato di furiose/e crude lotte tra fazioni avverse/i merli ghibellini/sul mobilissimo Palazzo Gotico” mentre la nostalgia pungente per la propria terra si fa posto nella mente di  Giorgina Brusca Gernetti e gli echi delle aspre lotte per le investiture fanno pensare alle due torri, divenute nel tempo simbolo della città di Bologna. Elisabetta Mattioli ne ammira la statua del Nettuno “in connubio/ assieme all’acqua/e protettore silente/di un mare senza spuma/unito a una città senza tempo” mentre per Bartolomeo Bellanova Bologna si configura come “un luogo dato agli spettacoli” con i “passi che vanno e vengono, oscillano,/barcollano su un copione scritto/barcollando su una pagina bianca,/scia d’inchiostro esaurito” e il poeta resta “quello che nasconde i cocci sotto pelle,/aspettando la notte dopo”.

Nella profondità cittadina” di Francesco Paolo Catanzaroil vecchiume si crogiola al sole” e la città mostra il suo cuore di latta e quello che prima era un piccolo borgo si è ampliato e ha subito profonde trasformazioni e “ci si accorgerà nel corso del tempo/quanto la tecnologia ha prezzo/ e provochi lo tsunami della civile inciviltà”. Nell’orizzonte poetico di Gianluca Papa si profila la “torre alta/ovattata finestra/ indicibile/luminosa gloria” di Pisa, oggi splendente nei suoi alabastri. Felice di narrare le proprie emozioni, Massimo Rozzi volge il pensiero agli amici e da esule pone lo sguardo “alla meta della domenica”, il suo paese, dove adesso “i giovani trovano una speranza/sul loro futuro senza scappare”. Dalla profondità del silenzio come epifanico sentire prorompe la voce letteraria di Renato Pigliacampo, nemico talvolta a se stesso, “teso nei sogni” delle colline marchigiane che “nelle sere che calano sul mare” ancora gli parlano nella lingua dei padri per rinsaldare il vincolo d’amore con il proprio territorio e “oltre il Colle dell’Infinito” esiliato “in terre padane” allorché si affacciava alla vita ed ora tiene in un “abbraccio d’amore la sua Porto Recanati.“le luci rifrante, le case, i palazzi…/ e cerchi concentrici si intersecano allargandosi./E si dissolvono, emulando le vite… Cambieranno i passi, stanotte al molo,/e le barche r i marini moti” e là, oltre la risacca che si frange lungo la linea del porto, “Distante il falso/ mare rivendica/ la sua libertà incarcerato//in una fotografia ritoccata” e  Daniela Gregorini  all’alba  si ritrova a ballare tra i “tavoli impazziti” di una folle città per evadere verso le illimitate sponde del tempo mentre aspetta un tram “flouato”.

Nelle escursioni fuori porta anche all’estero, troviamo anche le città di Lorenzo Spurio che racconta di “cocci taglienti e scarpe spaccate/nella piazza centrale, assedio,/ contro un capo-cecchino/schifoso, come tutti i capi in guerra” e “la temperatura era buona, infingardi cani neri/agguantavano al collo/con guizzanti morsi”, trasformando il faraone di pietra in un “colabrodo/ di sangue rubato (e) i bambini rubavano il mare/con gli occhi bagnati”. Versi, questi, che ho avuto modo di apprezzare nella lettura della sua silloge Neoplasie civili (Agemina, Firenze, 2014) ed evocano altre piazze di libertà e indipendenza dal faraone di turno.

E per tutte queste caratteristiche “la città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare”.

Un lavoro poderoso, superbo, unico nella sua rara composizione quello che ha svolto Lorenzo Spurio, curatore di questa antologia poetica che nella selezione dei brani poetici ha dato vita ad un coro polifonico, ad una partitura in canone in cui ciascuna voce parte da un punto di vista personale e si ritrova in sintonia con i pensieri, i concetti, i contenuti, i sentimenti, le emozioni, le delusioni, i desideri, le paure, le vicissitudini in un labirinto di idee, legate le une alle altre da un unico tema, la città, ovvero da quel dinamismo che fa di ogni centro abitato un organismo vivente; un organismo il cui nucleo resta sempre il cuore pulsante dell’Uomo che sa irrorare le sue cellule di linfa vitale in uno scenario sempre mutevole e affascinante.

Onorata di far parte di questo lavoro e di questa compagine di sognatori che amano la Poesia.

Lucia Bonanni

San Piero a Sieve, lì 9 aprile 2015

Le città parlano: l’antologia poetica sul dinamismo urbano curata da Lorenzo Spurio

L’antologia del dinamismo urbano

Un volume poetico dedicato alle città a cura di Lorenzo Spurio

 

cover agemina stesa-page-001Lo scrittore e critico letterario jesino Lorenzo Spurio ha curato per i tipi di Agemina Edizioni di Firenze un’antologia poetica dedicata alle città in cui i poeti, partecipanti da tutta Italia, hanno dedicato versi alle proprie città di nascita e residenza, o di quelle visitate o agognate quale futura meta da scoprire. Il volume, dal titolo “Borghi, città e periferie: l’antologia del dinamismo urbano” contempla al suo interno testi di 32 poeti sparsi in tutta Italia che hanno risposto con entusiasmo a questa iniziativa corale che dà voce al tessuto urbano dove viviamo.

In particolare tra di essi vi sono alcuni poeti jesini: Marinella Cimarelli che dedica due liriche alla città direttamente in dialetto, com’è nella sua natura di poetessa verace, Patrizia Pierandrei che, invece, porta con le sue poesie delle riflessioni importanti sul benessere della città, nonché alcune liriche di Spurio, il curatore, di cui una dedicata alla città di Ancona.

Tra gli altri marchigiani presenti figurano altri poeti e poetesse attivi da anni tra cui Elvio Angeletti (Senigallia-AN), Daniela Gregorini (Fano-PU), il prof. Renato Pigliacampo (Porto Recanati-MC) e Maria Rita Massetti (San Benedetto del Tronto-AP).

