Tre poesie di Rosaria Minosa con un commento di Lorenzo Spurio

Tre poesie di ROSARIA MINOSA

con un commento di LORENZO SPURIO

   

NOTTE  STELLATA

di Rosaria Minosa

  

In questa notte stellata….
Non esiste confine…. tra cielo…. terra…. mare
In questa notte stellata….
Solo le lucciole sono regine,
mentre i pesci sono padroni del Mare.
In questa notte stellata,
gli alberi…. cullano il mondo con i loro rami e le loro foglie,
mentre i fiori chiudono i loro petali
per raccogliere i sogni degli uomini.
In questa notte stellata….
La Luna ….
Osserva ogni creatura di Dio…. per dare loro pace.
In questa notte stellata….
Il mio pensiero
oltrepassa il confine dell’infinito.
Chiudo gli occhi…. e il mio cuore si riempie d’amore….
Affinché il giorno dopo…. io riesco a “DONARLO”.

 

 

 

CIELO

di Rosaria Minosa

 

Cielo ….
avvolgimi nel tuo “IMMENSO INFINITO”,
avvolgimi nel tuo “INFINITO DIVINO”.
Fammi cullare….
dalle tue amiche nuvole.
Cielo ….
inebria la mia mente….
affinché per un attimo  dimentichi “ IL MONDO”.
Cielo….
abbracciami per un attimo….
perché quando aprirò gli occhi….
quell’attimo…. diventerà “UN’ETERNITA’”.

  

                                                            

LETTERA DI UNA MAMMA

di Rosaria Minosa

  

I nostri sogni, si sono fermati quel maledetto giorno.
Uno squillo di telefono.. una corsa in ospedale.. tu.. eri già in sala operatoria
all’improvviso per me e tuo padre, non c’era luce.. non c’era sole.. non c’erano parole.. ma solo buio..fitto .. nero.
L’inferno era dentro di noi. L’inferno era attorno a noi.
Da quel momento, i secondi.. i minuti.. le ore.. i giorni, tutto sembrava andare lentamente. Il tempo si era fermato.
Tutto era immobile.. le persone.. l’aria, tutto ciò che era attorno a noi.
Solo l’attesa.. era viva. Attesa così lunga.. amara.. dolorosa.
Ti avevano tagliato la strada, non avevano rispettato lo stop, a me e tuo padre non interessava,
era importante, solo il tuo respiro, sentire la tua voce, sentirsi chiamare “mamma e papà”.
All’improvviso, mano nella mano, io e tuo padre abbiamo iniziato a camminare in una nuova strada.
I nostri sogni “distrutti”.
Vederci invecchiare assieme, tra le grida gioiose dei nostri nipoti. Vederti davanti all’altare con la tua “sposa”.
Sogni lontani.. sogni svaniti. La porta della sala operatoria si è aperta. Tu eri vivo, respiravi
era come se io e tuo padre, ti avessimo partorito in quell’istante “UN NUOVO FIGLIO”.
Io e tuo padre, mano nella mano, piano piano abbiamo dovuto conoscerti.
Il nostro futuro, il tuo futuro,
non sarà più di schiamazzi di bambini o vederti soffrire per le tue prime cotte.
Il nostro futuro, è fatto e sarà di piccoli gesti guardarti negli occhi, e cercare di cogliere il tuo primo sorriso.
Non possiamo più camminare assieme, le tue gambe non potranno più muoversi,
le tue braccia non potranno più abbracciarci, la tua bocca non dirà più “MAMMA E PAPA’”.
La nostra vita, la tua vita, va’ nello stesso binario. Il nostro treno non corre, ma procede adagio,lento.
La strada non è più scura, ma io e tuo padre riusciamo a vedere ogni giorno, un piccolo spiraglio di Luce.
Luce che è presente, anche quando la sera tutto tace, e il buio e il silenzio prendono il sopravvento.
Perché è quella “Luce”, che ci dà la forza e il coraggio, di dire
“DOMANI E’ UN ALTRO GIORNO”.

   

Commento di Lorenzo Spurio

 

E’ un compito difficile commentare tre poesie di un autore, soprattutto se a noi contemporaneo, se non si conosce il suo profilo umano e letterario e soprattutto, perché il commento potrebbe finire per risultare semplicistico o poco in linea con la sua reale poetica. Ad ogni modo tenterò di dare una mia interpretazione e lettura di tre poesie di Rosaria Minosa.

