“Sul far della poesia” di Guglielmo Peralta. Recensione di Gabriella Maggio

Recensione di GABRIELLA MAGGIO

Dal finito all’infinito, dall’opacità alla verità, dal deserto al canto che vince la rovina è la tensione che anima Sul far della poesia, raccolta poetica di Guglielmo Peralta, edita da Spazio Cultura nel febbraio del 2022. Il poeta, come enuncia il titolo, vuole esprimere il momento aurorale della poesia, l’attimo in cui l’etimo privato diventa segno universale della condizione umana.

Attorno a questo nucleo concettuale Peralta si rivela sottile, inquieto, indagatore, attento all’accento profondo della cultura e alle riflessioni dell’intelligenza, sentiti come manifestazioni di una superiore realtà. Dai segni sensibili, percepiti dallo sguardo, grafia che sottolinea una lacuna, un’assenza tra l’io e il vedere, dal lampo che il velo squarcia ha origine la poesia: dove hanno radici / il canto il sogno la parola. Enell’istanza della parola che “finge”, plasma, il mondo Peralta trova il frutto del mio senodove nasce e dimora / l’universo.

La Poesia è “vetta e abisso”, regina dei sogni, fata benevola…  vita autentica: e io vivo sì io vivo  / per la grazia di un verso / per questa sacra ostia dove / Poesia / si transustanzia… Ma il fare poesia non è immediato o scontato, mantiene sempre  un qualcosa d’enigmatico e misterioso: Solo qualche miraggio offre /la Bellezza specchio dell’invisibile. E il miraggio deve trovare un’eco, una corrispondenza con lo stato in cui si trova il soggetto che le darà espressione.

L’avventura della Bellezza, nascosta nella complessità della realtà, dà al poeta uno stato di grazia che lo conduce all’Anima del mondo a scaldarsi al fuoco sacro della Poesia. Il paradiso del canto si dipana spesso nell’atmosfera  solitaria della notte: Nel respiro dell’aria assopita è la mia felicità e la mia pace… e sono terra vergine nel giardino soale /  dove il sogno  scava la mia notte. O anche Non è forse feconda la notte d’ideali favelle? Nell’eco di Novalis: Sacra, ineffabile, arcana notte, come si legge nel I Inno alla notte.

Prezioso l’aggettivo soale che coniuga sogno come immaginazione creatrice e realtà. In un mondo di conflitti nascosti e palesi il poeta, nuova Shérazade, allontana l’orrore e dà voce all’invisibile attraverso il suo canto, che è sempre un canto d’amore per uomini e cose.

Chi ha paura dei poeti? La barbarie che opprime i popoli / teme la loro parola / che nel silenzio e nel buio / urla e scintilla / e si fa voce del mondo / dono prezioso e fionda / contro i filistei di ogni tempo / Davide è la poesia che vince Golia.

La raccolta è divisa in tre sezioni Delle brame e delle meraviglie, Abitare l’essere, Nove. Se la prima sezione, come enunciano chiaramente le brame e le meraviglie della Bellezza è un inno alla poesia e alla letteratura che culmina nei cinque componimenti dedicati a Proust, la seconda affronta il silenzio di Dio.A lui Peralta chiede di schiodare l’uomo dalla sua croce, dal libero arbitrio che diventa licenza di morte.

Si amplia in Abitare l’Essere l’uso del linguaggio liturgico, il senso sacro della poesia. Nove sposta l’attenzione sul mondo che dorme nella la vedovanza di lingua e d’amore, nello spreco della sua autonomia. L’ultimo testo Epifanie compendia il significato dell’opera: Fare poesia / Praticar la bellezza / Bene del mondo.

La poesia di Guglielmo Peralta è pura, intensa creazione intellettuale, che non ignora, ma trascende la realtà sensibile, l’inferno quotidiano, per raggiungere la grazia della creazione, il canto, la gaia poesia che annuncia il rinnovamento dell’uomo. Il vero poeta è sommamente disposto ad esser gran filosofo, e il vero filosofo ad esser gran poeta, anzi né l’uno né l’altro non può esser nel gener suo né perfetto né grande, s’ei non partecipa più che mediocremente dell’altro genere, quanto all’indole primitiva dell’ingegno, alla disposizione naturale, alla forza dell’immaginazione. Queste parole, tratte da I Pensieri di Giacomo Leopardi, illustrano a pieno il magistero poetico di Guglielmo Peralta.