Si percorre l’Italia in lungo e in largo grazie ai trentadue poeti inseriti che dedicano altrettante liriche a varie città tra cui Napoli (Anna Scarpetta, Vincenzo Monfregola), Piacenza (Giorgina Busca Gernetti), Palermo (Francesco Paolo Catanzaro, Francesca Luzzio, Luigi Pio Carmina, Emanuele Marcuccio), Messina (Cristina Lania), Rimini (Manuela Di Caprio), Firenze (Anna Grecu, Sandra Carresi), Roma (Giuliana Montorsi), Morano Calabro (con una poesia in dialetto locale del poeta moranese Mario De Rosa), Venezia (Cristina Vascon),…

Tra gli altri presenti nel volume figurano: Franco Andreone, Bartolomeo Bellanova, Lucia Bonanni, Maria Pompea Carrabba, Osvaldo Crotti, Teresa Anna Rita De Salvatore, Elisabetta Mattioli, Maria Luisa Mazzarini, Gianluca Papa, Massimo Rozzi e Michela Zanarella.

Dalla prefazione di Lorenzo Spurio, curatore dell’opera si legge: «La città, infine, è un organismo vivente proprio come un animale o una pianta: essa cresce e muta con chi la abita, si sviluppa e si de-struttura in maniera diversa, si amplia  e si abbellisce, si dota di volta in volta di tutte quelle componenti di cui la comunità abbisogna. Il cambiamento più evidente di una città resta quello della sua architettura e del sistema di viabilità, ma essa è in continua metamorfosi anche internamente, nella sua anima e nel suo temperamento nei confronti dell’altro, tutto ciò che è al di fuori della città».

 

SCHEDA TECNICA DEL LIBRO:

Titolo: Borghi, città e periferie: l’antologia del dinamismo urbano

Autore: AA.VV.

Curatore: Lorenzo Spurio

Casa editrice: Agemina, Firenze

Anno: 2015

ISBN: 9788895555799

Pagine: 159

Costo: 10€

Umberto Vicaretti su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

NEOPLASIE CIVILI (2014)

di Lorenzo Spurio

Commento di UMBERTO VICARETTI

Neoplasie civili di Lorenzo Spurio
Neoplasie civili di Lorenzo Spurio

Potrebbe avere proprio questo titolo, Neoplasie Civili, l’ipotetico memoriale di un “inviato speciale” nelle “zone calde” del nostro pianeta. La raccolta di Lorenzo Spurio, infatti, appare come il circostanziato, meticoloso resoconto di un reporter d’assalto; ovvero di un corrispondente non allineato, non embedded, quindi non al seguito di nessuna missione, né di alcuna bandiera. Una sorta di freelance, libero e indipendente testimone del nostro tempo. E i suoi reportage sono tessere di un puzzle facilmente ricomponibile, in cui si possono nitidamente scorgere i contorni di una realtà quanto mai drammatica e inquietante.

Con Neoplasie Civili, infatti, Lorenzo Spurio apre una finestra sul mondo e sulle sue tragedie, denunciando e mettendo a fuoco eventi di notevole impatto emotivo e sentimentale. Si tratta di accadimenti che non sono da considerare, per così dire, atti “passati in giudicato”, quindi da consegnare definitivamente e asetticamente agli archivi della storia o della cronaca. Essi sono, invece, pezzi di un mosaico assolutamente attuale e in divenire, che compongono una specie di malefico work in progress da cui il poeta attinge dati, registra, assembla, seria, seleziona fatti e momenti, tutti tra loro saldamente collegati da un comune denominatore, ovvero dalla forza pervasiva e inarrestabile, cancerosa e letale della violenza, dell’ingiustizia, dell’odio, del male. Il male declinato in tutte le sue diaboliche sfumature: dalle guerre alla violenza individuale, dalle tragedie del mare ai conflitti etnico-religiosi, dalla povertà delle favelas agli orrori di ogni tipo; il tutto reso ancora più inquietante dall’indifferenza e dalla progressiva scomparsa del senso civico e di solidarietà.

Il poeta assurge, così, a “testimone oculare” dei delitti di cui ogni giorno è variamente vittima l’umanità; e in tale veste, con il furore e la forza tipici del poeta di sincera passione civile, pronuncia una condanna senza appello per gli artefici di misfatti, atrocità, nefandezze. E lo fa non solo con un linguaggio che rifugge da ipocrisie e da eufemismi, con cui egli direttamente chiama in causa assassini, torturatori, criminali e malfattori di ogni risma e latitudine; ma lo fa anche (o  soprattutto?…) con un frasario che contestualmente, e inesorabilmente, interpella le nostre stesse coscienze.

Si dovrà a questo punto dubitare che l’umanità sia redimibile, e che non ci sia rimedio all’ineluttabilità e alla forza irresistibile del male? Sembrerebbe di sì, anche solo a voler considerare il valore perentorio del termine che più fortemente connota il titolo della raccolta, termine che è, per l’appunto, “Neoplasie”.

 

 

Roma, 15 febbraio 2014                                              Umberto Vicaretti

 

 

 

Esito di selezione per l’antologia poetica “Borghi, città e periferie. Il dinamismo urbano” curata da Lorenzo Spurio per Agemina Edizioni

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L’opera poetica antologica dal titolo “Borghi, città e periferie” il cui sottotitolo riporta “L’antologia del dinamismo urbano” ideata e voluta da Lorenzo Spurio (curatore) per i tipi di Agemina Edizioni (Firenze) – collana “La Fenice”, sarà composta dai testi degli autori qui di seguito indicati che, dopo attenta lettura e scrupolosa selezione della grande quantità di materiali pervenuti, sono rientrarti nella selezione ultima.

Nella pagina che segue sono indicate, invece, le informazioni basilari per dar seguito alla propria adesione al progetto editoriale in oggetto.