Delle tre liriche inviatemi mi sento di avvicinare le prime due “Cielo” e “Notte stellata” per la loro affinità concettuale che si evidenzia già dal titolo stesso: entrambe vedono l’io lirico con gli occhi puntati verso l’alto, verso il cielo. Nel primo caso non ci è data la determinazione temporale della giornata, non sappiamo se il cielo sia diurno o notturno (sembrerebbe diurno, perché si parla di nuvole), ma leggendo la lirica ci rendiamo ben presto conto che questo non ha molto senso ai fini del messaggio ivi contenuto.

In “Cielo” Rosaria Minosa utilizza una terminologia che oserei definire “panteistica” o addirittura “universalistica” in quanto fa riferimento a concetti/espressioni indefiniti: si parla, infatti, di ‘infinito’, ‘immenso’ ed ‘eternità’. Concetti che, se vogliamo, possiamo caratterizzare anche secondo una venatura religiosa in quanto ci si riferisce all’infinito chiamandolo “infinito divino”. C’è un senso di mistero e di sospensione in questa lirica in cui la poetessa sembra cercare nella natura sconfinata, soprattutto nella possenza dell’atmosfera, un abbraccio rincuorante (“Fammi cullare…/ dalle tue amiche nuvole”) che individua una velata fuga dalla realtà (le cui motivazioni, però, non vengono fornite al lettore). Il discorso lirico qui contenuto si realizza sul livello della temporalità impossibile da considerare e valutare perché imprecisa e sempre caratterizzata da un velo di infinito, ma dalla quale si evince il desiderio di trasformazione dell’attimo (il momento) in qualcosa di perpetuo (l’eternità).

Nella lirica “Notte stellata” si aggiungono i chiari segnali di una natura rigogliosa, presente e padrona del suo spazio (“Le lucciole sono regine”; “i pesci sono padroni del mare”) che sembra acquisire la sua autorevolezza indiscussa, però, solo di notte, quando le attività dell’uomo sono ferme. La lirica, maggiormente caratterizzata nella tinta cromatica delle immagini, ci fornisce un mondo che pensiamo essere buio (quello della notte) che, invece, è luminosissimo perché abitato dalla Luna, dalle stelle e addirittura dalle lucciole. Il sentimento universale che porta l’io lirico a riconoscersi e quasi a volersi liquefare nello scenario naturalistico dormiente, ma assai vivo, si chiarifica nel finale quando la poetessa appunta: “Chiudo gli occhi…e il mio cuore si riempie d’amore…/ Affinché il giorno dopo… io riesco a DONARLO”.

L’ultima poesia, “Lettera di una mamma” in realtà non è una vera poesia, ma una prosa, sebbene contenga elementi di alto lirismo dovuti all’andamento tragico ed empatico della vicenda in sé narrata (si osservi, infatti, il titolo in cui si dice “lettera”, genere che normalmente è di tendenza prosastica). Il contenuto è doloroso e struggente: una madre mette sulla carta la pena provata dal momento del grave incidente del figlio che da quel giorno sarà un vegetale e non potrà più muoversi né parlare. I sogni fatti e alimentati negli anni svaniscono come bolle di sapone e tutto si fa dolore: la speranza che il figlio si salvi da quell’incidente viene presto soppiantata dalla sua grave invalidità con la quale i genitori dovranno fare i conti giorno per giorno.

Dal giorno si passa alla notte, la luce si fa soffusa e sembra spegnersi per sempre facendo piombare il tutto nel buio se non fosse presente quel “piccolo spiraglio di Luce” che, forse, è figlio del baluardo della religione cattolica alla quale ci si può attaccare ancora di più in circostanze simili.

Il buio e il silenzio prendono il sopravvento”, ma la morte, immagine del buio e del silenzio totale, che viene allontanata dalla salvezza seppur a costo della grave invalidità, viene scalfita dai flebili bagliori di una speranza dolorosa, ma che va alimentata giorno per giorno: “Domani è un altro giorno” è la chiusa di questo strozzato canto d’amore e d’angoscia.