GABRIELLA MAGGIO

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“Un figlio dimenticato: Giuseppe Gerini”, articolo di Stefano Bardi

Monte San Vito è un piccolo paese dell’entroterra marchigiano con appena 6.887 abitanti. La sua economia si basa principalmente sulla produzione dell’olio e del vino. Uno dei suoi figli più illustri, sebbene sia per lo più dimenticato, è il poeta Giuseppe Gerini, qui nato nel 1895. Non si conosce il luogo e la data della sua morte; per poter avere maggiori note biografiche è necessario riferirsi alla storica Sandra Cappelletti[1] che riferisce che il poeta fu sempre legato al suo paese natale dove spesso ritornava durante i periodi estivi, per poter godere della calda affettuosità della gente ritrovandovi la sua interiore spiritualità.

Per mezzo delle ricerche condotte dalla Cappelletti emerge il “Gerini ardito” far part, nel Primo conflitto mondiale, al Reparto d’Assalto delle leggendarie “Fiamme Nere” e in seguito aderire al nascente Partito Fascista di cui – pare – condivideva le finalità. Di certo della sua vicenda umana si ricorda del suo insegnamento presso la scuola media di Fiume dove poi, da giornalista, fonderà, nel 1935, la rivista Termini. Presidente dell’Istituto di Cultura Fascista della Provincia del Carnaro, allo scoppio della Seconda guerra mondiale lo si vedrà lasciare l’incarico per arruolarsi, di nuovo, nel Reparto d’Assalto delle “Fiamme Nere”.

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Un’opera di Giuseppe Gerini

Come poeta Gerini ha lasciato numerose opere: Bonae manus (1928), Alanda (1929), In ascolto (1932), Nel mio eterno (1940), Armonie velate (1943), Motivi e canti (1944), Dentro celeste sponda (1949), Alba migliore (1952), Tre pietre (1956), Canti di Boccadasse (1959), e l’opera omnia Poesie 1928-1962 (1963).[2]

Poeta che può essere definito come vate lontano dalle canoniche ombrose tematiche della poesia italiana; le sue liriche siano colme di dolcezza, musicalità e trasparenza. I suoi sono versi dove traspaiono ansiose problematiche e interrogazioni al mistero che trasformano la sua lirica in una poesia atavica e immanente.

La sua produzione poetica ha origine dagli affetti familiari, in particolar modo esaltati ricordando con riferimento alla madre; nella poesia “Il pulcino” la figura materna viene concepita come una donna buona, generosa, spiritualmente straziata per la morte dei suoi quattro figli.[3] Madre, vista dal poeta di Monte San Vito, con gli occhi di un bambino, anzi di un pulcino, nel quale egli si riconosce e s’immedesima. La perdita materna, assieme a quella della figlia Magda[4], è ricordata nell’opera omnia Poesie 1928-1962, nell’ultima sezione dal titolo Elegie per Magda.

Accanto ai temi familiari, anche il tema della terra natia è presente nella poesia geriniana. Se ne ha conferma attraverso la poesia “Terra marchigiana”, dove la terra natale è vista dal poeta come un luogo magico in cui nascono fantastiche storie, che volano fino al firmamento celeste trasformandosi in nuvole, dalle forme familiari.[5] È nella poesia “Ridiscendo la costa” che il poeta, attraverso il potere magico della pioggia, rivede i suoi luoghi natali (campagne e campi di grano), come i luoghi dell’infanzia[6], nei quali egli stesso si sente protagonista sotto la forma di nuvola creata dal dolce suono di zufolo[7].

Famiglia, terra natia, natura, tutto questo si riscopre attraverso le poesie: “L’albero, il fiore”, “All’usignolo”, e “Il sole prigioniero”, quest’ultima dai toni futuristici come poi vedremo nel susseguo dell’analisi. Nella prima lirica questi due elementi naturali, sono concepiti dal poeta come delle creature con un’anima che, al pari degli Uomini, sono sottomesse all’amore che è gioia, bontà, fratellanza, ma anche lacrime, strazi, dipartite e, come gli Uomini, anche questi figli di Madre Natura, si godono attimi di quiete e consumano esistenze senza lacrime.[8] Nella seconda lirica c’è un forte rimando alla poesia “Il passero solitario” di Leopardi. In entrambi i poeti il meraviglioso canto degli uccelli viene messo in risalto poiché il loro canto, da sempre, conserva la sua trasparente, dolce musicalità. Niente di questo, però, è paragonabile al maestoso canto della natura costituito dal silenzio, che neanche il canto umano osa spezzare[9]. La terza e ultima lirica può essere considerata come una poesia futurista poiché, al pari della poetica marinettiana, la natura geriniana è una natura meccanica e bellica, dove i suoi uccelli d’acciaio, portatori di morte, sono dotati di un’oscura anima capaci di esaltare violenza, strazio, innocenti pianti.

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Uno scorcio di Monte San Vito, piccolo centro dell’Anconetano dove il poeta nacque.

