N.E. 02/2024 – “Poesia e Spiritualità”, articolo di Tina Ferreri Tiberio

Parlare di poesia è sempre un tema affascinante, chiedersi cosa sia Poesia, come nasce, perché i poeti amano esprimere in versi il loro sentire, sono domande che gli uomini si sono posti nel corso dei tempi. Definire poesia non è affatto facile, molti chiamano poesia delle loro riflessioni scritte. La poesia è mistero, è magia, scrivere in versi è l’arte più alta che ci sia, fortunati coloro che hanno avuto il dono e il privilegio (dagli dei?) di cantare con le Muse.

Cos’è la Poesia e che rapporto c’è con la spiritualità? Ogni epoca ha avuto la sua concezione di Poesia e ha dato un significato precipuo alla sua funzione.

La poesia è soprattutto metafora, un’immagine dovrebbe dare il senso al pensiero, di cui diventa messaggio, simbolo; dovrebbe raccontare lo spaccato della società, che ormai nega attenzione alla persona.

Apparentemente la poesia descrive qualcosa, ma questa descrizione è simbolica, è la rappresentazione simbolica della vita umana.

La poesia usa un linguaggio universale, trasmette agli uomini l’universalità dei nostri sentimenti.

Rifacendoci al pensiero del filosofo Heidegger possiamo condividere ciò che lui pensa di quest’arte, cioè che la poesia va intesa nel significato di poiesis, ossia di pro-durre, creare, svelare, portare alla luce ciò che è nascosto. La parola ha un potere evocativo, non è la parola della scienza o della tradizione metafisica, la parola della poesia chiama le cose nella loro essenza: è il linguaggio che svela il mondo, è pensiero che diventa parola, “quella determinata parola”, perché poi da lì scaturisce l’emozione; di conseguenza la poesia ha una forte componente irrazionale.

Dobbiamo dire che la poesia è nata prima della scrittura e all’inizio si è espressa in forma orale

All’origine l’uomo ha fatto esperienza della conoscenza proprio attraverso il linguaggio poetico, linguaggio che ha disvelato il mondo e sé stesso e per ritrovare il senso della sua esistenza l’uomo ha dovuto riscoprire nel non detto, nell’abisso più profondo il principio da cui tutto ha avuto origine, perché il dire dei poeti ha infinite sfaccettature.

La poesia disvela universi sconosciuti ed è la migliore opportunità per conoscere sé stessi e il mondo, ha una forte capacità d’introspezione e di indagine. Spesso ricorriamo alla poesia per esprimere i sentimenti più profondi della nostra anima, che non possono essere trasmessi dal linguaggio lineare e controllato della prosa.

Il mondo della Poesia, ancora oggi, s’interroga sulla sua essenza: c’è chi afferma che la Poesia è un momento emozionale; chi un momento di riflessione; chi usa la Poesia per sperimentare linguaggi nuovi, a volte ermetici, di difficile interpretazione. Io personalmente, penso che al fondo della Poesia ci sia sempre la ricerca di senso, la ricerca dell’uomo, del suo essere. Poesia è filosofia e in questo condivido il pensiero del poeta romantico tedesco Holderlin, ma nel contempo la poesia è ricerca della parola, parola che esprime il nostro sentire, anche se ciò non sempre avviene. Bravi quei poeti che riescono non solo a trasmettere in pochi versi l’emozione, ma anche il senso, ossia l’essenza del loro sentire. In questo senso intendo la “spiritualità” della poesia, perché il poeta dona sempre una visione della realtà che va rivissuta, goduta in ogni attimo; ad esempio soffermiamoci sul verso foscoliano dell’Inno primo dedicato a Venere del poema Le Grazie, opera incompiuta  Splendea tutto quel mare; mirabilmente Ugo Foscolo in versi endecasillabi sciolti, fa fluire, trasparire sia il senso dell’armonia del creato, sia il conflitto interiore tra la memoria e l’anelito verso l’Infinito, armonia del creato intesa come equilibrio di bellezza e virtù, suscitata dalla vista di quella distesa azzurra. Il poeta di fronte alla “vastità”, alla distesa mediterranea, al colore azzurro, al mistero dell’Universo rimane stupito, il desiderio si trasforma in conflitto tra il piacere e il dolore che tale piacere procura e questo piacere doloroso è simile a quel sentimento del sublime di cui discorreva Kant nella Critica del Giudizio.