 

  1. Franco Andreone – (Diversità, Il mio vecchio quartiere, Ricordi a puntate)
  2. Elvio Angeletti – (I sanpietrini, Il musicante, La fontana dei poveri)
  3. Bartolomeo Bellanova – (Il portico, Luogo dato agli spettacoli, Via del Pratello)
  4. Lucia Bonanni – (L’Arno “presago”, Vasi fragili)
  5. Giorgina Busca Gernetti – (Tramonto sul Po, La mia Piacenza, La mia pianura)
  6. Luigi Pio Carmina – (A Palermo, Sicania)
  7. Maria Pompea Carrabba – (Per una chiesa che muore…, Quel confessionale abbandonato)
  8. Sandra Carresi – (Il borgo, Piazze e bancarelle, In piazza tra curiosità e allegria)
  9. Francesco Paolo Catanzaro – (Ospedale metropolitano, Nella profondità cittadina, Borghi città metropoli)
  10. Marinella Cimarelli – (Federigo II°, Jesi città europea dello sport)
  11. Filomena Costa – (La piazza)
  12. Osvaldo Crotti – (Clochard, La città)
  13. Mario De Rosa – (Murenu meiu, Villaggio umano)
  14. Teresa Anna Rita De Salvatore – (Castel Sardo, Lecce. Franta nel ricordo)
  15. Emanuela Di Caprio – (Carnevale di Venezia, Un piccolo ragazzo)
  16. Anna Grecu – (Ferragosto 2014 alla Caletta, Il tuo volto sull’Arno, Sotto le guglie di Notre Dame)
  17. Daniela Gregorini – (Di sera, al porto, Folle città)
  18. Cristina Lania – (Bar Irrera, La mia città, Eterea visione)
  19. Francesca Luzzio – (Centro storico, Osservando Palermo, Borgo Vecchio)
  20. Emanuele Marcuccio – (Palermo, Colomba straziata, Per una strada d’un’alba d’autunno)
  21. Maria Rita Massetti – (Il borgo addormentato, Mia terra, terra mia; Si desta, il mio paese)
  22. Elisabetta Mattioli – (Dio Nettuno, Giardini Margherita, Lato “B”)
  23. Maria Luisa Mazzarini – (Venezia sogna, Cara Firenze)
  24. Vincenzo Monfregola – (Nelle navi di cemento e amianto, Vita dimenticata, Ridatemi il mondo)
  25. Giuliana Montorsi – (You are a state of mind – Il Gianicolo)
  26. Gianluca Papa – (Venezia, Pisa, Vicenza)
  27. Patrizia Pierandrei – (L’incidente, Cani e cittadini, Funghi in città)
  28. Renato Pigliacampo – (Cuore di Porto Recanati, Aggrappato al silenzio)
  29. Massimo Rozzi – (Emigrato, Montecchio Emilia, Il mio paese)
  30. Anna Scarpetta – (Dedicata a te Napoli bella; Il grido di Gerusalemme; Mergellina)
  31. Cristina Vascon – (Dalle tue terre, Stagioni veneziane, Paesaggi di colline e cuori)
  32. Michela Zanarella – (Tutto il borgo, Nel flusso di voci della città, E la metropoli)

 

 INDICAZIONI PER LA PUBBLICAZIONE

 

Ciascun autore indicato nella lista da 1 a 32 qui sopra dovrà inviare alla mail lorenzo.spurio@alice.it entro e non oltre il 5 febbraio 2015 il modulo di liberatoria presente nella mail che dovrà essere compilato in ogni sua parte, sottoscritto e inviato scannerizzato.

Il modulo di liberatoria è requisito necessario per la pubblicazione delle proprie poesie e ciascun autore indicherà sotto sua responsabilità la paternità dei componimenti e il fatto di detenerne i diritti ad ogni titolo.

Sempre nella stessa dichiarazione l’autore si impegnerà all’acquisto di un tot numero di copie a un prezzo definito comprensivo di spese di spedizione (come da bando di partecipazione).

 

Al completamento della raccolta di tutte le liberatorie, il curatore manderà in stampa il volume e, contestualmente, sarà ad inviare una nuova comunicazione contenente i riferimenti bancari e postali per poter effettuare il pagamento delle copie.

Ad avvenuto pagamento l’interessato dovrà inviare alla stessa mail di riferimento, lorenzo.spurio@alice.it copia del pagamento effettuato, della ricevuta scannerizzata in modo che poi possa partire la spedizione che avverrà con modalità raccomandata e, dunque, tracciabile.

 

Per eventuali richieste di informazioni, dubbi o quant’altro, si rimanda alla mail di cui sopra per eventuali comunicazioni o chiarimenti.

 

Cordiali saluti

 

 Lorenzo Spurio

Curatore antologia “Borghi, città e periferie”

  

10-01-2015

Fabio M. Serpilli su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

Collage per “Neoplasie civili”

di FABIO MARIA SERPILLI

 

copertina Lorenzo(Ho cercato di isolare quei nuclei poetici che mi avevano particolarmente colpito proprio per la loro valenza poetica e che, quindi, erano autosufficienti letterariamente, indipendentemente dalle implicazioni tematiche, che indubbiamente sono molto forti e avvertite dall’autore che, essendo giovane, ha il sacro fuoco – purtroppo perso dai più – dell’indignazione di fronte e in mezzo alle tante macerie d’ogni ordine: morale, civile, politico, letterario e artistico. Le reazioni di Lorenzo sono primarie, talora senza mediazioni culturali e pertanto  senza giustificazioni. La sua sensibilità, assistita da una coscienza limpida, rifiuta le situazioni (complicate e complici) di ingiustizia, violenza, ipocrisia che ‘sporcano’ e soffocano la storia individuale e collettiva. L’intenzione principale sembra dunque quella di denuncia, condanna attraverso una versificazione dai toni forti e senza indugi estetizzanti quasi ad operare interventi chirurgici (‘neoplasie’ non a caso è lemma appartenente al titolo stesso della raccolta e dunque estremamente semantizzante) volti a individuare il male ‘cancerogeno’  che infetta e porta alla distruzione della storia naturale-umana e tentare quindi un recupero valoriale… Questa forte scossa passa dalla scrittura di Lorenzo alla pelle del lettore.)

 

 

 

Gridai senza voce una qualche ballata

 

Il fango a volte

può diventare cemento

 

Le lacrime di un popolano

scivolano copiose, per un momento;

quelle di una madre

non trovano fine.

 

Perché non ti domandasti perché?

 

Non era stata una di loro

perché era stata una di noi.

 

I bambini rubavano il mare

con gli occhi bagnati.

 

La vittoria è un tramestio di nuvole

 

Il cemento si spaccava

sotto un sole impavido

 

L’orologio indispettito

batteva le ore

al contrario

ed era sempre presto.

Impossibile darsi appuntamento.

 

Mi fingevo altro da me

 

il mondo si mascherava…

nella convinzione di un nulla convinto…

ma ora ricerco una via unica.

