N.E. 02/2024 – “Alba struggente”, poesia di Annella Prisco

Dimensione sospesa nell’attesa,

bagliori di stelle cadenti,

metafora di sogni per sempre infranti.

Un addio senza se e senza ma,

l’ineluttabile cavalca il palcoscenico.

Dalla fessura di un uscio sulla vita

pochi, vaghi sprazzi di flebile luce,

e il silenzio dominante

di un rimpianto senza confini,

la mente tristemente s’annebbia,

tra effluvi lontani e schegge di rabbia,

in una sinfonia di ricordi

riporta la mente ai primordi.

Il flusso inarrestabile della Vita

prosegue il suo andamento sordo,

ignaro, indifferente, beffardo,

in un alternarsi ritmico di ore e momenti,

estranei al dramma e agli eventi.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 01/2023 – “Quando una lingua non basta: Beppe Fenoglio e “La malora””. Saggio di Dario Pasero

Il 1° di marzo del 1922 nacque ad Alba (Cuneo) Beppe Fenoglio, il quale, nella seconda metà degli anni ’30, frequentò il locale ginnasio-liceo classico[1], dove, tra gli altri insegnanti, si trovò particolarmente a suo agio con la docente di inglese Maria Lucia Marchiaro. Delle lezioni di letteratura inglese durante gli anni ginnasiali egli ricavò non solo modelli linguistici, ma anche morali, così come possiamo ricavare dalle sue stesse opere, in cui uno dei riferimenti a lui più congeniali è la storia inglese del secolo XVII, rinvenibile in filigrana sia nella scelta del soprannome partigiano di Milton, che egli scelse per il protagonista di vari suoi racconti, sia nella figura emblematica di un round-head[2], cioè un soldato dell’esercito repubblicano di Oliver Cromwell, cui egli si paragona spesso[3].

Dal punto di vista linguistico, invece, l’eredità più evidente lasciatagli dallo studio dell’inglese è – come si sa – la presenza, massiccia ed invasiva talora fino al parossismo, di termini inglesi intercalati, con estrema nonchalance dovuta alla padronanza assoluta dello strumento linguistico, nel tessuto lessicale italiano del testo del romanzo Il partigiano Johnny[4], in cui la presenza di una sorta appunto di “sostrato” inglese ha fatto sì che l’attenzione sulla lingua dell’autore si concentrasse sui rapporti italiano-inglese, tralasciando (almeno in parte) il rapporto tra quella che doveva essere la lingua materna fenogliana, cioè il piemontese (sia la koinè che nella sua variante langarola)[5], e quella imparata sui banchi di scuola, cioè l’italiano.

La lettura dei testi fenogliani[6] ci presenta infatti una presenza continuativa di piemontesismi, sia (soprattutto) lessicali sia sintattici e fonetici, oltre ad un discreto numero di forme idiomatiche, presenti in maggior misura nelle parti dialogate, ma tuttavia non del tutto assenti anche in quelle narrative o descrittive. Certamente troviamo una maggior quantità di voci piemontesizzanti in testi ambientati nell’alta Langa e narrati in prima persona e/o con molte parti dialogate, come La malora[7], mentre più rare tali voci sono in testi o ambientati ad Alba (o con protagonisti comunque cittadini) oppure – dal punto di vista narratologico – che prevedano un narratore esterno.

1. Fonetica

Un solo esempio, nella Malora, di fenomeno fonetico piemontese: bei stupidi (406), adattamento del piemontese bej stùpid[8].

2. Lessico

Si collocano in questa categoria sia a) prestiti o calchi di parole piemontesi, solamente traslitterati in italiano, sia b) termini che, pur esistenti anche in italiano, sono tuttavia da Fenoglio usati in un’accezione peculiare del piemontese, differente rispetto al loro uso in lingua.

