N.E. 01/2023 – “Tommaso Landolfi, l’odioso pronome e lo specchio opaco dell’autobiografismo”. Saggio di Giusi Manuela De Rosa

Dopo fiere lotte (avevo cominciato a scrivere Io, e mi son vergognato e ho corretto in Dopo: ancora e sempre, imperterrito benché furioso con me stesso, e come il mondo e l’anima mia fossero immobili, io seguito a piantare i miei Io in testa al drappello delle parole, quasi portabandiera!), dopo fiere lotte mi son rassegnato, ho detto, alla paternità sulla fede di Dostoevskij.[1]

Inizia così una pagina di Rien va, forse il diario landolfiano più conosciuto, e di fronte ad esso, come di fronte a tutta l’opera dello scrittore di Pico, ci si chiede quanto ci sia di maschera e quanto di reale, quanto la confessione nuda, schietta, spietata sia rimandata: l’impressione è quella di trovarsi di fronte a un io che teme di far trapelare troppo, di andare troppo in fondo, di raggiungere il punto di non ritorno del rimosso; eppure la scrittura di Tommaso Landolfi cerca tale profondità indagativa, in un percorso tutto interiore che mira ad arrivare alle proprie ferite, perché, come scrive nella sua prima raccolta di poesie Viola di morte «dovunque la penna arriva, / si ritira il suicidio. / Così, dicesi, il cane / guarisce ogni sua piaga / se soltanto la arriva con la lingua».[2] Da qui il rapporto del tutto peculiare dello scrittore con il genere dell’autobiografia, evaso ma contemporaneamente onnipresente[3] nei suoi racconti: Landolfi non come maestro della dissimulazione, ma come autore radicalmente sincero a chi trova la giusta chiave di lettura, a chi sa strappare via la «maschera di ferro»[4].

L’io landolfiano, infatti, ritorna costantemente, ma è un ospite inatteso e non voluto, un’entità egoista, che piega ai suoi bisogni la prosa: un «portabandiera» delle parole, un io-soldato pieno di sé che, ignorando le fluttuazioni del mondo e della propria stessa anima, rende impossibile una confessione più diretta, una narrazione più efficace. Vi è in Rien va un secondo riferimento in tal senso:

Prendiamo la più semplice delle frasi, «Io sono», e gridiamola o diciamola appena, ma cercando di prenderne interamente coscienza: che avvilimento, che vergogna. Qui peraltro c’è un po’ di malafede: la più semplice delle frasi è anche la più compromettente. Altra più anodina allora, se però c’è una frase anodina. «Io ho»? – peggio! «Io mangio»? – che schifo! Le frasi che contengono l’odioso pronome non possono essere anodine, dice.[5]

Lo scrittore Tommaso Landolfi

Il pezzo citato parte da una riflessione dell’autore sulla falsità delle frasi una volta pronunciate, sul tradimento dell’espressione e della voce stessa nei confronti del loro punto di partenza: Landolfi, infatti, lamenta più volte l’impossibilità di risalire a una parola primigenia, non sfruttata, che esprima tutto ciò che serve sapere e che non invecchi mai pronunciandola (si legga, a questo proposito, la riflessione sul canto dell’assiuolo in Night must fall[6], ultimo racconto del Dialogo dei massimi sistemi). In particolare, le frasi che contengono il pronome io sono compromettenti e mai blande o neutre; portano con sé una sorta di colpa, e il soffermarvisi è motivo di vergogna. Sotteso alle allusioni landolfiane è il celebre passo della Cognizione del dolore dell’amico Carlo Emilio Gadda, in cui Gonzalo, protagonista e alter-ego gaddiano, scaglia una feroce invettiva contro la prima persona singolare, idolo per la cui affermazione si arriva alle piaghe dell’egoismo e del narcisismo, anticamere di atti distruttivi:

Il figlio dubitò, col volto: «la mamma non ne vorrà sapere, la conosco: non c’è nulla da fare con lei… […] bel modo di curarsi! …a dire: io non ho nulla. Io non ho mai avuto bisogno di nessuno! …io, più i dottori stanno alla larga, e meglio mi sento… Io mi riguardo da me, che son sicura di non sbagliare… io, io, io! […] Ah! il mondo delle idee! che bel mondo! …ah! l’io, io… tra i mandorli in fiore…poi tra le pere, e le Battistine, e il José! ….l’io, io!… il più lurido di tutti i pronomi!…»[7].