 

Lorenzo Spurio

 

Jesi, 28 Agosto 2013

“Le ali del pensiero” di Sandra Carresi, recensione di Lorenzo Spurio

Le ali del pensiero

di Sandra Carresi

con prefazione di Monica Fantaci

Libreria Editrice Urso, Avola, 2013

ISBN: 978-889838100-5

Pagine: 54

Costo: 9,5€

 

Recensione di Lorenzo Spurio

 

 

Sono sempre stata qui.
Il tempo mi ha solo
spostata un po’,
ma non sono mai andata via.
Adesso, metto l’accento
sulla qualità di questa
avventura, che è per me
un’opera d’arte:
la Vita.
(in “Qui e ovunque”, p. 22)

 

imagesCAUFDDHTSandra Carresi, oltre che un’amica, è una poetessa di grandi qualità: la sua poetica, piana ed evocativa, trae spunto dall’ambiente attorno a lei con particolare attenzione nei confronti della natura, tanto vegetale quanto animale (tra cui è da sottolineare i vari riferimenti al cane Benny, ormai parte della famiglia, ma anche animali del sottobosco che ci immettono in un’atmosfera sognante come avviene nella bellissima “Il sentiero dei sogni”). E’ una poesia chiaramente priva di orpelli, sofisticati tecnicismi metrici, ridondanti formalismi che qualora vengano utilizzati nella nostra età contemporanea finirebbero per risultare anacronistici e altamente retorici.

Le ali del pensiero pubblicato dalla Libreria Editrice Urso di Avola all’interno del progetto concorsuale che viene promosso ogni anno “Libri Di-Versi in Diversi Libri” è una silloge ricca di profumi, colori e di riflessioni che l’autrice fa partendo dal semplice. Non sempre queste riflessioni danno manifestazione dell’animo solare ed entusiasta che appartiene a una donna come Sandra, ma talvolta incorriamo in indagini più dolorose sull’io che prendono in considerazione ad esempio la malattia descritta come “belva antica” o “il gigante/che silenziosamente da secoli,/ ruba la Vita altrui” (p. 10), ma anche qui la lirica “risorge” nell’immagine finale, emblema di vitalismo, speranza e senso di religiosità: “La morte affianca la vita,/ ma per la belva antica,/ è già tempo di sconfitta” (p. 10). Ma non c’è mai spazio per il dramma o per dar credito ai pensieri nefasti nella poesia di Sandra e questo forse è esemplificato nei versi conclusivi della poesia “Respiri” cha apre la raccolta: “Respiro forte,/ è ancora tempo/ di essere felici” (p. 7).

Le poesie di Sandra sono essenze cromatiche, grumi di tempera, acquarelli sfumati, quadri d’immagini dove è il colore a dominare su tutto: “un autunno/ dipinto di/ verde, di giallo e di arancio” (p. 26), “ho indossato/ il profumo d’ambra grigia” (p. 27), nei piacevoli e fraterni “alberi argentati” (p. 30) e anche l’immagine più semplice evoca una grande profondità d’animo e d’espressività come quando dipinge con i suoi versi: “Bellissimo il cielo di/ azzurro uniforme” (in “Primavera”, p. 36). Parlare di colori significa immancabilmente parlare di luce, sole, luna e delle varie fasi luminose: le pagine si susseguono lente come aurore inaspettate, tramonti infuocati e timide albe di giornate liete.

Ci sono poesie dal tema sociale molto interessanti come “Pensieri e Sospiri” che traccia l’affanno e il disagio sociale tra povertà, crisi lavorativa e incertezza dei giovani che motivano la poetessa e metter in luce un “pensiero di trasformazione/ per la costruzione/ di una dignità migliore” (p. 8); in “Uomo” la poetessa lancia un messaggio, una forte esortazione all’uomo d’oggi per riscoprire gli antichi valori, oramai tramontati o celati, e abbandonare invece la via del materialismo, delle logiche di mercato (“Danza frenetico il dio quattrino”, p. 12) e del suo stupido egoismo.

E quei “cattivi pensieri”, magari d’odio o di vendetta, che possono nascere a seguito di drammatici e vergognosi episodi del nostro oggi servono alla poetessa da lenitivo di quel dolore momentaneo che poi le consentirà di dimenticarseli per riaffermare la purezza del cuore.

In “Calze a rete e minigonna” la poetessa tratteggia l’endemico problema della prostituzione che trasforma la donna in oggetto e l’uomo in animale selvaggio.

Colori, profumi, animo attento e curioso nei confronti della natura quale immenso vivente e nostra compagna fidata, condensati nella lirica che a mia vista è la più affascinante dell’intero libro:

 

Sorridi fanciulla
al giardino
d’Inverno.
I rami son potati
ma, la vita
è ancora lì,
si è solo spostata
in un altro ramo,
là dove il merlo
riposa, bagnato.
 
