Voci di Libri: Donatella Bisutti a Clivo Rutario con AgorArt l’11 giugno a Roma

Mercoledì 11 giugno alle ore 18.30 a Clivo Rutario 53 a Monteverde per la rassegna Voci di Libri il centro culturale AgorArt con Montedarte e Libri&Spritz ospita Donatella Bisutti con il poema in cinquantadue atti “Erano le ombre degli eroi” edito da Passigli. Dialoga con l’autrice la giornalista Michela Zanarella. Letture a cura degli attori Chiara Pavoni, Giuseppe Lorin e Corrado Solari. Saranno presenti i poeti di Punto Poesia, coordinati da Luciana Raggi. Interventi musicali di Saman. Mostra fotografica collettiva L’ALTRO VERDE, esplorazioni creative del paesaggio urbano dimenticato Officine Fotografiche. Ingresso libero.

«Ho guardato alla realtà di oggi attraverso la lente di un Mito spezzato e ricomposto da molti frammenti e al tempo stesso ho guardato al Mito come all’incunabolo della nostra realtà: una spola fra un lontanissimo passato e il presente»: così scrive Donatella Bisutti nel prologo che apre questo suo intensissimo poema in 52 Atti, che trae spunto dai Miti dell’antica Tebe e dalla sua storia per farne metafora dei nostri giorni e delle nostre angosce, dall’Europa della finanza e dei muri al dramma dei migranti, dalle nuove forme di schiavitù ai genocidi e alle stragi, dalle guerre per il petrolio alla violenza contro le donne e i bambini, dall’inquinamento alla progressiva desertificazione…

Donatella Bisutti (Milano, 1948) è una delle voci più rappresentative nel panorama della poesia italiana contemporanea, non solo per la sua attività di scrittrice, ma anche per quella di divulgatrice della poesia e di operatrice culturale, giornalista, fondatrice di riviste interdisciplinari, traduttrice e organizzatrice di eventi. Come poetessa ha pubblicato una decina di raccolte tra cui ricordiamo “Inganno ottico” (presentazione di Maurizio Cucchi, Guanda-Società di Poesia, 1985 – premio Montale per l’Inedito), “Colui che viene” (prefazione di Mario Luzi, Interlinea, 2005 – premio Camposampiero e premio Davide Maria Turoldo), “Rosa alchemica” (Crocetti, 2011 – premio Camaiore, premio Lerici Pea, premio Laudomia Bonanni), “Un amore con due braccia” (prefazione di Maria Luisa Spaziani, Lietocolle, 2013 – premio Alda Merini) e il recente “Sciamano. Poesie 1985-2020” (Delta3, 2021). La sua poesia, in volume, riviste e antologie, è tradotta in varie lingue. Ha partecipato a numerosi festival internazionali ed è stata ospite di importanti residenze di scrittura, in particolare della Bogliasco Foundation americana. Nel 2021 è stata invitata a Bruxelles dall’Istituto Italiano di Cultura per la Settimana della Lingua Italiana. Ha avuto numerosi riconoscimenti alla carriera tra cui quello della Fondazione Roma – Ritratti di poesia.
Tra le altre sue pubblicazioni, il romanzo “Voglio avere gli occhi azzurri” (prefazione di Giampaolo Rugarli, Bompiani, 1997) e numerosi e fortunatissimi testi per bambini sulla poesia e il linguaggio usati anche nelle scuole: “L’albero delle parole, Le parole magiche, La poesia è un orecchio” e il recentissimo “Parole per la testa!” (tutti Feltrinelli Kids; mentre le filastrocche Storie che finiscono male sono state pubblicate da Einaudi Ragazzi). Del 2022 è la raccolta di aforismi “Ogni spina ha la sua rosa” (Pendragon). Come divulgatrice di un nuovo metodo di approccio alla poesia, ricordiamo soprattutto il suo saggio “La poesia salva la vita” (Mondadori, 1992 e 1998, poi Feltrinelli 2016).
Ha curato l’edizione postuma di una delle più grandi poetesse italiane del Novecento, Fernanda Romagnoli (“Il tredicesimo invitato e altre poesie”, Scheiwiller, 2003). Di grande rilievo anche la sua attività di traduttrice (Edmond Jabès, Bernard Noël).

“Una luce perenne contro l’oscurità”. Il saggio-traduzione di Franca Canapini sul celebre discorso lorchiano sui libri del 1931

La poetessa e scrittrice toscana Franca Canapini ha recentemente pubblicato, per i tipi di Helicon di Arezzo, un importante lavoro letterario tra poesia, traduzione e saggio. Si tratta della rilettura commentata, oltre che della traduzione, del celebre testo del poeta Federico García Lorca (1898-1936) letto nel settembre 1931 all’atto dell’inaugurazione della Biblioteca Pubblica di Fuente Vaqueros, suo luogo natale, nei dintorni di Granada.

L’opera, che ho avuto il piacere e l’onore di poter leggere in anteprima e in progress durante il suo sviluppo e che mi ha dato la possibilità di stilare la prefazione, è uno studio attento e meticoloso, ricco di riflessioni della Nostra sul mondo dei libri, dell’importanza della cultura e della comunicazione a partire dalla alocución del Granadino che, se non è tra i testi maggiormente noti e citati del suo ampio repertorio, merita senz’altro una particolare attenzione.

La Canapini ha individuato nelle varie parti che costituiscono questo brano le parole chiave, i punti cruciali di svolta del pensiero lorchiano e, mediante una fertile attività esegetica e interpretativa, ne ha costruito un libro in cui non solo legge l’autore spagnolo – nel contesto della guerra civile che l’avrebbe visto, indirettamente, coinvolto e una delle più celebri vittime – ma lo rilegge in relazione al contesto odierno, alla società globalizzata nella quale viviamo. La nuova contestualizzazione dell’opera nello scenario odierno è funzionale a far emergere in maniera ancor più decisiva i temi fondanti del discorso lorchiano. Puntuali note a piè di pagina forniscono ulteriori approfondimenti su date, momenti decisivi o persone – tra amici e intellettuali – con le quali Lorca fu in contatto ma anche – in un’ottica più ampia e generale – a tutta la storia della scrittura (che è storia della civiltà) passando attraverso le fasi della trasmissione del libro nelle sue varie forme, all’editoria come scienza e soffermandosi anche sul valore del libro come oggetto prezioso, per contenuti ma anche per fattura e tradizione.

