“Tra le sbarre incandescenti” di Barbara Colapietro – segnalazione di Lorenzo Spurio

Segnalazione di Lorenzo Spurio

Lo scorso 16 settembre 2021 presso il GRA’ – Cortile di Palazzo Gradari di Pesaro – si è tenuta la presentazione del libro di poesia di Barbara Colapietro, Tra le sbarre incandescenti (Bertoni, Perugia, 2018). L’iniziativa si è svolta grazie al poeta e critico letterario Bruno Mohorovich nelle sue vesti di curatore del marchio editoriale “Poesiaedizioni” all’interno di Bertoni Editore.

Lo stesso Mohorovich così ha scritto nella prefazione che apre il nuovo volume della Colapietro: “Ci sono una situazione e un intento nella [sua] nuova produzione poetica; la prima è esplicitata nel titolo Tra le sbarre incandescenti che rende il senso di una sofferenza, di un ingabbiamento cui è costretta e nella quale, sgomenta, assiste a una crisi civile e morale che la attanaglia e da quelle sbarre lancia il suo urlo di ribellione verso una disagiata società incapace di leggersi. Sbarre di una gabbia, cui si costringe – o si sente costretta – da un mondo ristretto che non le piace, non la accetta quando lei cerca un mondo vero, senza falsità, un mondo uguale per tutti, un mondo più maturo. L’intento, altresì, è chiaro sin dall’esergo, dove ella si rivolge ai “cercatori di verità sepolte”. In linea col suo pensiero proteso ad una spinta solidal-spirituale, in queste sue composizioni dai toni duri e pragmatici, esprime la sua angoscia esistenziale dovuta al vuoto di certezze e valori, andando a sondare un terreno invero ingrato quale la ricerca della verità, in un momento in cui non sembra così politicamente corretto affermare che è possibile cercarla e trovarla”.

Barbara Colapietro, che ha precedentemente dato alle stampe il volume Semplicemente, la mia storia[1] (Bertoni, Perugia, 2018), è intervenuta assieme a Bruno Mohorovich e all’artista pesarese Mara Pianosi (che ha illustrato magistralmente con la sua pittura ad acquarello il nuovo libro e spiegato la genesi di ogni sua creazione), mentre la lettura di poesie scelte è stata affidata alle voci di Chiara Anastasi, Loretta Cecchini e Anna Fumagalli.

Tra le sbarre incandescenti è il suo quarto libro di poesia, opera che lei stessa ha considerato come conclusiva di un ciclo pensato come autobiografico che si è aperto nel 2018. Si ripercorre, così, nella struttura progressiva di vari “capitoli” conseguenti, il viaggio umano ed emozionale dell’autrice-donna in completa immersione nei sentimenti. È uno scandaglio che non risparmia i recessi dell’umanità come quando l’autrice parla o allude a sentimenti amari e di riprovazione, di sdegno e lotta interiore, di sfiducia e vero dolore nei confronti di illiceità e inadeguatezze. C’è, però, anche la sensazione della levità, di un librare pacificato in poesie dove la Nostra si riannoda al presente per mezzo del travaglio della disperazione e con rinata consapevolezza è in grado di percepire la beltà e di rivalutare comportamenti. In questo c’è, come lei stessa ha osservato in una dichiarazione, “l’amore per la verità e non la spada”, sintomo di un ritrovato colloquio con se stessa, di più convinta accettazione e di naturale inserimento e confluenza col mondo che l’attornia.

“Ho rielaborato esperienze vissute sulla mia pelle, miscelate a racconti cinematografici, pagine di poesia e narrativa, testi di grandi cantautori, opere d’arte che hanno lasciato la loro impronta nella mia formazione che mi ha educato al rispetto della vita, nel bene e nel male”, ha sostenuto, riconoscendo il grande lavoro, tanto di ispirazione creativa, di stesura, di raffronto e di collegamento tra branche delle arti diverse, tra codici variegati, nella continua esigenza di dare alla parola il suo vero senso: quello dell’apertura, della mano tesa verso l’altro.

Grazie alla fedeltà cronachistica dell’autrice del libro sullo svolgimento della serata di presentazione del volume, e il suo ricordo, mi piace citare alcuni dei testi che nel corso dell’evento sono stati letti e alcune sue considerazioni sugli stessi.