 

e Dio piangeva a fiumi

 

Allora bandii le preghiere

da quella terra di pianto

 

e l’oceano mangiò se stesso…

Strozzai un bicchiere d’acqua…

 

Impossibilità di vedere una luce…

 

Non seppi più nulla di quell’immagine

 

Il sole sveniva

 

L’inchiostro strillava indomito

 

Alla fine mi sguaiai su un marciapiede

 

Ho guardato la terra e

le ho chiesto dove andasse…

Nessuna risposta

 

 

***

 

Caro Lorenzo, io spero di aver indovinato qualcosa con queste mie scelte di tuoi versi e di mie parole di commento. Mi sembra abbastanza certo comunque di avvertire in te quell’agostiniano «inquietum cor nostrum donec…» con quel che segue… senza disturbare il “Domine” finale…

Ciao e buon Anno… Fabio M. Serpilli

26-12-2014

“Quando lo sdegno si fa poesia: Neoplasie civili di Lorenzo Spurio” a cura di Ilaria Celestini

Quando lo sdegno diviene poesia: Neoplasie civili di Lorenzo Spurio

(Edizioni Agemina, Firenze 2014)

  

Quando a cimentarsi con la poesia è una tra le menti più brillanti della nuova generazione di critici letterari, i risultati vanno oltre la poesia stessa, e colpiscono proprio per la costruzione di una silloge che esprime volutamente nello stile e ancor più nei contenuti una poetica della non-poeticità.

Mai come oggi, in una società malata di ogni tipologia di violenza e di negazione della dignità umana, diviene quasi inevitabile che chi s’interessa di letteratura affronti l’impatto con la realtà e ne denunci impietosamente le storture.

Così, il verso poetico rinuncia in partenza a ogni orpello retorico, a ogni tentazione estetizzante e perciò stesso qualunquistica, e, in nome di un’arte che non può essere fine a se stessa, ma intende servire l’uomo e la contemporaneità, diviene grido.

E grida le tragedie che si consumano in ogni angolo del mondo, dalle steppe caucasiche alle regioni desertiche, dove diversi sono i protagonisti, differenti le motivazioni, ma uno e medesimo è il sangue che scorre, una e una sola è l’umanità che geme, umiliata, ferita e oppressa.

Non ci sono più favole, nel mondo così crudamente descritto dall’Autore: non ne è più il tempo, nei luoghi ove risuona il rombo crudele della mitraglia, o dove i bambini vengono coperti di lividi e seviziati nel silenzio.

Lorenzo Spurio
Lorenzo Spurio

E’ poesia di denuncia, quella di Lorenzo Spurio, come di denuncia è la sua raccolta di racconti La cucina arancione, che raccoglie idealmente il testimone del maestro Ian Mc Ewan, al quale il giovane critico ha dedicato un saggio illuminante sulla ineluttabilità di avere il coraggio di alzare il velame delle reticenze e dell’omertà di fronte agli abusi e alle tragedie che si consumano ogni giorno nei rapporti interpersonali e nelle famiglie.

Le formazioni che come un cancro corrodono le strutture e le sovra-strutture sociali e ne decompongono progressivamente la morfologia, hanno nomi non meno inquietanti delle patologie anatomiche: si chiamano Potere, Servilismo, Omertà, Oppressione, Violenza, Negazione, Opportunismo, e la serie potrebbe continuare all’infinito.

Gli ambiti privilegiati dove proliferano le cellule malate, oltre alle realtà civili e private, dagli interni borghesi agli ambiti lavorativi, sono quelle più ampie della Polis, dove la politica intesa come arte di servire la comunità è scomparsa, e ha lasciato il posto allo spettro onnipervadente del Potere.

Un potere che si trastulla nei giochi dei palazzi, e che conduce alle migliaia di morti nelle piazze nei regimi totalitari e dovunque l’essere umano sia stato degradato a strumento e a oggetto.

In questo scenario quasi apocalittico, si stagliano nitide le figure esemplari ed emblematiche delle vittime innocenti, come la dolce e sventurata Lady D., o come i bambini poveri che tentano di giocare sotto il fuoco dei cecchini, “tra le pozzanghere nere senza fine”.

Un libro amaro, che non cerca di compiacere o di blandire nessuno; una silloge che è un colpo di frusta ai costumi e ai mal-costumi del nostro tempo e al tempo stesso ne è una fotografia amara e indignata, in virtuale omaggio a quel “facit indignatio versum” di antica memoria, in cui Giovenale, anch’egli giovane e brillante intellettuale, testimone di un’età in disfacimento, asseriva che la propria opera poetica era dettata dallo sdegno di fronte al male dilagante.

Un’opera che induce a riflettere, non per fuggire, ma per cambiare e iniziare a sviluppare, prima del baratro, una speranza di costruttività.

  

                          Ilaria Celestini

 Brescia, 10 Dicembre 2014

Rita Barbieri su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

NEOPLASIE CIVILI di LORENZO SPURIO

RECENSIONE DI RITA BARBIERI

 

“Non era tempo per favole e idiote freddure, quello. Il sole riscaldava l’erba, l’aria e il cemento, ma non me.” (p. 34)

La raccolta di poesie di Lorenzo Spurio è dedicata ai più scottanti e sensibili temi di attualità. Si tratta principalmente di componimenti brevi e sintetici che mirano, con estrema chiarezza, più che a offrire un punto di vista o a spiegare un’opinione personale, a comunicare una sorta di frustrazione, rabbia, impotenza, e delusione nei confronti di fatti e avvenimenti che, per forza di cose, ci vedono semplici e apatici spettatori.

È una poesia di impatto, quasi cinematografica e non sempre lirica. Si dipana per frame, inquadrature e cornici: grandangoli e primi piani che, nella più perfetta scia autoriale, disegnano una linea precisa, un percorso da seguire che conduce il lettore/spettatore verso un sospeso finale.

Poesie veloci, immediate, urgenti perfino. Leggendole si sente la spinta emotiva, l’esigenza impellente e dirompente di comunicare, di mettere nero su bianco un groviglio di pensieri e sensazioni che il poeta sembra provare lì, proprio sotto i nostri occhi, indipendentemente dal tempo della narrazione.

Sebbene siano poesie “facili” e non ermetiche, non sono tuttavia “semplici”: per capirle è necessario essere informati e aggiornati sui fatti del mondo. Lorenzo Spurio si rivolge al suo pubblico da ‘pari’ e non da ‘maestro’: non pretende di insegnare, ma di ‘dialogare’ come tra amici al bar, con il giornale davanti.

