N.E. 02/2024 – Due aforismi di Maria Pellino

La pace è nella contezza del tempo, quando l’animo raccoglie la virtù della pienezza e ne assapora l’autenticità.

La frenesia dilegua la ragione, ne aggroviglia l’esultanza. Sentire tutta quella tensione avvolgere corpo e cuore risveglia lo sguardo sull’eternità.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

Tre poesie di Rosaria Minosa con un commento di Lorenzo Spurio

Tre poesie di ROSARIA MINOSA

con un commento di LORENZO SPURIO

   

NOTTE  STELLATA

di Rosaria Minosa

  

In questa notte stellata….
Non esiste confine…. tra cielo…. terra…. mare
In questa notte stellata….
Solo le lucciole sono regine,
mentre i pesci sono padroni del Mare.
In questa notte stellata,
gli alberi…. cullano il mondo con i loro rami e le loro foglie,
mentre i fiori chiudono i loro petali
per raccogliere i sogni degli uomini.
In questa notte stellata….
La Luna ….
Osserva ogni creatura di Dio…. per dare loro pace.
In questa notte stellata….
Il mio pensiero
oltrepassa il confine dell’infinito.
Chiudo gli occhi…. e il mio cuore si riempie d’amore….
Affinché il giorno dopo…. io riesco a “DONARLO”.

 

 

 

CIELO

di Rosaria Minosa

 

Cielo ….
avvolgimi nel tuo “IMMENSO INFINITO”,
avvolgimi nel tuo “INFINITO DIVINO”.
Fammi cullare….
dalle tue amiche nuvole.
Cielo ….
inebria la mia mente….
affinché per un attimo  dimentichi “ IL MONDO”.
Cielo….
abbracciami per un attimo….
perché quando aprirò gli occhi….
quell’attimo…. diventerà “UN’ETERNITA’”.

  

                                                            

LETTERA DI UNA MAMMA

di Rosaria Minosa

  

I nostri sogni, si sono fermati quel maledetto giorno.
Uno squillo di telefono.. una corsa in ospedale.. tu.. eri già in sala operatoria
all’improvviso per me e tuo padre, non c’era luce.. non c’era sole.. non c’erano parole.. ma solo buio..fitto .. nero.
L’inferno era dentro di noi. L’inferno era attorno a noi.
Da quel momento, i secondi.. i minuti.. le ore.. i giorni, tutto sembrava andare lentamente. Il tempo si era fermato.
Tutto era immobile.. le persone.. l’aria, tutto ciò che era attorno a noi.
Solo l’attesa.. era viva. Attesa così lunga.. amara.. dolorosa.
Ti avevano tagliato la strada, non avevano rispettato lo stop, a me e tuo padre non interessava,
era importante, solo il tuo respiro, sentire la tua voce, sentirsi chiamare “mamma e papà”.
All’improvviso, mano nella mano, io e tuo padre abbiamo iniziato a camminare in una nuova strada.
I nostri sogni “distrutti”.
Vederci invecchiare assieme, tra le grida gioiose dei nostri nipoti. Vederti davanti all’altare con la tua “sposa”.
Sogni lontani.. sogni svaniti. La porta della sala operatoria si è aperta. Tu eri vivo, respiravi
era come se io e tuo padre, ti avessimo partorito in quell’istante “UN NUOVO FIGLIO”.
Io e tuo padre, mano nella mano, piano piano abbiamo dovuto conoscerti.
Il nostro futuro, il tuo futuro,
non sarà più di schiamazzi di bambini o vederti soffrire per le tue prime cotte.
Il nostro futuro, è fatto e sarà di piccoli gesti guardarti negli occhi, e cercare di cogliere il tuo primo sorriso.
Non possiamo più camminare assieme, le tue gambe non potranno più muoversi,
le tue braccia non potranno più abbracciarci, la tua bocca non dirà più “MAMMA E PAPA’”.
La nostra vita, la tua vita, va’ nello stesso binario. Il nostro treno non corre, ma procede adagio,lento.
La strada non è più scura, ma io e tuo padre riusciamo a vedere ogni giorno, un piccolo spiraglio di Luce.
Luce che è presente, anche quando la sera tutto tace, e il buio e il silenzio prendono il sopravvento.
Perché è quella “Luce”, che ci dà la forza e il coraggio, di dire
“DOMANI E’ UN ALTRO GIORNO”.