Dalla prima sezione del libro, “Tragedia a due voci”, è estratta la poesia “Avvertimento” nella quale si legge: “Dolore di esistenze spezzate, / logica perversa / del potere che spegne / la gioia / solo per il macabro gusto / di uccidere / la felicità altrui”. A questi versi fa seguito il riferimento alla figura mitologica di Aracne sulla quale la poetessa così ha rivelato: “questa fanciulla, trasformata in ragno per un capriccio di Atena, ripercorre la sua trama che ha imbrigliato la storia dell’umanità, arrivando a togliere l’aria anche a una semplice bolla di speranza in un campo di concentramento (non solo nazista) con reti elettrificate per dissuadere i prigionieri da ogni tentativo di evasione… col pensiero”. È seguita la lettura della drammatica poesia “Senza parole” dedicata alla ecatombe di disperati sui barconi (“bar[e] galleggiant[i]” come le chiama lei) nelle acque del Mediterraneo: “In ogni menzogna dell’Occidente / si perpetra l’ignominia. // La veridicità dell’orrore / sgretola l’illusione”.

La lunga poesia (che dà il titolo a questa prima sezione del libro), “Tragedia a due voci”, ha la forma di un dialogo impressionante e sadico che trova compimento in una chiusa se non del tutto risolutiva senz’altro tesa a pacificare la dannazione e il delirio, elemento costitutivo dell’intera lirica: “Il carnefice vestito di porpora esulta: / il blasfemo è in cenere”. Per meglio poter comprendere il testo, il commento dell’autrice risulta non solo utile ma ampiamente godibile nel suggerirci il tracciato genetico dei versi stessi. Così la Colapietro ha rivelato: “In questa poesia, nata visitando Campo de’ Fiori, sono entrata nella memoria del fuoco, testimone dell’esecuzione sul rogo di Giordano Bruno il 17 febbraio 1600.  La mente che si dissolve ripercorre la rabbia di Dante Alighieri esule, l’Apocalisse di Giovanni, i martiri cristiani-donne uccisi per la loro fede dopo torture inimmaginabili descritte nella Legenda Aurea, fino alla dissoluzione di ogni pensiero che restituisce la lucidità spirituale al condannato a morte per blasfemia. Il cuore, invece, è quello di Jeanne d’Arc [ovvero Giovanna D’Arco nota come “Pulzella d’Orleans”] che brucia in un passaggio sul rogo il 30 maggio 1431, questo spazio-temporale diverso da quello del condannato a morte a Roma, diventa preghiera che rafforza lo spirito”.

Dalla seconda parte, “Radiazioni”, la poetessa ha estratto (oltre a “Incandescenza d’amore”) la brevissima poesia “Il cuore” che ha ispirato una delle tavole ad acquarello di Mara Pianosi presenti nel volume. “Il cuore è estremamente fisico e libera un diamante simbolo di trasparenza e un bucaneve simbolo di purezza”, ha rivelato la poetessa. Di questa sezione sono anche le poesie “La gabbia della farfalla” il cui incipit recita: “Impressa sul marmo pregiato / da un grande artista, / tatuaggio indelebile”, scritta sull’onda della suggestione provata dalla poetessa dinanzi a un celebre gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini su motivo delle “Metamorfosi” di Ovidio.

Della terza e ultima sezione (“Su un disco di cera”) la poetessa ci ha fornito le letture e le riflessioni sulle poesie “Sguardi”, “Bianco e nero” e “Tessitrice di passioni”; con quest’ultimo testo poetico, molto garbato e dal tono lieve, pare davvero di poter scorgere l’apice di espressività della Nostra, la tensione elevata che protende verso le nervature di un’anima rabdomantica, che scruta, cerca il suo percorso, si dilegua e riflette sulle emozioni personali e comuni, sui fatti del mondo, sulle vicende esemplari di un dettato che ci fa uomini, ma anche fratelli e sorelle, in una connubio di rispetto e riscontro fattivo, d’incontro e condivisione d’intenti: “Le tue mani / vibranti d’amore / intrecciano i fili”.

Lorenzo Spurio

Jesi, 29/09/2021

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[1] La mia recensione a questa sua precedente opera è disponibile cliccando qui.

