Renato Pigliacampo, il Maestro del Silenzio, presentato a Macerata lo scorso 20 dicembre

Renato Pigliacampo, poeta, scrittore e saggista è professore di Psicopatologia del minorato sensoriale e di Laboratorio dei linguaggi per il sostegno nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’università di Macerata. Non udente dall’età di dodici anni a seguito di una grave forma di meningite, ha fatto della sua situazione di sordità una vera e propria battaglia personale e sociale. Formatosi nelle migliori scuole nazionali per non udenti, ha ricoperto varie volte incarichi di rappresentanza all’interno di enti e realtà provinciali e regionali legate al mondo audioleso. Attivissimo nel campo assistenziale con la fondazione di riviste specialistiche (Il Sordudente), circoli e nel campo letterario con un serio impegno rivolto nei riguardi dell’editoria e della partecipazione attiva per mezzo di incontri, dibattiti. Importantissimo il Premio di Poesia “Città di Porto Recanati” da lui stesso ideato e presieduto, uno dei maggiori della Regione.

Venerdì 20 dicembre alla Sala Castiglioni della Biblioteca Comunale di Macerata si è tenuta la presentazione di suoi due libri. L’evento è stato organizzato dall’Associazione Culturale TraccePerLaMeta in sinergia con la rivista di letteratura “Euterpe” e il Patrocinio del Comune di Macerata. L’evento è stato condotto e presentato da me, assieme alla scrittrice e recensionista Susanna Polimanti. Hanno preso parte, inoltre, Donatella Del Medico (Interprete LIS) e Anna Menghi (Presidente ANMIC della provincia di Macerata).

 

 

L’evento si è svolto partendo da un breve excursus bio-bibliografico dell’autore per poi passare a soffermarsi con particolare attenzione su alcuni macro-temi che caratterizzano tutta la sua produzione letteraria. Il percorso è stato fatto ponendo l’importante produzione lirico-narrativa-critico-divulgativa di Pigliacampo all’interno di un preciso canone di riferimento, quello della letteratura italiana contemporanea, sottolineando come non solo la vasta produzione dell’autore sia interessante, pregevole e degna di essere divulgata, ma come abbia ricevuto nel corso della storia anche eminenti avalli letterari, risconti positivi e considerazioni critiche a firma di grandi autori del panorama letterario nazionale quali Diego Valeri, Cesare Zavattini o regionali quali Gian Mario Maulo, Rosa Berti Sabbieti, etc.

In Lettera ad una logopedista (pubblicato nel 1996, ma riproposto in una nuova edizione da Armando Editore nel 2012), Pigliacampo fonde con maestria generi letterari differenti (la lettera, il romanzo, l’autobiografia) e tratteggia il suo rapporto con il mondo del Silenzio a partire dalle prime traumatiche sedute dalla logopedista. Nel saggio l’autore non manca di osservare la mancata comprensione da parte della società nei confronti del disagio della sordità, la poca sensibilità del popolo, la condizione di emarginazione che conduce la conduce la comunità dei non udenti a rintanarsi in una sorta di nicchia dove il sentimento di solitudine non può che autoalimentarsi. Le pagine di Pigliacampo sono ricche di attestazioni di sdegno, di denuncia sociale e politica e tendono a rompere quell’aurea di buonismo e bieco pietismo che la massa costituzionalmente ha e mostra nei confronti di realtà che andrebbero invece avvicinate, coinvolte, integrate: “Vogliamo democrazia e valida gente./ Io la conosco nel mio mondo e/ voi dite “diversamente abile”./ Sono grandi persone/ vincitori di Dolore e Ostacoli/ combinati da voi per frenarli/ Non piegatevi fratelli”.

Vivida e continua, tanto nel saggio come nella raccolta di poesie Nel segno del mio andare, è la caratterizzazione dei luoghi dell’autore, di quella terra natia tanto amata alla quale, dopo viaggi per motivi di studio in cui si è definito “esiliato”, l’autore non può che riconoscere come nido, ma anche come tormento del suo colloquio intimo con il Silenzio.

Ed il monito che Pigliacampo trasmette con la sua poetica, con i suoi occhi vispi di un uomo che è sempre stato battagliero e che continuerà ad esserlo, è quello di “fare”, ma non con la semplice parola, bensì con i fatti, tenendo ben presente che non è tanto importante il tipo di linguaggio che utilizziamo nel rapportarci agli altri (verbale o non verbale, sonoro o visuale, della voce o della mani), ma il contenuto. Per dirla alla Pavese, dunque, “Le parole sono pietre”.

A volte, però, anche un semplice sguardo d’indifferenza, può esserlo.

