“Declinano l’amore i racconti (straordinari) di Jeffrey Eugenides, a cura di Marco Camerini

A cura di Marco Camerini  

Che Eugenides sia uno degli scrittori più schivi, originali e talentuosi degli ultimi vent’anni è confermato dalla recente silloge dei racconti Una cosa sull’amore (Mondadori 2018, copertina felice), imperdibile per ben “cinque ragioni” secondo quanto ha scritto in un appassionato, bellissimo intervento su “La lettura” del Corriere Alessandro Piperno, ammiratore confesso del suo “talento mimetico che sfiora l’orecchio assoluto”.[1]

41+vZwX0JCL._SX323_BO1,204,203,200_.jpgNel deserto rovinoso di un presente segnato da solitudine, incomprensioni, sconfitte, fra gli spettri opprimenti di una vecchiaia mai ammessa né accettata, naufragi matrimoniali drammaticamente (o penosamente) negati, rimpianti e rinunce, ciniche rivalse e frustranti derive economiche, alienati e lancinanti smarrimenti, è certamente il “tema ossessivo dell’inadeguatezza”[2] il legame che unisce tutte le storie, ma anche, ci sembra, la tenace e irrinunciabile fiducia in un sentimento che salva e redime dall’angoscia, se non dal fallimento più o meno annunciato. È l’amicizia senile tutta femminile di Della e Cathy, insoddisfatte Brontolone[3] in eterno sovrappeso, anticonformiste e umorali che perdono mariti, figli “pallidi, sinistri, circospetti come gli assassini di un film di fantascienza” ma non se stesse, risolute – proprio nel momento in cui la più anziana precipita nel gorgo invalidante di una “violenta e aggressiva” demenza – a disseppellire “l’ascia” per uccidere insieme le avversità. O l’attrazione per l’assoluto flusso energetico dell’Universo (om cosmico, musica delle sfere, perpetua capacità di rigenerazione terrestre) del protagonista di Posta aerea il quale, alla ricerca di un’identità perduta nello scialo della propria esistenza, la ritrova nel panico, trasfigurante abbraccio di una fascinosa natura esotica (Bangkok, Bangalore, Calcutta) alla percezione di “un trillo”, sorta di pirandelliano “fischio del treno” che lo proietta al di là di ogni coordinata familiare, sociale, umana. È l’insopprimibile istinto materno di Tomasina (Siringa per ungere la carne), 40 anni 1 mese e 1 giorno, sontuosa dimora in Hudson Street, lavoro appagante, disposta –  fallito “il piano A” (“improbabile armata di adulteri e perdenti, gli uomini”) – a ripiegare sul meno romantico, più solitario e triste ma anche coraggioso e creativo piano B: un figlio “senza lui”, o meglio “con tutti i lui” della sua disincantata vita di rimorsi (comunque l’amore si impone grazie a chi innamorato lo è veramente, l’ex Wally Mars, donatore mai domo e figura vincente in uno spiazzante, struggente finale) o la passione musicale di Rodney (Musica barocca), jocyana “piccola nube”, razionale e un po’ rigido maestro di clavicordo (“bordura dorata e giardino geometrico dipinto, famiglia del clavicembalo”) travolto – dopo una fugace bohème giovanile vissuta fra Berlino, Heidelberg, Kurt Weil e gli amati Bach “père et fils” – dalla squallida marea di polizze, conti in rosso, rate inevase, “cifre atroci sulla carta di credito”, (in)adempienze domestiche avvilenti di un quotidianità prosaica e assai poco artistica. Sono la nostalgia di un’America democratica, rurale, libertaria e tollerante di Kendall (Great experiment), poeta fallito non per incapacità, “intelligente ma non ricco”, costretto a fare i conti con la deriva tecnologica di una plutocrazia fondata su software personalizzati, malversazioni e “delitti fiscali di broker ludopatici” nella quale la frode bisogna saperla pensare e perpetrare alla grande, non con remore letterarie (altrimenti meglio restarsene in uno squallido loft dove piove dal soffitto a riflettere sulla Democrazia in America di Tocqueville) e il tentativo di Charlie – architetto separato, vittima di ordinanze restrittive più o meno d’urgenza che si aggira patetico intorno alla vecchia casa “a distanza di 50 piedi” – di riaccendere “il tizzone” di un rapporto nel quale nessuno dei due deve Trova(re) il cattivo, scappare o inseguire l’altro, ma accoglierlo e dire “eccomi”. Facile come “colorare un arcobaleno”, perché una “cosa” nell’amore che tiene unite le coppie “non sono i soldi, i figli o una visione condivisa della vita, ma avere cura uno dell’altra. Sono le piccole gentilezze reciproche, chiedere come è andata la giornata fingendo che ti interessi”. Soprattutto, alla fine, è l’intima necessità di sentirsi vivi e di giocarla comunque la partita con la disperazione: può essere sufficiente un pasto miracoloso a base di carciofi per metterla in fuga, come accade in Giardini volubili, il racconto forse più riuscito della raccolta. Al lettore il piacere di scoprirlo, come anche di fare la conoscenza del prof. Luce, endocrinologo/anglo-irlandese/episcopale non praticante/amante di Bruegel, strepitoso protagonista di un’ironica  proto-versione del mitico Middlesex.