La scomposizione del testo di Lorca in vari capitoli facilita questo lavoro di studio e lettura di Franca Canapini dei tanti elementi degni di essere presi in esame, approfonditi, sviscerati[1]. La successione delle varie parti, con la traduzione in italiano (importante il supporto e la supervisione dell’argentina Cecilia Casau in questo) e il relativo commento, sono di particolare utilità anche per chi non ha padronanza della lingua spagnola e potrà, in tal modo, usufruire di un mezzo molto efficace, preciso, attento a ogni approccio. Non di minore importanza è la scelta dell’apparato fotografico che correda in maniera proporzionata e visivamente adeguata la componente testuale. Tra le immagini uno scatto del 1914 di un giovanissimo Lorca in compagnia dell’amata sorella Isabel (1909-2002) mentre le insegna a leggere ma anche uno scatto del 1976, nel quarantennale dell’uccisione del poeta, per il primo evento-omaggio Cinco a las cinco (che da allora annualmente si tiene in sua memoria) a Fuente Vaqueros. Nella prima fila, del foltissimo pubblico presente all’aperto (6.000 persone, riportano le cronache) di questo spettacolo corale (uno dei primi eventi pubblici in cui fu possibile partecipare ed esprimersi con la riappropriata libertà dopo il buio della dittatura), si distingue l’allora sessantasettenne sorella Isabel al centro e poco lontano, alla sua destra, probabilmente Antonina Rodrigo, l’unica donna della “Commissione dei 33” che organizzò l’evento celebrativo.

Particolarmente rilevanti risultano, tra i tanti, i capitoli 6 e 7 dell’opera che contengono lo studio di quelle parti di testo di Lorca forse più note e da Canapini contraddistinti con i titoli che richiamano le sue stesse parole “Non solo di pane vive l’uomo” e “Libri! Libri! Orizzonti, scale per salire sulla vetta dello spirito e del cuore”.

Lo scritto di Lorca, mediante la circumnavigazione delle vicende dell’oggetto-libro, è una storia condensata della cultura dell’uomo, delle vicende proto-editoriali che hanno contraddistinto l’evoluzione delle tecniche di stampa, nella convinzione che il libro sia un potente fattore di conoscenza, cultura e di socialità, ben al di là della mera erudizione. Ed ecco perché il tono impiegato dallo spagnolo è quello di un oratore lieto e soddisfatto: con la fondazione della Biblioteca non si prende parte a una cerimonia istituzionale ma a una festa collettiva, un momento di felice condivisione tra chi (come lui che tanto lesse e altrettanto scrisse) ama i libri e ne difende l’importanza. Riconosce e consacra la libertà del singolo e delle masse.  La tutela e la promozione del libro, in qualsiasi modo si realizzino, attengono a un fenomeno di spiccata rilevanza poiché garantisce “unica salvezza dei popoli”. Libertà d’espressione e riconoscimento di diritti che di lì a poco sarebbero stati duramente messi al bando dall’oppressione fascista nel duro conflitto civile (1936-1939) e poi del dominio dittatoriale franchista (1936-1975) che, come ogni dittatura, introdusse una dura attività di censura preventiva e organizzò indici di libri proibiti.

Il capitolo che chiude l’opera, il ventottesimo, contiene l’estremo omaggio di Lorca in difesa di quel mondo di libertà e di conoscenza per il quale sempre si impegnò nel corso della sua breve vita e ha la forma anche di un riconoscimento verso coloro che, a vario titolo, hanno difeso nel corso del tempo le medesime libertà. Qui troviamo, in un climax lirico che non può rimanere inavvertito, il senso compiuto dell’intera alocución che è e permane, in fondo, il suo testamento universale:

E un saluto a tutti. Ai vivi e ai morti, giacché vivi e morti compongono un paese. Ai vivi per augurargli felicità e ai morti per ricordarli con affetto perché rappresentano la tradizione del popolo e perché è grazie a loro se siamo tutti qui. Che questa biblioteca doni pace, inquietudine spirituale e allegria a questo paese e non dimenticate questo bellissimo detto che scrisse un critico francese del secolo XIX: Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei”.

Lorenzo Spurio

Matera, 05/04/2025

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L’autrice

Franca Canapini è nata a Chianciano Terme (SI), risiede ad Arezzo dal 1975. Laureata in Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Perugia, è stata docente di Lettere nella Scuola Secondaria di primo grado. Ha pubblicato nove raccolte di poesia: Stagioni sovrapposte e confuse (2010), Tra i solstizi (2011), Il senso del sempre (2013), Viaggio nella poesia (2014), Gente in cammino (2014), La bellezza tragica del mondo (2016), Semi nudi (2021), Haiku per un anno (2022), Misteri d’amore – Poema ispirato al Simposio di Platone (20249. Al suo attivo ha anche un romanzo (Un giorno, la vita, 2017) una raccolta di favole (Favolette per grandi e per piccini, 2017), un romanzo breve (Melina – Una storia surreale, 2019) e un racconto di memorie (Dal fondo – I miei primi dieci anni, 2019). Ha ricevuto premi e riconoscimenti per la sua opera poetica e narrativa. Per la saggistica ha pubblicato: Una luce perenne contro l’oscurità. Alocución al pueblo de Fuente Vaqueros di Federico García Lorca (2025). È stata Consigliere e Vice Presidente dell’Associazione degli Scrittori Aretini “Tagete” dal 2013 al 2023, nonché membro di giuria in alcuni premi letterari.


[1] L’autrice ha dedicato anche un interessante articolo a questo libro di Lorca focalizzando l’attenzione sull’importanza della lettura come “buona pratica”: Franca Canapini, “Dalla Alocución al pueblo di Fuente Vaqueros di Federico Garcia Lorca del 1931 alla necessità odierna di creare una consuetudine con il libro, «La casa del vento», 16/03/2025, Link: https://tinyurl.com/ypz3a8jz (Sito consultato il 05/04/2025).


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N.E. 02/2024 – “La sacralità nella natura”. Intervista a Mirella Crapanzano. A cura di Lucia Cupertino

Cara Mirella[1], grazie per aver accettato questa intervista sulla tua ricerca personale come poetessa che ci permetterà di conoscerti meglio ed esplorare con più profondità il tuo universo poetico. È impossibile scindere i poeti dai luoghi che abitano. Raccontaci dunque la relazione tra il tuo luogo, immerso nello splendore delle Alpi, la vita comunitaria che conduci e la pratica di scrivere poesia.