Featured Image -- 7051Nelle parole si sente fortissima l’amarezza, la disillusione, la frustrazione per un mondo governato poco e male, in cui a essere bendata non sembra tanto la dea fortuna quanto piuttosto la classe dirigente che, nella sua ‘disabilità’ visiva, sembra essere incapace di prendere decisioni o tanto meno di compiere azioni risolutive, nel bene e nel male.

Pessimismo? Forse, ma personalmente preferirei definirlo uno smaccato e concreto realismo. Come nella favola dei vestiti dell’imperatore, immagino Lorenzo lì con il dito puntato a farci vedere che il re e tutti i suoi cortigiani sono nudi e, quel che è peggio, ne sono perfettamente consapevoli.

Le poesie di Lorenzo sono come una sveglia puntata, suona e risuona finchè qualcuno non la spenge o la ascolta e faticosamente si alza e compie il suo dovere. Piccoli allarmi che, come scosse e impulsi elettrici, cercano di scuotere menti assopite e assuefatte da un’informazione omogenea e preconfezionata.

Protesta? Ribellione? Non sempre. Resta più una forte impressione di dura consapevolezza, una definitiva e inclemente sottolineatura che non permette secondarie vie di fuga.

Lorenzo usa le parole come uno specchio che, in modo diretto, riflette quello che vede e lo mostra agli occhi del mondo in modo imparziale e temperato.

Infatti, nonostante i sentimenti del poeta siano chiaramente avvertibili all’interno del testo, non si supera mai la misura. Il linguaggio è sempre quello di una pacata ‘discussione’ tra l’autore e il mondo, mai quello di una lite accesa e furibonda. Lorenzo non ha litigato con il mondo, non vuole isolarsi o allontanarsi da esso, ma lo invita a sedersi a un tavolo e a discutere per vedere se c’è modo di risolvere i problemi.

Una relazione non facile, senza dubbio. Personale e pubblica allo stesso tempo. “Civile” come dice il titolo stesso della raccolta. “Civile” significa infatti anche “educato”: saper condurre, ad esempio, una conversazione senza esasperare i toni, senza aggredire, né offendere l’interlocutore. E, in tempi in cui la parola sembra essere diventata un’arma distruttiva più che un mezzo di comunicazione, la “civiltà” suona come un valore anacronistico, retaggio di un passato lontano e perduto.

L’immagine del poeta è proprio quella di un uomo che cammina per la sua strada, con l’espressione seria ma decisa, i pensieri ben chiari in testa che aspettano solo l’occasione giusta per essere espressi e trasmessi.

Questo libro lo è: è l’occasione giusta per aprire gli occhi, spingere alla riflessione e al dialogo. “Civile” nella forma e nella sostanza.

 

Rita Barbieri

 

10-11-2014

“Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio. Commento di Gabriella Pison

Nota critica a Neoplasie Civili di Lorenzo Spurio

A CURA DI GABRIELLA PISON

 

Featured Image -- 7051Credo che gli uomini abbiano perso la capacità di sperare, di incrociare gli sguardi per guardarsi vicendevolmente negli occhi, per sentirsi meno soli, così nei versi di Lorenzo Spurio:

si aspettava una folata di fumo
come un segnale tribale
e intanto il mondo lottava
e la gente si dava la morte
in ogni angolo del pianeta

 

Come ne “Il fiore giallo” se gli uomini riuscissero a sintonizzarsi sulle emozioni degli altri, per farle proprie, per armonizzarsi con l’universo e sentirsi una scintilla nel microcosmo, godrebbero del privilegio di sentirsi parte di un tutto e non un elettrone sfuggito al alle casualità del fato:

 

Di colpo mi son chinato a terra
e al margine di un marciapiede
ho colto un fiore giallo
cresciuto lì, forse per sbaglio

 

e con timore sospetto che il Cielo sia vuoto di rassicuranti convinzioni, Spurio affida al capriccio del destino, tra disperazione e speranza, l’anelito ad una visione di trionfo del Bene:

 

Ho odorato ancora il fiore
accorgendomi che esalava tristezza
e bisogno d’amore

 

anche se profetizza l’impossibilità a vedere una luce in “Ridicolous Job Act”

o  quando con il comandante oceanico
rabbuiato per la sua colpa
accoltellava l’umanità di angoscia
con il traghetto-catafalco
ricorda il tragico ed evitabile naufragio al largo della Corea del Sud.

 

Il misurarsi con le tragedie delle quotidianità gli consente forse di esorcizzarne i tratti, pur conservando la drammatica consapevolezza di trovarsi di fronte a laceranti geometrie, crepuscolari deliri nella solitudine che annichilisce e che ricorda Primo Levi in Se questo è un uomo:” L’uomo, ogni singolo uomo, è solo. Nessuno lo può aiutare. I legami di sangue sono svaniti, le amicizie non sussistono. Dio, in un momento tale, non esiste. O è molto lontano”

Così il nostro poeta, in Neoplasie civili, riscopre la sconfitta dell’uomo inerme di fronte alla certezza della sopraffazione, come in

Quando nel mondo si spara,
Gea si occulta la vista
e corre ad occhi serrati
verso rovi e sterpi acuminati
per accecarsi

 

 Alla fine forse solo l’affermazione del  proprio io su tutto ciò che sta intorno, garantisce  la propria inviolabilità, in un gioco di apparenti contrasti, dove la fuga ritaglia lacerti di salvezza, sia un sogno o una speranza: la morte come avventura della ragione, certezza metafisica di chi comprende quanto tutto sia incerto:

 

Sconvolto correvo per le vie,
allungavo la falcata
e correvo
sempre più veloce,
correvo…
 
…la vita mi scorciò per sempre.
Ora son gl’altri
a cantar le mie pene.
Forse

 

Una freschezza adolescenziale nei versi di Spurio calibrati da una scelta originale delle parole e dei contesti, vibrati da una emozione che cerca di mascherarsi nella penombra di riferimenti nietzschiani, dove l’uomo si libera da ogni forma di trascendenza, arrendendosi al non senso oltre l’essere

 

Riflettei sulla storia
che raggruma cancrene
e che defluisce in sbocchi
e che mai riporta la vittoria

 

e l’avventura della ragione sembra proteggere l’assurdo del non voler alzare gli occhi al cielo per paura di dover credere

 

inghiottivo veloci preghiere
sconclusionate, sorte per caso
e affinché non prendessero il sopravvento,
m’aggiravo per la casa
bestemmiando un qualcuno

 

Ma si tratta di vivere e pensare con questo strazio: per Lorenzo che con l’acutezza della luce intellettuale sembra surrogarsi nel pensiero di Camus quando ipotizza che il senso delle cose sia  irrimediabilmente perduto e che  l’uomo sia solo con il proprio desiderio di comprensione è un attimo in cui si smarrisce, in cui le immagini si dissolvono una nell’altra, esiste la possibilità di dare un senso all’esistenza

 

La battaglia si vince solo intentandola.