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Una foto dell’autore, Jeffrey Eugenides, tratta dalla rete. – Fonte: https://www.whiting.org/awards/winners/jeffrey-eugenides

Lo stile di Eugenides, per citare ancora Piperno, “è un manufatto superbamente rifinito […] le frasi sono tornite al punto da non mostrare alcuna asperità. Dovendo fare due nomi: Nabokov e Salinger”.[4] Necessario, essenziale, strutturato sui dialoghi, privo di lirismo e per lo più nominale (minime le sequenze aggettivali), è capace di delineare fulminanti, efficaci ritratti come la Prokrti di Denuncia tempestiva (squarci di vita indiana ricordano J. Lahiri)[5] e solo in quest’ultimo racconto (il più recente insieme a Le brontolone, 2017) cede alla (troppo) diffusa tendenza della narrativa contemporanea di inserire brani non letterari, mail ed sms in caratteri tipografici differenti. Semmai andrà sottolineata l’intrigante “struttura aperta” delle storie, con splendidi finali che suggeriscono, non chiudendola, un’evoluzione extra-testuale della vicenda per lo più angosciosa e non consolatoria (cfr. Multiproprietà), insieme alla magistrale capacità dello scrittore di ricorrere – anche se non è certo simbolico il suo modello di scrittura – ad oggetti epifanici catalizzatori del significato più profondo del testo: l’ascia e i carciofi citati, guanti spaiati, un giocattolo, preziose statuette di giada e orwelliani…topi.

 MARCO CAMERINI

NOTE:

[1] Cinque ottime ragioni per leggere Jeffrey Eugenides, “La lettura”, 26 agosto 2018. Brevissima recensione nella recensione: l’articolo citato conferma (non che ve ne fosse bisogno) l’autorevolezza di Piperno critico e saggista militante. Raffinato, acuto e, insieme, piacevole alla lettura, mai pedante o accademico. Raro.

[2] A. PIPERNO, art. cit.

[3] Vengono riportati in grassetto i titoli dei singoli racconti.

[4] A. PIPERNO, ivi.

[5] “leggins neri, scarponcini Timberland, calzettoni viola da escursionista, volto da miniatura indù, occhi di un colore sorprendente che poteva esistere solo in un dipinto in cui l’artista avesse mescolato verde, blu e giallo indiscriminatamente che la facevano assomigliare a una ballerina gopi o a una santa bambina venerata dalle masse”

 

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Antonio Merola esce con il saggio “F. Scott Fitzgerald e l’Italia”

Copertina_F. Scott Fitzgerald e l'Italia.pngF. Scott Fitzgerald e l’Italia di Antonio Merola, Ladolfi, Borgomanero, 2018.