La condizione esistenziale del poeta Foscolo di sradicato, di cittadino, anche se ideale di tante patrie, Grecia, Venezia, Italia al quale le circostanze negarono una vera appartenenza, viene appagata soprattutto nel cantare la Bellezza, anche la Bellezza femminile, in un paesaggio eminentemente classico ed è una Bellezza che rasserena, mitiga gli istinti; il linguaggio che Foscolo usa è un linguaggio elevato, classico, sembra che voglia afferrare l’inafferrabile.

In alcune immagini Foscolo esprime in maniera evidente sensazioni intime, personali, in ciò è vicino alla lirica moderna, proprio per quella ricerca dell’analogia tra il linguaggio e le cose. 

 La figura della donna che affiora dal mare è accecante così come le ninfe acquee che veleggiano per ispirare gioia, serenità e desiderio di un amore puro.

 La poesia del Foscolo non è né antica, né moderna, le visioni che lui ci ha regalato sono proprie di un presente perenne, perché, appunto, la poesia non è figlia di un’epoca, per esempio lo sguardo commosso di Odisseo nella poesia A Zacinto è lo stesso sguardo del giovane moderno nel suo sostare e meditare sulla distesa azzurra.

 Secondo la teoria di R. Jackobson, la funzione poetica caratterizza ogni testo letterario in quanto in esso l’attenzione si concentra sugli aspetti formali del messaggio.

Nella poesia il significante e il significato sono indivisibili: il primo indica le parole della poesia, il loro suono e il loro ritmo, cioè come la poesia è scritta, mentre il significato rappresenta il messaggio vero e proprio della poesia.

Nel quadro linguistico letterario che va dal Manzoni in poi, secondo il Devoto, ci sono delle evasioni linguistiche. Queste evasioni possono essere: sentimentali, realistiche, esuberanti. Le evasioni sentimentali le ritroviamo in Pascoli nella poetica del Fanciullino e sono chiamate dal Devoto evasioni linguistico-sentimentali. Evasione linguistica intesa come cambiamento della lingua, evoluzione, sviluppo che va al di là del quadro rigido di quello che era stata la lingua del Manzoni oppure la lingua del Verga, la lingua plastica-romantica; in essa troviamo l’uso di onomatopee, ossia i suoni si basano sui ricordi, sulle sensazioni. Le evasioni realistiche sono quelle un po’ ragionate di Fogazzaro, che viene visto nel primo periodo un po’ come il contrasto, l’antitesi del Manzoni, soprattutto nella riflessione dei luoghi e dei personaggi.

In questo periodo la poesia ha una dimensione alogica, è consolatrice della funzione, ossia lo scopo del poeta è quello di consolare, sollevare, dare sfogo ai sentimenti. La letteratura diventa evasione, evasione dalla storia, evasione dai problemi reali della società, anche evasione dalla società industriale un po’ in tutta l’Europa. La poesia non serviva per lottare, serviva per evadere dalla realtà e dai contrasti con la stessa realtà. Dal punto di vista linguistico, la poesia si sposta, si amplia attraverso la descrizione di momenti quotidiani, per fare questo il poeta ha bisogno di ricercare nuovi vocaboli, di arricchirsi lessicalmente, il Pascoli in particolare trova la soluzione nelle onomatopee. Il verso non è più così lirico, così stretto, poetico, enigmatico, il verso diventa quasi prosastico, somigliante quasi ad un discorso. La parola assume un valore evocativo e suono simbolico, è associazione del suono e del simbolo a cui fa riferimento.  Pascoli attraverso gli echi e le risonanze melodiche, arricchite da rapide note impressionistiche e da frasi che racchiudono l’essenzialità, ci parla di un mondo, simbolo delle sue angosce e delle sue ossessioni interiori: le figure più ricorrenti nella sua poesia appartengono al mondo campestre e contadino, il nido, l’orto, la siepe, gli uccelli, i fiori, sono i simboli delle angosce e delle ossessioni interiori del poeta.  