Altri due temi sono trattati dal nostro poeta, ossia quello di Dio e quello sulla morte. Per quanto riguarda il primo, dobbiamo riferirci alle poesie “E, se ritorni” e “Siamo la tue messe”. Nel primo testo Dio è concepito dal poeta marchigiano come l’unico e vero “padrone” di tutti noi poiché, solo Egli, può comandare ogni nostra intenzione e solo Lui è capace di fermare ogni nostra mala azione.[10] Più precisamente un padre, che ci farà risorgere dopo la nostra dipartita, per vivere assieme a Lui un’eterna esistenza.[11] Nella seconda poesia, invece, gli Uomini sono paragonati a dei chicchi di grano in mano a Dio che saranno da Lui seminati per poi crescere in nuove Terre, senza che nessun vento oscuro li possa scalfire[12]. Per quanto riguarda il tema della morte o dell’eterno sonno dobbiamo prendere in considerazione la poesia “Cimiteri”. Luoghi, questi, dove l’unico linguaggio usato dal poeta è quel silenzio che a volte all’improvviso spezzato dal demoniaco canto del merlo, fa di conseguenza sanguinare il firmamento, accompagnando le anime che camminano sugli andini sacri dei cimiteri.[13]

STEFANO BARDI

 

Bibliografia di Riferimento:

Antognini Carlo, Scrittori marchigiani del Novecento, Ancona, Bagaloni Editore, 1971, 2 vol., Tomo II – Poeti.

Calcaterra Carlo, Scrittori dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino, Società Editrice Internazionale, 1936.

Cappelletti Sandra, Monte San Vito: castello terra comune, Monte San Vito, Comune di Monte San Vito, 1999.

De Robertis Giuseppe, Scrittori del Novecento, Firenze, Le Monnier, 1958.

Gerini Giuseppe, Poesie 1928-1962, Parma, Guanda, 1963.

Spurio Lorenzo, Convivio in versi. Mappatura democratica della poesia marchigiana, Sesto Fiorentino, PoetiKanten, 2016, 2 vol., Tomo I-Poesia in lingua italiana

 

                       

[1] Sandra Cappelletti, Monte San Vito: castello terra comune, Monte San Vito, Comune di Monte San Vito, 1999, p. 312.

[2] Lorenzo Spurio, Convivio in versi Mappatura democratica della poesia marchigiana, Sesto Fiorentino, PoetiKanten, 2016, 2 vol., Tomo I-Poesia in lingua italiana, p. 435; C. Antognini, Scrittori marchigiani del Novecento, Ancona, Bagaloni Editore, 1971, 2 vol., Tomo II – Poeti, p.120.  

[3] Giuseppe Gerini, Poesie 1928-1962, Parma, Guanda, 1963, p. 25 (“[…] or che degli otto folletti / quattro ti dormono in fila nei letti / del cimitero […].”)  

[4] Ivi, pp. 155-175.

[5] Ivi, p. 13 (“[…] La seta dei miei versi, / perché tessa nell’aria / care forme.”)

[6] Ivi, pp. 8-11 (“[…] Ridiscendo la costa, / anni belli, / zufolo / a quella stria di nuvole leggere.”)

[7] Zufolo = strumento a fiato tipico della Sardegna costruito in legno, che emette il suono di un fischietto.

[8] Giuseppe Gerini, Poesie 1928-1962, Parma, Guanda, 1963, p. 37 (“Creature, senza parole / schiavi d’amore e morte / anch’essi, / colgono l’ora serena, / l’attimo senza pena, […].”) 

[9] Ivi, p. 67 (“[…] lo spirito notturno delle valli / non la gola dell’uomo ti risponde.”)

[10] Ivi, p. 111 (“[…] a Lui che tiene  il mondo, tiene tutto, / regola il ritmo delle vene ai polsi: / regola e ferma […].”)

[11] Ibidem (“[…] Sarà per sempre tuo penso, / quanto ne avrai: e ciò che è tutto. / Si, tutto. Veramente.”)

[12] Ivi, p. 112 (“[….] E quali, lo sai tu che ci raccogli / e ci riposi. Siamo la tua messe, / Signore. E di noi / forse seminerai tutt’altri campi / al d là degli spazii oltre il tempo / per fioriture nuove e senza morte.”)

[13] Ivi, p. 147 (“[…] Segui le nere spole / che suonando improvvise / rigano l’aria e si occultano / nelle verdi dimore. / Odi il canto del merlo / lungo i mesti viali. / Adàgiati, se puoi / ad ascoltare come stanno i morti.”)