 

Lorenzo Spurio

Nanni Moretti torna con Habemus Papam

La succinta scheda del nuovo film di Nanni Moretti pubblicata da Il Corriere della Sera titolava in questi giorni “Un Papa appena eletto fugge dall’incarico e si perde per le vie di Roma”. Sembra una storia buffa e praticamente incredibile se ci figuriamo quanto sarebbe difficile per un Pontefice in questi tempi girare a piedi e da solo per le vie della Città Eterna. Nel film succede e la storia neppure sembra così strana e stupefacente. Andiamo per gradi.

Nanni Moretti, regista affermato ma controverso, è uscito da pochi giorni nelle sale cinematografiche con il suo ultimo film dal titolo Habemus Papam. Un titolo che sembra quasi essere irreverente e blasfemo se lo pensiamo ideato dal regista italiano.  Tra i suoi capolavori vanno ricordati film come La stanza del figlio (2001), dramma in piena regola dove si analizzano i comportamenti e i sentimenti di una famiglia che ha perso un figlio, e il più recente Il caimano (2006) tutto imperniato sulla visione politica antiberlusconiana di Moretti, presente anche in Aprile (1998)  . I suoi film si caratterizzano principalmente per una componente sarcastica e irrisoria, che viene fatta in maniera pacata, ma che caratterizza l’intera opera e per una condanna implicita e silente a certi comportamenti umani (prevalentemente politici). E’ maestro abile e curioso. Le sue opere sono squarci di realtà contemporanea e non celano la sua ideologia politica.

Habemus Papam tratta una materia nuova per Moretti, quello della religione. Si tratta di un film che ci narra delle ansie e delle inquietudini interiori di un Pontefice appena eletto ambientato in un età a noi contemporanea. Non ci sono riferimenti al Papa attuale né a quello precedente né ad altri papi, la sua è una storia completamente inventata e anche se al protagonista viene dato il nome di Papa Celestino V in realtà non ha niente a che vedere con il vero pontefice Celestino V[1] che visse durante il III secolo d.C.

Il periodico catalano La Vanguardia titolava un articolo che nella sezione cultura che si riferiva all’uscita nelle sale italiane del film con  “El Papa va al psicoanalista”. Infatti la storia che viene raccontata nel film non è quella convenzionale di un qualsiasi Papa (nascita, infanzia, ordinazione a sacerdote, elevazione a vescovo, elezione a Papa e morte) ma si focalizza invece su un problema personale dell’individuo che fu chiamato a ricoprire la carica di vicario in terra di Dio.

Ci viene mostrato un Papa anziano, debole, inquieto ed insicuro che soffre di instabilità personale e che ricorre all’ausilio di uno psicoterapeuta ateo, il professor Brezzi, interpretato nel film dallo stesso Nanni Moretti. Il Pontefice infatti, da poco eletto nel suo incarico si sente fuori luogo e non riesce a sopportare l’incarico che deve ricoprire.

L’uscita del film nelle sale italiane capita in un momento particolarmente importante per gli affezionati vaticanisti e più in generale i cattolici: l’inizio della Settimana Santa e la proclamazione a beato di un grande Papa, Giovanni Paolo II, che si terrà in Vaticano il prossimo 1 Maggio.

Il Vaticano non ha concesso le riprese nella Cappella Sistina, cappella dove si tiene ogni conclave e così a Cinecittà è stata ricreata una sala che vuol suggerire che ci si trova proprio nella famosa Cappella Sistina. Il vaticanista Salvatore Izzo in una lettera pubblicata su vari blog e sul quotidiano cattolico Avvenire ha invitato a boicottare il film: «Bocciamo la pellicola al botteghino – scrive il giornalista – saremo noi a decretare il successo di questo triste film, se ci lasceremo convincere ad andare a vederlo, perché il pubblico laico si annoierebbe a morte e infatti diserterà le sale. E’ su di noi che si fa conto per recuperare l’investimento cospicuo che è stato fatto per ricostruire la Sistina in uno studio». Ancora una volta un film di Moretti viene recepito come fastidioso da alcuni strati della società ed apre alla polemica, alla quale il regista stesso risponde «Sul mio lavoro c’è libertà di opinione, chiunque può dire qualsiasi cosa, ma io non commento. Dopo averlo visto possono boicottare»[2]

I cardinali che partecipano al conclave non si caratterizzano per opulenza, interessi personali, vincoli nepotici (caratteristici di ben altre epoche). Alla fine viene eletto il cardinale Melville (Michel Piccoli) che al momento ha 85 anni. Nel momento in cui dal balcone del palazzo apostolico viene recitata la formula che informa al mondo dell’avvenuta elezione del nuovo pontefice che recita Habemus Papam, il cardinale neo-pontefice prova un attacco di panico.

A partire da questo momento cresceranno le preoccupazioni, le ansie e le inquietudini del pontefice e il professor Brezzi lo avrà in cura ma senza successo. Il Pontefice non riesce a migliorare e così decide di fuggire sotto mentite spoglie, cedendo al lato umano della sua persona. I cardinali non sanno che fine abbia fatto e sono molto preoccupati. Continuano a fornire notizie al mondo che il Pontefice è nelle sue stanze e sta recuperando.