   

Commento di Lorenzo Spurio

 

E’ un compito difficile commentare tre poesie di un autore, soprattutto se a noi contemporaneo, se non si conosce il suo profilo umano e letterario e soprattutto, perché il commento potrebbe finire per risultare semplicistico o poco in linea con la sua reale poetica. Ad ogni modo tenterò di dare una mia interpretazione e lettura di tre poesie di Rosaria Minosa.

Delle tre liriche inviatemi mi sento di avvicinare le prime due “Cielo” e “Notte stellata” per la loro affinità concettuale che si evidenzia già dal titolo stesso: entrambe vedono l’io lirico con gli occhi puntati verso l’alto, verso il cielo. Nel primo caso non ci è data la determinazione temporale della giornata, non sappiamo se il cielo sia diurno o notturno (sembrerebbe diurno, perché si parla di nuvole), ma leggendo la lirica ci rendiamo ben presto conto che questo non ha molto senso ai fini del messaggio ivi contenuto.

In “Cielo” Rosaria Minosa utilizza una terminologia che oserei definire “panteistica” o addirittura “universalistica” in quanto fa riferimento a concetti/espressioni indefiniti: si parla, infatti, di ‘infinito’, ‘immenso’ ed ‘eternità’. Concetti che, se vogliamo, possiamo caratterizzare anche secondo una venatura religiosa in quanto ci si riferisce all’infinito chiamandolo “infinito divino”. C’è un senso di mistero e di sospensione in questa lirica in cui la poetessa sembra cercare nella natura sconfinata, soprattutto nella possenza dell’atmosfera, un abbraccio rincuorante (“Fammi cullare…/ dalle tue amiche nuvole”) che individua una velata fuga dalla realtà (le cui motivazioni, però, non vengono fornite al lettore). Il discorso lirico qui contenuto si realizza sul livello della temporalità impossibile da considerare e valutare perché imprecisa e sempre caratterizzata da un velo di infinito, ma dalla quale si evince il desiderio di trasformazione dell’attimo (il momento) in qualcosa di perpetuo (l’eternità).

Nella lirica “Notte stellata” si aggiungono i chiari segnali di una natura rigogliosa, presente e padrona del suo spazio (“Le lucciole sono regine”; “i pesci sono padroni del mare”) che sembra acquisire la sua autorevolezza indiscussa, però, solo di notte, quando le attività dell’uomo sono ferme. La lirica, maggiormente caratterizzata nella tinta cromatica delle immagini, ci fornisce un mondo che pensiamo essere buio (quello della notte) che, invece, è luminosissimo perché abitato dalla Luna, dalle stelle e addirittura dalle lucciole. Il sentimento universale che porta l’io lirico a riconoscersi e quasi a volersi liquefare nello scenario naturalistico dormiente, ma assai vivo, si chiarifica nel finale quando la poetessa appunta: “Chiudo gli occhi…e il mio cuore si riempie d’amore…/ Affinché il giorno dopo… io riesco a DONARLO”.

L’ultima poesia, “Lettera di una mamma” in realtà non è una vera poesia, ma una prosa, sebbene contenga elementi di alto lirismo dovuti all’andamento tragico ed empatico della vicenda in sé narrata (si osservi, infatti, il titolo in cui si dice “lettera”, genere che normalmente è di tendenza prosastica). Il contenuto è doloroso e struggente: una madre mette sulla carta la pena provata dal momento del grave incidente del figlio che da quel giorno sarà un vegetale e non potrà più muoversi né parlare. I sogni fatti e alimentati negli anni svaniscono come bolle di sapone e tutto si fa dolore: la speranza che il figlio si salvi da quell’incidente viene presto soppiantata dalla sua grave invalidità con la quale i genitori dovranno fare i conti giorno per giorno.

Dal giorno si passa alla notte, la luce si fa soffusa e sembra spegnersi per sempre facendo piombare il tutto nel buio se non fosse presente quel “piccolo spiraglio di Luce” che, forse, è figlio del baluardo della religione cattolica alla quale ci si può attaccare ancora di più in circostanze simili.