L’io è un pronome «lurido», uno dei «pidocchi del pensiero»[8], una debolezza ricorrente dell’uomo, che non riesce a far altro che focalizzarsi su se stesso, rischiando di perdere il quadro complessivo delle cose.

Ricordiamo un altro stralcio landolfiano che accenna al tema, tratto da Prefigurazioni: Prato, rara prosa di aperta, forte e sincera confessione autobiografica su un periodo dell’infanzia passato in collegio: «Io (ma quante volte ho scritto questo dannato pronome?), io ero un bambino che a un anno e mezzo avevano portato davanti a sua madre morta, colla vana speranza che i lineamenti di lei gli rimanessero impressi nella memoria; e che aveva detto: lasciamola stare, dorme»[9]. L’io, «questo dannato pronome», incontra la dimensione dolorosa e oscura della morte, le irrisolte ombre che aleggiano sulla scrittura di Landolfi, che rendono unico il suo fantastico svuotato; si legge qui il motivo più profondo della reticenza dell’autore verso l’io e allo stesso tempo il bisogno di non ignorarlo, l’imperativo di seguirlo, in un’indagine letteraria che fu definita da Giacomo Debenetti «illuminismo delle tenebre».

È allora possibile definire il libro landolfiano uno specchio dell’io, ma uno specchio opaco, che fatica a riportare un’immagine limpida, completa del sé; eppure capace di riflettere l’essenziale e di illuminare il lettore con improvvise rivelazioni, a volte apparentemente lontane dal percorso intrapreso, a volte riportate in superficie grazie al personaggio dell’inetto o del fool di memoria amletica; rivelazioni radicali, nude, da proteggere con una lingua-pelle[10], ricercata e preziosa, e con il magistero dell’arte[11]. Bisogna, perciò, essere capaci di leggere lavori come Cancroregina in quest’ottica, notando come la fantasiosa trama dell’astronauta, bloccato dentro una navicella-mostro che sembra aver assunto una propria coscienza e costretto a orbitare all’infinito intorno alla Terra, senza poter tornare a casa né allontanarsi, è funzionale a una disanima interiore autentica e sconvolgente, che confessa il cuore del sé e allontana solo il contingente: che non è, poi, sempre stato accessorio?

Bibliografia

T. Landolfi, Opere, a cura di I. Landolfi, con prefazione di Carlo Bo, vol I, Milano, Rizzoli, 1991.

T. Landolfi, Opere, a cura di I. Landolfi, vol. II, Milano, Rizzoli, 1991.

T. Landolfi, Viola di morte, Milano, Adelphi, 2011.

C.E. Gadda, La cognizione del dolore, a cura di P. Italia, G. Pinotti e C. Vela, Milano, Adelphi, 2017.

Gli ‘altrove’ di Tommaso Landolfi, Atti del convegno di studi, Firenze, 4-5 dicembre 2001, a cura di I. Landolfi e E. Pellegrini, Roma, Bulzoni, 2004.

La «liquida vertigine». Atti delle giornate di studio su Tommaso Landolfi (Prato, Convitto Nazionale Cicognini, 5-6 febbraio 1999), a cura di I. Landolfi, Olschki, Firenze, 2002.

G. Debenedetti, Il “rouge et noir” di Landolfi, in Id., Saggi, progetto editoriale e saggio introduttivo di A. Berardinelli, Milano, Mondadori, 1999.

P. Zublena, La lingua-pelle di Tommaso Landolfi, Firenze, Le Lettere, 2013.


[1] T. Landolfi, Rien va, in Id., Opere, a cura di I. Landolfi, vol. II, Milano, Rizzoli, 1991, p. 256.

[2] T. Landolfi, Viola di morte, Milano, Adelphi, 2011, p. 178.

[3] Vedi I. Landolfi, Nota introduttiva, in T. Landolfi, Opere II, cit., p.VIII.

[4] Scrive Landolfi sempre in Viola di morte, cit., p. 154: «La maschera è una forza / finché si dia qualcuno / che brami di strappartela; altrimenti / tu ci muori dentro / come la Maschera di Ferro».

[5] T. Landolfi, Rien va, cit., p. 298.

[6] T. Landolfi, Night must fall, in Id., Dialogo dei massimi sistemi, in Id., Opere, a cura di I. Landolfi, con prefazione di Carlo Bo, vol I, Milano, Rizzoli, 1991.

[7] C. E. Gadda, La cognizione del dolore, a cura di P. Italia, G. Pinotti e C. Vela, Milano, Adelphi, 2017, p.85.