 

anzichè

 

Il mondo, un luogo di transito in cui la voce del ribelle deve farsi corale, anche se non si attende risposte

 

Negli interstizi della realtà che continua a scorrere, si avverte il tormento, che va oltre la monade della materia, e che si spinge verso un regno dove qualcosa salva dal disfacimento e dalla finitezza umana, con impressa nell’adynaton la tensione verso l’elevazione dello spirito:

Cristo si stropicciava gli occhi
in un Golgota di cartapesta,

 

ma “In cattedrale si suicida uno scrittore”

per sdegnare il tormento
di gravosi e disoneste leggi
contro-natura, che spaccano
la Sacra Famiglia
e demoralizzano il tragicomico
della vita d’oggi
passando per la farsa
e riducendo tutto in burle

 

ispirandosi allo scrittore francese Dominique Venner, suicida in Notre Dame, che annotava disperato come per scuotere il mondo dalla la letargia siano necessari e vitali gesti capaci di scuotere le coscienze risvegliando la memoria delle nostre origini, Lorenzo Spurio entra nell’anima, nelle sue galassie, nelle sue tensioni profetiche e quella che appare una fuga dalla speranza si fa catarsi del marchio di Caino:

 

Lo sprezzante
caudillo
era stato messo in ginocchio
non da armi o minacce,
ma dall’inesorabile esistenza.
 

Così Lorenzo gioca la sua poetica tra dirompenze metonimiche, intonazioni solenni,  lucide e crude esegesi, con analisi abbaglianti come squarci di sole nel Kali yuga della ragione: illuminazione caravaggesca prestata alle parole.

 

Gabriella Pison

Trieste, 19/10/2014

“Borghi, città e periferie: l’antologia poetica del dinamismo urbano”: come partecipare

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Scopo della antologia è selezionare e raccogliere un congruo numero di poesie di autori appartenenti alle varie realtà geografiche nazionali e internazionali in cui i testi siano incentrati, ispirati o abbiano degli elementi di rimando al mondo della vita cittadina, riferimenti all’universo delle nostre strade, piazze, giardini pubblici e alla ricchezza architettonica o, al contrario, all’indagine dei casi di disagio, rischio, condizioni di marginalità,…

Modalità di partecipazione

 

1. La partecipazione alla antologia è gratuita; coloro che verranno selezionati saranno tenuti ad acquistare un tot di copie a un prezzo fisso secondo le modalità di seguito elencate.

2. Ogni poeta potrà inviare un massimo di 4 poesie in formato Word (ciascuna poesia non dovrà superare i 30 versi di lunghezza) accompagnate da un proprio profilo bio-bibliografico di massimo 20 righe Times New Roman pt. 12 e un file contenente i propri dati personali (nome, cognome, indirizzo di residenza, numero di telefono, mail e l’autorizzazione contenuta al punto 3. del presente bando).

3. L’autorizzazione da includere nella scheda dei dati è la seguente:
“Dichiaro che i seguenti testi sono frutto del mio ingegno e che sono l’unico autore”.

4. I materiali dovranno essere inviati a mezzo posta elettronica a lorenzo.spurio@alice.it entro il 31 dicembre 2014.

5. L’antologia finale verrà pubblicata da Agemina Edizioni (Firenze) e presenterà un numero di autori non inferiore a 30. La curatela del progetto sarà dello scrittore e critico letterario Lorenzo Spurio, al quale si rimanda per eventuali richieste di informazioni sull’iniziativa.

6. Gli autori che verranno selezionati per questo tipo di progetto verranno contattati a mezzo mail a Gennaio 2015 e agli stessi verrà richiesto di sottoscrivere un modulo di liberatoria per l’impegno all’acquisto della antologia: 3 copie dell’antologia a prezzo definitivo di 35 € (comprese le relative spese di spedizione del plico con sistema di spedizione raccomandato).

7. E’ richiesto di inviare materiale moralmente responsabile, ossia che non offenda la morale, la religione e che non sia portavoce di discriminazione di ciascun tipo.

8. L’antologia, essendo dotata di regolare codice identificativo ISBN, sarà messa sul mercato e diffusa anche attraverso i siti di vendita di libri.

9. A seconda della disponibilità dei vari autori antologizzati è in cantiere una presentazione del volume da farsi nella primavera del 2015.

Scarica il bando di partecipazione in formato pdf: https://drive.google.com/file/d/0BxDDJYZuD_i8Rm9PYnNNclVQdE0/view?usp=sharing

Evento FB

Info: lorenzo.spurio@alice.it

Giovanni Chiellino su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

Lorenzo Spurio,  NEOPLASIE CIVILI

Edizioni Agemina FIRENZE  2014  € 10,00

 

Recensione di Giovanni Chiellino

 

cover front (1)Molti anni fa mi divertivo a scrivere Haiku e fra i tanti, alcuni pubblicati, uno recitava: “ Buca la neve /il fiore delle Alpi / e guarda il sole. 

