La seguente intervista è rivolta a Guido Oldani, padre del realismo terminale, che ha fondato nel 2010 con il suo noto libricino Il Realismo Terminale edito da Mursia. Il testo teorico segue comunque la raccolta il Cielo di lardo, edito da Mursia che già poeticamente esprime la sua poetica, che pare essere quella dominante nel terzo millennio. Secondo quanto dice Amedeo Anelli, nella relativa scheda, presente nel blog Presidio poetico, ed in attesa di stampa, il RT di Oldani è già ravvisabile nel suo primo libro Stilnostro (1985 ed CENS prefazione G. Raboni).
La sua poesia e il suo dettato è noto a livello internazionale, dagli Stati Uniti dalla Repubblica Popolare Cinese. Ma veniamo alla spiritualità, dimensione che Oldani non solo fa propria, ma la articola al punto di avere dato alle stampe il corposo testo E hanno visto il sesso di Dio – testi poetici per agganciare il cielo, per l’editore Mimesis significativa raccolta che l’italianista Daniele Maria Pegorari giudica addirittura come la più rilevante nella traiettoria poetica di Oldani.
L’autore è bene noto a questa rivista essendo egli stato insignito del premio alla carriera del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” organizzato dall’Ass. Culturale Euterpe APS di Jesi (AN) in seno alla quale la rivista trova collocazione.
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Proviamo ad affrontare di petto la questione chiedendogli cosa sia la spiritualità:
La spiritualità è l’oltre confine della materia o della natura stessa della quale fa parte anche la nostra vicenda corporale. Naturalmente se ne può anche negare l’esistenza, ma questa negazione sarebbe comunque un atto di fede non essendo dotata di nessuna prova tangibile o teorica che sia. La spiritualità è l’inevitabile uscita di sicurezza dalla bottega dell’esistenza che, per quanto la si lucidi adeguatamente, finisce sempre con il ritrovarsi in una sua propria banalità, la banalità appunto della bottega. Ma vediamo di dirlo meglio, darei la seguente definizione: essa è come un trattore che spicchi un prodigioso volo. Egli così come gli astanti, pensano che lui stia nuotando. Questa dimensione dell’oltre, apparentemente fumettistica, rappresenta a mio avviso adeguatamente l’oltre reale o meglio ancora, l’oltre del pratico. Incomincia da questa rappresentazione molto terrestre il filo di fumo di una incontenibile vicenda, che fa parlare di sé da millenni, come una calamita che promuove il decollare dei nostri poveri aerei praticoni della corporale quotidianità.
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Secondo lei c’è una reale differenza tra il termine spiritualità e quello di religiosità oppure sono la stessa cosa o analoghi?
Certo sono espressioni che si richiamano, ognuna rinviandosi all’altra che le è parente. Penso che la religiosità sia una vicissitudine spirituale che si viene a dotare di una forma propria, un po’ come paragonare un blocco di marmo di Carrara con il David di Michelangelo: uguale sostanza con esito differente. Mi verrebbe da dire che la spiritualità è più ampia, come la verità è più ampia dell’evidenza, ma subito dopo mi sento di rovesciare l’affermazione e cioè se è vero che la spiritualità contiene il religioso è pur vero che quest’ultimo elemento contiene la spiritualità. Mi verrebbe ancora da citare il verso dantesco, nel Paradiso, la famosa espressione “Figlia di tuo figlio”. Ancora come se dicessimo che il tempo è fatto di giorni ma questi sono composti dal tempo. Siamo in presenza di due specchi che si riflettono a vicenda l’un l’altro vicendevolmente, all’infinto.
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Quali sono i poeti italiani che lei considera spiritualmente i più significativi?