a)

bricco (brich): collina, altura, anche in senso metaforico “gran quantità” (cfr. it. “montagna di…”), un bricco di cose (397); cabalizzare (gabolisé): ipotizzare, indovinare (393); cadreghino (cadreghin, diminutivo di cadrega, “seggiola”): seggiolina (410); cascinai (cassiné): proprietario o conduttore di cascina (419); censa (censa): privativa di tabacchi (372); chiabotto (ciabòt): casetta rustica (407); corba (còrba/gòrba): cestino (381); diffizioso (difissios): diffidente, difficile da accontentare (398); disgenato (dësgenà): non imbarazzato (400) e, al contrario, genato (genà: imbarazzato; 412) e genava (dal verbo gené; 419); droganti (drogant): imbroglioni (392); frusto (frust): consumato (410) e sono frustato (sono consumato, dal verbo frusté; 425); lingeria (lingerìa): biancheria (423); macello gentile (masel gentil): macelleria, specificamente di vitelli (372); paglione (pajon): pagliericcio (379); partitante (partitant): compagno di gioco, di partita (405); paste dolci (paste dosse): pasticcini (405); pelandracce (plandrasse): sfaticate (usato come peggiorativo di plandra, pelandrona) stroppo di pelandracce (374); penduto (pendù): appeso (420); piumarli (piumé): spennarli, usato in senso metaforico (392); porrata (porà): termine di cui l’autore stesso dà nel testo la spiegazione[9] (434); rubarizio (robarissi): furto (409); sbardati (sbardà/sbardlà): dispersi (421); schiavenze (s-ciavensa): cura di un podere d’altri (431); schivare/schiviare (schivié, ed anche nella forma riflessiva schiviesse): mettere da parte, farsi da parte (riflessivo) schivarmeli (“mettermeli da parte”; 371) schivai un po’ di soldi (“misi da parte”; 429) oppure ancora “evitare, tenere lontano” se potevo schivarlo lo schivavo (419); sfisonomiata (nell’espressione “la voce… sfisonomiata”; [dë]sfusumià): alterata (425) ed allo stesso modo lo sfisonomiava (“gli storceva i lineamenti”, dal verbo dësfusumié; 405); smangiate (smangé): corrose, sfilacciate (410); stanchità (stanchità/strachità): stanchezza (408); si stortagnavano (stortagnesse): si contorcevano (408); stracco (strach): stanco (374); stroppo (strop): gregge, mandria (e per traslato: gruppo) stroppo di pelandracce (374); svegliarino (dësvijarin): sveglia (410); sversa (nell’espressione “anima sversa”; svers): sconvolta (399); tiretto (tirèt): cassetto (423); travata (travà): trave centrale (378).

b)