Mi è venuto in mente leggendo i versi  di Lorenzo Spurio, un giovane poeta  che affronta il testo poetico guardando spesso con ironia o amaro sarcasmo la cruda realtà del vivere: “ Un camion betoniera m’occultò/ la vista verso il parco//  L’intonaco fradicio dalla recente pioggia / 

sembrava una spugna di sangue //gridai senza voce una qualche ballata/

dal ritornello enigmatico” (Giù la serranda) e chiudendo a volte, ma raramente, la composizione o restando nella consistenza di un realismo lucido e per questo razionale o abbandonandosi a una fuga nel sogno, a una speranza, a un’illusione di felicità o, spesso, a un realismo che supera i limiti della stessa realtà: “Le lacrime di un popolo/ scivolano copiose, per un momento;/ quelle di una madre/ non trovano fine.” (A una madre) per aprirsi a una intuizione di vita altra. Come il fiore delle alpi buca il gelido strato delle nevi per offrirsi al sole, Spurio attraversa la realtà del vivere per seguire una traiettoria di sogno, una proiezione nell’oltre , mentre è chiaro nei suoi versi il peso del reale, per cui la vita altra si coglie qua e là, s’intuisce  come una presenza di confronto: “ e quel cuore indomito,/ calamita a quello dei deboli/ non aveva perduto la carica” (Verde per sempre);  “I bambini rubavano il mare/ con gli occhi bagnati” (Piazza Tahrir)  e, a volte,  come una frustata di amara  ironia: “Alla fiera della vanità/ un viados comprava / caramelle alla fragola per suo figlio./ Io le presi al limone    (Verità talmente vere …)  o, ancora, come dura presa di coscienza che anche la bellezza e il profumo di un fiore possano nascondere un seme di tristezza: “Ho odorato ancora il fiore /accorgendomi che esalava tristezza/ e bisogno d’amore” (Il fiore giallo). Anche “un gatto senza coda/ (che) correva baldanzoso/zampettando felice” può aprire finestre di una trattenuta, o del tutto inconsapevole, malinconia.

Ed è un amaro rigurgito di sconforto e sofferenza osservare che: ”I bambini giocavano addolorati/ fra le pozzanghere nere/ senza fine”.

(Polvere e sangue) mentre il divino si piega sull’umana violenza incapace di redimerla per cui si abbandona al più umano dei sentimenti: il pianto “e Dio piangeva a fiumi,/genuflesso sui carboni ardenti.”.       (Ritornato sei !)  La grande sensibilità umana di Spurio si allarga e avvolge, in un abbraccio fraterno, i tanti profughi che affrontano le insidie del mare per fuggire da un mondo per loro inospitale.

Si emoziona il poeta a vedere “Polpastrelli dalle impronte/ slavate dal mare/ e stinti per sempre/ (che) affioravano ora qui, ora là” (Ora qui, ora là) o come ne (Il laido timoniere) , dove un maldestro e incosciente Capitano provocò per una errata manovra, il ribaltamento della nave e la morte di moltissimi giovani studenti in gita scolastica.

Da composizione a composizione, di verso in verso, l’autore snocciola pene e misfatti che sconvolgono l’umanità finché l’annoiata Atropo non decide di tagliare “senza pietà”  il filo della vita.

Si chiude, a questo punto, il canto amaro e realistico di Lorenzo Spurio che, avvalendosi di un linguaggio scarno ma sommamente efficace e di uno sguardo intellettivo penetrante e rivelatore del male nel cui Humus trovano nutrimento le radici di una umanità spesso disorientata e allo sbando, ci racconta dell’uomo e del suo viaggio.

Solo uno sguardo chiaro sull’esserci e un atto d’amore verso il “terreno” che ci sostiene e ci nutre, può rigenerarci.

“M’inginocchiai e baciai la terra / chiedendole scusa; /impastai terriccio e saliva/ e nel mentre dall’alto/ una pioggia acuminata/ m’infilzò dappertutto/ e mi rigenerò.” (Colloquio). Il poeta, e quindi la Poesia, riproduce in piccolo l’atto creativo di Dio.

 

Giovanni Chiellino

15-10-2014   

“La battaglia si vince solo intentandola”. Manuela Marino su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

“La battaglia si vince solo intentandola”

Commento di Manuela Marino a Neoplasie civili di Lorenzo Spurio

Edizioni Agemina, Firenze, 2014

 

Caro Lorenzo,

 

ti ho letto con molta partecipazione, concedendomi tutto il tempo prezioso per una lettura continua, direi ravvicinata e costante, di  una poesia dopo l’altra, come una full immersion nella tua poetica per me nuova, sia ragionando a livello tematico sia calandomi completamente nell’atmosfera fortemente evocata dai termini. Devo dirti che in questa raccolta c’è un bel continuum sia “ideologico” in senso positivo, sia di stile. Questo è importante e funziona anche nell’insieme, che risulta ben omogeneo, cosa non sempre facile con poesie scritte in periodi diversi e sulla spinta di eventi reali differenti. Eppure, molti sono i fatti, una la voce. Bravo.

Altra cosa che balza subito all’occhio è la concretezza ma non prosaica del tutto. Ciò che la parola divenendo poetica mostra e ben fonde, coniugando immagine e pensiero: non plastica descrizione fine a se stessa, non solo concetto o cerebralità.

Così il tuo cammino nel mondo, non da uomo insensibile né da intellettuale in cattedra, è quello del poeta civile nella sua vera accezione e, dovrei dire, spesso eccezione. Non c’è provincialismo, la terra che si “bacia” a partire dalla propria va ben oltre con l’universalità del messaggio poetico; Turchia, Egitto, Ucraina, ma anche Francia, Inghilterra, Venezuela etc., perché la cronaca, come accade alla propria biografia, possa essere testimoniata nell’impatto emotivo di chi la vive e rendercela in questa “visione parlata”e “sciolta” dei versi.  Che cos’è la poesia se non il tormento di una interpretazione sempre in cerca di oggettività, di universalità, anche e proprio se nulla è più soggettivo della parola poetica? Questo sentire che anela, talvolta contro se stesso, ad una verità: “Mi fingevo altro da me” e “Decisi di (…) darmi in pasto;/ m’abbeverai ad una fonte putrida” e, ancora, “ma ora ricerco una via unica”.

copertina-Lorenzo-Spurio-weQuesto piacere del vero o “dell’onestà”, per dirlo con Pirandello, che condivido e che ci accomuna, poiché il sentire anela sempre ad una verità, magari cruda, magari smascherata o sviscerata, eppure ancora esistente da qualche parte nel caos dentro l’uomo, o “nelle strade tra polvere e odio”… E per questo ancor più di vitale importanza, nel suo carattere universale.

Il poeta è forse per sua indole perennemente in una sorta di esilio, non di meno nella parola che lo rende continuamente funambolo su una eterna linea di mezzo o di confine, tra detto e non, tra potere evocativo e simbolico e istinto di significazione.