Mantenendo la creativa confusione tra i due termini che ho accostato me ne vengono in mente più di uno, relativamente al ‘900. Il primo è senz’altro Clemente Rebora che, con la poesia Voce di vedetta morta ha scritto la più bella poesia sulla guerra di un secolo intero per intenderci più bella persino di quelle di Ungaretti che sul tema, come sappiamo ha scritto dei veri e propri capolavori. Rebora ha saputo condurre alla spiritualità la grevità degli oggetti e delle cose. Le nuvole diventano nuvolaglie, il vagone sul binario morto rappresenta la possenza di una spiritualità espressa attraverso il tonnellaggio. Nel secondo ‘900 a mio avviso, per ragioni analoghe a quelle citate per Rebora, citerei senz’altro Enzo Fabiani, del quale io giovane poeta ne divenni amico nella sua maturità. Penso alla sua raccolta Il legno verde, nella quale anche se il tema non è espressamente religioso, circola una potenza spirituale che deborda da ogni verso della pagina. Aggiungerei senz’altro l’amico David Maria Turoldo con la sua partenza Io non ho mani ed il suo arrivo mediante Canti ultimi. Nella prima c’è ancora l’affetto per Ungaretti, nella seconda c’è l’abbraccio inequivocabile con l’aldilà eterno che sta per raggiungere. Questo per citare i soli poeti italiani, se no il discorso sarebbe una vera e propria trama. Credo che la nostra attinenza allo spirituale/religioso sia anche favorito dalla storia della nostra cultura. In ragione di una religione, quella del figlio del falegname, non ci furono dei permanenti divieti alla rappresentazione iconografica del divino in forma umana. Penso che ciò abbia consentito di scatenare la fantasia delle singole intelligenze. Esiste una spiritualità bastarda anche nelle forme odierne di celebrazione delle ricorrenze. Mi riferisco ai giorni dei morti, novembrini, cui sono stati applicati i cerotti festeggianti di Halloween. A dire il vero, da bambino, usavamo scavare le estremità di una zucca oblunga per farne un teschio in cui si metteva una candela accesa. Cosa che al buio faceva il suo effetto. Oggi mi pare che tutto diventi qualcosa come “scherzetto dolcetto”. Va bene, si cerca di mescolare un funerale con un carnevale ma la ruga del tema della fine della vita rimane beffardo e angosciante. Ci si può fermare qui oppure inoltrare una scala senza gradini per salire a quota di vertigine, dove l’infinitamente alto e il rumorosamente basso tendono a coincidere tra di loro.
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Cosa centra tutto ciò con il Realismo Terminale? Ci sono rinvii da questo a quelli, o attinenze?
Direi proprio di sì. Il Realismo Terminale è un modo di leggere il mondo, che si concentra nel fatto che c’è in atto, in maniera preponderante, con il terzo millennio uno sfociare della natura nell’artificialità. Come a dire che noi, ad esempio, con tutte le nostre protesi stiamo sempre più diventando simili ad automi o qualcosa del genere. Aggiungerei qui che, proprio negli ultimi anni, noi stiamo aspirando ad avere un’intelligenza simile a quella artificiale e ad un bisogno di artificializzare il pianeta. Il motivo per il quale c’è questa abbondanza inarrestabile di guerre è proprio perché il genere umano vuole trasformare il nostro pianeta in un grosso artificio. Questa vicenda si trasferisce nel linguaggio, attraverso la nota figura retorica di riferimento che è la similitudine rovesciata. Credo di avere scritto da qualche parte che Gesù era magro come una bicicletta. È un altro modo di dire le cose che, a mio avviso, incrementa potentemente la spiritualità. Dire infatti che il figlio del falegname assomigli ad una biciletta è indimenticabile. Se dico che ha il volto emaciato, lo dimentichiamo un quarto d’ora dopo avere letta l’espressione. Se in una stazione ferroviaria assisto alla fermata di un treno, lo spruzzo di scintille dei ceppi sulla ruota metallica, fa pensare ad una spiritualità, come ad esempio quella citata nel discorso trinitario.
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Ci sono riferimenti filosofici o teologici in questo accostamento alla spiritualità nei testi?
Credo di sì, penso ad esempio a Teilhard de Chardin. Il nostro, già alla metà del secolo scorso mediante la legge di complessificazione ed interiorizzazione, sosteneva che l’evoluzione partendo da quello che abbiamo sotto gli occhi, si sarebbe unificata sempre di più fino a sfociare nel divino, con il quale coincidere. Qualcosa di analogo, se non sbaglio, credo abbia detto Teresina di Lisieux. Ella ha scritto infatti che è il divino stesso a spingerci a coincide con la sua presenza. Insomma, sono questi argomenti che possono anche esser un po’ noiosamente accademici ma che danno una grande ragione di vitalità alla scrittura.