(“Giardini”, p. 50)

 

Molte le poesie che chiamano in causa sentimenti legati all’amore, al ricordo, alla felicità viva e costante e che si rinnova con le piccole azioni di tutti i giorni: “Quelle lunghe pause/ nelle stagioni andate/ sono un gioco/ consumato nel ricordo./ Amare la notte,/ non significa/ non saper salutare/ il giorno”, in “Cuore”, p. 20.

Ad arricchire questo testo è la nota di prefazione scritta dalla poetessa palermitana Monica Fantaci che con una serie di pennellate di colori vivi e luminosi dipinge sulla tela in maniera plastica quella che è l’arte poetica di Sandra.

Leggendo le poesie di Sandra ho provato sempre una sensazione di leggerezza, di sospensione, quasi come se il lettore venisse leggermente vaporizzato nell’aria da un venticello che, metaforicamente, è un gorgo di pensieri:

 

Mi culla
questa sedia a dondolo
di giunco.
Mentre un debole vento
accarezza dolcemente
il mio volto,
il sole mi bacia la fronte.
 
(in “Respiro”, p. 7)

E non è un caso che molti dei suoi libri abbiano dei titoli significativi sotto questo punto di vista: nella raccolta di racconti per l’infanzia scritta assieme a Michele Desiderato (Battiti d’ali nel mondo delle favole, TraccePerLaMeta Edizioni, 2012) ritroviamo le ali presenti anche nell’ultima silloge poetica che evocano un mondo aereo, una volata e trasmigrazione verso le esperienze più diverse, ma anche una leggerezza che si lega alla fuggevolezza dei versi, come pure dei sentimenti. Nella silloge poetica del 2007, Dalla vetrata incantata, (Lulu Edizioni) si respira mediante altre immagini e isotopie un’aria di meraviglia e stupore, di compiacimento e benessere fuse in quell’incanto che proviene dalla visione lusingata della natura, nella sua mutevolezza, che si staglia dietro ad una vetrata.

Grazie a Sandra per permetterci di volare, di trasvolare e planare durante la lettura di queste poesie.

La vita sulla terra è a tratti cruda a tratti vergognosa, e di voli così ne abbiamo certamente bisogno.

 

C’è un vento
Che soffia di notte
E di giorno,
sussurra da sempre,
certezze del cuore.
 
(In “C’è un vento…”, p. 21)

  

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

 Jesi, 16/04/2013

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Il viaggio di Emilia” di Anna Maria Balzano, recensione di Lorenzo Spurio

Il viaggio di Emilia
di Anna Maria Balzano
Qulture Edizioni, 2011
ISBN: 9788890587665
Pagine: 88
Costo: 11 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

 

Tutto era cambiato. Ebbe nostalgia di quei pochissimi anni di cui aveva memoria che erano stati felici con la mamma e con il papà. Erano passati come un lampo. Tutto il resto era stato affanno e sofferenza… (76).

 

p012_1_00Quando nel passato si è sofferto molto, spesso ci risulta difficile convivere giornalmente con le foto o con gli oggetti che in sé hanno cristallizzato quei momenti. E’ per questo che Emilia, protagonista del romanzo Il viaggio di Emilia di Anna Maria Balzano si prepara a fare una cernita delle vecchie cose: cosa tenere e cosa buttare.

Siamo nella Napoli del 1978 e la protagonista prende a narrare la tormentata storia passata della sua famiglia suggestionata dalla visione di una vecchia foto: “Passò la mano sulla foto per eliminare un leggero strato di polvere che la rendeva più opaca e con i polpastrelli percorse i contorni e i piani del palazzetto, come se quel contatto fisico avesse il potere di rianimarlo e restituirgli quella vita che gli era appartenuta” (8). Da qui, come in un vero e proprio flusso di coscienza, partono i ricordi, le immagini, tutte dominate da una certa tristezza. La protagonista ricorda della morte del padre e del grande amore ricevuto dai nonni, piuttosto che dalla madre Anna che, invece, oltre ad essere spesso lontana da lei per motivi di lavoro si scopre presto attratta da un altro uomo. Il nuovo matrimonio della madre con un certo Renato, sconsigliato dai genitori della donna e malvisto dalla giovane Emilia, sembra inizialmente inaugurare una fase di spensieratezza e tranquillità per Anna, ma ben presto le cose cambiano. Renato non mancherà di mostrarsi violento e prepotente, interessato solo agli interessi dell’azienda della quale diviene il principale benefattore. La solitudine di Anna e l’indifferenza del marito nei suoi confronti la conducono a uno stato di apatia e il marito la farà ricoverare in una struttura psichiatrica. Emilia, la giovane protagonista, pur consapevole di ciò che succede sotto i suoi occhi, non è in grado di cambiare le cose e, pur volendo bene a sua madre, si trincera sempre dietro l’amore dei nonni che, però, malati ed anziani, nel giro di pochi anni vengono a mancare.