Grazie a te, Lucia, per l’invito, come tu ben sai, la mia poesia nasce dall’esigenza di esplorare la quotidianità attraverso la spiritualità e viceversa, conferire ad ogni azione della mia giornata un valore, a cominciare dalla meditazione mattutina, perché questo significa predispormi a tutte le altre attività, con la giusta attenzione e centratura. C’è una relazione profonda, per me siciliana, agrigentina, nata vicino al mare e innamorata dei luoghi dove sono cresciuta fin da piccola, tra la bianca magia della Scala dei Turchi e la Valle dei templi, dove giocavo e respiravo la bellezza dei miti della mia terra e quest’altra terra bellissima, dove vivo da quasi trent’anni, la Valchiusella, ricca di boschi, laghi, torrenti, a pochi chilometri da Ivrea. Incastonata in questa valle c’è una comunità spirituale, Damanhur, conosciuta in tutto il mondo e meta di ricercatori, sognatori, ma anche curiosi in cerca di nuovi modelli sociali in cui poter vivere, come si diceva una volta, a misura d’uomo. Sono arrivata qui con il sogno di trasformare la mia esistenza, di intraprendere un percorso personale che mi desse l’opportunità di raggiungere quello spazio sacro in fondo al cuore, dove si dice, esserci “la stanza che contiene tutte le risposte”.

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Nella tua produzione poetica si respira una spiritualità molto accesa e in cui la natura apre una specie di portale magico per meditare sulla realtà è sul nostro tempo, è così? Cosa attiva la tua ricerca poetica e quali sono le “scoperte” a cui giungi?

La poesia è diventata, col tempo, la chiave che mi permette di svelarmi, che raccoglie con la sua essenzialità quello che le parole quotidiane non sanno dire: è la poesia che si avvicina alla mia anima e ne coglie l’inesprimibile. Vivere immersi nella natura cambia il proprio orientamento: i sensi si ampliano, le percezioni, le intuizioni, i sogni si colorano e si affinano, si riscopre un linguaggio ancestrale ricco di profumi, segni, che col passare degli anni, delle esperienze vissute, portano significati che aprono alla visione e all’ascolto della vita. Come la musica suscita armonia e tocca corde che fanno vibrare l’anima, così la poesia si accende dei suoni del bosco, dei colori del cielo, entra in empatia con gli spiriti dei luoghi, degli esseri di natura che vivono dove la natura è incontaminata ed è così che, amplificando ogni più piccola scoperta, la poesia diventa il linguaggio privilegiato dello spirito. 

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L’autrice Mirella Crapanzano

Nel tuo più recente libro La fragilità del bruco (Macabor 2020), lo stato transitorio di fronte a cui vita e morte ci pongono costantemente apre le porte ad una filosofia dell’accettazione e della diminuzione del proprio “io”. Com’è nato questo libro che, come recita un suo verso, cerca di muoversi oltre quel “perimetro di certezza”, che portiamo sempre con noi?

Nel libro La fragilità del bruco scrivo dello stupore della vita, attraverso quello che pensiamo sia un confine, la vita e la morte che invece è passaggio alla trasformazione. Nel caso del bruco vediamo la “metamorfosi” di un essere che “rinasce” sotto altre sembianze, conclude un ciclo per cominciarne un altro. Un essere di terra, il bruco che diventa farfalla, un essere d’aria, di cielo, se vogliamo. La metafora di due aspetti, vita e morte, che contengono al loro interno l’evoluzione, la trasformazione e che sono imprescindibili l’una dall’altra e sono così colme di fascino e mistero. Attraversare questi stati dell’essere, in maniera lucida, consapevole, con rispetto e dignità significa aver vissuto bene.  E quello che rimane di noi è l’essenza preziosa, è l’amore che abbiamo saputo coltivare.

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Nelle tue raccolte poetiche precedenti la natura è la grande protagonista, ma qual è il percorso che ti ha portato dalla tua prima pubblicazione nel 2014 ad oggi? Qual è stata l’evoluzione del tuo linguaggio poetico a tal riguardo?

Nei miei libri, esiste un costante riferimento, sottile e sottinteso, alla poesia come dimensione libera, l’unica forse in grado di dialogare con aspetti diversi dell’esistenza, come l’umano e il divino, i mondi vegetali, minerali e animali per restituire ad ognuno la bellezza dell’unicità, la sacralità e il rispetto che ogni specie merita senza distinzione. Dialogare e dar voce ad ognuno di questi aspetti che “mi compongono” significa abitarmi come un luogo dove tutto può accadere.  Del resto, come ha ben scritto Franca Alaimo nella prefazione a La fragilità del bruco, “l’osservazione della realtà circostante, da cui si origina ogni testo della raccolta, viene dilatata fino a comprendere la vastità simbolica di ogni elemento che immette il lettore in una sorta di spazio sacro, in cui piante, animali, acque, terra e cieli sono allo stesso tempo concreti e spirituali.” Elementi che divengono tutti parte di una realtà non più separata ma infinitamente ricca e variegata nelle differenti unicità. 

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Nella tua poesia la punteggiatura scarseggia o è assente. C’è qualche legame tra questo e la tua visione del fluire delle cose, del ciclo, dell’ascolto dell’impercettibile?

La punteggiatura col tempo è sparita del tutto, proprio perché le pause in poesia, se non dettate dal silenzio, rischiano di non far fluire l’incanto della molteplicità della vita con tutte le emozioni, la passione che infine ci incalza a vivere. Come ha intuito Claudia Manuela Turco, a proposito della mia poesia, “la punteggiatura è divenuta superflua, quindi è scomparsa, e con la sua sparizione si sono arricchiti anche i significati dei segmenti di poesia in movimento.” Questo ultimo concetto in poesia diviene una sorta di caleidoscopio dove le immagini si trasformano, si aprono e divengono altro, una visione, un linguaggio, uno spazio che si apre e che ognuno può sentirsi libero di abitare. 

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Infine, la spiritualità è una ricerca costante. Ti definisci ricercatrice nel campo della poesia, delle arti pittoriche e visive. Come comunicano tra di loro per te queste tre arti e a quali esiti ti porta il crocevia che si crea tra di esse?