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Dopo il suo libo E hanno visto il sesso di Dio, ci sono altri lavori incorso sempre inerenti questa direzione di scrittura?
Direi di sì. C’è un sito di Roma legato ad un luogo di culto che mi ha chiesto di interpretare poeticamente, ogni domenica il rispettivo Vangelo liturgico. Come forse si saprà il ciclo completo della liturgia è triennale, cioè dopo oltre 150 puntate, il ciclo torna ad esprimersi daccapo. Questo lavoro che mi aveva non poco imbarazzato, aveva con sé due possibili eventualità. La prima è che in 3 anni si può lasciare questo mondo, la seconda è che si può spremere del tutto il limone della fantasia e ci si possa fermare per strada. Detto questo, tale lavoro sto invece per concludere ed il lavoro pare interessi, al punto che questa è iniziativa trova degli imitatori.
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Oltre a queste implicazioni nei mezzi virtuali ci sono anche coinvolgimenti della più tradizionale ma molto efficace carta stampata?
Direi di sì, c’è il mensile «Luoghi dell’Infinito», al quale di tanto in tanto assegno dei testi di ordine spirituale. Ci sono inoltre un altro paio di riviste letterarie cartacee sulle quali sono confluiti i miei testi che vengono preceduti dal titolo di Vangelini Apocrifi. Ottimo interlocutore per queste pubblicazioni è stato il francesista della Sorbona Giovanni Dotoli, curatore del più grande dizionario Italiano Francese e viceversa, in circolazione. È lui che ha scelto di pubblicare delle manciate di questi testi sia sulla rivista Europea di Poesia edita a Parigi presso la Sorbona, sia sulla altrettanto significativa Noria, sempre a doppia circolazione italiana e francese.
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Qual è il vantaggio secco della scrittura realistico terminale nel linguaggio spirituale?
Farei sicuramente tre affermazioni: la prima è che le similitudini rovesciate, utilizzando gli oggetti, producono un forte incremento di espressività alla scrittura. La seconda affermazione è che il mio tipo di scrittura cancella del tutto la possibilità di retorica tanto facilmente rinvenibile. Il terzo ed ultimo vantaggio è che il Realismo Terminale toglie quella aura di sentimentalismo che spesso accade di incontrare nello svolgimento di questi argomenti e nella citata area semantica.
Selezione di poesie inedite di Guido Oldani, Fondatore del Realismo Terminale
I premiati
il regno di lassù è come un tale
che dà a una coppia sua di dipendenti
due all’uno, cinque all’altro di talenti.
operosi, raddoppiano la cifra
e lui che torna ne sarà contento,
che il cielo è una mezza paginetta
e il terzo ebbe solo una moneta
per giunta, pelandrone, la nasconde
ma la sua pianta non avrà le fronde.
Il Giudizio finale
come forchette dai cucchiai divide
chi standogli davanti qui risiede
e volerà su in cielo o giù allo spiedo.
detto alla svelta, con quattro parole,
chi fa manutenzione con amore
a qualsivoglia uomo bisognoso,
traverso quello, dio in persona incontra
e a conseguente sorte vi s’inoltra.
Le beatitudini
“mai uomo al mondo seppe dire meglio
del discorso che pronunciò in montagna”
pensò gandhi, che quasi fu cristiano.
il telescopio per vedere dio
sta nel petto ed è un cuore puro,
la terra nostra l’avrà l’uomo mite;
otto categorie sono beate
ma noi si è bocce in urto, poi la lite.
Gli esclusi
il cielo è come un treno senza orario,
si deve stare all’erta per salirvi
e non allontanarsi dal binario.
dieci ragazze attendono lo sposo,
con le lampade, cinque senza scorta
di olio necessario se lui tarda,
tant’è che arriva quando c’è già buio:
le sciocche lascia fuori dalla porta.
Sia il testo dell’intervista a Guido Oldani a cura di Annachiara Marangoni che le poesie inedite di Guido Oldani vengono pubblicati nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionati dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. Entrambi gli autori hanno autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