Questo saggio ripercorre la storia della ricezione editoriale e critica che il nostro paese ebbe nei confronti dell’opera dello scrittore americano: dalle prime traduzioni di Tenera è la notte e Il Grande Gatsby, che vennero ignorate dal pubblico, fino alla riscoperta autoriale nel secondo dopoguerra e alle nuove edizioni italiane che ne seguirono, per arrivare alla conclusione che «dal dialogo con se stesso e con Zelda nasce cioè tutta l’opera di Fitzgerald».

Dalla quarta di copertina: «Se esiste in Fitzgerald una doppiezza è proprio verso Zelda Sayre: il lavoro continuo contro la pazzia, ma anche il dialogo con essa; la sublime coincidenza tra uno spirito di conservazione e uno di distruzione. Era impossibile per lui proseguire la vita senza la compiutezza dell’amore: o meglio, Fitzgerald lavora, e lavora sodo (anche fino all’infarto), ma si muove nella società da allora in poi come il fantasma di se stesso; lavora per pagare la cura ormai senza speranza di Zelda. E se tornerà a scrivere con Gli ultimi fuochi, è per cercare lei in un mondo altro: lontano dalla clinica e ancora più lontano dalla realtà».

 

Chi è l’autore?

Antonio Merola, classe 1994, si è laureato in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. È cofondatore di YAWP: giornale di letterature e filosofie, per il quale ha curato inoltre la raccolta poetica L’urlo barbarico (A. V., Le Mezzelane, 2017) e ne gestisce la sezione Yawp Poesia. Si occupa insieme dei Quaderni Barbarici su Patria Letteratura, dedicati alle poesie inedite di giovani voci poetiche contemporanee e di Razzie Barbariche su Pioggia Obliqua: una rassegna dedicata alla poesia edita under 30. Suoi racconti, poesie e articoli critici sono apparsi su alcuni siti e riviste letterarie.

 

“La paga del soldato” di William Faulkner, recensione di Anna Maria Balzano

La paga del soldato

di William Faulkner (premio Nobel 1950)

Recensione di ANNA MARIA BALZANO

images“La paga del soldato” e  “L’urlo e il furore” sono indiscutibilmente i capolavori di William Faulkner.

Il primo dei due romanzi fu pubblicato nel 1926 e il suo titolo va al di là del suo significato letterale.

La storia si svolge nell’immediato primo dopoguerra e inizia con il ritorno a casa di alcuni reduci sopravvissuti ai tragici e devastanti combattimenti in territorio europeo. Tra questi è il giovane Donald Mahon, orribilmente sfigurato in volto e privo di quasi tutte le facoltà intellettive: intorno a lui si snoderà tutta la vicenda e lui stesso, silente protagonista, diventerà il simbolo dell’ ottusità e della nefandezza della guerra e al tempo stesso il mezzo di cui l’autore si servirà per mettere in luce la difficoltà, a volte l’impossibilità di questi reduci di riadattarsi alla vita civile. Lo stesso tema, sia pure diversamente e in epoche più recenti, sarà affrontato nei film di Michael Cimino “Il cacciatore” del 79 e soprattutto in “Nato il 4 luglio” di Oliver Stone dell’89.

Risulta evidente, dalla lettura di questo romanzo, come fosse stata pressante nel periodo immediatamente precedente alla partecipazione degli Stati Uniti alla prima guerra mondiale la campagna di propaganda interventista, allo scopo di motivare i giovani, affinché sentissero di partire in difesa di grandi ideali e in cerca di gloria.

Il dramma che vede al centro Donald, non è in definitiva più il suo dramma personale, perché egli è ormai già distaccato dalla vita, ma è il dramma che colpisce i personaggi intorno a lui.