Preferisco definirmi una ricercatrice nei campi dell’arte e della scrittura, piuttosto che poeta, pittrice o altro, perché questo mi permette di scandagliare le forme in cui posso dipingere o scrivere, creare immagini, installazioni, senza dover appartenere necessariamente a un gruppo, una corrente filosofica, poetica o pittorica, anche perché ho attraversato diverse fasi e persino vite, pur se molte in questa stessa e ogni volta mi sono riscoperta simile e completamente diversa, ed è per questo, ad esempio, che anche la mia scrittura non è mai uguale. In comune queste arti mi danno la possibilità di percorrere colori e segni ancestrali attingendo a significati che la storia dell’umanità ci ha lasciato in eredità. Nella pittura mi esprimo con il linguaggio a me più congeniale, quello del colore, scrivo frequenze che posso comporre e leggere, le arricchisco di segni, ideogrammi, che servono a creare storie da raccontare e far sentire attraverso le emozioni e così nella poesia, vorrei far respirare queste frequenze, vibrazioni, allo stesso modo che nei miei quadri, perché conducano il lettore a far vibrare, per assonanza, il proprio suono interiore che va a costituire quell’accordo immenso di cui tutto l’universo vibra.


[1] Mirella Crapanzano (Agrigento, 1959) è pittrice e ricercatrice nel campo della poesia, delle arti pittoriche e visive. Ha pubblicato la raccolta Le stanze del fiore nero (Lietocolle, 2014), la silloge Terracqua (Terra d’ulivi, 2016) con la quale ha vinto il primo premio Castello di Prata Sannita L’Iguana 2017, dedicato a Anna Maria Ortese, per la poesia edita e il poemetto Il Labirinto (Il Convivio, 2018), per essersi classificata seconda al Premio, per sillogi inedite, Pietro Carrera.  La fragilità del bruco (Macabor, 2020). Sue poesie sono presenti in diverse antologie, alcune edite da Lietocolle, Fara editore, Terra d’ulivi e Macabor e su varie riviste poetiche online. 


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 02/2024 – Intervista a Silvio Aman. A cura di Adriana Gloria Marigo

La sua ricerca, partendo da Armide e andando a ritroso attraversando le ultime sillogi Garten e Sonetti fosforescenti entra nelle stanze dell’Humanitas e del Logos, in un incontro con l’inestinguibile rapporto tra Essere ed Essenza e con la provvisorietà dell’Esistenza. Anche in quest’ultima raccolta, Armide,si può scorgere la metafora del reale nelle numerose figurazioni immaginifiche rappresentate dalle presenze femminili e dalla Natura che vanta sempre un posto privilegiato, non propriamente ornamentale o accessorio, ma armoniosamente partecipe, familiare.  Cosa rappresenta per lei il luogo delle «presenze misteriose e profumiere»?

Per come la intendo, la natura è il male, e in me si restringe ai giardini, specialmente quelli delle ville lacustri, e agli orti botanici: i luoghi selvaggi, se non si tratta delle Alpi, mi sconfortano. I “miei” giardini hanno sì qualcosa di familiare, ma anche di lontano, tanto è vero, che nel visitarli mi accade di avvertire nostalgia di loro, come fossi altrove. Nelle mie composizioni, costellate da viali notturni e ventosi, non trovo vi sia molto di umano. Certo, ho presente la realtà di quei luoghi eleganti e delle loro visitatrici, che vorrei tanto rivedere, ma in Armide, più che in termini immaginifici, si rivelano parvenze, nel senso per cui delle loro immagini concrete rimane una sorta di “profumo immaginale”. Non sono un realista. Non m’interesso delle poetiche: scrivo poesie come se in me fossero solo flussi transitori.

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La sua Poesia, raffinata, colta, pervasa di grazia derivante dalla qualità della reminiscenza, della forza immaginifica, della fascinazione dell’evanescenza e dell’incanto, del je–ne–sais–quoi, segno costante della sua scrittura, sembra abitare uno spazio classico che immette al sublime. In relazione a ciò, qual è il suo rapporto con la classicità; quali sono gli autori italiani o stranieri che hanno avuto un ascendente, o sono prossimi al suo modo di vedere la vita, l’arte?

Sì, è vero, nella mia poesia è presente il je-ne-sais-quoi, la grazia e l’evanescenza, perché questi tratti mi pertengono. A dir la verità, eccezion fatta per il gotico, non mi attrae nulla, se non si offre in modo fugace e suggestivo, ad esempio in certe condizioni atmosferiche e di luce, che preferisco sempre obliqua: di diretto, nel mio lavoro non vi è forse nulla. Guardo spesso le opere di due pittori che immagino fra loro inconciliabili: Caspar Friedrich e il Claudio di Lorena delle sue scene portuali, dove il sole appena sorto sfiora le cose tracciandone i profili. Nello spazio fra l’aurora e il tramonto sento solo l’oppressione delle cose stabili. Avverto un forte interesse per i polittici gotici, le opere di scuola senese e le miniature. Oltre a certi nomi sulla bocca di ogni manuale, mi attraggono opere considerate minori, o di cui nessuno parla, quando si fanno portatrici di aspetti imponderabili. La Grecia non mi ha mai attirato. Per le letture, mi perderei in una vera galassia, e solo per questioni di affinità potrei isolare Proust. Rileggo spesso il misterioso Gerard de Nerval, e attualmente le poesie Renè Vivien.   

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Il poeta Silvio Aman

Lei mostra grande attenzione alla lingua: emerge evidente la necessità che la parola sia intensa, direi assoluta, ed è la rivelazione che essa contiene un elemento che oltrepassa il dominio comunicativo e la stessa ricercatezza. Possiamo dire che nel verbum lei individua l’ineludibile forza creatrice che, insieme alla materia ispiratrice, pone in essere il suo cosmo poetico?

Certo, la lingua in poesia oltrepassa il dominio comunicativo, anche se mi è capitato di sentire poesia e mistero nel tono con cui una ragazza stava acquistando il pane. La lingua, nel mio lavoro, è intrisa di musicalità. Più che ricercato, mi trovo diverso rispetto alla vigente Koiné, e non mi è mai venuto in mente di pensare alla forza creatrice, poi non so se possiedo un cosmo poetico: a me pare di non possedere nulla. L’ispirazione è davvero qualcosa di misterioso: non si sa quando e da dove viene, per cui potrebbe anche non giungere più… ma se viene, per noi lo fa nel verbo, anzi con i significanti cui pertengono del resto gli aspetti immaginari. Non ho mai creduto nella parola assoluta: la “mia” lingua presenta un’intensità fluente, fatta di voci ondose e pronte a ritrarsi.

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In lei, quali sono le circostanze privilegiate al sorgere della parola di poesia? Attribuisce importanza alla componente autobiografica e al rapporto con i luoghi dove è nato o in cui vive, e quanto “entrano” nell’opera?

Non saprei individuare queste circostanze, sicuramente molteplici, e non è detto che dopo aver ammirato un giardino nasca qualche poesia – però è vero, che in alcune parti dei miei libri i giardini sono presenti, e certo anche per questioni autobiografiche: sono nato in un luogo celebre per il suo lago, le ville, i giardini e i grandi Hôtel. Non invento nulla: declino solo gli aspetti della mia biografia, che include anche i tratti di alcune amiche.