 

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La profonda spiritualità nella poetica di Anna Scarpetta. A cura di Lorenzo Spurio

La profonda spiritualità nella poetica di

Anna Scarpetta

a cura di Lorenzo Spurio

 

Non è semplice azzardare un commento critico organico sulla vasta opera poetica di Anna Scarpetta, poetessa di origini orgogliosamente partenopee che vanta di un’ascendenza familiare di tutto rispetto nel mondo del teatro napoletano e italiano, quella dei De Filippo-Scarpetta. Questa teatralità congenita nel sangue di Anna Scarpetta è una delle sue componenti fondamentali e, per chi la conosce, sa bene che la sua genuina spontaneità condita da un frequente ricorso a una mimica facciale evocativa, ne contraddistingue fortemente la persona e, oserei dire, anche il personaggio. Ci occuperemo qui, in questo contesto, della sua natura di poetessa che nel corso degli anni l’ha vista “scoprirsi” delle sue convinzioni esistenziali, credenze religione, vedute sul mondo e un recupero attento di luoghi e momenti che sono stati consegnati al ricordo. In questo breve percorso tra le suggestioni della sua poetica, sostenuta spesso da un fervido animo confessionale, ci soffermeremo sulle sue produzioni più recenti in ordine di tempo sottolineando da subito che la difficoltà incontrata dal critico nel fornire un giudizio analitico sulla sua opera è dovuta da una sorta di effetto di sospensione (e che necessiterà in futuro di rilettura e rivisitazione) essendo l’opera della Nostra un cantiere aperto, un working in progress che non ci consente di criticare, qui ed ora, in maniera insindacabile.

In Le voci della memoria (2012) si chiarifica subito una delle sfere semantiche-concettuali pregne di importanza nella produzione della Nostra, ossia quella che fa riferimento al mondo del tempo andato collegato al ricordo. Questo ricordo, palpabile pagina dopo pagina, a tratti trasfonde una sensibilità nostalgica e quasi crepuscolare, altre volte, invece, è il motivo d’indagine sociale del presente. La prima poesia raccolta nella silloge, “Le voci della memoria”, quella che dà il nome all’intero libro, ci inserisce subito in questa dimensione: il ricordo è forte e sempre vivo “ad ogni stagione, ogni amaro inverno, sempre”[1]. Il ricordo, sembra suggerire la poetessa, ci appartiene sempre, anche quando non ne siamo consapevoli ed è la somma di tutti i ricordi, di quelle pietre preziose, che danno senso al nostro esistere.

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Anna Scarpetta

La lirica “Io sono qui” si configura come una sorta di preghiera laica nella quale la Scarpetta sottolinea l’importanza del hic et nunc: sono qui ora, penso, rifletto, mi faccio domande, considero il nulla, vaglio il mistero, sempre consapevole di quella cosa che ogni secondo si autodistrugge, il tempo. È questa una presenza costante nelle poesie di Anna Scarpetta: il tempo presiede ed osserva tutto, invisibile e a volte impercettibile e, come la morte –che poi è la fine del tempo-, è un’entità che ci rende umani e tutti uguali: “così tu, alla fine, tempo/ sei uguale per tutti dovunque” (11).

Le liriche della poetessa ci consegnano una poesia vivida e riflessiva, solo a tratti filosofica, di semplice lettura, frutto di un’attenta e continua analisi dell’inconscio di una donna ricca dentro, consapevole del trascorso del tempo e che ha fatto e fa tesoro dei momenti passati, per imprimerli sulla carta. È un tentativo, questo, di affrescare la vita anche se – come sostiene lei stessa- “ci vorrebbe un’altra vita/ per capire cos’è la vita” (12). Anna Scarpetta è una donna che non rifugge il passato, né che ci ha litigato, ma che ci dialoga, lo interroga e lo richiama quasi che esso fosse lì, personificato, davanti ai suoi occhi. È un passato fatto di gioie e dolori, come quello di ognuno di noi ma che in più punti appare come una grande mamma che accoglie, riscalda, protegge con la sua “calda memoria” (14).

Un interessante omaggio e lode al nostro paese è contenuto in “Italia bella patria” dove si fa riferimento alla grandezza del popolo italiano e dei suoi uomini illustri. Il canto dell’inno è –forse- il momento in cui l’Italia si riscopre fiera della sua italianità; per la Scarpetta l’Italia è “bella e sospirosa” (18), segno forse che c’è qualcosa negli italiani che provoca disinteresse, tormento, affanno e credo non sia errato leggere un riferimento alla presente crisi economica, causa di tanti disagi sociali. È infatti forte il tema sociale in “Soffrono i bambini del mondo”, un canto accorato dai toni cupi e mesti che parla di bambini orfani, soli, non amati, abbandonati, affamati, che la poetessa affida nelle mani della Madre: “avvolgi e consola” (21). Nella figura della Madre va vista la Vergine, la nostra madre celeste ma anche la Madre Terra, la divinità precristiana che si identificava con la Terra e ogni manifestazione attiva nella natura. Scorrendo da una poesia all’altra la poetessa mantiene un dialogo continuo con il dio Chronos “con il suo sguardo regale di marmo” (23).