Il padre, rettore presbiteriano, vive nell’illusione di restituire al figlio un minimo di dignità umana ed è convinto che la fidanzata, Cecily, accetterà di sposarlo, nonostante la sua grave infermità. Ed è proprio Cecily il personaggio che Faulkner descrive con maggiore cura, attento a sottolinearne la bellezza e la sensualità, insieme con la superficialità e la frivolezza , indici di profondo egoismo. E’ questo lo stereotipo della giovane donna del sud, bella e viziata, in cerca di una conveniente sistemazione, ma restia a rinunciare all’amore e al sesso: essa mette in gioco tutte le sue armi di seduzione, rasentando a volte il cinismo e la crudeltà nel suo rapporto con gli uomini. Una Rossella O’Hara un po’ più moderna, ma pur sempre di Atlanta, città in cui  la vita sembrerebbe, da questo punto di vista, cambiata veramente poco.

Cecily non è però l’unico personaggio femminile di spicco in questo romanzo. Grande rilievo hanno Margaret Powers e Emmy. La prima appare come l’elemento rassicurante e positivo, la donna che per generosità è capace di offrire se stessa, ma anche di negare a se stessa l’amore desiderato. Emmy, piccola, rozza e quasi a tratti un po’ animalesca nasconde dietro quella totale assenza di femminilità un carica emotiva e sensuale di grande spessore. E’ lei l’unica che ama sinceramente e incondizionatamente Donald.

I personaggi maschili sono altrettanto ben delineati nelle loro caratteristiche negative e positive: da Gilligan, solidale compagno di Donald, a Jones, satiro maniaco che corre dietro a tutte le donne con cui ha a che fare, a George Farr, perdutamente innamorato di Cecily, al punto da sposarla e condurre con lei una vita sicuramente infelice.

Ciò che si nota, leggendo questo testo, oggi è quanto sia cambiata non solo la concezione della donna e del suo ruolo nella società, ma anche come il rapporto stesso uomo-donna si sia fortunatamente sensibilmente evoluto, pur conservando ancora limiti indiscutibili. Persino le arti della seduzione, che ai primi del novecento erano sì affidate alla donna, ma in modo subalterno all’uomo, trovano oggi diversi mezzi espressivi.

Non si possono non sottolineare, in ultima analisi,  le numerose citazioni colte che si trovano nel romanzo, da Shakespeare, a Wordsworth a Coleridge. Questo per rilevare una volta di più come anche nella letteratura americana il legame con la cultura europea sia evidente e fondamentale.

ANNA MARIA BALZANO

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTRICE.