[8] Ivi, p.86.

[9] T. Landolfi, Prefigurazioni: Prato, in Id., Opere II, cit., p. 743.

[10] P. Zublena, La lingua-pelle di Tommaso Landolfi, Firenze, Le lettere, 2013.

[11] Si legge ne LA BIERE DU PECHEUR, in T. Landolfi, Opere I, cit., p.575: «fatalmente la mia penna, cioè la mia matita, piega verso un magistero d’arte, intendo verso un modo di stesura e composizione che alla fine fa ai pugni con la libera redazione propostami, e di’ pure colla mia volontà di scansar la fatica. Non potrò dunque mai scrivere veramente a caso e senza disegno, sì da almeno sbirciare, traverso il subbuglio e il disordine, il fondo di me?»

*

Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

Diario poetico ai tempi del Coronavirus: poesie e riflessioni di Antonietta Langiu

Segnalazione a cura di Lorenzo Spurio

Con l’autorizzazione dell’autrice, che mi ha inviato in anteprima questi testi poetici (da lei definiti “pensieri”) e pagine di un diario personale, sono felice di dare diffusione sul mio blog di questi contributi della poetessa e scrittrice Antonietta Langiu che aiutano a capire il momento di disagio e di sofferenza vissute in questo drammatico momento sociale dettato dalla paura del contagio, dalle restrizioni sociali e, in linea generale, da una messa in crisi della nostro comune vivere.

Antonietta Langiu

Antonietta Langiu (Berchidda, SS, 1936), laureata in Sociologia a Urbino, vive da molti anni a Sant’Elpidio a Mare (FM), senza dimenticare la sua terra, la Sardegna, cui “ritorna” spesso con i suoi scritti. Numerose le opere pubblicate tra racconti, saggi e testi monografici: Sa contra – Racconti sardi (1992; riedito 2014), Dietro la casa, libro per ragazzi con schede didattiche (1993), Sas paraulas-Le parole magiche (1999; riedito 2008), L’amica Joyce, libro d’arte (1999), Maestre e maestri in Italia tra le due guerre (co-autrice L. Durpetti), libro di ricerca e storia orale (2004), Immagini lontane (2005), Lettera alla madre (2005), Joyce Lussu. Bio e bibliografia ragionate (co-autrice G. Traini) (2008), Lungo il sentiero in silenzio- Dalla Sardegna all’Europa: diario di vita, di viaggi e di incontri (2008), La linea del tempo (2014), Tessiture di donne (2017). Diversi racconti, corredati da incisioni e inseriti in libri d’arte, si trovano presso raccolte pubbliche e private a Fermo, Fabriano, Urbania, Ancona, Venezia, Aachen e Copenaghen. Saggi e racconti sono stati pubblicati sulle riviste letterarie NAE, l’immaginazione, nostro lunedì, Proposte e ricerche, Sardegnasoprattutto e El Ghibli.

“Confini e orizzonti: l’Alieno COVID-19”

Chi combatte

non si arrende

a un presente alienato.

Chi ha lanciato l’innesto

ha scalfito la natura umana   

malato anche lui

se ne sta in disparte.

Quando e a che cifra

tornare indietro

e come è possibile tornare?

Il tempo è corto

l’incontro è difficile

solo da lontano

possiamo salutare

chi come noi

soffre in silenzio.

L’attesa si fa sempre

più remota

ma dobbiamo ritornare

per riprendere

gli istanti perduti

per un’errata

scala di priorità.

Fermiamoci per il tempo

dell’ascolto e della lettura

separati ma vicini

in attesa di un Sempre

che non potrà essere lontano.

Ho scritto questi versi in un momento particolare… Giovedì 26 marzo, mi ha mandato un messaggio WhattsApp l’amico giornalista di Nuoro, Antonio Rojch: era preoccupato per l’invasione del Coronavirus, anche perché soffre spesso, come me, di fibrillazione atriale e le medicine che prende potrebbero, secondo lui, facilitare il contagio. L’ho tranquillizzato, perché mia figlia medico non me ne ha assolutamente parlato. Mi ha risposto, ponendomi altre domande e ciò fino all’una e mezza di notte. Non poteva dormire… e a quel punto neanche io ci riuscivo più, così ho provato a scrivere… Non credo di essere stata positiva, se non attraverso una specie di tunnel luminoso alla fine: “…separati ma vicini/ in attesa di un Sempre/ che non potrà essere lontano.” e gliel’ ho spedita.

