“L’essenziale curvatura del cielo” di Adriana Gloria Marigo, recensione di Lorenzo Spurio

L’essenziale curvatura del cielo

di Adriana Gloria Marigo

postfazione di Eros Olivotto

La Vita Felice Editrice, Milano, 2012

ISBN: 9788877994615

Pagine: 72

Costo: 10 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Del dicembre conosco le lune

il ritorno lento della luce

dentro il cristallo dell’aria

(Da “21 Dicembre 2010, p.30)

 

Dopo la fortunata e introspettiva silloge di poesie Un biancore lontano (Lieto Colle Edizioni, 2011), Adriana Gloria Marigo torna con un nuovo lavoro dal titolo quasi criptico, L’essenziale curvatura del cielo, edito dalla casa editrice milanese La Vita Felice. L’attenzione che la poetessa padovana pone nei confronti del cielo –richiamato anche nell’esergo, una citazione di Pierluigi Cappello- come elemento fisico e simbolico era già stata evidenziata nella mia recensione al suo precedente libro dove avevo avuto modo di sottolineare come l’elemento “celestiale” era sempre connesso a qualcosa di meraviglioso, ma al tempo stesso di non completamente raggiungibile, un qualcosa cioè di sfumato e sfuggente. La centralità del suo poetare si localizza nell’isotopia della luce, del colore, dei bagliori e di un universo che già ebbi a definire come “un percorso aereo, sospeso tra il cielo e l’atmosfera”. E di quel “biancore” evocato nella prima silloge si ritrovano tracce anche in questo nuovo libro in quel “silenzio bianco” (p. 36) e nel “gioco di chiaro” (p. 35) della bianca luce lunare anche se in una lirica il bianco, l’assenza di tinta, viene sopraffatto dal colore: “Del bianco non seppi/ poiché m’insidiò il blu” (p. 54).

Dalla presa di coscienza di un tempo che giunge all’anticipo della fine, l’autunno, nella lirica d’apertura dal titolo “Tutto si consuma nell’autunno” si passa a una serie di liriche dolci, sussurrate, quasi che il lettore sia chiamato a leggerle facendo delle lunghe pause tra un verso e l’altro per riuscire ad assaporarne il vero contenuto: “Non seppi dirti novella/ neppure accennare a un’aria di/ adagio o l’ovvia domanda,/ trapassata io a stalattite” in “3-4 Gennaio 2011” (p.11). In “Quando la materia della luce” (p. 13) Adriana Gloria Marigo ci consegna una sorta di soffice inno all’operosità e al tempo stesso alla ciclicità della natura che sempre si ripete nel suo “contrasto apparente del rigore”. E questo panismo lirico lo si ritrova in numerose altre liriche in cui la poetessa si abbiglia direttamente con gli elementi naturali, “m’assesto i pensieri/ come un cappello di fiori” (p.15); “pampini vestivano/ la tua nudità ammirata” (p.22); “il roseto in fiamme/ del mio pensiero” (p. 48). In “Rimbalzi specchiati” (p. 14) la poetessa sottolinea una realtà che è concretezza nella vita dello scrittore: chi scrive è anche un gran lettore e chi legge spesso ama anche scrivere perché le due cose, pur coinvolgendo due attività tra loro diverse, sono strettamente connesse quasi come un rimando di riflessi allo specchio.

La poesia di Adriana Gloria Marigo potrebbe sembrare criptica e a tratti addirittura ermetica perché attribuisce alle parole un valore, un significato, più ampio -perché interiorizzato- di quello che noi nella vita di tutti i giorni siamo soliti dargli. E’ una poesia riccamente elaborata che utilizza molti elementi della natura per “agghindarsi” e risplendere così come ci viene offerta. La luce, il sole, l’ombra o la mancanza di luce sono, oltre che caratterizzazioni visibili e temporali, fasi di un’anima sensibile stese sulla carta, momenti, sensazioni, colorazioni di episodi vissuti: “Se amore si fa quarto/ come la Luna, d’uno sguardo/ abbracci l’ombra e nel/ gioco di chiaro, di scuro/ avvampa il cambiamento” (p. 35).

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

11/11/2012

Chi è l’autrice?

Adriana Gloria Marigo è nata a Padova nel 1951. Gli studi umanistici l’hanno condotta prima all’insegnamento, poi ad occuparsi di eventi di danza moderna e contemporanea, seguendo un talento versatile, sensibile all’arte, alla bellezza che trova dimora pure “dove l’ombra si gioca della luce”. Ha pubblicato L’essenziale curvatura del cielo (La Vita Felice Editrice, 2012) e Quel biancore lontano (Lieto Colle Edizioni, 2011).

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O RIPRODURRE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

 

“Anche per oggi la notte è sconfitta” di Tommaso Metonda, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Anche per oggi la notte è sconfitta

di Tommaso Metonda

con premessa di Giorgio Cavallini

Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2009

Collana Ardeur

ISBN: 9788895881089

Numero di pagine: 76

Costo: 8,00 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

 

Ci accostiamo a questo libro con alcuni enigmi che, forse, l’autore non ha nessun desiderio di svelare nel corso del suo libro: la scelta di una copertina con un disegno stilizzato che fa pensare alle prime incisioni dell’era primitiva (si tratta di una copertina curata da Nicola Oliveri) e il titolo, Anche per oggi la notte è sconfitta, altrettanto criptico e difficile da intendere a una prima lettura.