Pastorale Americana di Philip Roth

Pastorale Americana di PHILIP ROTH

Torino, Einaudi,  2005, pp. 425

ISBN:9788806174118

Recensione a cura di Francesca Mazzucato

Pastorale americanaRileggere Pastorale Americana. Dopo qualche anno. Ritrovare il capolavoro, il libro che contiene tutto. E’ stata una delle cose più belle che ho fatto in questi giorni, insieme al rito consueto di scendere al mare alla sera, col mio compagno. Pastorale Americana di Philip Roth è uscito l’anno scorso nei tascabili Einaudi, ed è attualmente disponibile su IBS, qui,  a 7 euro e 70. Niente. Un regalo. Già il libro è un regalo, poterlo avere a un prezzo simile è davvero un’occasione da non perdere. E’ la storia dello Svedese, Seymour Levov, ebreo, sportivo eccellente, ottimo imprenditore, tutto intriso del sogno americano, desideroso di farne parte, smussando gli angoli, eliminando ogni distonia, rifuggendo dalle sbavature, rispettoso, marito e padre felice. E’ la storia dello Svedese ma anche di tanti ebrei americani, e non solo ebrei, che hanno condiviso e creduto in quel sogno, che è stato anche il sogno di una vita carica di possibilità, priva di incertezze, di cadute, o costellata di quei piccoli errori ai quali è sempre possibile porre rimedio. Un sogno che, nel caso di Seymour Levov viene letteralmente “frantumato” da una bomba, da altre bombe. Una bomba reale, che la figlia amatissima (forse troppo amata) Merry, una volta adolescente, utilizza per far saltare un emporio e un ufficio postale, incollerita, devastata dalla Storia che non è, non lo è mai, solo ordine, prosperità, qualcosa di preciso e nitido, che si può governare, che scivola senza incrinature. Merry sarà la colossale distonia nella vita dello Svedese. E Roth ci racconta quest’epica che si allarga, che pagina dopo pagina diventa ora narrazione pura , ora inarrestabile flusso di coscienza, ora parodia incredibile (feroce ed esilarante la riunione degli ex compagni di scuola ormai vecchi), ora trattato filosofico, ora amara riflessione sulla vita, e ancora dramma, elegia, grottesco. Roth ricostruisce la Storia dell’ ex sportivo mitizzato da tutti gli amici, dell’abilissimo imprenditore, del marito orgoglioso di Miss New Jersey( la moglie Dawn, personaggio femminile indimenticabile, che alleva vacche, si fa un lifting a Ginevra, si fa scopare dall’amante china sul lavandino, rinnega il passato e la bella casa dove si era dipanata l’illusione di felicità), ricostruisce la Storia( e la maiuscola è d’obbligo essendo in realtà un puzzle di storie a comporre una Storia condivisa e condivisibile dove tutti, come in un gioco di specchi, ci riconosceremo, troveremo tratti , fisionomie, comportamenti, attese, mascheramenti e mistificazioni che conosciamo) con un meccanismo letterario di scomposizione e di evocazione. L’avvicinamento al tema, attraverso i ricordi e lo sport. Il baseball. Il basket. In qualche modo un topos fondamentale di ogni grande romanzo americano:”Lo svedese brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball.Soltanto la squadra di basket combinò qualcosa di buono ( vincendo per due volte il campionato cittadino con lui come marcatore principale), ma per tutto il tempo in cui eccelse lo Svedese il destino delle nostre squadre sportive non ebbe troppa importanza per una massa studentesca i cui progenitori- in gran parte poco istruiti ma molto carichi di preoccupazioni- veneravano il primato accademico più di ogni altra cosa….Ciononostante, grazie allo Svedese, il quartiere cominciò a fantasticare su se stesso e sul resto del mondo, così come fantastica il tifoso di ogni paese…L’assunzione di Levov Lo Svedese a domestico Apollo degli ebrei di Weequahic si può spiegare meglio, credo, con la guerra contro i tedeschi e i giapponesi e le paure che essa generò. Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l’insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti.” Questo lo leggiamo nelle primissime pagine. Non è un romanzo che richiede tempo o pazienza al lettore per entrare dentro davvero nella narrazione. Richiede coraggio. Il coraggio che richiedono i grandi libri, abbandonarsi, non sfuggire pagine che sembrano costeggiare o solo avvicinare il tema principale, pagine che paiono solo digressioni, ma sono funzionali e talvolta rivelatrici preziosissime della trama della storia e del suo intreccio che si disfa e si ricompone, continuamente,  ondulatorio, simile al procedere e arretrare delle onde ( fra schiuma, alghe e detriti),senza tregua, senza assoluzione, senza senso, molto spesso, o con un senso aleatorio, volatile, dai colori d’arcobaleno, un senso che, quando pensi di averlo afferrato è già volato via e ti lascia silenzioso e interdetto. C’è un’ironia straordinaria in queste pagine di Roth che richiama l’ironia dell’ Ulisse di Joyce, naturalmente con il timbro personalissimo dell’autore, filtrato come in altri romanzi dal suo alter ego letterario Nathan Zuckerman:” Ma lo spirito o l’ironia per un ragazzo come lo Svedese, sono solo intoppi al suo passo spedito: l’ironia è una consolazione della quale non hai proprio bisogno quando tutti ti considerano un dio. Oppure c’era tutto un lato della sua personalità che lo Svedese nascondeva, o questa cosa era ancora in embrione, o, più verosimilmente, mancava. Il suo distacco, la sua apparente passività come oggetto di desiderio di tutto questo amore asessuato, lo facevano apparire, se non divino, di molte spanne al di sopra della primordiale umanità di quasi tutti gli altri frequentatori della scuola. Era incatenato alla storia, era uno strumento della storia…” E’ un libro carico di compassione, autentica compassione umana, non compassione idiota, che non vede, ma occhio e parole che vibrano di fronte alle debolezze umane. Straordinario il pezzo nella fabbrica dei guanti, quando lo Svedese racconta nei dettagli la storia delle concerie e di come suo padre prima e poi lui hanno saputo ingrandirsi, e lo racconta  a una sorta di “piccola carnefice”, a una persona che è l’interlocutrice completamente sbagliata, una delle maschere funebri che il destino indossa per far crollare le nostre certezze, le nostre passioni, la nostra dedizione, le basi che credevamo granitiche e che sono in realtà fangose e scricchiolanti della nostra personalità, di quell’illusione di “io ” stabile. Rileggetelo cogliendo l’occasione dell’edizione economica, ottima da tenere in borsa o in tasca. Oppure, se non l’avete mai letto, avvicinatevi a questo romanzo straordinario. “Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna., e ancora meno per l’impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l’impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l’incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti.” Roth è scrittore che vive appartato, che è consapevole delle rinunce che richiede il suo lavoro. Anche in questo caso si inserisce in una tradizione di scrittori americani che hanno scelto un volontario isolamento per dedicarsi al loro lavoro lontani dalle continue seduzioni mediatiche. Tutti i suoi lavori meritano attenzione,  in particolareLamento di Portnoy,  Zuckerman scatenato e Zuckerman incatenato, La controvita. In Pastorale americanaoltre a una narrazione che non riuscirete a dimenticare, troverete un’analisi dell’America, attualissima, sociologica ma anche psicologica che non si lascia sfuggire, pur focalizzandosi su un preciso momento storico, le pieghe, gli anfratti, i vicoli oscuri, le case borghesi, le stanche ritualità sociali che perpetuiamo per noia, le passioni incomprensibili, il lato oscuro. Ecco, il lato oscuro. Del singolo e della vita. Parla solo di questo, in fondo.

