La notizia che il regista danese Lars Von Trier ha ricevuto di recente la Palma d’Oro al Festival del Cinema di Cannes, suggerisce delle considerazioni sull’arte cinematografica che, se non sono nei miei interessi primari, mi invitano comunque a dei chiarimenti, anche solo per mia cultura personale, rispetto alle arti in generale.
In un passato non troppo remoto, Von Trier ha osservato, con la sua acutezza di artista, che il Cinema è l’arte più artificiosa che esista e questo per ragioni evidenti a chiunque.
I sentimenti e le emozioni che passano attraverso una sequenza di pochi minuti, sono costruiti con pazienza, in tempi spesso lunghissimi, con sedute successive realizzate da specialisti. Queste osservazioni hanno portato Von Trier a produrre il manifesto “Dogma95” che poi lo ha indotto a realizzare il film Idioti, senza luci artificiali, con nessun effetto speciale, con telecamere quasi amatoriali tenute tra le mani.

Ora è evidente che il Cinema è un’arte artificiosa e artificiale, portata alle estreme conseguenze. Per coerenza bisogna però riconoscere che ogni arte ha la sua dose di artificio. Il concetto è così indiscutibile che le parole “arte” e “artificio” sono esse stesse testimonianza di una vicinanza, di una contiguità più che logica. Tutta l’arte ha i suoi artifici. Se la scrittura poetica ha la sua artificiosità nell’uso della parola e se la parola è differente nelle diverse lingue, è chiara l’artificiosità a volte imperdonabile della traduzione da una lingua ad un’altra. E questo al punto che è stato detto che “tradurre” è un po’ “tradire”.
Della musica si è sempre sostenuto che è l’arte più alta per non avere mai bisogno di traduzioni e questa è verità sacrosanta. Se esiste un quid di artificiosità anche nella musica, è solo nel fatto che i suoni sono sempre prodotti da strumenti differenti e ogni strumento ha una sua voce e un suo colore particolare. Qui la parola è da lasciare agli esperti.
Qualcuno ha osservato che in diversi suoi film il regista Von Trier si è rivelato decadente ed essenzialmente simbolista e questo concetto merita una digressione. Se tutta l’arte e anche la scrittura, specie poetica, ha le sue artificiosità, si deve constatare che questa arte che è in fondo una clamorosa sfida alla Natura, rappresenta il tentativo umano disperato di sfuggire al ciclo naturale di vita e morte. Lo sapevano bene i simbolisti e prima degli altri Charles Baudelaire che aveva spiegato come l’uomo sia stato da sempre intrappolato tra due poli. Da una parte lo spleen, cioè la malinconia, la tristezza o meglio il sentimento profondo dell’insufficienza esistenziale e il polo dell’ideal, cioè l’Eden, il Paradiso e a volte i paradisi artificiali. La vita per i simbolisti tutti è un ondeggiare tra due opposti estremi. Il Regista Lars Von Trier si propone, in certo modo, come il simbolista della più artificiosa tra le arti, cioè in Cinema.
Se mi sento obbligato a riconoscere l’artificiosità di tutte le arti e a considerare che anche la Poesia ha le sue evidenti artificiosità, mi sento obbligato anche a un ripensamento del tutto personale rispetto al Cinema. Nella mia gioventù ho amato molto il cinema e questo, accontentandomi dei messaggi che gli artifici del cinema stesso potevano somministrarmi. Se con il tempo, ho perso interesse per una forma d’arte sempre più artificiosa e artificiale, alla luce della considerazione che “arte” è sempre “artificio”, mi propongo di ripensare al Cinema nei modi suggeriti da Lars Von Trier.
RODOLFO VETTORELLO
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