abbrancata (brancà): attaccata (401); andare (nel nesso “far andare”; fé andé): lavorare la terra far andare la terra (398); arrangiare (nell’espressione: “t’arrangia lo stomaco”; rangé): sistemare, mettere a posto (401); arrembarsi (arambesse): avvicinarsi ci si arrembarono (396); ascoltare (scoté): ubbidire (392); avanzare (vansé): evitare o risparmiare avanzare lo zolfino (373); battere (nell’espressione “battere i mercati”; bate ij mërcà): vendere al mercato (372 e 376); i bracci (ij brass): le braccia (375); budelle (buele): budella (380); buon’ora (bonora): presto (383); cimentarsi (cimentesse): stuzzicarsi, darsi fastidio si cimentavano (396); comandare (comandé): ordinare (usato in genere all’osteria) comandai una bottiglia (436); comprare (caté [na masnà]): partorire (423); contentare (contenté): accontentare mi contenta (377); cuciniera (cusinera): cuoca (389); fardello (fardel): corredo da sposa (387); figlio (specialmente nella formula “un bravo figlio”; fieul/brav fieul): ragazzo[10] (400), oltre che anche “figlio”; forgiare (forgé), usato come intransitivo: essere fatto in certo modo, pensarla in un certo modo ero forgiato (383); garretti (nell’espressione: “giù fino ai garretti”; garèt): talloni (395); gesto (gest): azione, fatto (specialmente in senso negativo) che gesto (395); giornata (giornà): misura terriera piemontese, equivalente a 3.810 m2 (379); giuntare (gionteje): rimetterci ci avrei giuntato (402); governare, solo nell’espressione “governare le bestie” (goerné le bes-ce): accudire alle vacche (430); incamminare (ancaminé), usato in forma transitiva: cominciare incamminargli il discorso (402); incontrare, usato in forma intransitiva assoluta (ancontré): avere fortuna non incontriamo (418); mancare (manché): (eufemistico) morire era mancato (371); mischiare (mës-cé): nell’espressione “mischiare un mazzo di carte” lo mischiava (404); naturale (natural): carattere (388); onta (onta): vergogna non ti piglia l’onta? (381) si lasciò prender dall’onta (432) e così l’aggettivo ontosa: vergognosa (405); originale (original): strambo (417); particolare (particolar): piccolo proprietario agricolo (387); partita (partìa [’d gent]): gran quantità, numero; nell’espressione “una partita di…” una partita di gente (404); pastura: il pascolare in pastura (374); perdonare (përdoné): condonare, lasciar perdere stasera ci perdonate il lume (405); pertugio (përtus): buco (386); pilone (pilon): edicola votiva campestre (407 e 428); ramazzare (ramassé): letteralmente scopare, ma usato col valore traslato di raccogliere, prendere tutto, far piazza pulita ramazzava la posta (404); riva: costa, fianco (di una collina) la riva da legna (373); rocca (ròch/ròca): masso, macigno (401); scorciare (scursé): accorciare scorciato i capelli (377); scuro (scur): sera (nella locuzione a scur: a sera) a scuro (372); servente (serventa): serva, domestica (383); servire (serve/servì): essere servitore (in campagna) avevano già servito (377); slargare (slarghé/slarghesse): spargere si slarga la voce (410); soffrire, transitivo e in espressioni in genere negative (sufrì/seufre): sopportare non poteva soffrirlo (419); solette (nell’espressione “far solette”; fé solëtte): fare la calza (426); spesso, come sostantivo: l’insieme ammassato di qualcosa lo spesso delle case (382); spogliare, nell’espressione “spogliare la meliga” ([dë]speujé): sfogliare il granoturco (dëspeujé la melia; 419); studiare (studié): pensare attentamente, riflettere o cercare una soluzione lasciami studiare (399); svariare, usato come intransitivo pronominale (svariesse): divertirsi (412); taglie (taje): tasse pagare le taglie (373 e 378); tempesta (tampesta): grandine (378); tirare, nell’espressione “mi sentivo tirato verso”; essere attratto (406); tossico (tòssich/tòssi): veleno (380); uomini (òm/òmini): mariti (389); inoltre l’espressione buonuomo per “sempliciotto, ingenuo, poco furbo” (407); vegliare (vijé): nel senso specifico di “si faceva la vijà (veglia) nella stalla” (398); verga (vërga): fede nuziale (387).

Sintassi

In particolare notiamo l’uso dei pronomi, quello delle reggenze verbali, ed alcune costruzioni sintatticamente diverse da quelle italiane, alcune delle quali – invero – potrebbero anche essere registrate nell’elenco, successivo, delle forme idiomatiche.

da me solo: da me (372; da mi sol); non me ne sarebbe fatto niente: importato (380; a sarìa famne gnente); mentre che ero: mentre ero (382; mentre ch’i j’era); tanta di quella gente: così tanta gente (383; tanta ’d cola gent); della meglio: della migliore (387; dla mej); niente del tutto: assolutamente niente (390; nen d’autut); con tutto che: per quanto, benché (394; contut che); con più niente da dire: senza nulla più da dire (398; con pì nen da dì); né di sì né di no: né sì né no (400; che ’d si e che ’d nò); guardava di storto: guardava storto (400; dë stòrt); da raro: raramente, di rado (402; da ràir); dirmelo amico: considerarlo amico (404; dimlo amis); lungo questa settimana: durante (405; arlongh costa sman-a); discorrergli insieme: parlargli (407; ciaciareje ’nsema); ce n’è almeno mezzi più indietro di me: c’è almeno la metà meno bravi di me (412; a-i n’j’é almanch mesi); per nostro conto: per conto nostro (416; për nòst cont); né più né meno che te: di te (417); aveva solo fatto che prendere: non aveva fatto altro che… (419; a l’avìa mach fàit che); non si sentiva più che chiamare: si sentiva solamente chiamare (420; as sentìa mach pì ciamé); esserci al caso: essere nel caso in cui (420; esse al cas); fin passato: fin oltre (420; fin-a passà); il più su che arrivai: il punto più alto a cui… (421; ël pì sù ch’i son rivaje); a mio povero figlio: usato senza l’articolo determinativo (438; a me pòvr fieul).