Philip Roth sul web(una piccolissima selezione)

http://orgs.tamu-commerce.edu/rothsoc/

http://www.zam.it/home.php?id_autore=80

http://www.dazereader.com/philiproth.htm

http://www.scaruffi.com/writers/roth.html

FRANCESCA MAZZUCATO

RECENSIONE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. LA DIFFUSIONE DI PARTI O DELL’INTERA RECENSIONE E’ SENZA PERMESSO DELL’AUTRICE E’ SEVERAMENTE VIETATA.

Chinaski il nazista

Charles Bukowski con le sue storie di vita sregolata e maledetta ci ha abituato ad atteggiamenti licenziosi o sessualmente deviati, degrado, emarginazione, isolamento, alcolismo e comportamenti maniacali. Il suo principale beniamino, Henry Chinaski, è spesso ritratto mentre si sta ubriacando con della birra scadente o con degli scoli di whisky di bottiglie che sono disseminate in casa sua o mentre fa sesso con le sue donne descrivendoci la componente più animalesca e tralasciando quella passionale. In ogni caso, in ciascuna storia si sottolinea il temperamento qualunquista del personaggio, il suo menefreghismo verso gli altri e il suo comportamento sfrontato e irriverente nei confronti degli altri. E di se stesso.

La critica si spacca sostanzialmente in due circa l’analisi di Chinaski e del suo creatore, tra coloro che lo bollano come ossessionato al sesso, manesco, insofferente agli obblighi lavorativi, immagine di una vita degradata e allucinata e che lo pongono in una condizione di reietto e coloro che invece ne analizzano il personaggio più a fondo, sviscerandolo dalla sua etichetta di barbone manesco e sottolineandone le carenze, la complessa strutturazione del personaggio e l’origine delle condizioni d’indigenza. A Chinaski sono state date le più varie caratterizzazioni (tutte abbastanza negative). E’ stato detto che è un maniaco, un barbone, un mitomane, un reietto, un sex-addicted, un emarginato, una sorta di diavolo, un criminale, un violento, un alcolizzato, un maschilista, un animale e tanto altro. Alcuni hanno aggiunto che è un nazista.
Va sottolineato il fatto che né Chinaski né Bukowski hanno mai espresso pubblicamente, al contrario di molti altri autori, una chiara posizione politica. Chinaski si scaglia sia contro gli hippy ultrasinistroidi che contro i borghesi, sia contro i suoi capi di lavoro che contro persone che conducono esistenze economicamente disagiate. Non critica particolari strati della società ma critica la società nel suo complesso. Non esprime un’idea politica né evoca un modello di stato che secondo lui potrebbe essere migliore rispetto ad un altro. Alcuni hanno visto nel temperamento violento, maschilista e insensato di Chinaski alcuni elementi comuni al comportamento dei fedeli del nazismo. Va ricordato che Bukowski nacque in Germania, paese che lasciò nei primi anni della sua infanzia per stabilirsi a Los Angeles. Nel romanzo autobiografico Ham on Rye (1982) Chinaski ripercorre i momenti cruciali della sua infanzia: il difficile rapporto con i genitori, l’isolamento nel contesto periferico, l’emarginazione a scuola e l’amicizia con pochi ragazzi tra cui Crapa Pelata, la scoperta del corpo e l’interessamento all’universo femminile. Traccia in un certo senso la biografia stessa di Bukowski ed è una narrazione atipica all’interno della sua produzione perché, contrariamente al suo stile, mancano le scopate e le alcolizzate tanto frequenti nelle altre opere. Il capitolo cinquantadue del romanzo appena citato ci parla di Chinaski e del nazismo. Può pertanto essere considerato un primo punto di contatto tra i due universi. In questo capitolo si dice che la guerra in Europa era favorevole a Hitler e che alla scuola gli insegnanti erano tutti nemici alla Germania e sinistroidi. Chinaski non è nazista, considera il nazismo come un’eventuale possibilità di scelta non per motivazioni politiche ma per motivazioni tutte personali:

«Forse, con Hitler al governo, mi sarebbe toccata un po’ di fica ogni tanto, e magari qualcosa di più del dollaro alla settimana che mi passavano i miei genitori. Non avevo niente da perdere. E poi, essendo nato in Germania, non me la sentivo di tradire il mio paese d’origine, e non mi andava di vedere l’intera nazione tedesca, l’intero popolo tedesco, demonizzati e dipinti nelle tinte più fosche» *.

Se decidiamo di definire Chinaski nazista dobbiamo anche dire che non è nazista politicamente parlando ma per motivazioni astruse: per la sua comune origine tedesca e per il fatto che immaginando di poter essere devoto al Fuhrer potrebbe ottenerne dei vantaggi: soldi e fica. Il suo essere nazista è motivato dal suo desiderio di sentire e mostrarsi diverso dagli altri (gli insegnanti sinistroidi), è semplicemente un modo per differenziarsi da persone che non ama. («Per pura alienazione, e naturale spirito di contraddizione, mi trovai schierato contro il loro punto di vista» ).
E nello stesso capitolo rende ancora più chiaro che in realtà non ha niente di nazista:

«Evitavo accuratamente ogni riferimento diretto a negri ed ebrei, che, poveretti, non mi avevano mai dato rogne. Tutte le rogne che avevo avuto me le avevano date i bianchi ariani. Quindi, non ero nazista per carattere o per scelta; erano gli insegnanti, ad appiccicarmi addosso quell’etichetta, con il loro atteggiamento conformista, le loro idee conformiste e i loro pregiudizi antitedeschi» .

C’è da concludere che se possiamo definire Chinaski un nazista, non è un nazista con mitra in pugno o pronto ad urlare o a deportare gente in campi di concentramento. E’ un nazista strano, che cerca di difendere la sua ideologia in maniera strumentale e per nulla politica.