“Semplicemente, la mia storia” di Barbara Colapietro, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Poesia del nostro tempo, quella contenuta in Semplicemente, la mia storia (Bertoni, Perugia, 2018), opera della poetessa Barbara Colapietro, estimatrice della grande poesia lirica del poeta spagnolo Federico García Lorca. Questo volume si compone di varie sotto-sezioni che, volutamente, tramite i titoli anticipatori, tracciano un po’ il segno del percorso (significativa, a tal riguardo, è l’evocativa immagine di copertina) che la Nostra si appresta a compiere e ci invita a raccogliere. Poesie che si nutrono della propria interiorità e che attraversano il tempo con lucidità, senza nessuna remore di mostrarsi allo sconosciuto lettore.

semplicemente-la-mia-storia.jpgLa prima parte “Apocalisse del cuore” ben mostra il sistema di contrasti che dominerà per tutto il corso del libro. Quello degli ossimori e degli opposti è uno dei sistemi più efficaci messi in campo da Barbara Colapietro per evidenziare lo scarto che esiste tra una realtà attuale desolante e caotica al contempo e una società improntata al bene e alla solidarietà che appare come ideale e irraggiungibile. In realtà con la sua poesia l’autrice chiama a un’analisi di questa condizione asfissiante e alienante nella quale siamo immersi. Si rimarcano, nei vari versi che appartengono a questa prima parte della silloge, gli aspetti più gravi e deleteri di una società asservita al Male: “In una sola notte/ hanno estirpato/ tutti i fiori” (18); “Hanno messo/ la passione nella bara/ per uccidere/ il ventre di una madre” (18). Per tali ragioni la Nostra si trova inserita in un contesto nel quale cerca di individuare una possibile strada di semplicità, una via nella chiarità che possa in qualche modo dare compimento alla nostra ricerca continua di una verità. Si percepisce un piano evidentemente spirituale, sorretto da un pensiero religioso che nutre l’esistenza della Nostra e ne corrobora i pensieri, anche quelli apparentemente più grevi. La giustizia (dall’omonima poesia) si tinge di quel monito sentito e di quell’impegno furente che ha la sembianza di una lotta per la verità.

Si parla di cattiveria, ipocrisia, di situazioni di marginalità, povertà economica quanto morale. Nella poesia “Apocalisse del cuore”, un po’ come il celebre poeta granadino, partidario de los que no tienen nada, la poetessa parla di persone “affamat[e],/ deris[e],/ calpestat[e],/ depredat[e],/ violentat[e]” (21).  Netto e chiaro è il grido di dolore di cui la poetessa si fa testimone nella dolente poesia “La voce della storia”, quadretto amaro di una realtà dove dominano il vizio, il peccato e il crimine. “Hanno strappato le mie radici con la violenza/ penetrando/la sopraffazione del prepotente” (22).

La falsità prende la forma non solo di atteggiamenti menzogneri improntati, furbescamente, a sovvertire la mente degli altri, ad uso e consumo, ma anche di veri e propri cambi d’abito e mascheramenti come sono quelli a cui si allude in “La chiave”: “Demoni travestiti da santi” (31) ed è questo, nella diffusa promiscuità di bene e male, tra falsità del bene, che è opportunismo e strumentalizzazione, e male atavico, che la società disillusa galleggia. Viene a mancare la possibilità di una speranza nei confronti dell’altro. Minacciata in maniera irriguardosa è la fede verso il gruppo umano, il senso di comunità, la possibilità di un’azione coesa e responsabile. In “Amico fuoco” dove la Colapietro ritorna ampiamente su tema della “falsità imperante/di questi giorni,/sempre in maschera” (33) si parla anche di tradimento che è forse, a qualsiasi livello e forma esso venga compiuto, la più bieca e offensiva azione che un uomo può commettere verso un suo simile.

La sardonica “Lettera alla società perbene” recepisce tutti questi motivi e li indirizza, senza mai cadere nell’uso di un linguaggio becero che cade nel populismo, a un possibile indirizzario. Non è un indice puntato verso qualcuno, né un tentativo – pur vago – di metter sotto processo qualcuno, piuttosto di marcare ancor più distintamente l’aspetto bifido dell’uomo: tra apparenza e intenzioni, tra forma e sostanza, tra veste che ricopre e interiorità celata. Si capisce che non è semplice mettere per iscritto la sofferenza che si prova, giorno dopo giorno, nell’apprendere e sperimentare sulla propria pelle di una società disattenta e sorda, indifferente e cinica nella quale, pur malvolentieri, siamo calati. Ciò comporta un ripiegamento dell’animo che fa seguito all’evidenza della vulnerabilità dell’uomo solo, solitario, immerso nei suoi pensieri: “Ho il cuore/ pieno di lacrime…” (37), scrive in “Le tue lacrime”.