La Scarpetta è una donna che dà tutto alla poesia e che, al tempo stesso, da essa riceve tutto. La poesia è fonte di conoscenza del mondo e di noi stessi, dà senso alle cose ma sa anche “lenire in silenzio e quietare il dolore/ di chi si accusa con colpa e patisce” (24).

Nella bellissima poesia “Chi siamo noi” la poetessa risponde che siamo dei sognatori, dei lavoratori, delle anime sensibili. Siamo ammassi di memorie, eredi del passato, viaggiatori. In “Verranno tempi migliori” si respira, forse, l’atmosfera più ottimista e speranzosa dell’intera silloge: la poetessa intravede tempi più felici e prosperi per tutti che saranno capaci di soprassedere alle logiche materialistiche e personalistiche dell’oggi (narcisismo, consumismo) attraverso la fede, unica vera arma di salvezza. In “Il tempo  è di Dio”, Anna Scarpetta ci ricorda che il tempo non è nostro ma che “è innanzitutto di Dio” (32) e che ci è dato sotto forma di un regalo. C’è l’implicito avvertimento a non sprecarlo, a dargli il giusto valore e a utilizzarlo bene. Rallentamenti, ellissi, retrospezioni, acceleramenti sono segni dell’utilizzo umano del tempo mentre il Signore ce lo ha affidato come una materia bianca, compatta e unica.

Insieme ad Anna Scarpetta

Insieme ad Anna Scarpetta

Nella successiva silloge, Sono soltanto un granello di sabbia (2013) si respira un’aria soave e pacata dove a dominare sono le immagini che fanno riferimento al mondo cattolico: molte delle poesie, in realtà sembrano delle vere preghiere, proprio per la profondità dei richiami e per la pervasiva e credente considerazione della vita quale percorso terrestre che si caratterizza per la sua finitudine.[2] La parola nelle poesie di Anna Scarpetta si fa lode, invocazione, condanna, rinuncia ed esortazione, ma essa è anche appello alla sensibilità dell’uomo, elogio dei sentimenti e apologia del credo cristiano. Non è un caso che sia proprio la prima lirica della silloge, “Io sono soltanto un granello di sabbia” che è quella che dà il titolo all’intera raccolta, che esordisca con questi versi: “Io sono, soltanto, un granello di sabbia,/ dell’immenso deserto, Signore” (7) in cui la poetessa, partendo dalla constatazione della minuziosità del suo essere in rapporto alla mondialità delle esperienze, evidenzia e rende grazia al Divino per il “dono” che le ha fatto: quello della poesia. Ma, siccome sappiamo che la poesia non è che la forma più autentica, vivida e sofferta di espressione umana, con questa espressione la poetessa non fa che eguagliare la poesia alla vita. E come si evince in questa prima lirica c’è una grande attenzione nella poetessa nei confronti del tentativo di auoto-definirsi, di identificarsi e di svelare agli altri chi è, come avviene anche nella poesia “Non so più chi sono”.

Centrale, come era stato per la precedente silloge poetica della poetessa, è il tema del tempo. Il colloquio che la poetessa intrattiene con esso si fa qui più aspro e si nota un certo indurimento del linguaggio dovuto, molto probabilmente, dalla desolante constatazione che esso è l’unico “eterno vincente” nella continua lotta della vita. La poetessa fornisce le più ampie caratterizzazioni per evocarlo (“il tempo,/ silenzioso, con la sua faccia di marmo scolpito”, 12; “il tempo, col suo volto annoiato”, 22; “il tempo, così infame e crudele”, 25; [tu], come statua regale”, 46, ecc.), e nella gran parte di esse si intuisce un certo disprezzo e sconsiderazione, che fanno seguito alla presa di coscienza della sua pericolosità e al contempo della sua tragica ineluttabilità. Ed è così che esso non è altro che “il vero palco delle pittoresche scene degli orrori” (8), cioè esso è un davanzale verso il mondo che assiste indisturbato e senza fretta alle rappresentazioni della vita, del mondo, delle famiglie, agli inganni e ai tormenti, alle guerre e ai sistemi di vendetta, ma anche ai momenti più belli che solo nel ricordo potranno conservare la loro leggiadria.

