Anna Scarpetta su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

NEOPLASIE CIVILI

Silloge poetica di  LORENZO SPURIO

 

Recensione di ANNA SCARPETTA (Poetessa e scrittrice)

 

             

Neoplasie civili di Lorenzo Spurio
Neoplasie civili di Lorenzo Spurio

 Neoplasie Civili di Lorenzo Spurio è il primo libro di poesie che ha incuriosito e continua a incuriosire non solo i critici ma anche il numeroso pubblico che  segue le costanti novità editoriali, fresche di stampa, del giovane scrittore e saggista.

               Il titolo di questa Silloge è incredibilmente mirato, abbastanza forte e preciso, per narrare, in versi, l’essenzialità di tutti quei malesseri oscuri di un mondo malato da troppi mali sociali, così profondi e gravi: taluni lasciati nella più completa indifferenza e degrado, altri, invece, rimasti come tracce di storia da ricordare. Tuttavia, sono sempre mali neoplastici, tra virgolette, del nostro pianeta. Invero, mali che deteriorano quei valori sani di una società costantemente offuscata  da troppe crudeli violenze, miste di terrori e soprusi così miserabili. Il libro è davvero profondo e risalta quei valori sociali che sembrano aver perso il giusto passo con la realtà, così come si può constatare in questa poesia, Polvere e Sangue: “ (…) Alla nuda  frontiera del mondo/ impavidi  cecchini sparavano, uccidendo soldati amici(…)”. pag. 35; o  ancora meglio specificato in questa lirica dal titolo Kalashnikov d’estate, in cui il poeta, con sottile stile sostanzioso, enuncia:”(…) Lì tra le torok di polvere e i chawaree di terra depressa/ morivano uomini./Un prepotente capotribù era saltato in aria/con figli, amici e sconosciuti/ poco lontano dal mercato (…)”.  pag. 24

               Invero, le liriche sono pregne di reali contenuti, inerenti ai mali che affliggono l’umanità dei nostri tempi che non appaiono mai così giusti e maturi abbastanza per guarire ogni crudele ferita inferta, quando ancora sanguina nella memoria della nostra storia, sia passata che presente. Mi piace, altresì, evidenziare taluni versi, assai forti, di Lorenzo inPolvere e sangue, in cui i mali sembrano raggiungere livelli impensabili, quando egli afferma: “Quelle pietre perfette/ assorbivano sangue, diventando tumori in metastasi. Un vecchio fumava/ stanco dell’oppio e mugugnava frasi d’odio. I bambini giocavano addolorati/fra le pozzanghere nere, senza fine. (…)” e di nuovo  ribattono i versi incalzanti, dicendo la verità: “(…) Non ho mai avuto tanto freddo;/ serravo i pugni con sovrumana forza/con la speranza di polverizzarmi (…)”. pag. 35

               La visione di questa poesia risulta perfetta come metafora, la bravura di Lorenzo Spurio riesce a descrivere la durezza delle pietre pregne di sangue, destinate nel tempo a divenire tumori in metastasi, proprio quando cala silenzioso il velo dell’indifferenza. Sicché, s’intuisce chiara la rassegnazione di un vecchio che fuma,  rimuginando, tra sé,  solo frasi di odio. Peraltro, mi risulta spontaneo citare altri versi significativi, in un dialogo, quasi intimo, ovvero, un lento interrogarsi continuo senza mai giungere a risposte giuste. In effetti l’autore si apre, dicendo in Colloquio: Ho guardato la terra  e le ho chiesto dove andasse/ usando un linguaggio di vergogna/ per ammazzare noiosi secondi” (…) pag. 52. Anche  la limpida e tenera lirica  A una madre, risulta inequivocabile quando recita: “(…) Le lacrime di un popolo scivolano copiose, per un momento; quelle di una madre/non trovano fine”. pag. 15

               Ebbene, tutto incentrato nel cuore malato del mondo, sin da subito, si rivela particolarmente interessante questo libro di poesie di Lorenzo Spurio. Mi piace aggiungere,è un modo assai singolare, di saper narrare, dialogando, con giusta misura, nelle succinte o aperte descrizioni di certune delicate tematiche. Invero, una silloge, di poesie così originali e impegnative, preparata in grande stile, che si presenta al pubblico, ben nutrita di particolari, mettendo in risalto, una molteplicità di eventi accaduti. In sintesi, i versi del poeta scandiscono con incisiva espressività un lento, continuo scorrere di accadimenti avvenuti, nel mondo, in una sequela  impressionante, davvero inquietante, in veste di delicati temi sociali, tutti avvolti da un alone inconfutabile di veridicità così intrigante. Poesie, peraltro, frutto di un costante lavoro assai minuzioso, che scorrono fluide come l’acqua di un fiume agli occhi di chi legge.