Anche in D’Annunzio la parola è importante, la parola in D’Annunzio acquista un valore sensuale, però nella sua poetica è evidente un altro aspetto, non quello del quotidiano come nel Pascoli, ma quello dell’eroe, dell’eroe decadente; s’intende per eroe decadente un eroe che non è impegnato in un tipo di lotta, è un eroe più intimista, è superiore anche a certi problemi, così superiore che non li osserva nemmeno questi problemi, non è l’eroe foscoliano. L’opera del D’Annunzio è varia, va dalla prosa alla poesia e i moduli artistico-espressivi che usa sono molteplici; anche in D’Annunzio c’è una tendenza impressionistica, così immediata che quasi quasi si impoverisce di contenuto, ecco che la poesia e la prosa dannunziana hanno avuto  successo in quel momento in cui andavano di moda, poi non hanno avuto più lo stesso riscontro nella storia della letteratura e non possiamo dire che un’opera del D’Annunzio sia intramontabile come l’opera del Manzoni, perchè l’opera del D’Annunzio si è impoverita proprio per questa eccessiva evocazione, per questo impressionismo della parola e alla fine questo tipo di linguaggio ha avuto scarsa presa sul lettore.

Ci chiediamo, quale funzione, oggi, la poesia abbia e a che serve. Possiamo affermare che la poesia predispone ad un atteggiamento di apertura e di flessibilità, predispone ad arricchire la percezione delle cose, della realtà esterna, anche dei sentimenti interiori di ognuno, perchè la poesia consente di focalizzare nella sua dinamicità il potenziale significativo delle parole, sia attraverso una pluralità di sensi, sia attraverso l’estensione del lessico, in quanto la poesia è sensibile a una pluralità di registri linguistici che in essa, a differenza di altri testi, si manifestano più liberamente. Inoltre la poesia è sensibile, anche, all’immaginazione linguistica, così si esprime Maurizio Della Casa e viene definita polisemica perché ogni parola, ogni verso ha almeno due significati: quello letterale e quello simbolico ed è un particolare tipo di scrittura letteraria, caratterizzata da una serie di artifici metrici, ritmici e retorici attraverso i quali si realizza al massimo grado la funzione poetica del linguaggio.

La poesia, dunque, è ritmo, musicalità, metrica, anche nel verso libero il ritmo è dato dalla scansione interna del poeta, non è legato ad alcuna regola oggettiva, per cui la scelta della parola diventa essenziale, proprio per il suo significato di “essenza”. Il verso libero è espressione di tensione alla libertà che è caratteristica della nostra epoca.  La danza nei passi “essenziali” trasporta il poeta nel mondo dell’immaginazione, con le sue regole, con la sua armonia. Così, infatti la poesia, la possiamo definire “Armonia dell’universo” e specchio della spiritualità dell’uomo.

Bibliografia:

Della Casa Maurizio, I generi e la scrittura, La Scuola SEI, 2014

Devoto Giacomo, Profilo di storia linguistica italiana, La Nuova Italia, 1990

Foscolo Ugo, Le Grazie, Tiemme Edizioni Digitali, 2021

Foscolo Ugo, Le poesie, a cura di Matteo Palumbo, Rizzoli, 2010

Heidegger Martin, La poesia di Hölderlin, Adelphi, 1988

Jackobson Román, Lo sviluppo della semiotica, a cura di Pierluigi Basso Fossali, Luca Sossella editore, 2017

Pascoli Giovanni, Poesie, a cura di M. Pazzaglia, Salerno editrice, 2002

Pascoli Giovanni, Tutte le poesie. Ediz. Integrale, Newton Compton Editori, 2006


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore/l’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

