“Uccelli scalzi” di Elisa Roccazzella. Recensione di Gabriella Maggio

Recensione di GABRIELLA MAGGIO

La Sicilia con i suoi paesaggi e i suoi miti, gli affetti, i ricordi e le attese della vita costituiscono l’ordito su cui Elisa Roccazzella tesse la trama della sua poesia. Bella come l’alba della Creazione l’isola si offre come un paradigma  naturalistico e  mitologico che  la poetessa  esprime con parole suggestive, che giungono alle  radici nascoste nel cuore,  forgiando  immagini di vitalità: “il tuo nome / è un’onda di vento / che piega il campo dorato di spighe”;una luna / nel suo trono di luce / scrive poesie d’amore / su pagine di stelle” odell’ombra  dopo la vita: “quando la bellezza / passeggera della luce / cederà alla croce dell’ombra… e ….vertigine sarà altro sole, / pienezza d’una  vita / senza tempo / e… nessun vento mi dirà / se ancora nasceranno spighe / se ancora nasceranno rose (Poesia “Io Anima”). Se lo spazio è quello isolano il tempo è quello ciclico della natura, colto con intensa partecipazione. Come l’Arianna del mito la poetessa tiene il filo dell’eternità e percepisce l’eco d’irragiungibili sirene. Un sentimento elegiaco con punte di nostalgia individua i versi della raccolta Uccelli Scalzi che comprende quarantacinque poesie scritte in anni diversi dal ’91 al 2022, mescolate fra loro senza tenere conto della cronologia perché intrinsecamente coese nel sentimento che le ispira.  Gli uccelli del titolo sono metafora del desiderio di librarsi in volo, staccarsi dalle contraddizioni e dai condizionamenti della realtà, sono scalzi, nudi, essenziali come il procedimento gnoseologico e linguistico compiuto da Elisa Roccazzella per giungere alla nuda, essenziale profondità del sentimento. La poesia nasce infatti da un grande “tormento che m’innalzerà… a levità di canto” (Poesia “L’allodola”) ed è “Epifania di luce”, calda parola che riverbera “quel fuoco / che divora il mio cuore di poeta” (Poesia “Vergine o vestale”). Uccelli scalzi si pone chiaramente come sintesi della poesia di Elisa Roccazzella, come manifesta il ricorrere della deissi spaziale evocativa d’ infinito e di mistero.


L’autrice del testo ha autorizzato la pubblicazione su questo spazio, senza chiedere nulla in cambio all’atto della pubblicazione né in seguito. La riproduzione del testo, in formato integrale o di stralci, su qualsiasi tipo di supporto, non è consentito senza il permesso dall’autrice.

“La follia del sole” di Elisa Roccazzella, recensione di Gabriella Maggio

Recensione di Gabriella Maggio

download (1)In questo nostro tempo frettoloso e precipite, in cui l’apparire prevale ampiamente su ciò che appare, un libro di poesia come questo di Elisa Roccazzella con la sua fertile lentezza silenzia, nel tempo sospeso della lettura, l’incessante frastuono dell’attualità. La follia del sole (Edizioni Thule, Palermo, 2018) segue a distanza non inoperosa I favi d’Hybla dello stesso editore. Dice infatti Elisa Roccazzella della sua poesia: “Sei andata via…/sì…sei andata via!/ Ma non ti ho perduta,/so che presto tornerai/come sempre sei tornata/-tenera di lauri e mirti-/ sì…ritornerai/ per rendermi la scintilla/di quel fuoco/che divora il mio cuore/ di poeta..(in Vergine o vestale-alla mia musa). Il titolo La follia del sole rimanda al tema sotteso alla raccolta, il sole ora rappresentato come speranza, natura fiorente di primavera ora come follia che acceca di luce e fa deviare verso il male. Il tema è sviluppato in maniera diretta: “sarò sole …folle e abbagliante…”, o indiretta per mancanza: “Piove nel nero delle lunazioni,/nello sgangherato delle imbarcazioni,/ nel tetro dell’onda che tradisce/ che ha solo il peccato di un sogno”. Anima antica e profonda Elisa Roccazzella insegue nel tempo del suo ritmo poetico la mancanza di qualcosa che è “chissà dove” o accaduta “chissà quando”. Il dato soggettivo colto con immediatezza è espresso da una scrittura d’impianto classico e in una discorsività priva d’intermediari e orpelli, diretta a cogliere ogni proprio movimento interiore: “inaugurando scale/ e solfeggi di memorie / folgorata da lampi d’emozioni/ dove precipito per presto risalire, /in un angolo del cuore/entrerò dentro le parole ( in Dentro le parole) e ancora  le tue parole/- come raggi dorati-/pioveranno all’ombra della mia passione ( Bella più che mai –alla poesia)”. L’inquietudine della vita s’acquieta in una trama musicale che ricorda la lieve risacca del mare calmo su una spiaggia di piccoli ciottoli, frusciante e sapida di incanto e mistero, ansiosa di autentico. La follia del sole  dialoga con I favi d’Hybla per il senso vivo e panico della natura, osservata con occhio commosso o affiorante  da tempi passati, per il  mito che sostanzia la Sicilia, per la fede e  gli affetti personali: “in questa mia terra/-dove grande al sole predica l’ulivo-/ e primitivo azzurro/a grazia di mandorli e ginestre/ sfuma paradisi in leggerezza d’acquerello,/ io scommetto sogni/ e cesello…madrigali/ alla ruota dei giorni/ cigolanti di memorie/ come i carretti del passato” (in In questa mia terra). Ma se ne distingue per uno sguardo più limpido e ampio che abbraccia tutta la vita come nel conclusivo poemetto Il seme della memoria.

GABRIELLA MAGGIO

L’autrice della recensione acconsente alla pubblicazione su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi pretesa o problematica possa nascere a seguito di riproduzioni e diffusioni non autorizzate, ricadendo sull’autore dello stesso ciascun tipo di responsabilità.

 

Un sito WordPress.com.

Su ↑