Il sentimento religioso è facilmente intuibile anche attraverso i chiari riferimenti alla vita intesa come percorso, come cammino errante e l’uomo come misero “abitante delle fatiche umane”, come pellegrino per le vie del mondo, a volte consapevole, altre volte meno ed obbligato ad esodi carichi di dolore a causa di guerre, scontri religiosi, deportazioni. Perché va subito osservato che varie liriche qui contenute hanno un forte intendimento civico, morale e mettono il lettore di fronte a realtà sociali endemiche, cancrenose, corrotte e ignominiose. Ècosì che Anna Scarpetta fotografa i massacri che avvengono al silenzio dei governi e dei mass media europei, come in Libano, dove la poetessa ci “narra” dei pianti e dei lutti di Beirut. Il pensiero non può non andare anche ai massacri in Sudan e quelli leggermente più conosciuti perpetuati da Assad, in Siria. Nella poesia “Libano” la speranza sembra esser ormai abbattuta e tutto ricade su una tortuosa domanda la cui impossibilità di risposta ferisce ancor più gli uomini di quella terra e demoralizza il mondo: “Agli occhi del mondo, tra due fuochi, ardi muto Libano,/ c’è chi si chiede, invano, ma tutto questo perché” (14).

copIl tema sociale ritorna nella lirica “Berlino est”, quadretto chiarificatore del senso di giubilo l’indomani dell’abbattimento del Muro che divise i berlinesi a seguito di un conflitto ideologico disprezzabile ed era presente anche in Le voci della memoria (2012) nella poesia che la poetessa aveva dedicato ad Anna Frank, la povera ragazza olandese nascostasi con la sua famiglia nell’appartamento di Prinsengracht  ad Amsterdam per vari mesi prima di essere scoperta e mandata in un lager. Con un ricco complesso aggettivale, la Scarpetta ripercorre i vari momenti dell’esistenza della ragazza, dalla giovinezza spensierata e felice mai avuta che, in altri contesti, le avrebbe di sicuro consentito di sviluppare una vita di soddisfazioni e di gioie terrene.

Si susseguono liriche più dolci e positive nelle quali la poetessa rievoca momenti passati e ricorda i suoi cari, soprattutto la madre, celebrata in due liriche e in maniera particolare nella bellissima “Sei volata via, madre” dove l’atroce ricordo della dipartita della madre è associata a una colorazione bianca, quasi accecante, che la poetessa vede e riconosce nella neve e nei gabbiani dal piumaggio candido. Ed anche qui, dove la lirica è pensata come commemorazione della madre, Anna Scarpetta non si risparmia per criticare la spietatezza di questo mondo nel quale siamo chiamati a vivere: “Sola sei andata via da questo strano mondo” (18). La “stranezza” del mondo è spiegata nella lirica “Il male del mondo” che è un vero pugno allo stomaco. In essa la poetessa plasma la parola in maniera meditata affinché sia acuminata, folgorante e distruttiva proprio come è l’efferatezza del mondo, la cattiveria diffusa negli animi imbarbariti nel nostro oggi: “Il male ha mostrato tutta la sua malvagità agli occhi del mondo/ coi suoi aguzzi artigli, graffiando volti di sfide verso il futuro/ ricacciando all’indietro tempi nuovi, che non sanno avanzare” (23). La poetessa non esplica quali intende essere i “mali” del mondo e lascia volutamente aperta la questione al lettore che può facilmente leggerli nell’aumento di femminicidi, nei suicidi per colpa della crisi economica, nelle inspiegabili tragedie familiari, nella bestialità di alcuni atteggiamenti umani e nelle invidie logoranti, negli abusi, nelle catastrofi naturali, ma anche nelle dolorose e fulminanti patologie a cui spesso non vi sono rimedi.

Per ultimo, ma non per importanza, ci sono liriche curiose dove Anna Scarpetta chiarifica la sua felice propensione nei confronti delle nuove tecnologie, esplicate soprattutto nel mezzo informatico al quale la poetessa riconosce grande capacità: con Facebook, ad esempio, si può ritrovare amici e parlare con loro, anche dopo tanti anni di lontananza e silenzio, e il web è molto positivo perché accorcia le distanze e fa viaggiare più veloce le notizie come sottolinea all’apertura di “Grazie a te web”. La versione digitale del libro, che oggigiorno sta combattendo una prima battaglia con il suo progenitore cartaceo –battaglia che a mio modesto parere sta perdendo e clamorosamente- è motivo addirittura di una lirica, “Ebook”, dove la poetessa ricorda, elogia e innalza il valore del cartaceo, custode di tradizione, fruitore di un contatto diretto e dispensatore del fresco profumo di stampa o acre di invecchiamento.