Addio al teatino Vito Moretti, poeta “umano” e saggista di ampia caratura

Giunge dalla stampa online[1] e dalle tante attestazioni di stima e amicizia in Facebook l’annuncio del decesso del professore Vito Moretti (nato a San Vito Chietino nel 1949) di Chieti, docente universitario, poeta e scrittore, saggista e critico letterario che da poco aveva festeggiato i cinquanta anni della sua carriera di letterato. Recentissima, di pochi giorni fa, la notizia che la sua poesia inedita “Potessi raccontare i sogni” è risultata nella rosa dei finalisti del celebre Premio Letterario “Don Luigi Di Liegro”, X edizione, di Roma.

Ingente il suo contributo al mondo della poesia contemporanea, pubblicò (l’elenco dei titoli non è completo!)[2] le opere in dialetto N’andica degnetà de fije (1982), La vulundà e li jurne (1986) e Déndre a na storie (1987), Na raggio ne e li déhe (1989), La case che nen e chiude (2013) e per la poesia in lingua, dopo alcune plaquettes confluite in Una terra e l’altra. Ristampe e inediti (1995), ha dato alle stampe Temporalità e altre congetture (1988), Il finito presente (1989), Le prerogative anteriori (1992) e Da parola a parola (1994), Di ogni cosa detta (2007), L’altrove dei sensi (2007), Con le mani di ieri (2009), Luoghi (2011), Dal portico dell’angelo (2014). I suoi interventi teorici sono stati raccolti nel volume Le ragioni di una scrittura. Dialoghi sul dialetto e sulla poesia contemporanea (1989).

Il mio ricordo è legato ad alcuni brevi episodi che ci permisero di incontrarci in quella che era la terra che lui amava più di ogni altra cosa, ovvero il capoluogo teatino. Difatti nella prima edizione del Premio Letterario “Città di Chieti”, ideato nel 2017 dall’amica e poetessa Rosanna Di Iorio nel quale figuravo per sua volontà quale Presidente di Giuria, data il lungo corso della sua unanimamente riconosciuta attività poetica, la vastità dei suoi interessi letterari, lo spessore delle pubblicazioni e degli interventi critici in conferenze, dibattiti e convegni di varia natura, ci era sembrato opportuno premiarlo con un Premio Speciale definito, appunto, “Città di Chieti” (aveva partecipato in quell’occasione con la poesia “Così è questa la traccia”). Si trattava, com’è intuitivo da comprendere, uno dei tanti  numerosissimi premi, attestazioni di merito e di riconoscimento che da decenni il professore aveva ricevuto con orgoglio e merito in ogni parte del Paese.[3] Ricordo che in quella circostanza, pur dispiaciuto, non ebbi l’occasione di incontrarlo perché doveva trovarsi impegnato fuori città per altre iniziative letterarie e il premio gli venne in seguito consegnato dall’organizzazione.

Lo incontrai, invece, ad aprile 2018 presso il Teatro Marrucino di Chieti nell’occasione della presentazione al pubblico del libro di poesie La stanza segreta (Vitale, 2018) di Rosanna Di Iorio dove ero stato chiamato, assieme a Lucia Bonanni, a intervenire sul volume. Scambiai qualche veloce chiacchiera con lui ma questo non impedì che ne apprezzassi l’impeto nell’esternazione delle sue battute nonché l’acume delle considerazioni.

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Il professor Vito Moretti. Foto tratta da: http://www.ilcentro.it/cultura-e-spettacoli/quelle-ombre-adorne-di-vito-moretti-1.21839?utm_medium=migrazione