Inoltrandoci nelle numerose poesie che costituiscono questa apprezzabile silloge di un autore il cui nome non è altro che uno pseudonimo, ci si rende conto che l’intera poetica è giocata su di un continuo richiamo alla luce, alle varietà cromatiche o al buio. E’, pertanto, una poesia di luci e buio, un carosello continuo tra spazi pieni di bagliori e riscaldati dai raggi dorati, altri invece indistinti, pregni di nebbie e foschie che non permettono all’occhio umano di vedere oltre. Questa isotopia di luce e ombre è forse esplicitata nella poesia “Ombre” che gioca sul richiamo di elementi e immagini antagonistiche: da una parte il “raggio di sole”, “la luce fioca d’un lampione” e dall’altra “l’ombra”, “l’inquietudine”, i “bui arcati”, quasi a volerci ricordare che il mondo è fatto di opposti, di doppi e che la mancanza dell’uno, di colpo equivarrebbe anche alla mancanza dell’altro. E’ una logica e una posizione questa di Tommaso Metonda che potremmo avvicinare al neoplatonismo shakesperiano: luci ed ombre, sole e luna, notte e giorno, bianco e nero. Ritorna, forse con maggior forza nella lirica “Rugiada”, i cui versi iniziali danno il titolo all’intera silloge:

Ancora per oggi

la notte è sconfitta

l’alba pungente l’ha ferita a morte

trapassando rosata le tenebre.

Stille di sangue argentato

e freddo luccicano a terra

imprigionate su impermeabili steli (p.27).

 

Stupenda l’immagine che il poeta ci consegna, quella della Notte e del Giorno personificati, come due entità materiali, che si rincorrono, si battono, si scherniscono e alla fine si distruggono. E’ la notte a essere sconfitta e a grondare sangue, per il momento. Alcune ore più tardi, però, anche se l’autore non lo dice, sarà il giorno a fare la stessa fine. Ma poi tutto si ripeterà e ritornerà ciclicamente descrivendo così un interminabile carosello di vita e morte, di luci ed ombre.

Le varie poesie che compongono questa raccolta derivano da momenti vissuti dallo stesso autore e sono proprio per questo molto vivide e introspettive, ricche di ricordi (ad esempio il ritratto della nonna), di momenti vissuti, di speranze che poi sono andate disfacendosi. Centrale in tutto questo è la considerazione stessa che Tommaso Metonda ha di sé come poeta, colui che “con unica parola sola/ può l’inesprimibile esprimere”, il cui compito nella contemporaneità è “tracciar segni arcani/ su carta arcaica/ ormai incomprensibili” (p. 38). Da questa definizione capiamo che è dato al poeta dell’oggi esprimersi in modi poco usuali, utilizzare un linguaggio poco comprensibile, manifestazione della complessità – e forse del vuoto intellettivo- nel quale si trova a vivere.

Tommaso Metonda mostra interesse per la realtà che lo circonda, non mancando di individuarne perplessità e più spesso è chiara l’impostazione cattolica della liriche non solo nel suo continuo riferirsi a Dio, alle messe, alle orazioni o ai Rosari (pp. 57, 60, 68), ma nella sua convinzione che ogni cosa “è dat[a] da Dio” (p. 54), dimostrando così riconoscimento, senso di moralità e devozione.

In “Progetti di vita”, la poesia che apre la raccolta, il poeta si descrive come semplice oggetto animato dalla società, come burattino in mano a un qualcuno oppure come spettatore delle vicende altrui viste a distanza. Chi è l’uomo d’oggi? E’ lui a decidere la sua vita e il suo futuro o sono gli eventi e le persone accanto a lui che dettano il suo destino? Metonda conclude la lirica: “Sì, sarò Tiresia/ superbo osservatore cieco” (p. 17). Non è necessario avere la facoltà della vista per rendersi conto della bellezza o della crudeltà del mondo che ci avvolge, lo può fare benissimo anche un cieco, come Tiresia, essendo saggio. Ma Tiresia è anche espressione di un ermafroditismo che gli consente di sperimentare la vita dell’uomo e quella della donna, manifestazione dunque quanto mai eccentrica e coniugante dell’essere umano.

Complimenti a Tommaso Metonda per avermi dato la possibilità di riflettere su varie questioni.

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

 

 Chi è l’autore?

Tommaso Metonda è trentenne. Vive a Varazze, in Liguria. Ha ceduto per la prima volta alla tentazione di pubblicare alcune poesie, che si limita a definire (tele)grammi d’impressioni. Lontano per formazione e attività lavorativa dal mondo della letteratura, ha affidato ai versi stralci del suo vissuto e della sua terra, affrontando il giudizio dei quattro lettori che decideranno di dedicargli un po’ di quel tempo che non è solo denaro.

 

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