Una riflessione è necessaria, anche se non mi sono lasciata sopraffare del tutto dalla paura: stiamo perdendo il senso della nostra esistenza in uno scenario di solitudine, nell’angoscia di un’offensiva e di un attacco decisivo per la sorte di tutti. La nostra è una vita sospesa… Fino a quando?

Niente sarà come prima: un primo passo verso un possibile ritorno alla normalità potrà essere quello di abbandonare ogni teatro di guerra e riportare a casa tutti i nostri militari impegnati in varie missioni all’estero, e utilizzare i risparmi per acquistare materiali sanitari che ci consentano di salvare molte vite umane. Le massime Istituzioni Nazionali e i rappresentanti politici dovrebbero, inoltre, fare un appello generale a tutte le nazioni per sollecitare la sospensione immediata delle operazioni di guerra in atto. Intanto il COVID 19 si espande nel mondo intero. Dobbiamo difenderci, se possibile, ma come?

Ci insegna qualcosa questa pandemia? Sì, ci sono delle precauzioni che dobbiamo assumere per l’incolumità nostra e altrui, tenere conto delle relazioni sociali che ci mancheranno, delle preclusioni negli spostamenti, della capacità di tutti e di ognuno di accettare una realtà terribile. Sono degli imperativi categorici che dovranno improntare il cammino per una rinascita, se abbiamo fatto tesoro degli errori e compiere una vera e propria rivoluzione nella nostra vita:

-rimodellare una società fatta di privilegi e di sperequazioni sociali;

-cambiare una realtà pervasa di disfunzioni ambientali, di disservizi e di inefficienze;

-recuperare una nuova coesione sociale;

-essere parsimoniosi e selettivi, rinunciare al superfluo e concentrarci sull’indispensabile;

-riconsiderare i diritti fondamentali quale la salute e l’istruzione, riconosciute dalla Costituzione come imprescindibili e irrinunciabili;

-attivare la ricerca, dando la possibilità di lavoro e di studio ai tanti giovani costretti a lasciare la propria terra d’origine.

E tutto ciò per cambiare la nostra società prima che sia troppo tardi.

“E per un tratto ancora su tutta la contrada incupì la notte. Ma l’alba non era lontana.” Si tratta della lapidaria epigrafe scritta dal parroco berchiddese, un bravissimo predicatore in tutta l’isola, e scrittore, Pietro Casu, a conclusione del suo libro capolavoro: Notte sarda (il primo romanzo che ho letto da ragazzina), quasi un epitaffio e una metafora che fotografa l’abisso nel quale siamo sprofondati, in attesa di un’aurora di speranza e di ripresa, contro il mostro alieno: incolore, inodore, insapore e allo stesso tempo feroce, aggressivo e crudele.

E per lui io resto a casa, tu resti a casa, egli resta….

Restiamo tutti chiusi a casa, che è diventata una specie di carcere. Intorno regna un silenzio enorme: non passa nessuno per la strada. Ci stiamo rendendo conto, tutti, dell’immensità di quanto stiamo vivendo, ma tanto vera è la sofferenza di questa tenebra, tanto lo è la speranza e la luce che ci porta oltre… perché la vita è più forte della morte… e bisogna crederci.

Altro pensiero

Ognuno è solo

in questo mondo in frantumi

in questo tempo senza nome

in questi momenti sospesi

dove un nemico invisibile

attenta alle nostre vite.

Bisogna stare assieme

la natura umana lo vuole

ma io sono sola

anche tu sei solo

nel silenzio assordante

che ci circonda.

Siamo tutti soli

nessuno incontra l’altro

 nella nebbia che scende

a coprire i dolori e i pianti

nell’attesa di un domani

che appare lontano

e che forse non ci sarà.

Altro pensiero…

È come se il tempo

si fosse fermato

e sei ritornato bambino.

Hai bisogno di una mano

che stringa la tua

hai bisogno di una madre

che ti accarezzi il viso

hai bisogno di spazi verdi

pieni di fiori e di profumi

quelli che ti avvolgevano

quando eri fanciullo

là tra i cespugli

di mirto e di lentisco

pieni di nidi di uccelli

che cantavano la primavera.

Altro pensiero…

Ho voglia di passeggiare

di evadere da queste

giornate murate

senza respiro.

Ho voglia di passeggiare

per fuggire all’assedio

che chiude le nostre case

e non ci fa vedere il sole

e non ci fa sentire il mare.

Ho voglia di passeggiare

per interrogare il cielo

le nuvole che fuggono alte

nell’azzurro infinito

gli alberi vestiti a festa

nella primavera alle porte.