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Lei è poeta, scrittore, ma anche saggista. In un tempo come il nostro dominato dalla tecnica e dall’apparenza, da un evidente crollo del senso critico, il poeta può ancora indicare la via, suggerire, come in Elevazione di Baudelaire «Fuggi lontano da questi miasmi /ammorbanti, e nell’aria superiore / vola a purificarti…»?

La saggistica l’ho intrapresa solo quando ho trovato l’autore che m’interessava. Come lei sa, Baudelaire non è mai fuggito, inoltre, in una sua poesia nominò la perdita dell’aureola, finita nel fango, e oggi mi pare non ci sia nemmeno più bisogno di perderla. Il poeta può indicare la via solo a chi è a un passo da imboccarla a sua volta. Le parole di Hölderlin, che poeticamente vive l’uomo sulla terra, rimangano solo per pochi… un gruppo sparuto nella notte del tempo. In quanto alla tecnica, ci accompagna da sempre in modo benigno e maligno. Del resto, anche il cuore del poeta è tecnico.

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E ancora: quale valore ha per lei la poesia, oggi che sembra orfana di maestri e, per le numerose voci, informe e frammentata, tanto che taluni la ritengono in grave crisi esistenziale?

Lo dice già lei molto bene, nominando l’informe. In quanto ai “maestri” se non ve ne sono di attuali, quelli di ieri non mancano. Certo, oggi le voci si moltiplicano, forse per l’errato presupposto, che per scrivere poesie basti esprimere il sentimento… il quale spesso mente. In quanto alla crisi, essa non è della poesia, bensì di chi ama la Musa senza esserne ricambiato… pur sempre meglio di chi la ingaggia per ragioni strategiche.

*

Sappiamo quanto la copertina e il titolo rappresentino, in certo senso, la soglia del libro: come sono nati per Armide quegli elementi così carichi di suggestione?

Ah, sì, è vero, la copertina fa spesso da soglia al libro, e per questa (anche se la notevole riduzione fotografica non lo evidenzia) avevo “stregato” un piccolo giardino mettendo degli anelli d’oro ai rami e attaccandogli orecchini a goccia di zaffiri e rubini. 

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Quali sono i progetti letterari futuri? Sta già lavorando a una nuova opera e di che tratta? Può rivelarci qualcosa?

Non ho mai avuto progetti letterari futuri, semmai quello di dedicarmi ai fiori. Ho scritto un lungo romanzo, e sono certo di non scriverne altri.


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore/l’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 01/2023 – “I libri. Lo specchio dell’io”, poesia di Bogdana Trivak

L’amore nello

Specchio per

Ricevere e

Dare l’amore

Come l’acqua di

Fiume che

Scorre lentamente

Imbevendo le

Chiome della

Salice piangente

Rispecchiate

Nell’acqua cristallina

Tutti i libri

In un unico libro

Lo specchio dell’io

Oppure il mare…

*

Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

N.E. 01/2023 – “Libri”, poesia di Evaristo Seghetta Andreoli

Lascio i libri letti a metà

pagine scorse senza ricordo

senza rimorso

prive di paternità

consegnate all’ombra degli scaffali

e di quelle non lette nessun rimpianto

diari di vita altrove

giorni non vissuti

chiusi per sempre.

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N.E. 01/2023 – “Libri”, un aforisma di Laura Vargiu

I libri sono straordinari e, a ben riflettere, addirittura impressionanti: ci raccontano le vite degli altri, tra le quali, incredibilmente, ritroviamo molto spesso anche qualcosa della nostra.

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N.E. 01/2023 – “Il potere della lettura”, aforisma di Gabriella Paci

I libri possono far diventare materia i tuoi sogni

e farti vedere il loro colore e la forma

nell’illusione degli occhi e della mente.

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Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

N.E. 01/2023 – La nostra casa sono i libri che amiamo. Libri da leggere, libri che ci hanno formato, libri amatissimi e speciali come quello di Giulia Caminito, “Amatissime”. Recensione di Loredana Magazzeni

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria esplosione di libri dedicati alla lettura, che siano le proprie letture di bambina e poi di adulta, che siano i libri che ci hanno formato, ammaliato con la propria grandezza e originalità, e reso quello che siamo. Trasuda amore per i libri, tanto da rendere reale il sogno di aprire una libreria in un piccolo cottage di un borgo della Toscana La libreria sulla collina (Einaudi, 2022) di Alba Donati. In quello che si rivela un avvincente diario della progettazione e poi realizzazione della piccola libreria ‘Sopra la Penna’ a Lucignana, iniziato con un crowfunding nel dicembre del 2019 e portato a termine grazie all’aiuto di tutta la comunità lucignanese e di una rete di amici e appassionati, Alba Donati riversa la propria competenza di poeta e di studiosa: ciascuna giornata del diario è conclusa dai libri venduti quel giorno, da Pia Pera a Christa Wolf, da Emily Dickinson a Simone De Beauvoir, con un invito irresistibile a seguire le sue tracce e caricarsi mente e anima di tesori. Sandra Petrignani e Bianca Pitzorno, la prima con Leggere gli uomini (Laterza, 2021), la seconda con Donna con libro. Autoritratto delle mie letture (Salani, 2022) compiono un’analoga operazione doppia: dell’ammirazione per la scrittura e il libro in sé e come specchio di sé. Come scrive Manuela Altruda nel recensire il primo dei due libri, con “esercizi di ammirazione e scatti di rabbia, attraverso memorabili citazioni, Sandra Petrignani ci porta dentro tante pagine indimenticabili, da Dumas a Roth, da Pavese a Proust, da Calvino a Tolstoj, da Gary a Dostoevskij, da Moravia a Mann, da Manganelli a Kundera, da Malerba a Čechov, da Nabokov a Chatwin, da Tabucchi a Kafka e a mille altri”. Per scoprire quanto gli uomini siano simili e diversi da noi, quanto gli scrittori amati ci abbiano rese le scrittrici che siamo. Ma vengo all’ultimo libro speciale di Giulia Caminito, Amatissime, (Giulio Perrone Editore, 2022) in cui la giovane autrice di L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani, 2021), o di La grande A (Giunti, 2016), rende omaggio alle madri letterarie e al nostro eterno debito di amore e venerazione. Ne sceglie cinque, le più care: Elsa Morante, Paola Masino, Natalia Ginzburg, Laudomia Bonanni e Livia De Stefani. Con loro intreccia da subito un dialogo impossibile, appassionato e autobiografico, in cui ciascuna amatissima occupa e rispecchia una fase della vita di Giulia. Elsa Morante è, per esempio, il ricordo di una grande foto della scrittrice sopra la scrivania della madre, che si laureò con una tesi su di lei. Madre doppia dunque, e doppiamente temibile. Giulia si accosta alla scrittrice da bambina, ce ne racconta i riccetti ribelli e i primi amori letterari, le prime scritture, storie di bambole, analoghe a quelle che Lena e Lenù si scambiavano nel primo libro di Ferrante, L’amica geniale. Genio e spiritello malefico è Elsa, pronta a ficcare la punta del suo ombrello in faccia a chi osi accostarsi troppo alle sue imprevedibili stranezze, al suo mondo interiore labirintico e favoloso. Paola Masino invece è nei vestiti: gli abiti usati della sorella, gli abiti anni Ottanta di Giulia, il ricordo di tutti quelli che hanno rivestito la sua vita, nel recentemente ripubblicato Album di vestiti (Elliot, 2015).