 

               In sintesi, l’ampia finestra, di questo libro, si apre generosa sul mondo per lasciare intravedere tanti minuziosi flash istantanei di quegli eventi, misti di orrende violenze, nonché, duri soprusi. Ma, tuttavia, evidenziano anche periodi di tanta tirannia e suicidi che abilmente  Lorenzo ha saputo catturare con la sua curiosità.  Difatti, i versi descrivono la brutale follia di uno scrittore francese, Dominique Venner, morto suicida il 21 Maggio del 2013 nella cattedrale di Parigi. Invero, anche in questo tragico avvenimento, i versi dell’autore risultano abbastanza incisivi in Notre-Dame De Paris: “(…) In cattedrale si suicida uno scrittore/per sdegnare il tormento/di gravosi e disoneste leggi/contro-natura, che spaccano la Sacra Famiglia (…)”. pag. 22.

              Dunque, accadimenti  importanti, che hanno comunque scosso il mondo per la tragica morte della principessa, Lady Diana. In realtà, nella lirica Verde per sempre, Lorenzo, inequivocabilmente, enuncia: “(…)Non era stata regina,/ ma principessa declassata di titoli, onori/e infangata da accuse e presunzioni” (…). pag. 20

               Leggendo con attenzione il libro, ebbene, non si può non lasciarsi coinvolgere da questi versi, marcati dalla durezza degli eventi che sembrano interrogarci con estrema inquietudine, in Non più favole, in cui Lorenzo dice chiaro: “Non era tempo per favole/e idiote freddure, quello./ Il sole riscaldava l’erba/l’aria e il cemento, ma non me” (…) pag. 34.  La minuziosa ricerca accurata, del poeta, va oltre alla visione di taluni tragici fatti, esaltando, in genuini versi, molte crudeltà consumate in paesi stranieri, come in Turchia, durante un clima di forte repressione nel giugno del 2013.

               I versi di Neoplasie civili, in concreto, raccontano dure verità, in una sequela  inaudita di squallori, misti di dolore e forte sofferenza di un popolo governato col pugno duro e autoritario, così come descrive Lorenzo Spurio in Non abbattete quegli alberi!: “Nelle strade tra polvere e odio/indignazione e difesa ecologica/la voglia di libertà/ stringeva alle mani/il verde futuro/ di una patria, affollata nelle preoccupazioni,/ massacrata nelle opposizioni,/ martoriata dalle aberrazioni,/ di un capo pur eletto/ ma non più amato.” (…) pag. 39.

               Infine, nella bella lirica: Alla piazza di sangue, Lorenzo risalta una speciale visione di un pubblico rumoroso che rimane affascinato dinanzi ad uno spettacolo di tori eroici nell’arena. Così gli estasiati versi immortalano certe scene abbastanza chiare:  “Un vecchio registrava affanni/e claudicante ricercava/ il suo posto all’ombra. |Holà! (…) Il clarino suonò dolciastro,/la folla estasiata si godeva quei terzi/nell’arena appiattita. |Aca toro! (…) Qualcuno avrebbe mangiato una coda/in una taverna della plaza./L’avrebbe condita con patate, come pregiatissime medaglie/di un bottino ritrovato. (…)”. pag.46/47

               In conclusione, la nuova poetica di Neoplasie civili s’impone con minuziosa accortezza e narra drammi umanitari sparsi nel mondo. La nuova silloge di poesie di Lorenzo Spurio sembra proprio  che c’inviti, in sintesi, a riflettere seriamente, con un bel suo pensiero, rivolto a tutti, indistintamente, ch’io racchiuderei così: “Benvenuti nel nostro mondo infernale, coi mali orrendi, coi suoi soprusi, coi suo contrasti accesi, coi risvolti di mille facce e sfaccettature, che ci tolgono il respiro. Tante sono state le vicissitudini che abbiano dovuto sopportare, con fatica, per dimenticare. Le abbiamo sopportate inermi, attoniti, fino a toglierci il piacere di una serenità che nessuno avrà mai più”. Ecco, mi piace concludere così questa doviziosa raccolta di liriche, così intensamente forti, vere. A mio dire, neppure un bravo reporter, in giro per il mondo con la sua macchina fotografica avrebbe potuto fotografare meglio tutto ciò che Lorenzo ci ha descritto, minuziosamente, in questi magnifici, reali, versi.