Forme idiomatiche ovvero modi di dire tipici del parlato quotidiano

sia scesa alla mira di: sia arrivata al punto di (372) e siamo a una buona mira: siamo ad un buon punto (379); in mira ai figli: di fronte ai (380) e alla mira degli altri, all’altezza degli altri (383); si viene a una mira che: si arriva ad un punto che (409)[11]; col cuore in bocca: col cuore in gola (373); Braida: uso del cognome, da parte della moglie, per indicare il proprio marito (374 e 423: Rabino); con del buon tempo: tempo da perdere (374; ëd bontemp); tirò un numero: andare di leva (374; tiré ’l nùmer); in paga: in contraccambio, in ringraziamento (375 e 421; an paga); il mazzo ce l’aveva sempre lui: era sempre al centro dell’attenzione, teneva sempre banco (375; avèj ël mass an man); uno scudo: moneta da 5 lire (375); le dava dei nomi: la insultava (376, dé dij nòm/nomass) e mi caricavi di nomi: di improperi (423); alla larga nel bosco: libero (377), mi diede la larga: mi lasciò libero (384) e diede la larga: liberò (420; dé la larga); bestemmiare un’esagerazione: moltissimo (381); sotto il grano e sotto l’uve: al tempo del raccolto del… (381); c’è posto che: può darsi che (381); alzargli gli occhi in faccia: guardarlo in faccia, negli occhi, sfidarlo (384); o assassino: disgraziato, usato come insulto (384, ah sassin!); per quattr’ore: per le quattro (384; quatr ore); allungato le gambe sotto una tavola: mettersi a pranzo, in genere nelle feste (387; slonghé le gambe sota la tàula); cos’aveva visto: cosa le era capitato (390; cò a l’avìa vist); ci faceva basta: ci bastava (392; a fà basta); gli aveva dato sul cuore: danneggiato il cuore (394; dé an sël cheur); il tempo s’era girato: era cambiato (396; ël temp a l’era virasse); dare i due botti: suonare le due (398; dé ij doi bòt); le case in faccia: di fronte (398); le disse tutto attaccato: tutto di seguito (399; tut tacà); parlato del vento e della pioggia: del più e del meno (400; dël vent e dla pieuva); m’aveva attaccato una festa: aveva parlato male di me (404; taché na festa); non c’è nessun confronto: non c’è paragone (405; pa gnun confront); della mia leva: mio coscritto, coetaneo (406); assaggiarlo bagnato nell’olio: averci a che fare sempre (407; tastelo bagna ’nt l’euli); con la pancia lunga: dover attendere quando si ha fame (411; avèj la pansa longa); di sua scienza: di testa sua, con la sua esperienza (414; ëd soa siensa); toccarlo nei soldi: toccare negli affari o costringere a pagare o ancora chiedere un prestito (415; tochelo ant ij sòld); allegro: modo di salutare (415; alégher!); una faccia mezzo e mezzo: così così (417; mes e mes); madame di cascine: signore cascine (418); avevano più caro: preferivano (419; avèj pì car) e ho più caro (427); venivo su a once (probabilmente altra grafia per a onge, cioè “a unghie”): a piedi (421); passata sul raspo: alla meno peggio, alla lontana (426; calco per passà sla rapa); che metà bastavano: che erano fin troppe (427; la metà a vansava); non era fuori del caso: non era impossibile, strano (428; pa fòra dël cas); mi tiravano le satire: mi prendevano in giro (434; am tiravo ’d sàtire).


[1] Intitolato al generale e uomo politico Giuseppe Govone (1825-1872).

[2] Letteralmente “testa rotonda”: così erano popolarmente chiamati i soldati di Cromwell in quanto, in opposizione alla monarchia ed alla nobiltà, non portavano la parrucca.

[3] Sappiamo che Fenoglio tradusse alcune parti, per proprio interesse, della biografia di Cromwell dall’edizione inglese di Charles Firth (1857-1936), edita nel 1900. Inoltre, acutamente Davide Lajolo intitolò proprio Un guerriero di Cromwell sulle colline delle Langhe la sua biografia dello scrittore albese, che avrebbe certo voluto essere «un soldato di Cromwell con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla», come ci rivela il suo amico e maestro Pietro Chiodi, suo professore di filosofia al liceo.