La seconda sezione del libro, “Gocce di luce”, sembrerebbe aprire a una stagione meno fosca, caratterizzata da quella luce che, pur in forma distillata, riesce comunque a contaminare in senso positivo il mondo.  Sono liriche pervase da quel sentimento cristiano di cui si diceva, dove si allude spesso a una dimensione altra che non facciamo difficoltà a leggere come l’io lirico in rapporto con la dimensione religiosa, in cerca tanto di un conforto, che di una promessa. La poesia che apre la sezione s’intitola non a caso “Giuramento” e si parla di “Eterno presente” e di “armonia degli opposti” (41). C’è una rinata speranza che riaffiora: “Oggi canto il sole” (42) recita la Nostra che qui si dedica a tracciare momenti felici del passato, incontri amorosi, momenti di affetto e di dolcezza che neppure il tempo ha diminuito nella loro forte carica in termini di pathos e emozione. Seppure siano sempre presenti quelle “nebbie/ che accecano la Verità” (48) sembra che la poetessa abbia risalito la china rispetto alla foschia che contraddistingueva la prima parte del libro. La rinata consapevolezza di un mondo che, pur brutto e degradato, non annulla completamente la speranza del bello e del raggiungimento della felicità, si può collocare proprio in queste liriche che occupano la parte mediale del volume. Una sorta di rito intermedio, di passaggio, da una visione allucinata e criticamente lucida del vivere e una predisposizione alla levità (che si vedrà nella terza sezione), che passa immancabilmente in questo stadio intermedio, in questo anello comunicante, che è la riattualizzazione felice del passato, la riscoperta del colore, l’esigenza di un’alterità e il sentimento religioso a conforto. Alla domanda “Chi sono io?”, che almeno una volta nella vita tutti ci siam posti, Barbara Colapietro si auto-risponde: “Una voce vera/ nel deserto dell’uomo senza Dio” (49). Si procede con una apprezzabile poesia religiosa, potremmo dire quasi un poemetto data la sua lunghezza, dal titolo “Il Vangelo di Chiara” dove la poetessa liricizza l’esperienza errabonda e filantropica di Chiara di Assisi: “Emozioni espresse di una donna/ che ha vestito la sua carne/ col manto nudo/ del colore del vento/ per Amore” (50). Il senso di bellezza insito nella semplicità e nella povertà vissuta quest’ultima non come motivo di autocompiacimento o lamentazione, ma come motivo esso stesso di ricchezza, poiché motiva e arma l’uomo al fare. La vicenda della mistica è in qualche modo riecheggiata anche nei versi di “Oasi” dove si legge: “Sono una mendicante nel deserto./ […]/ e vago/ alla ricerca della mia oasi” (55).

La parte conclusiva del volume, “Il colore del vento”, è formata da diciotto componimenti, alcuni dei quali molto brevi e posti in coppia nella stessa pagina. Alcuni dei titoli chiarificano il percorso intrapreso nella precedente sezione, di matrice etico-religiosa, che qui si prosegue: “Il mio pane”, “Sui sentieri di Chiara e Francesco”, “Chiara di Dio”, “Viandante dello spirito” e così via. Sono poesie che sono testimonianza di un percorso iniziato e nel quale ci si è introdotti. Un tragitto di conoscenza interiore e del mondo, sostenuti dalla dottrina cristiana che è custode dell’anima dell’uomo. La poesia conclusiva del volume, “Sulle orme del tempo”, ben si coniuga anche alla foto scelta per la copertina nella quale non vi è una presenza umana in forma diretta, ma in forma indiretta vale a dire mediante le orme che attestano un passaggio, una presenza nel passato prossimo. Queste orme sono i segni distintivi di un attraversamento e, dunque, di una presenza vera vissuta, concreta e documentabile. Qui, in questa poesia, si parla di tracce di un amore che restano indelebili nel cuore e che, neppure il passare del tempo, ha la capacità di sbiadire: “Il tuo cuore di madre/ è stato bruciato/ sulla pira del potere.// […]/ Vivi la vita” (71). È un messaggio di speranza e di ritrovata tranquillità. Quella pace con noi stessi e col mondo – spesso friabile – che si può ottenere forse solo con un vero percorso di analisi, ricerca, approfondimento e lettura di sé, e di sé in relazione con gli altri.

Lorenzo Spurio

29-10-2019

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