 

 

Novara, lì 26.04.2015                                                                        Anna Scarpetta

Giovanni Chiellino su “Neoplasie civili” di Lorenzo Spurio

Lorenzo Spurio,  NEOPLASIE CIVILI

Edizioni Agemina FIRENZE  2014  € 10,00

 

Recensione di Giovanni Chiellino

 

cover front (1)Molti anni fa mi divertivo a scrivere Haiku e fra i tanti, alcuni pubblicati, uno recitava: “ Buca la neve /il fiore delle Alpi / e guarda il sole. 

Mi è venuto in mente leggendo i versi  di Lorenzo Spurio, un giovane poeta  che affronta il testo poetico guardando spesso con ironia o amaro sarcasmo la cruda realtà del vivere: “ Un camion betoniera m’occultò/ la vista verso il parco//  L’intonaco fradicio dalla recente pioggia / 

sembrava una spugna di sangue //gridai senza voce una qualche ballata/

dal ritornello enigmatico” (Giù la serranda) e chiudendo a volte, ma raramente, la composizione o restando nella consistenza di un realismo lucido e per questo razionale o abbandonandosi a una fuga nel sogno, a una speranza, a un’illusione di felicità o, spesso, a un realismo che supera i limiti della stessa realtà: “Le lacrime di un popolo/ scivolano copiose, per un momento;/ quelle di una madre/ non trovano fine.” (A una madre) per aprirsi a una intuizione di vita altra. Come il fiore delle alpi buca il gelido strato delle nevi per offrirsi al sole, Spurio attraversa la realtà del vivere per seguire una traiettoria di sogno, una proiezione nell’oltre , mentre è chiaro nei suoi versi il peso del reale, per cui la vita altra si coglie qua e là, s’intuisce  come una presenza di confronto: “ e quel cuore indomito,/ calamita a quello dei deboli/ non aveva perduto la carica” (Verde per sempre);  “I bambini rubavano il mare/ con gli occhi bagnati” (Piazza Tahrir)  e, a volte,  come una frustata di amara  ironia: “Alla fiera della vanità/ un viados comprava / caramelle alla fragola per suo figlio./ Io le presi al limone    (Verità talmente vere …)  o, ancora, come dura presa di coscienza che anche la bellezza e il profumo di un fiore possano nascondere un seme di tristezza: “Ho odorato ancora il fiore /accorgendomi che esalava tristezza/ e bisogno d’amore” (Il fiore giallo). Anche “un gatto senza coda/ (che) correva baldanzoso/zampettando felice” può aprire finestre di una trattenuta, o del tutto inconsapevole, malinconia.

Ed è un amaro rigurgito di sconforto e sofferenza osservare che: ”I bambini giocavano addolorati/ fra le pozzanghere nere/ senza fine”.

(Polvere e sangue) mentre il divino si piega sull’umana violenza incapace di redimerla per cui si abbandona al più umano dei sentimenti: il pianto “e Dio piangeva a fiumi,/genuflesso sui carboni ardenti.”.       (Ritornato sei !)  La grande sensibilità umana di Spurio si allarga e avvolge, in un abbraccio fraterno, i tanti profughi che affrontano le insidie del mare per fuggire da un mondo per loro inospitale.

Si emoziona il poeta a vedere “Polpastrelli dalle impronte/ slavate dal mare/ e stinti per sempre/ (che) affioravano ora qui, ora là” (Ora qui, ora là) o come ne (Il laido timoniere) , dove un maldestro e incosciente Capitano provocò per una errata manovra, il ribaltamento della nave e la morte di moltissimi giovani studenti in gita scolastica.

Da composizione a composizione, di verso in verso, l’autore snocciola pene e misfatti che sconvolgono l’umanità finché l’annoiata Atropo non decide di tagliare “senza pietà”  il filo della vita.

Si chiude, a questo punto, il canto amaro e realistico di Lorenzo Spurio che, avvalendosi di un linguaggio scarno ma sommamente efficace e di uno sguardo intellettivo penetrante e rivelatore del male nel cui Humus trovano nutrimento le radici di una umanità spesso disorientata e allo sbando, ci racconta dell’uomo e del suo viaggio.