E con Paola Masino Giulia Caminito inaugura la serie delle amatissime recuperate, la schiera di valenti scrittrici dimenticate e uscite fuori dal canone letterario, ma che invece amarono e influenzarono la storia letteraria italiana, verso cui si rivolge la curiosità e l’amore delle giovani scrittrici di oggi. Al lavoro di editor di Giulia si affianca in parallelo una giovane Lisa Ginzburg, sofferente e umanissima, scopritrice di talenti e valida traduttrice per Einaudi, dopo la perdita precoce del marito Leone. Infine le due outsider, recentemente riscoperte e ripubblicate da case editrici coraggiose e sensibili come Cliquot, Laudomia Bonanni e Livia De Stefani. La Bonanni appare irrequieta anticipatrice di temi quanto mai attuali come il desiderio ambivalente di maternità, la violenza familiare, lo svantaggio sociale che pesa sulle donne e sui ragazzi del dopoguerra, la questione delle droghe e quella della solitudine dell’intellettuale che sceglie l’inappartenenza. Da insegnante aquilana a lungo impegnata in scuole di piccoli comuni di montagna, in quella frontiera di isolamento, freddo e miseria che il secondo dopoguerra aveva lasciato in eredità, soprattutto nei bambini che lei aiuterà e avrà sempre nel cuore, persino quando “delinquono”, e che seguirà nei Tribunali minorili come Giudice laico, Laudomia si accosta a Roma, ne frequenterà, grazie al successo dei primi romanzi, i salotti intellettuali, come quello di Maria Bellonci e degli Amici della Domenica, da cui nacque il Premio Strega, vinto da lei per l’inedito con i racconti de Il fosso, nel 1948. Caminito ne segue le vicende e i misteri, come quello della mancata accettazione da parte delle case editrici Mondadori e Bompiani, dell’ultimo romanzo della scrittrice, La rappresaglia, romanzo quanto mai amaro e simbolico delle ferite inferte dalla guerra e del prezzo pagato soprattutto dalle donne. Infine, tra i sei scatoloni di carte private della scrittrice De Stefani, “entusiasta per il tesoro e atterrita dal patrimonio”, Giulia Caminito assume su di sé il peso e la responsabilità di una vita di donna, tutta in quelle carte, “chilogrammi di vita” di una donna artista, che ci chiedono di non essere dimenticati, di essere riportati alla vita letteraria e alla dignità di patrimonio di noi donne tutte e uomini di oggi. Un libro, questo di Giulia Caminito, che ci insegna l’amore per la lettura delle scritture femminili come patrimonio immateriale della comunità, guida affettiva a una cultura letteraria più consapevole, profonda e carica di futuro.

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N.E. 01/2023 – “Il libro, manifestazione dell’essere”. Articolo di Tina Ferreri Tiberio

Il nostro secolo può essere definito il secolo della “multimedialità” e l’interrogativo di fondo che ci poniamo in questa cultura elettronica è il chiedersi se c’è ancora posto per il libro o esso è destinato ad uscire di scena. Alcuni hanno sostenuto in più occasioni la morte del libro o l’assassinio del libro da parte della televisione, per es o dell’ipertesto. Ma il libro è sempre un’esperienza a cui l’uomo non vorrà mai rinunciare: non basta leggere, occorre saper scegliere cosa vale la pena di leggere. 

Sant’ Agostino affermava: “Il Mondo è un libro e coloro che non viaggiano leggono solo una pagina.”

Orbene il libro rappresenta non l’orizzonte pressochè esaustivo del processo di apprendimento, come spesso è avvenuto, ma diventa uno dei tanti strumenti di cui l’uomo può disporre nei suoi processi di ricerca. Si tratta, cioè di assegnare una diversa identità al libro, non come matrice condizionante di sapere, bensì come strumento per la costruzione del sapere. Oggi, cioè, si guarda al libro non come al luogo di sistemazione del sapere, bensì come ad un insieme di pagine e contenuti che aspettano di essere interpretati, integrati, strutturati.  Leonardo Sciascia affermava che “Il libro è una cosa: lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, ma se lo apri e lo leggi diventa un mondo”.

Il libro cioè è uno strumento che aspetta di essere esplorato con intelligenza, che non si impone, ma si presta, non irrigidisce, ma alimenta, è lo specchio del nostro io.

Attraverso il libro l’individuo è portato a trovare risposte sempre più adeguate ai suoi problemi, alle sue esigenze, alle sue aspettative e il gusto del leggere, pertanto sollecita sempre più la capacità di autonomia cognitiva da parte dello stesso individuo, che si fa ricercatore e operatore del proprio sapere.                   

L’uomo non è un “io” separato dal mondo e messo in comunicazione con esso per mezzo delle sensazioni, egli è un organismo entro la natura che interagisce con l’ambiente, per cui da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di raccontarsi, per es. i ragazzi tratteggiati dalla penna di scrittori, come Pasolini, ci vengono incontro con tutta la loro ricchezza esistenziale. Sono figure vive, concrete, non soggetti astratti di categorie sociologiche. E’ un modo per far parlare i ragazzi, per parlare con i ragazzi, usando la bellezza della letteratura, gli occhi partecipi dello scrittore e non la lente neutrale dello studioso.  

I libri non perdono mai il loro fascino, anzi con le nuove tecnologie informatiche, moltiplicano la forza di attrazione e la capacità di incuriosire. Quotidiani e televisione sono lo specchio del mondo e la scrittura è la risposta ad un reale bisogno comunicativo.