Ho voglia di passeggiare

di partire per arrivare

senza impegno

non so dove

di vedere gli uccelli

che volano cinguettando

verso paesi lontani.

Ho voglia di passeggiare

per assaggiare l’aria

con il naso e con la pelle

per ritornare alla vita

al saluto gioioso con il vicino

al contatto nudo con gli altri

quelli che abbiamo sempre visto

e i tanti mai incontrati.

Altro pensiero…

In questo tempo crudele

in questo mondo in frantumi

dove non ci è dato di essere

tutto ci spaventa tutto ci deprime.

Chi può proteggere il nostro cuore

chi risvegliare la nostra anima

inaridita dalla solitudine

e dalla paura del mostro invisibile?

L’ansia incalza i nostri passi

ma non possiamo andare e correre

gli amici di un tempo non ci sono più.

Nel nostro vagare nel nulla

solo buio e silenzio

e mascherine sui volti

di chi passa lontano.

Non sai se recitano

o se fuggono da qualcosa

che si nasconde

vicino a te a me a noi.

Dobbiamo stare al riparo

nelle nostre case per meditare

e ascoltare nel profondo noi stessi

cambiare la nostra vita

per salvarla dall’inutilità

e dall’indifferenza.

Solo così potremo guarire

per fare scelte più giuste

acquisire nuovi modi di vivere

che possano salvare l’uomo

la sua umanità e il mondo intero.

E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore.

“Se avessi previsto tutto questo – In cerca d’amore nella Catania di fine millennio” – di Luca Raimondi

Se avessi previsto tutto questo – In cerca d’amore nella Catania di fine millennio – di Luca Raimondi
Edizioni Il Foglio, 2013
ISBN 9788876064197  
Pag. 240
Euro 15
Sinossi:

Stampa21 (1)Carlo Piras, studente all’Università di Catania, vive i suoi diciotto anni incastonati nella metà degli anni ’90, in un Paese dove da pochi mesi è crollato il primo governo Berlusconi e tutto sembra finalmente andare per il verso giusto. Soprattutto in una città che sembra vivere la sua rinascita. È qui che Carlo spera di trovare nuovi amici e – forse, magari – il grande amore. Attorno a lui il mondo si muove contromano, però. Le lezioni lo lasciano perplesso, le notti sembrano stordirlo e le ragazze sono enigmi che si muovono su gambe bellissime. Il primo vero scacco coincide col mancato conseguimento della patente, ma è la cugina installata in casa a destabilizzare Carlo, che comincia a fare i conti col proprio passato di ragazzo e col futuro da uomo. L’insonnia morde, la solitudine divora. I tentativi di conquistare le ragazze di cui si innamora rivelano la sua inadeguatezza alla vita.    

“Luca Raimondi attinge all’autobiografia ma se ne distacca ironicamente, raccontando una generazione che pagava in lire e rimorchiava artigianalmente. Un romanzo di formazione impastato di umorismo ma speziato di malinconia. Un’epopea quotidiana tardo-adolescenziale in cui l’amore e l’amicizia sono i valori da esaltare e (occasionalmente) tradire. La vita com’era meno di vent’anni fa, non troppo diversa da quella di oggi. La vita, insomma”. (Roberto Alajmo).

         

Luca Raimondi è nato nel 1977 ad Augusta, in provincia di Siracusa. Presso l’Università di Catania si è laureato in Filosofia nel 2000 e in Scienze dell’educazione nel 2003. Ha pubblicato con le Edizioni Dell’Ariete i romanzi “Cerniera lampo” (1996) e “Cuore del vuoto” (1998), con Aracne “Marenigma” (2009), con Melino Nerella il lungo racconto contenuto in “Amore, rabbia e verità” (2009) e quello più breve in “Le eccellenze del gusto” (2011). È autore anche di alcuni saggi, tra cui “Nient’altro che un sogno. Pasolini e la Trilogia della vita” (Bastogi, 2005), “Il pensiero pedagogico di Pier Paolo Pasolini” (Sampognaro & Pupi, 2006) e “Comunicare la cultura” (Bonanno, 2007). Regista, montatore e sceneggiatore, tra il 2002 e il 2008 ha diretto sei edizioni del festival “Corto Siracusano” (www.cortosiracusano.it), nel cui ambito ha pubblicato il volume “Fronte del corto. Scenari siciliani del film breve”. Collabora con il periodico on line “Diorama” (www.dioramaonline.org).   

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