Solo uno sguardo chiaro sull’esserci e un atto d’amore verso il “terreno” che ci sostiene e ci nutre, può rigenerarci.

“M’inginocchiai e baciai la terra / chiedendole scusa; /impastai terriccio e saliva/ e nel mentre dall’alto/ una pioggia acuminata/ m’infilzò dappertutto/ e mi rigenerò.” (Colloquio). Il poeta, e quindi la Poesia, riproduce in piccolo l’atto creativo di Dio.

 

Giovanni Chiellino

15-10-2014   

“Un passaggio verso le emozioni” di Giorgia Catalano, prefazione di Emanuele Marcuccio

Un passaggio verso le emozioni

di Giorgia Catalano

Photocity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 63

ISBN: 978-88-6682-321-6

Prefazione: Emanuele Marcuccio

Co-curatrice: Gioia Lomasti

Cover: Francesco Arena

Foto di copertina e illustrazioni: Giorgia Catalano

Prezzo: 8,14 €

 

PREFAZIONE

a cura di Emanuele Marcuccio

 

Giorgia Catalano - Un Passaggio Verso Le EmozioniGiorgia Catalano, che ha già pubblicato sue poesie in antologie di autori vari, esordisce in questa silloge, con la sua opera prima, dal titolo Un Passaggio verso le Emozioni.

Sperimenta la scrittura in versi fin dall’adolescenza ma, solo dal 2010, ormai in età matura, riesce a dedicarsi, con l’attenzione che merita, a una forma di scrittura così profonda e delicata; significativamente, le poesie qui raccolte, sono state scelte tra quelle scritte negli ultimi anni, precisamente dal 2010 al 2012. Quasi a voler sottolineare che quelle scritte precedentemente erano soltanto degli esercizi preparatori, un lungo periodo di apprendistato.

La prima impressione che ho avuto, dopo la lettura di queste liriche, è stata quella di una carezza gentile agli occhi e al cuore del lettore, proprio perché una poesia bisogna soprattutto ascoltarla nel profondo e nel silenzio del proprio cuore; anzi, bisogna rileggerla, per assaporarne nuove sfumature e interpretazioni a ogni rilettura.

Siamo di fronte a un poetare fluido, ricco di musicalità, indulgente verso elisioni e apocopi, un poetare spontaneo, ma che a volte si prodiga in raffinate figure retoriche, come nelle metonimie di “Porta Palazzo”: “Occhi a mandorla si perdon verso l’orizzonte / d’un monte lontano”. O come negli accusativi alla greca di “Sogno di neve”, con il soggetto abilmente in ellissi: “Lenta / cade / sull’asfalto bagnata / dalla pioggia” e, verso la chiusa “Ma poi tornano sulla strada, / sull’asfalto bagnata, / i loro piccoli pensieri,” si aggiunge anche l’ellissi del predicato. O come in “Ali d’un falco”, in cui abbiamo la raffinata figura del chiasmo: “Plasmata da mano divina / nella creta affondata” e, proseguendo nella lettura, degno di nota è l’enjambement “buoi, stambecchi e libere / ali d’un falco”.

I temi affrontati dalla Catalano, in questa silloge, sono perlopiù introspettivi, ispirati dalle gioie e dai dolori familiari. Tuttavia, anche quando l’autrice affronta i temi più dolorosi, il suo poetare non si abbandona mai a un canto disperato e i suoi versi si schiudono sempre alla speranza, come corolle di fiori che sorridono a un nuovo giorno. Come in “Anime spoglie”: “Un lampo squarcia / l’unica bianca nube seppellita da cumuli / anneriti dalla disperazione.”, quel lampo che, d’improvviso squarcia il cielo, quasi voglia alleviare il dolore di quella madre per la perdita del figlio. O come in “Più ed ora”, dove nella chiusa si apre alla speranza e al sogno: “Ora è più nulla di questo morire, / viaggiare per mare, pensare a volare. / Ora è quell’oggi / che sarà ieri, domani. / Altro futuro, / nuova traccia di vita / limpida / come mattutina goccia di rugiada”.

Auspico, dunque, come promette il titolo, che questa preziosa silloge sia davvero per il lettore Un passaggio verso le emozioni, verso emozioni vere, che non tramontano e che si rinnovano ad ogni rilettura.