Il buio e il silenzio prendono il sopravvento”, ma la morte, immagine del buio e del silenzio totale, che viene allontanata dalla salvezza seppur a costo della grave invalidità, viene scalfita dai flebili bagliori di una speranza dolorosa, ma che va alimentata giorno per giorno: “Domani è un altro giorno” è la chiusa di questo strozzato canto d’amore e d’angoscia.

 

Lorenzo Spurio

 

Jesi, 28 Agosto 2013

“Il mondo sospeso”, poesia di Giuseppina Vinci

Il mondo sospeso

Poesia di Giuseppina Vinci

Il mondo sospeso e la nostra vita

Il peso del mondo sorretto dal vuoto

Il Tempo, come un dio

Guarda il mondo e il suo andare

Sospirare e gemere

E Lui, indifferente, non passa, non geme

È eterno.

 

QUESTA POESIA VIENE QUI PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

E’ SEVERAMENTE VIETATO E/O DIFFONDERE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

“Favole crudeli” di Cristina Canovi, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Favole crudeli
di Cristina Canovi
con presentazione a cura di Roberto Baldini
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2008
Collana: Rêverie
ISBN: 978-88-95881-03-04
Numero di pagine: 100
Costo: 10,00 €
 
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore

  

La paura è l’attimo in cui perdi te stesso. Il panico è più della paura. E’ la paura della paura. (p. 60)

 Conservo la lucida coscienza della morte imminente: non solo la morte fisica, orrenda, per soffocamento (la più temuta), una lenta agonia, dolore come acido nelle vene, brucia da morire. No, non solo soffocare, ma disintegrarmi: la mia identità non esiste più; rimane solo la coscienza del dolore, la paura, l’assurdità del morire ora. (p. 79)

 

Nella breve nota introduttiva a cura di Roberto Baldini, è chiarito subito il significato di questo titolo “atipico”: il mondo che ci circonda è –anche se non sempre ci si rende conto- pieno di crudeltà. Non solo piccole cattiverie ed egoismi dell’uomo contemporaneo, ma come afferma lo stesso Baldini, “C’è una sottile crudeltà nell’esistenza quotidiana” (p. 5). Il poeta futurista Aldo Palazzeschi, dedicando una poesia ai fiori, non potette fare a meno di sottolineare come anche nella natura floreale e multicolore si celi la perversione, il vizio, la cattiveria. E’ un’impostazione questa che credo Cristina Canovi abbracci con questa ampia silloge di racconti, pensieri e quant’altro. Il libro contiene così una serie di favole “smitizzate”, riviste, ricollocate nella quotidianità spersonalizzante e logorante: ci sono così sogni amari che si tramutano in veri e propri incubi, paure, nevrosi e manie, ma anche desideri e deliri. Il tutto può essere visto quindi all’interno di un’attenta analisi psicologica tra le pieghe dell’io, un campo di ricerca a metà tra l’utopia e la paranoia. Baldini nell’introduzione aggiunge: “Favole crudeli, storie surreali a metà fra immaginazione e realtà, brevi irruzioni dell’assurdo nel mondo reale o del reale nel mondo dei sogni” (p. 5).

Il cantante romano Max Gazzè in una sua recente canzone dal titolo “Storie crudeli” – a suo modo- ha dato voce a questa stessa realtà: le piccole e grandi ingiustizie, prepotenze, cattiverie e crudeltà che ci circondano tanto che anche le favole – territorio sacro all’infanzia- risentono di questa cattiveria dilagante. Il rimedio che propone Gazzè è ottimistico e influenzato da una certa anima lirica che pervade i testi della sua produzione: “non c’è ragione per raccontare storie crudeli/ sulle cattiverie di orchi e fattucchiere/ io racconterei un volo verso il sole/ di fiori bagnati/ quando i ruscelli dissetano i prati”.