Il pensiero finale che la poetessa fornisce al lettore e sul quale si appella a una sua maggiore considerazione è quello che verte sul futuro: che cosa ci aspetta nei tempi a venire? Riusciranno le persone veramente brave e sincere a farsi valere in un mondo dominato da tante nefandezze? Anche la poetessa trasmette un sentimento d’incertezza al riguardo: “Da dove dovranno venire questi nuovi tempi/ carichi di profili, scolpiti di albe boreali, rinchiusi/ nell’immane destino che ancora non si profila” (41).

C’è bisogno di cambiamento e di gente valida che possa proporre una svolta. Subito. I tempi attuali sono fermi e stantii, pur nel loro ineluttabile incedere. Un plauso alla poetessa per darci tanti spunti su cui riflettere, predisponendo sulla carta timori che sono di tutti come quello dell’ombrosità di un futuro che si annuncia quale copia sbiadita di un difficile e depresso presente. A dominare incontrastato su tutto sono la centralità del passato e della tradizione, il senso e la validità dell’istituto familiare e la forza dell’insegnamento cristiano. La poetessa è talmente coraggiosa da pronosticare addirittura  un futuro scenario che la riguarderà nel suo rapporto con la poesia: quando la memoria verrà meno – e con essa tutti i vari ricordi- allora non sarò niente ed avrò perso tutto; in un’altra poesia osserva “voglio ricordare tutto, senza azzerare mai nulla”. È la parola che si fa testimonianza e che vive ogni volta che torniamo a leggerla.

LORENZO SPURIO

[1] Anna Scarpetta, Le voci della memoria, Ismeca, Bologna, 2012, p. 9.

[2] Aggiungo che Anna Scarpetta è stata recentemente premiata al I Concorso Letterario Internazionale Bilingue TraccePerLaMeta per la sua poesia religiosa dal titolo “Sulla via di Damasco”, ulteriore segno che evidenzia questa sua nuova apertura nei confronti di un genere poetico molto diffuso e seguito.

“Grazie a Dio. Storie di uomini e donne r/accolti dal mare”

GRAZIE A DIO

Storie di uomini e donne r/accolti dal mare

Racconti veri, di persone, di mare e di speranza.

 

 

copertina_grazieadioAlhamdulilah – Grazie a Dio è un mosaico di storie di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale e opinioni politiche vissute da giovani e giovanissimi ragazzi e ragazze provenienti dall’Africa sub-sahariana che durante la cosiddetta emergenza nord-africa sono stati accolti in Italia nel centro di accoglienza allestito in Calabria, a Falerna Marina in provincia di Catanzaro, tra il 2011 e il 2012. Proprio nel cuore dell’emergenza.

 

Le storie raccontate dall’autrice, la giornalista Valentina Tortelli, raccontano la doppia fuga dei ragazzi del centro. Fuggiti prima dai loro paesi di origine in Libia dove si stabilirono trovando casa e lavoro furono costretti a fuggire di nuovo quando il paese guidato dall’ex colonnello Gheddafi fu sconvolto dalle rivolte della cosiddetta Primavera araba e poi dall’intervento militare occidentale che sfociarono in una vera guerra civile.

 

In molti casi questi ragazzi e queste ragazze sono stati costretti dalle forze armate libiche ad imbarcarsi alla volta di Lampedusa senza neanche sapere dove erano diretti, l’alternativa sarebbe stata quella di diventare miliziani dell’esercito del defunto leader libico o peggio ancora essere scambiati per sostenitori di Gheddafi ed essere uccisi dai ribelli.

 

“Quelle non sono barche, journalist, sono rottami.

E nessun sano di mente si metterebbe là sopra di sua volontà”

 

Questo diranno all’autrice gli ospiti del Centro di accoglienza di Falerna Marina gestito dal consorzio di cooperative sociali CalabriAccoglie durante l’attesa per il riconoscimento di uno status che gli consenta di godere della protezione internazionale.

Nonostante l’assurdità di chi si trova costretto a fuggire due volte, i ragazzi nutrono un’infinita speranza nei confronti della vita e del nostro Paese. “Alhamdulilah” esclamano in continuazione, “Grazie a Dio” in arabo. Da qui prende il titolo l’ebook.

 

L’autrice ci porta in questo viaggio tra storie e culture diverse in un processo di integrazione spesso complesso e delicato; ci racconta dell’incontro/scontro con la nostra burocrazia, con la cucina italiana e con la comunità del piccolo centro catanzarese.

 

I nomi dei protagonisti di queste storie vere sono di fantasia perché la loro vita non è ancora al sicuro ma Grazie a Dio, in un modo o nell’altro ce la faranno.