 EMANUELE MARCUCCIO

Palermo, 18 aprile 2012

 

 

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Qui, invece, è presente l’intervista che il poeta Emanuele Marcuccio ha rivolto all’autrice Giorgia Catalano:

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“Macchie”, racconto di Rita Barbieri

MACCHIE

di Rita Barbieri

Mettimi via. Nascondimi, come si fa con la polvere sotto il tappeto, come le macchie d’umidità sotto i quadri alle pareti. Depositami in un angolino, lasciami lì dove non avrò voce né consistenza alcuna. Perché se sarò così ben nascosta, allora potrà darsi che piano piano scolorisca fino a svanire o che, più semplicemente, mi succeda di essere dimenticata.

Certe macchie sono più dure di altre da mandar via: resta l’alone. Impresso sul muro, sulla stoffa, sulle pagine di un libro: una macchia lascia tracce, più o meno visibili.

Anche le persone lasciano tracce. E macchie e depositi e strati e strati di polvere che, per quanto si tenti di pulire via, si riformano sempre. La polvere è nell’aria e certe persone anche. Si respirano involontariamente, assimilando ad ogni boccata il loro personalissimo mix di ossigeno e smog.

Quelle sono le persone in cui si inciampa per caso, camminando sicuri per la propria strada, con lo sguardo alto e le difese abbassate: come buche non segnalate ci fanno vacillare, cadere, perdere l’equilibrio e, prima ancora di capire bene come sia successo, ci si trova impantanati e arresi. Ci piovono addosso,  gocce di pioggia improvvisa in una calda giornata estiva.

Inopportuna e rinfrescante insieme: ancor prima di aver trovato un ombrello o un provvidenziale portico sotto cui ripararci, ci siamo già bagnati almeno un po’ e siamo anche scocciati per l’accaduto. Una stretta di mano, una frase, uno sguardo e tutto cambia: se ne stanno lì e la loro presenza già da sola basta a interrogarti.

E di domande se ne fanno sempre troppe e sempre alla persona sbagliata: l’unica che le risposte non le sa e non le può sapere. Gli incontri sono giochi a premi: un azzardo in cui bisogna essere fortunati prima e furbi poi. E in cui bisogna anche sapere quando fermarsi in tempo prima di perdere tutto.

Perché quello è il rischio grosso, la vera posta in gioco: il problema vero non è vincere quanto PERDERE. Perdere un’occasione, perdere la credibilità, perdere la bussola, perdere il controllo. Infinite varianti e  possibilità del verbo perdere. Si può perdere tutto, praticamente. Dalle chiavi al tempo che non torna più indietro, da una partita amichevole finita a pacche sulle spalle, alle opportunità che capitano sempre una sola volta nella vita. Dai ricordi alle speranze.

“Ho paura di perderti”. Quante volte diciamo questa frase. Il gioco del fare e non fare, del dire e non dire, perché poi perdi tutto, comprese le mosche che pensavi di tenere ben strette nel pugno della mano. Anche quelle volano via, se vogliono. Non serve a niente stringere le dita per impedirlo, certe volte è più semplice aprirle.

Aprirle come si fa con una porta, una finestra, uno spiraglio. Aprire per lasciare uscire e per far entrare. Per portar fuori e per accogliere dentro. Stare un po’ sempre sulla soglia, appoggiati alla maniglia: guardare per strada e osservare chi passa. Perché tante persone passano e poche, invece, restano. E, se restano, chissà poi per quanto.

Ci sono giorni torti, difficili in cui mi rendo conto che ancora non ho cancellato proprio un bel niente. Ho accantonato, separato, fatto il cambio dell’armadio forse…ma non dimenticato. Certe cose, eventi, persone semplicemente non sono pensati per essere dimenticati. Non si può: torneranno in mente all’improvviso, attraverseranno la mente come proverbiali fulmini in un cielo apparentemente sereno, faranno sorridere o piangere. O anche tutti e due insieme. Perché se tutte le storie felici sono simili tra loro, ogni storia infelice è infelice a modo suo:  Anna Karenina insegna.

Ci sono storie che nemmeno un menestrello stonato potrebbe cantare, fiabe che non conciliano affatto il sonno ma semmai evocano la compagnia informe dei pensieri. Racconti che non finiscono con un punto ma sfumano in infiniti e inediti punti di sospensione. Aspettano che si tiri una linea, che si tirino le somme, senza scarti e senza resti.

Come certe macchie anche certe cose sono indelebili: perfino se vengono strofinate via con cura, riappaiono.

Rita Barbieri

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