Rimasi così in contatto con lui, esclusivamente a mezzo internet, e apprezzai – ben prima che la sua produzione poetica (vastissima e di alto profilo) – la sua attività di critico e di esegeta di testi letterari della tradizione abruzzese con particolare attenzione a Gabriele D’Annunzio. Molto interessato ad alcune sue pubblicazini sull’argomento (ormai per lo più fuori catalogo e dunque introvabili) era stato così gentile da inviarmi estratti delle opere a mezzo e-mail ed altre me le avrebbe sicuramente inviate per posta – quale dono – come mi aveva promesso avendo avvertito nelle mie parole il grande interesse verso il suo lavoro ermeneutico. Purtroppo non ve ne fu tempo. Conservo, invece, con piacere una serie di testi (capitoli estratti) di volumi[4] o di suoi studi critici vertenti il fenomeno del “dramma rurale”, del teatro rustico d’argomento abruzzese con riferimento a La Figlia di Iorio di D’Annunzio. Gli comunicai, nei mesi scorsi, infatti, che ero molto interessato ad approfondire tali questioni per una lettura più ampia e comparativa per un mio studio improntato sul tema dell’onore e del dramma rurale nell’opera dello spagnolo Federico García Lorca. Sono testi importanti e ben calibrati, i suoi, che saranno di certo utili nello sviluppo del mio saggio e che lo saranno per tutti coloro che, interessati al fenomeno agreste in oggetto, faranno ricerche in tal senso.

Ma la produzione di critica letteraria di Moretti è vastissima e non esula interessi d’altro tipo. Vorrei, infatti, ricordare alcuni dei testi della sua intensa bibliografia: Occasioni abruzzesi. Letture e pagine critiche (Tracce, 2000), Il plurale delle voci. La letteratura abruzzese fra Sette e Novecento (Bulzoni, 1996), D’Annunzio pubblico e privato (Marsilio, 2001), Le forme dell’identità. Dall’Arcadia al decadentismo (Studium, 2001),  I labirinti del Vate. Gabriele D’Annunzio e le mediazioni della scrittura (Studium, 2006), Ariel e Melitta. Carteggio inedito D’Annunzio-De Felici (Carabba, 2007), Di carte e di parole. Note, proposte e ricerche sulla letteratura dell’Otto e Novecento (Bulzoni, 2009), Le forme recitate. Aspetti della letteratura tra Otto e Novecento (Studium, 2011).

L’ultima volta che lo sentii, circa un paio di settimane fa, era per informarlo della decisione della redazione della rivista di poesia e critica letteraria “Euterpe” di pubblicare una delle sue poesie,  giunte per la selezione dei testi, ovvero la poesia “Nel nostro campo”, che figura all’interno delle pagine del n°28 di Febbraio 2019.

Alcuni versi estratti da un’altra sua bella poesia, “Dubita, se ogni punto”, così recitano: “Nulla ha più della perfezione/ che ti impegna al perdono, alla linea che declina/ e che pure sale, e che si moltiplica, tu sai,/ dove tutto è infinito”.

 

Lorenzo Spurio

09-02-2019

 

[1] La testata “Chieti Today” così titola la notizia: “La cultura abruzzese piange il professor Vito Moretti, docente universitario e scrittore”: http://www.chietitoday.it/cronaca/scomparso-professor-vito-moretti-chieti-san-vito-chietino.html mentre l’emittente locale “Rete 8” così titola: “Chieti piange la scomparsa del professor Vito Moretti”, http://www.rete8.it/cronaca/234chieti-piange-la-scomparsa-del-professor-vito-moretti/

[2] Notizie biobibliografiche più esaustive possono essere consultate sui siti della casa editrice Tabula Fati: http://www.edizionitabulafati.it/vitomoretti.htm e “Poesie del nostro tempo”: http://poetidelparco.it/9_228_Vito-Moretti.html Numerosi suoi testi poetici sono presenti sul siti, riviste online e antologie poetiche.

[3] Solo per citarne alcuni: il “Versilia-Marina di Carrara”, il “Premio Alghero”, il “Pisa-Calamaio di Neri”. Il professore, inoltre, era presidente e membro di giuria in numerosi premi letterari nazionali sia abruzzesi che di altre regioni.

[4] Principalmente estratti di VITO MORETTI,  I labirinti del Vate. Gabriele d’Annunzio e le mediazioni della scrittura, Roma, Edizioni Studium, 2006.

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