Un’analogia che mi sembra opportuna a questo riguardo è il recente film The King’s Speech che narrava di problemi personali di re Giorgio VI d’Inghilterra costituiti dal suo balbettio e dall’incapacità di tenere un discorso senza intoppi. Anche in questo film si sottolinea la fragilità e la debolezza della componente umana di un personaggio eminente. Ernst Kantorowicz[3] in un interessante saggio ha parlato dei due corpi del re sostenendo che il monarca (soprattutto secondo la tradizione monarchica medievale ma anche secondo un’ideologia molto diffusa ancora oggi in varie monarchie) disponga di due corpi: il corpo umano, naturale, che lo rende uguale a tutti gli esseri umani e che è soggetto allo scorrere del tempo, che invecchia e si indebolisce e il corpo regale rappresentato dalla sua funzione politica, il fatto di essere il capo del popolo e allo stesso tempo il vicario di Dio in terra. E’ ciò che succede in The King’s Speech dove il lato regale di re Giorgio VI viene minacciato dalle debolezze del lato umano della sua persona. Qualcosa di molto simile avviene in questo in cui il Papa, al pari del monarca, ha due corpi: quello naturale, deperibile e corruttibile e uno imperiale, religioso, temporale, che è esente dallo scorrere del tempo. Anche in questo caso viene mostrato come la componente umana del Papa, che dovrebbe apparire al popolo incorruttibile per rinsaldare l’idea della potenza e dell’infallibilità del suo ruolo religioso, sia invece rilevante.

In questo parallelismo tra i due film possiamo dunque individuare una serie di analogie: il personaggio eminente, il monarca (Il Papa, Re Giorgio VI), la compresenza dei due corpi in entrambi i personaggi, la presenza di un problema umano-psicologico-personale (l’inquietudine del Papa, le balbuzie di Re Giorgio VI), l’introduzione di misure correttive attraverso l’introduzione di un dottore (il psicoterapeuta Brizzi per il Papa, il logopedista Lionel Logue per re Giorgio VI).

La sua inquietudine, il suo malessere infatti non gli consentono di gestire il suo ruolo e di apparire al mondo capace di farlo.

Quando il Pontefice ritorna in Vaticano e accetta il suo incarico, sembra che tutto ciò che è successo precedentemente sia stato un incubo. Non è guarito e continua a non riuscire a sostenere il gravoso peso che il suo incarico comporta. Rinuncia al suo ruolo. In questa maniera il film non è altro che una messa in scena del lato umano, quello che rende uguali tutti i mortali, in persone potenti, che sono chiamate a ricoprire incarichi molto importanti per il bene di tutta la società. E’ un esempio di quanto sia difficile l’accettazione di ruoli pesanti e al tempo stesso troppo importanti. E’ il prevalere della componente umana-personale-psicologica dell’uomo rispetto a quella di comando-cerimoniale-religiosa).

Si sono richiamati sin qui una serie di elementi e comunanze che permettono di costruire una trama di parallelismi tra il nuovo film di Moretti e The King’s Speech. A prevalere in entrambe le storie sono la fragilità, la debolezza e la malattia di una persona eminente, potente e la cui immagine è particolarmente importante. Colin Firth che interpreta Re Giorgio VI grazie all’assiduo lavoro di Lionel Logue riesce a recuperare il suo problema e ad eludere i difetti di pronuncia nel famoso discorso alla nazione nell’occasione dell’entrata in guerra dell’ Inghilterra mentre Papa Celestino V, gravato dalla sua inquietudine, non riesce a rinsavire. Re Giorgio VI recupera la componente umana della sua figura e salva la componente regale, mantenendo il trono mentre Papa Celestino V non ci riesce. La debolezza che gli deriva dai suoi disturbi è tale che preferisce abdicare e lasciare il trono che fu di Pietro. Sono due diversi modi di comportarsi, di vincere i propri difetti e di preservare la propria figura regale. E’ ovvio che si tratta però anche di due disturbi molto diversi. Paragonati questi due film evidenziano quanto persone potenti, re, Papi che siamo soliti pensare come persone incorruttibili, invincibili e che non soffrono dolori umani siano invece estremamente vulnerabili alle malattie, ai disturbi, alle debolezze e alle inquietudini che sono proprie di tutto il genere umano.

LORENZO SPURIO

25-04-2011


[1] L’unico elemento che si potrebbe richiamare a questo riguardo è che Papa Celestino VI fu uno dei pochi pontefici ad abdicare.

[2] Claudia Morgoglione, “Moretti, lettera aperta sull’Avvenire: ‘Non andiamo a vedere il suo film’ “, La Repubblica, 17 Aprile 2011.

[3] Ernst Kantorowicz, The King’s Two Bodies. A Study in Mediaeval Political Theology, Princeton, 1957.

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