 

L’ebook Grazie a dio è il primo titolo pubblicato dalla giovanissima casa editrice digitale Asterisk Edizioni per la collana Due punti. Fermarsi per conoscere, dedicata alle inchieste e tematiche locali.

 

L’Ebook Grazie a Dio. Storie di uomini e donne r/accolti dal mare è in vendita presso lo store online di Asterisk edizioni (www.asteriskedizioni.it), Amazon e Google Play al prezzo di 3,49 euro.

 

L’ebook è DRM free.

 

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Valentina Tortelli è nata a Roma nel 1981. Giornalista freelance, dal 2009 fa parte della stampa accreditata presso Stato Maggiore della Difesa. Laureata in Scienze della Comunicazione, si è specializzata in Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo presso l’Università La Sapienza. Ha poi partecipato al II corso di perfezionamento post-lauream per giornalisti inviati in aree di crisi “M. G. Cutuli” e ha collaborato con diverse testate tra cui Citynews, CNN Italy, Nanopress e Il Quotidiano. Ha scritto reportage di viaggio dal Marocco e, come embedded, dal Libano e dal Kosovo, al seguito del contingente militare italiano.

 

Asterisk edizioni è una casa editrice digitale nata negli ultimi mesi del 2012 specializzata nel racconto dei territori attraverso reportage, racconti di viaggio, inchieste e saggistica. Un focus importante viene dato anche alle tematiche dell’innovazione non solo attraverso la pubblicazione di ebook specializzati ma anche attraverso il blog-osservatorio sull’innovazione nel mondo dell’editoria: http://www.editoriacrossmediale.it.

“Volti bruciati dal sole” di Shimon Adaf

SHIMON ADAF

Volti bruciati dal sole

COLLANA biblioteca dell’acqua

ISBN: 9788865640494

pp. 384 € 18,00

Atmosphere libri

miniAll’età di dodici anni Flora smette di parlare. A nulla servono le visite dallo psicologo, né tanto meno quelle da un santone. Durante una notte insonne Dio le parla attraverso il televisore e le dice di cambiare nome, che diventa Ori e da quel momento la sua vita è segnata da quest’annuncio. Riacquista la parola, scopre i libri. La scrittura diventa la sua ossessione e il suo rifugio, quando gli eventi intorno a lei fanno traballare ogni certezza. Di lì a poco la madre si ammala gravemente e l’ambiente che la circonda – Sderot, una cittadina del sud di Israele prevalentemente abitata da ebrei di origine marocchina che attraversano difficili condizioni economiche e sociali – è sempre più ostile, la schiaccia. La sua ultima risorsa è la fuga.

Ritroviamo Ori a 32 anni, sposata e con una figlia. È una scrittrice per ragazzi e l’universo fantastico cui fa riferimento è il paese delle meraviglie. La sua vita sembra aver raggiunto una stabilità, una normalità, ma solo in apparenza. Riaffiora in lei la ricerca di quella felicità suprema, indecifrabile, che ha assaporato in alcuni momenti della sua esistenza. La fiamma che le brucia dentro la porta a distruggere il suo matrimonio, a sfuggire a ogni buonsenso e a cercare ancora una volta una possibile salvezza nella scrittura e nella fantasia.

Volti bruciati dal sole, con termini realistici e poetici racconta le difficoltà non banali di essere bambina, donna e madre, in una cittadina periferica e svantaggiata di Israele, un paese oppresso da problemi politici e sociali. Questi temi sono però affrontati non in chiave attuale, bensì in funzione di una disamina dell’esistenza umana, della rivelazione, della ricerca di felicità, dello scontro con l’errore e con il dubbio e del tentativo disperato di far prevalere la fantasia sulla realtà.

 

Shimon Adaf è nato nel 1972 a Sderot in Israele, da genitori di origini marocchine; è scrittore e poeta. Nel 1996 ottiene il Premio del Ministro dell’Educazione grazie alla sua prima raccolta di poesie. Ha già pubblicato due raccolte di poesie (Icarus Monologue e What Which I Thought Shadow Is the Real Body). Alcune poesie sono state recentemente tradotte e pubblicate in Poeti israeliani(Einaudi, 2008) a cura di Ariel Rathaus e nell’antologia Tremila anni di poesia d’amore ebraica (Ed. Salomone Belforte, 2007). Volti bruciati dal sole (Panim tzruve’ khamà) è il suo terzo romanzo ed è in corso di pubblicazione anche in inglese. L’autore, ha anche una passione per la musica, suona la chitarra e scrive testi di canzoni. È del 1996 il suo primo album musicale. Shimon Adaf ha vinto nel 2012 il più prestigioso premio letterario israeliano, il Sapir Prize.