[4] La presenza di termini inglesi inseriti nel fluire della narrazione aveva fatto ipotizzare ad alcuni critici che tale romanzo, nella sua interezza o almeno in molte sue parti, fosse stato concepito direttamente in inglese, e poi tradotto in italiano, lasciando tuttavia alcuni relitti inglesi al suo interno. Tale ipotesi è stata poi confermata da un frammento, edito col titolo di Ur-Partigiano Johnny, di alcuni capitoli del romanzo scritti direttamente in inglese.

[5] Le vicende storiche e socio-linguistiche del Piemonte hanno fatto sì che nella regione, oltre alle varie forme dialettali locali (nel caso di Fenoglio il langarolo), si costituisse una koinè sovraregionale, in pratica coincidente pressoché del tutto col torinese. Tale koinè era, almeno fino a circa 70/80 anni orsono, compresa (e spesso anche usata) anche da coloro che normalmente usavano nel loro parlare quotidiano la loro forma dialettale locale. Questo doveva essere il caso di Fenoglio, così come di quasi tutti gli abitanti borghesi delle principali città e cittadine (come Alba) del Piemonte.

[6] L’opera omnia di Fenoglio è stata edita in Opere (ed. critica diretta da M. Corti); Torino (Einaudi) 1978. Vol. Primo (Tomo i): Ur-Partigiano Johnny [Ur] (a cura di J. Meddemmen); (Tomo ii): Il partigiano Johnny [PJ] (a cura di M. A. Grignani); (Tomo iii): Primavera di bellezza [PB]; Frammenti di romanzo [FrR]; Una questione privata [QP] (a cura di M. A. Grignani); Vol. Secondo: Racconti della guerra civile [RGC i-vii]; La paga del sabato [PS]; I ventitré giorni della città di Alba [VGA i-xii]; La malora [M]; Un giorno di fuoco [GF i-xii] (a cura di P. Tomasoni); Vol. Terzo: Racconti sparsi editi e inediti [RS]; [Quaderno Bonalumi; QB]; [Diario; D]; Testi teatrali [T]; Progetto di sceneggiatura cinematografica [Sc]; Favole [F] (a cura di P. Tomasoni); Epigrammi [Ep] (a cura di C. M. Sanfilippo). Le citazioni in questo nostro lavoro sono fatte seguendo tale edizione.

[7] Proprio per tale motivo ci siamo limitati, per ora ed in questa sede, ad affrontare, segnalando sempre la pagina secondo l’edizione einaudiana di riferimento, il testo della Malora, quale opera più fortemente “piemontesizzante”, rimandando ad altro momento l’analisi di altri testi narrativi fenogliani. Sulla lingua di questo breve romanzo si veda anche B. Villata, La langue de la malora, in “L’Arvista dl’Academia” vii (Luglio-Settembre 1997), pp. 29-46.

[8] Anche nelle altre opere i casi sono rarissimi. Segnaliamo solamente, a mo’ d’esempio, dei zolfini (RGC I [I 23 giorni della città di Alba], pag. 13): non esistendo in piemontese il suono della z italiana, esso viene sostituito da quello della s sonora.

[9] «che è una traccia di porri e meliga che si semina verso la porta di chi è stato lasciato da una donna nel giorno che lei si sposa con un altro». Il dizionario di G. F. Gribaudo (Dissionari piemontèis; Torino 19963) alla voce porà recita “minestra di porri”, mentre alla voce povrà (facendola derivare però da póver, “polvere”) ci dice “striscia di crusca che si spingeva fin sulla porta di chi era stato rifiutato in matrimonio”.

[10] Lo stesso per il femminile fija: “ragazza” oltre che “figlia”.

[11] Tutte queste forme originano dal valore del termine mira: “punto, altezza, riferimento, segno” (cfr. Gribaudo, cit., s. v.).

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A Ian McEwan il Premio Bottari Lattes Grinzane 2017

Al noto scrittore britannico Ian McEwan è stato conferito il Premio la Quercia “Mario Lattes”, all’interno del Premio Bottari Lattes Grinzane, edizione 2017. La premiazione si terrà al Teatro Busca di Alba venerdì 13 ottobre durante la quale l’autore, noto per Il giardino di cemento ed Espiazione, terrà una lectio magistralis.