Leggere seriamente i testi degli autori antichi greci e latini, per es. significa consentire loro, di essere delle occasioni di sviluppo profondo per l’interiorità, l’espressività e l’eticità di noi lettori. Accostare le opere di oltre un millennio di cultura occidentale ha senso se il confronto con esse permette al singolo individuo di valutare la qualità e lo spessore umano dei propri sentimenti e delle proprie passioni; potenzia la raffinatezza, la fondatezza e la penetratività del proprio modo di esprimersi; ha senso se centra l’attenzione sul senso della propria vita e sui valori che la possono orientare.

Soffermiamoci sulla prima raccolta poetica di Montale “Ossi di seppia”. 

Lo stato di disagio e di inquietudine dell’uomo, chiuso nella propria crisi, si riflette in un linguaggio del tutto nuovo, pieno di suggestioni e spesso sconvolgente. Il punto di partenza della tematica montaliana è costituito dalla sua prima raccolta poetica: “Ossi di seppia”, pubblicata nel 1925. La realtà paesistica che nell’opera il poeta descrive ha una sua precisa fisionomia, è il paesaggio della sua natìa Liguria, colto in tutta la sua asprezza e squallore. I piccoli particolari della vita quotidiana sono presentati nella loro nudità e spigolosità: “rovente muro d’orto”, “sterpi” e assumono sotto la penna del poeta, un alto valore simbolico mettendo in luce la sua coscienza dell’aridità, dell’assurdità della vita, la quale non è altro che isolamento, esclusione, inutilità. Vivere, dice infatti Montale in “Meriggiare” non è altro che “seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Così in “spesso il male di vivere” la legge di sofferenza che domina costantemente la vita umana affiora negli aspetti più giornalieri della realtà delle cose: “è il rivo strozzato che gorgoglia”, “l’accartocciarsi della foglia riarsa!”, “il cavallo stramazzato” e l’unica salvezza dal male di vivere è “la divina Indifferenza”. “Non chiederci la parola, continua ancora Montale, che squadri da ogni lato l’animo nostro informe” “che mondi possa aprirti”. “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. La poesia, insomma, non può lanciare messaggi, non può dare certezze, ma solo qualche sillaba storta che esprime il crollo di qualsiasi mito, la consapevolezza del non essere.  D’altronde lo stesso Montale nella sua prima raccolta non esclude la possibilità di un mutamento verso cui il poeta tende nell’ansioso, ma consapevolmente vano tentativo di trovare una via di salvezza di fronte alla precarietà, al fallimento dell’esistenza. E’ questo il motivo cantato nel gruppo di liriche “Mediterraneo” poste al centro della raccolta, in cui il mare preso a simbolo di vita autentica, di positività, come quell’approdo, è purtroppo non raggiungibile per l’uomo, che sa di essere “della razza di chi rimane a terra”. 

Pertanto, nell’opera viene riaffermata la visione montaliana del vivere una vita senza fedi, senza certezze, senza “lume di chiesa o di officina” come egli dice in “Piccolo testamento”. Egli non ha seguito nella sua vita “chierico rosso o nero” orgogliosamente chiudendosi nella propria solitudine. L’uomo del nostro tempo, afferma il Montale, attraverso la metafora del prigioniero destinato alla morte, che può uscire dalla propria cella solo diventando accusatore e carnefice degli altri, è ben consapevole di essere oppresso da una società che lo condiziona, ma niente può fare per sfuggire a questo carcere. Egli avrà comunque un destino negativo, sia che si faccia complice, sia che rimanga vittima. Questa la lezione lasciataci da Montale: consapevolezza di vivere in una società priva di illusioni e rassegnazione ad un destino di solitudine e dolore cui opporre un rigore morale che non accetta compromessi.           

Per concludere l’uomo sente che il libro gli può dare risposte, ogni libro può diventare un mezzo per ampliare il proprio orizzonte di vita, per mettersi in relazione con i grandi spiriti del passato e così la lettura diventa un’attività fondamentale per far circolare sempre messaggi di bene e di bellezza.

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Bibliografia

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, 2000

Eugenio Montale, Tutte le poesie a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, I Meridiani collezione, 1984

Walter J. Ong, Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, Bologna, Il mulino, 1986, ed. orig. 1982

Guglielmo Cavallo, I luoghi della memoria scritta: manoscritti, incunaboli, libri a stampa di biblioteche statali italiane, direzione scientifica, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1994

Storia del libro. Storia di libri. A cura della prof.ssa Rosa Marisa Borraccini  PDF 2018

“Ricordo dell’editore e promotore culturale Guido Miano a un anno dalla sua dipartita”

A cura di LORENZO SPURIO

Ricevo con grande piacere dai fratelli Carmelo e Michele Miano il volume 16 (anno 2022) del repertorio letterario “Alcyone 2000 – Quaderni di poesia e di studi letterari” che dà in apertura la notizia della morte del loro genitore, il poeta ed editore Guido Miano[1], che, nel corso del tempo, ha pubblicato numerosi e pregevoli libri, volumi di poesia, saggistica, antologie, repertori letterari e non solo.

Al padre sono dedicate un cospicuo numero di pagine della prima parte che si apre con l’accorata e affettuosa lettera del figlio Michele che dal genitore ha ricevuto gli influssi positivi non solo dell’amore filiale e dell’affetto intimo, anche l’amore per la poesia e la letteratura in genere, divenendo anche lui un apprezzato “promotore culturale” (definizione che lo stesso Guido Miano impiegava per definirsi) oltre che poeta (ricordo la sua opera Deltaplano del 2014 di cui alle pagine 84-86 sono riproposti dei testi poetici oltre che un mio – ormai datato – intervento critico su questa sua plaquette). Alla pari è testamento culturale che Guido Miano ha lasciato all’altro figlio, Carmelo, che da anni cura l’attività redazionale, di stampa, di grafica e di divulgazione delle opere.