Lo studioso Raffaele Gramegna**  in un testo ha evidenziato il fatto che il racconto Svastika incluso nella raccolta Tales of Ordinary Madness (1983), nella sua versione italiana Storie di ordinaria follia non è stato incluso nella raccolta. Ha tentato di analizzarne il motivo contattando direttamente le case editrici italiane che avevano stampato l’opera nella versione tradotta e tutte hanno risposto tergiversando ed eludendo la domanda del critico. L’interpretazione più ovvia è quella di considerare il fatto che un titolo così scomodo e un racconto nel quale si parlasse di Hitler collegandolo alla politica americana non poteva essere stampato e divulgato. La mancanza del racconto nella raccolta è dunque non il segno di una svista grossolana ma quello dell’imposizione di una censura. Raffaele Gramegna dopo un’interessante introduzione al racconto in questione ha riportato il racconto nella sua lingua originale e poi tradotto da lui in italiano.

Si tratta di un racconto profondamente diverso dallo stile tipicamente buwoskiano: manca un’ambientazione periferica degradata, mancano riferimenti al bere e alla voglia di ubriacarsi, mancano le tanto amate corse dei cavalli e addirittura il sesso. Se a vari lettori amanti dell’autore venisse proposto di leggere questo racconto senza rivelare chi l’ha scritto probabilmente nessuno indovinerebbe che si tratta proprio di Bukowski.

Il racconto è breve, diretto e incisivo e utilizza ampiamente il discorso diretto. Il personaggio principale non è Chinaski ma in questo caso il protagonista è il presidente degli Stati Uniti che all’apertura del racconto viene sequestrato da agenti della polizia. Viene condotto in un appartamento dove si trova dinanzi il Fuhrer sebbene sia molto invecchiato. Per mezzo di due medici chirurghi tedeschi, il presidente viene sottoposto a una operazione di scomposizione e congiunzione di parti di corpi diversi che ci fa pensare a Frankenstein. E’ un operazione senza dolore, che non lascia cicatrici e che consente il cambio di personalità tra il presidente americano e il Fuhrer.
Il racconto andrebbe analizzato più approfonditamente a più livelli. Sembra stupido a questo punto considerare come la censura abbia potuto tagliare un racconto di Bukowski per la presenza di elementi fastidiosi (la svastica del titolo, la presenza del Fuhrer) quando nella contemporaneità abbondano testi che utilizzano la storia o particolari momenti di essa in chiave revisionista o negazionista. Bukowski è uno scrittore e le storie che racconta sono frutto del suo ingegno.
E’ sempre difficile affibbiare a una persona una determinata ideologia politica, un pensiero sulla società basandosi sui suoi atteggiamenti e le sue parole che possono rivelarsi in questo contesto anche contrastanti. La questione si fa ulteriormente più difficile nel caso di Bukowski che è sempre stato lontano dai temi politici e un acre criticatore di ogni ambito e rango del sistema sociale.
Il suo anticonformismo, il suo temperamento che lo porta continuamente a rompere schemi e commettere crimini e reati, la sua sfrontatezza nei confronti della vita, il suo marcato individualismo non ci consentono di individuare nella sua persona un’ideologia reazionaria né tantomeno nazista come è stato a volte sostenuto dalla critica. La sua critica contro tutto e tutti, compreso se stesso, potrebbe paradossalmente avvicinarlo ad un’ideologia confusa come quella anarchica. Si tratta ovviamente di interpretazioni vaghe e paradossali che sottolineano ancora una volta quanto la sua persona e quella di Chinaski siano variegate e complesse e prive di una chiara dimensione politica.

* Le citazioni sono tratte da Charles Bukowski, Panino al prosciutto, Milano, Tea, 2010, pp. 272-273.

**  Charles Bukowski, Svastica (a cura di Raffaello Gramegna), Viterbo, Millelire Stampa Alternativa, 1994. Questo testo può essere letto on-line o scaricato collegandosi al sito: http://www.stampalternativa.it/liberacultura/books/buk.pdf


25-03-2011
LORENZO SPURIO