Ian McEwan è nato ad Aldershot nel 1948. È considerato uno dei maggiori scrittori della letteratura inglese e mondiale. Ha esordito negli anni ’70 con le raccolte di racconti Primo amore, ultimi riti e Tra le lenzuola. Numerosi i romanzi tra cui vanno ricordati Il giardino di cemento (1978), Cortesie per gli ospiti (1981), L’amore fatale (1997), Espiazione (2001) sino ai più recenti Solar (2010), Miele (2012) e Guscio di noce (pubblicato nel 2016 in Inghilterra e in Italia nel 2017). Copiose le attestazioni della critica, letteraria, giornalistica e accademica, sulla sua intensa attività letteraria e il consenso del pubblico. Tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Einaudi. In Italia si è occupato di lui in maniera particolare il critico letterario Lorenzo Spurio che gli ha dedicato varie monografie: Flyte & Tallis (2012), Ian McEwan: sesso e perversione (2013), Il sangue, no. L’aporia della vita ne ‘La ballata di Adam Henry’ (2015).

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Fonte foto: The Telegraph

La Commissione di Giuria del Premio Bottari Lattes Grinzane, edizione 2017 ha inteso conferirgli il Premio con la seguente motivazione: «Dal suo esordio a metà degli anni Settanta fino a oggi, attraverso una quindicina di romanzi e diversi volumi di racconti, Ian McEwan, si è imposto come uno dei più importanti e letti scrittori europei contemporanei. Dotato di una proprietà ed eleganza di scrittura oggi non consuete, capace di ricostruire anche stilisticamente le situazioni più diverse, McEwan è narratore di vasta, varia e viva immaginazione, che spazia dall’attualità al recente passato, dalla realtà alla fantasia, dal tragico al comico, e si muove nei più diversi formati: romanzo, racconto, libri per bambini (L’inventore di sogni). In ogni romanzo e racconto McEwan assume una postazione narrativa particolare (sino all’incredibile feto narrante dal linguaggio shakespeariano del recentissimo Nel guscio), o fissa lungamente un dettaglio eccezionale, imprevedibile, drammatico (la mongolfiera che si alza in volo trascinando con sé un bambino e chi cerca di soccorrerlo, un aereo che sembra precipitare…), spesso spaventoso (la bambina che scompare al supermercato, l’incontro con i cani neri) e da questa angolazione speciale costruisce le sue storie, che padroneggia con lucidità e maestria, frutto di accurata documentazione storica e di impeccabile lavorazione stilistica. La vivacità e l’eleganza narrativa di McEwan non sono però fine a se stesse, ma sono la cifra morale da cui questo acuto osservatore della realtà si rapporta al nostro tempo, soprattutto alle sue ossessioni e alle sue crisi, alla sua banalità e alla sua malvagità, ai suoi modelli culturali e ai suoi stereotipi sociali, con invenzioni letterarie che sono anche limpide e persuasive analisi saggistiche. McEwan è tanto un grande narratore, uno dei massimi del nostro tempo, quanto un acuto e impegnato interprete (nell’opera e nella vita) della contemporaneità. Per tutte queste ragioni la giuria è stata unanime nel conferirgli la Quercia del Premio Bottari Lattes.» (Vittorio Coletti, membro della Giuria Tecnica)
Le precedenti edizioni della Quercia sono state vinte da Amos Oz (2016), Javier Marías (2015), Martin Amis (2014), Alberto Arbasino (2013), Patrick Modiano (2012) Premio Nobel 2014, Enrique Vila-Matas (2011). Il vincitore della sezione La Quercia otterrà un premio di 10.000 euro.

La Giuria Tecnica del Premio Bottari Lattes Grinzane è formata da: Gian Luigi Beccaria (presidente), Leonetta Bentivoglio, Valter Boggione, Vittorio Coletti, Giulio Ferroni, Laura Pariani, Enzo Restagno, Alberto Sinigaglia, Marco Vallora.

Il Premio Bottari Lattes Grinzane è organizzato dalla Fondazione Bottari Lattes, con il sostegno di: Mibac, Regione Piemonte, Fondazione CRC, Banca d’Alba, Città di Cuneo, Comune di Alba, Comune di Grinzane Cavour, Comune di Monforte d’Alba, Cantina Terre del Barolo, Enoteca Regionale Piemontese Cavour, Banor, Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba.

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