Michele Miano nella lettera mescola il dato bibliografico del padre ai ricordi di vita vissuta in sua presenza: la fondazione di una rivista letteraria importante (eppure colpevolmente dimenticata nella manualistica della letteratura italiana) dal titolo “Davide, rivista sociale di lettere e arti”[2], dal taglio tradizionalista d’impronta cattolica[3], fondata da Alessandro Miano (1920-1994)[4] nel 1951 e alla quale il fratello Guido, giovanissimo, prese a collaborare attivamente. Su questa rivista trovarono pubblicazione inediti di poeti e scrittori di primo piano della nostra letteratura nazionale (alcuni di loro allora ancora alle primissime armi e non ancora affermati nell’ambiente). Per ricordare solo qualche nome di autore, ricordiamo: Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia, Giorgio La Pira e Mario Luzi[5]. Dopo aver curato alcuni volumi monografici, Guido Miano fondò la casa editrice omonima nel 1955 (esattamente il 18 giugno di quell’anno) specializzata in filosofia, poesia e critica letteraria (la sede iniziale di Catania sarebbe stata ben presto sostituita per quella canonica e ancora attiva nel capoluogo meneghino). Le collane editoriali e le pubblicazioni (in particolare per la poesia e il giornalismo[6]) esplosero in quantità e accuratezza formale e contenutistica oltre che pregio e autorevolezza degli autori da allora sin ai nostri giorni, grazie al suo importante “magistero” reso possibile da scelte editoriali rigorose e vincenti che hanno saputo fare la differenza e imprimere anche nell’attualità il vero senso del “fare editoria”.

Guido Miano (dx) con Maurizio Cucchi (sx) durante un evento culturale negli anni ‘90

Tra i maggiori autori che hanno visto pubblicate le loro opere con la Casa Editrice Guido Miano vanno senz’altro citati Lina Montessori, Franco Loi, Marco Danese, Cristanziano Serricchio, e, tra i più recenti, Nazario Pardini, Francesca Luzzio, Floriano Romboli, Sergio Camellini (ma la lista sarebbe oltremodo lunga, non adatta per un articolo di pochi paragrafi come questo).

A completare il ricco ricordo sulla figura di Guido Miano sono due contributi critici di due intellettuali e saggisti: Enzo Concardi (presente con un intervento dal titolo “Storia di un’amicizia e di un feeling culturale ed umano”) e Franco Lanza (presente con la premessa che scrisse per il libro Lamento dell’emigrante di Guido Miano pubblicato nel 2017[7]). Entrambi i contributi, pervasi da un’intuizione volta all’approfondimento, si prestano a conoscere ancor meglio la versatile e poderosa statura di Guido Miano quale uomo di lettere propriamente inteso.

Da sinistra il prof. Bruno Maier, n.d., il prof. Franco Lanza e Guido Miano

In Lamento dell’emigrante, che è strutturato in cinque sotto-sezioni, ritroviamo una scelta di testi lirici dedicati al ricordo soave e saporito degli aromi e dei colori vividi della sua terra natale, la Sicilia tanto amata, come avviene nel pregevole testo “Isola sempreverde”, due strofe di cinque versi l’una, in cui nella prima stanza, con una nettezza visiva senza pari e grande partecipazione dell’io lirico (come un piacevole viaggio a ritroso, “alle origini”), leggiamo: “Cogli un ramo d’ulivo saraceno, / il gelsomino bianco d’Arabia, / il mirto umile e sereno / nei giardini d’infanzia sempreverde / nella ridente isola del sole”.

LORENZO SPURIO

NOTE – E’ severamente vietato pubblicare questo articolo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore.


[1] Guido Miano era nato a Palazzolo Acreide (SR) nel 1931 ed è venuto a mancare a Milano il 18 giugno 2022.

[2] Il repertorio letterario “Alcyone 2000” al quale ci riferiamo nel presente articolo è da considerarsi come la naturale prosecuzione della pionieristica rivista “Davide” degli anni ‘50.

[3] Di quel cattolicesimo lucido e onesto, lontano da dogmatismi e intransigenze di sorta, in grado (e saggiamente abile) nell’accogliere anche idee e considerazioni dal “fronte” laico, dando spazio anche a esponenti di questa tendenza.

[4] Il sottoscritto ha avuto modo di occuparsi della figura di Alessandro Miano (Noto, SR, 1920 – Milano, 1994), poeta, scrittore, giornalista ed editore, avendo deciso di attribuire alla sua figura e impegno un Premio Speciale “Alla memoria” in seno alla VI edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” organizzato dall’Associazione Euterpe di Jesi (AN) nel 2017. La motivazione di questo conferimento è stata pubblicata, oltre che nell’antologia contenente le opere dei vincitori al concorso, sul sito dedicato al Premio: https://premiodipoesialarteinversi.blogspot.com/2023/09/alessandro-miano.html

[5] Il poeta ermetico fiorentino dedicò all’amico ed editore Guido Miano la poesia “Cosmografia improvvisa” che si apre con i versi “La purità dell’essere – ne aveva / e non ne aveva / lui barlumi / di prereminiscenza…”, pubblicata all’interno di questo numero della rivista “Alcyone 2000” a pagina 11.

[6] Non secondaria né collaterale all’attività editoriale fu quella dell’impegno giornalistico che nel 1957 lo portò a istituire il Corso Biennale di Orientamento Professionale di Giornalismo presso il Centro Sperimentale italiano di giornalismo. Da quell’intuizione i corsi, le lezioni, le conferenze, i convegni e le pubblicazioni curate sulla storia e gli arnesi del giornalismo (tra cui i ricchi manuali a firma di Giorgio Mottana, divenuti testi d’adozione anche in ambito accademico) mai vennero meno.

[7] Ricordiamo, altresì, che il professore Gualtiero De Santi, docente dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e saggista, collaboratore assiduo di iniziative della Casa Editrice Miano editore, in quell’occasione scrisse la prefazione al volume Lamento dell’emigrante.

“Due libri su Anna Santoliquido”, recensione di Filippo Casanova

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Lorenzo Spurio, La ragazza di via Meridionale, Nemapress, Roma 2021

Licia Grillo, Multas per gentes, FaLvision, Bari 2021

di Filippo Casanova

image-1I due studi critici dedicati alla poetessa di origine lucana Anna Santoliquido (1948), pubblicati entrambi nel 2021, si pongono, a mio avviso, come un momento cruciale per la critica letteraria sul Mezzogiorno e, in particolare, sulla poesia, troppo spesso compressa dall’uso consumistico dell’arte. Cominciamo dal saggio di Lorenzo Spurio, La ragazza di via Meridionale. Percorsi critici sulla poesia di Anna Santoliquido, nel quale la poesia della Santoliquido trova spazio in quella che è, a ben vedere, la sola dimensione che le appartiene e che potremmo definire un segreto giardino che dal sé guarda al mondo. L’attenzione critica di Spurio, esplicata con chiarezza e precisione e impreziosita da un’intervista posta in caudam al testo, propone un percorso di lettura dell’opera poetica della Santoliquido, trasmettendo soprattutto la forza poetica che…

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