Il lettore incontrerà personaggi ambigui, strani, maniaci che e farà quasi difficoltà a non considerarli “pazzi” o “psicolabili” come il bambino di Piedin Faina che –pur essendo molto piccolo – è in grado di essere veramente cattivo nelle azioni, ma soprattutto nei pensieri: “[Al Berselli] piacevamo io e mamma: mamma perché aveva tette giunoniche, io perché facevo cacche e puzze record e alle battutacce grevi ridevo con la cattiveria compiaciuta della mia prima infanzia” (p. 10). L’infanzia del ragazzo è traumatica perché vissuta all’ombra di paure, minacce, e favole tenebrose raccontate dalla nonna per calmarlo e tutto questo funziona negativamente sulla sua psiche rendendolo cattivo, vendicativo e un pericoloso piromane: “La tata diceva che ero un mosto e che prima o poi Piedin Faina mi avrebbe mangiato le dita dei piedi. Mamma, invece, riteneva che fossi un bambino curioso e che, come tutti i bambini, dovevo semplicemente fare le mie esperienze. Smontare gli animali, pestarli, strozzarli, picchiarli era il mio modo di esprimere la creatività tipicamente infantile” (p. 14). Nel racconto è evidente anche un chiaro mal comportamento della madre nei confronti del figlio, sempre pronta a scusarlo o a proteggerlo, anche di fronte alle sue azioni più preoccupanti, mentre il padre è distante e ha paura di suo figlio, che è un mostro. Che la Canovi abbia voluto dire che il complesso di Edipo, l’attaccamento morboso del figlio maschio verso la madre esposto da Freud, possa portare a siffatte situazioni? Mi pare di intuire che è così.

La serie dei personaggi che incontrerete leggendo è multicolore ed eterogenea: un anziano ossessionato con l’allevamento e la cottura di tentacolati, ragazzi che tirano avanti con gli “eroi chimici” (p.53), una vicina “strana” dalla quale stare in guardia che però la protagonista non riesce mai a incontrare (è una prostituta? è una criminale? è una matta? o è semplicemente una persona normale? Non ci è dato di sapere, come neppure alla protagonista stessa), un’arcigna nonna-strega che terrorizza la nipote con orrori, minacce e strane storie.

C’è molto sangue, vomito e puzze varie tra le pagine di questo libro, immagini poco edificanti che, unite a molte altre, ci consegnano una visione amara e un po’ degradante della società dell’oggi, perché si sofferma appunto nel sottolineare le mancanze, le devianze, le debolezze e gli errori dell’uomo. La Canovi ha fatto una scelta personalissima nel dare al lettore riflessioni, pensieri e raccontini che, pur partendo da immagini e situazioni forti (a volte addirittura al limite), hanno la forza di far riflettere e di interrogarsi.

Questa opera è preziosa perché apre di continuo le porte dell’immaginifico, proiettandoci con un piede nel surreale e l’irrealtà, facendoci rimanere, però, con l’altro piede nel mondo reale. I protagonisti, e lo stesso lettore, non sanno se lasciarsi completamente andare a varcare quella soglia o se, invece, forte della sua componente razionale, rimanere con i piedi saldi nel mondo reale, conoscibile, dell’oggi.

Grazie a Cristina Canovi per questo percorso tra vie traverse, tra universi distanti, presenti contemporaneamente per ciascuna persona che sia capace di non prendersi troppo sul serio e lasciarsi andare –almeno per il tempo della lettura del libro- a varcare le porte dell’immaginario.

 

 

Chi è l’autrice?

Cristina Canovi è nata a Reggio Emilia e vive tra Reggio e Cesena. Laureata in Lettere Moderne presso l’università di Bologna (110 e lode!), attualmente insegna italiano, storia e geografia nelle scuole medie. Possiede, al posto di un conto in banca, una biblioteca di oltre tremila volumi e una cineteca personale composta da quasi mille titoli, la metà dei quali horror, genere del quale l’autrice è una grande appassionata. Tra i suoi scrittori preferiti: Roal Dahl, Richard Matheson, Joe R. Raymond, Philip Dick, Rod Sterling, Milan Kundera, Stephen King, Raymond Queneau, Georges Perec, Daniel Pennac, Oscar Wilde, Ray Bradbury, Dino Buzzati, Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini. Tra i registi più amati: Tim Burton, Quentin Tarantino, Woody Allen, Sam Raimi, Peter Jackson.

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

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