Io amo dire che ogni poeta è un po’ Cyrano di se stesso e fa continuamente la spola tra se e se, così come tra se e la realtà, per trovare la giusta espressione di ciò che sente…

In questa bella raccolta l’assalto condivisibile, (non confonda talvolta la musica melanconica che lo accompagna e che è un po’ il tuo “cor gentile”, la tua “educazione sentimentale”), l’attacco-difesa nei confronti di ciò che si vede e si vive, anche tentando lo straniamento, è la forza palpabile di questi versi, dove persino l’uso dell’imperfetto (che in genere io non prediligo) non precipita nella prosa dunque nella passività di qualcosa già accaduto, poiché l’uso pertinente dei vocaboli, la scelta di termini e di sofferta aggettivazione quasi “espressionista”, ne rende intatta la pulsazione come al presente.

Infine, ma si potrebbe continuare, che “strilli” pure l’inchiostro, che resti per fortuna “indomito” sempre contro il “non detto” (tema a me tanto caro), contro le “domande senza risposta”, le “occhiate ingannevoli”, o ancor peggio contro i “neuroni sfatti” e i “fantasmi purulenti” del nostro vivere così alterato, confuso in “specchi rotti”, costretto in “tenebre infamanti presto metaforizzate  in violenza”. Ma sì, certo, che parli la voce, pur rimettendosi sempre in discussione, non più silenzio, “non più favole”, non più “inciuci dorati all’ombra del Palazzo/ non lontano dai vicoli/ degli osti sguaiati./ Ipocrita cucina casereccia”. E dove si “de-moralizza” (si toglie anche etica) il “tragicomico della vita d’oggi, passando per la farsa e riducendo tutto in burletta”…

Ecco tutto ciò il poeta lo sa dire in versi senza farlo morire inesorabilmente. Sono versi di limpida potenza, scritti anche se “la caffeina” è ormai “pietrificata”, i vetri “appannati” come occhi di madri cui “il pianto non trova fine” o anime che sudano freddo. La pioggia è “solforica”, il fumo “canceroso”, l’intonaco è “fradicio della recente pioggia” e sembra “una spugna di sangue”, il fango si fa “cemento” e persino il sole non tramonta ma sembra oscurarsi lasciandosi andare,  “sviene” si dice. Ma noi siamo ancora sicuri che “la battaglia si vince solo intentandola” e portando all’occhiello il “fiore giallo” della poesia, che una volta colto emana la sua essenza esattamente come si esala un un ultimo nobile respiro, ma nella certezza che la parola poetica non sia mai vana né per chi la scrive né per chi la legge  e, riuscendo a sentirla, assorbendola, se ne nutre.

Già sai cosa penso della copertina, con questa bella idea del binario che finisce nel mare la sua corsa, il che non occorre spiegare, credo, parla veramente da se. Mentre un’ultima parola voglio spendere volentieri sul titolo, che trovo veramente appropriato, la sintesi perfetta di ciò che è all’interno. Occorre tagliare i rami secchi, come nella Bibbia si dice “Un fico che non porta frutto va tagliato” etc. mi pare Luca. Sono dolorosissime amputazioni, neoplasie addirittura di interi organi  o sistemi, divenuti cancrena della nostra società e della nostra esistenza, ma, lo sai bene, è proprio verso questo “appuntamento” non solo possibile ma immancabile che tende la “civile” arma della poesia.

Davvero complimenti.

 

Manuela Marino

Marzia Carocci su “Neoplasie civili”, silloge poetica d’esordio di Lorenzo Spurio

“Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

Agemina Edizioni, Firenze, 2014

Recensione a cura di Marzia Carocci

copertina-Lorenzo-Spurio-weNessun titolo, poteva essere più indicativo di questo: “neoplasie civili”, tumori e metastasi di una civiltà malata, contorta, deviante.
Lorenzo Spurio, attraverso questo suo itinerario poetico, mette in evidenza l’osmosi di un tempo dove l’umano è fautore dell’errore, del male, dell’ingiustizia.
Ogni sua lirica ci indica quelle piaghe che rendono il nostro modo di vivere, cicatrici di egoismi e di soprusi, di illegalità e di crudeltà.
Spurio non si allontana mai da una verità che al lettore può far male perché vera e vissuta come spettatori di un tempo fuorviante dove non c’è spazio per l’onestà, per la solidarietà e per la comprensione.
L’uomo si inerpica da sempre per predominare e da sempre si concentra su l’ egocentrismo dove mai da spazio al sentimento se questo non fa parte del proprio io, anzi schiaccia il debole, il dimenticato, l’emarginato.
Lorenzo Spurio sottolinea con pathos di forte coinvolgimento, gli eventi del nostro tempo facendone cronache/poetiche dove la parola ben scelta, avvalora ed esalta le particolarità, sia che si tratti di razzismo, di guerra, d’immigrazione, di violenza, di pedofilia, di mala/politica; egli non abbassa mai il proprio rammarico, anzi, lo urla, lo intensifica, lo evidenzia attraverso un linguaggio poetico dove la metafora porta in alto l’essenza di un pensiero ben ancorato che piano piano, attraverso un’attenta lettura, entra nel nostro stesso corpo dove la rabbia, l’impotenza e la vergogna ci fanno partecipi e spettatori di un mondo che ci appartiene e che si ritorce contro noi stessi attraverso quella freddezza che è ormai diventata parte del nostro vivere quotidiano. Le poesie di questa silloge, parlano e rigettano quelle neoplasie che si estendono a macchia d’olio dove l’uomo ha ormai deciso di sopraffare e di stuprare ogni bene, ogni giustizia, ogni buona causa; cancri maligni che bruciano ogni cellula di costruzione, di pace, di condivisioni sociali dove il potente decide e l’ultimo, il diverso, l’umile, si piega .
Lorenzo Spurio, non è solo un buon narratore ed un ottimo critico letterario, ma un poeta che dell’idioma coglie l’importanza e ne fa mezzo d’informazione mantenendo comunque, l’emozione e la sensibilità che è parte di un cammino letterario/ poetico stesso.
Una lettura che si fa riflessione, analisi e ragionamento dove la poesia parla, informa e diventa forza e stimolo ad un cambiamento, ad una rivoluzione pacifica ma allo stesso tempo incitazione a una ribellione di pensiero, di metamorfosi affinché vi sia positivo cambiamento e che ciò diventi cura dell’uomo e dei suoi mali dove ogni neoplasia si sciolga e si disperda per sempre! 

Marzia Carocci

 

Firenze, 21-09.2014

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