Ma in questa difficile storia familiare ambientata nel secondo dopoguerra, nel momento della ricostruzione, si innesta anche la storia di Giulia, figlia di un dipendente dell’azienda che era stata dei familiari di Emilia. Le due divengono amiche anche se poi un po’ per motivi di studio, un po’ per altre ragioni, finiscono per separarsi. Una serie di altri avvenimenti drammatici quali lo stupro di Giulia, l’uccisione del prepotente Renato e il processo contro Anna, ritenuta colpevole dell’omicidio si intrecceranno nel romanzo chiarendo solo nelle pagine finali i relativi collegamenti.

Niente è banale. Anna Maria Balzano costruisce un romanzo molto ricco dal punto di vista dei sentimenti, sottolineando quanto la gratuita crudeltà di un uomo possa rovinare la vita di varie persone. Un’acuta riflessione sul dolore che produciamo agli altri senza rendercene conto, un elogio del fatalismo e una considerazione sul senso tragico del vivere che, oggi come ieri, sempre caratterizza le nostre esistenze:

“Mi sono chiesta se fosse Dio che voleva questo. Ma se Dio è buono, Emilia, perché dovrebbe permettere che accadano queste cose?”

Emilia non sapeva rispondere a questa ingenua e semplice domanda di Giulia.

“Non lo so, Giulia. Non credo che ci siano cose giuste o ingiuste al mondo. Ci sono cose che accadono” (82).

 

Lorenzo Spurio

Jesi, 26-01-2013

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“Tsugumi” di Banana Yoshimoto, recensione di Lorenzo Spurio

Tsugumi
di Banana Yoshimoto
Feltrinelli, Milano, 2002
ISBN: 9788807812941
Pagine: 158
Costo: 6,20 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

 

La vita è una recita, pensai. Anche se il significato è esattamente lo stesso, rispetto alla parola illusione mi sembrava che fosse più vicina (37).

 

trBanana Yoshimito è una scrittrice giapponese la cui presenza ho sempre notato nelle librerie come pure tra gli scaffali dei libri di mia sorella. Una autrice alla quale, però, non ho mai dedicato troppo tempo, senza giungere mai ad aprire un suo libro con una certa convinzione. Ma siccome c’è un tempo per ciascuna cosa, finalmente sono riuscito a leggere qualcosa di lei. Non il romanzo d’esordio, Kitchen, che pure mi appresterò a leggere dopo questa prima lettura, ma Tsugumi. Si tratta del romanzo pubblicato nel 1989 e quello che, assieme a Kitchen, le garantì una certa notorietà. In Italia tutti i suoi libri sono stati tradotti da Feltrinelli.

Tsugumi, piuttosto che la storia del personaggio femminile di Tsugumi, è la storia di Maria, sua cugina, che ci racconta della sua adolescenza trascorsa in compagnia degli zii e delle cugine Tsugumi e Yoko in riva al mare nella provincia giapponese di Izu. In questo racconto è centrale il ricordo della cugina Tsugumi, del comportamento a tratti incomprensibile a tratti sgarbato, con la quale Maria riesce comunque a diventare amica, accettando il suo comportamento poco compiacente: “Tsugumi era cattiva, maleducata, sboccata, capricciosa, viziata, sleale. Godeva nel dire alle persone, senza mezzi termini, con dovizia di particolari e con un tempismo perfetto, quello che li faceva arrabbiare di più. Era proprio una serpe” (11).

La lettura fluida e il linguaggio semplice e pacato consentono di seguire la storia con tranquillità; non ci sono veri e propri momenti clou o epifanie, tanto che il ritmo è pressocchè sempre lo stesso, senza cadere mai nella noia o nel banale. Il tessuto di questo romanzo è costituito da un miscuglio di sentimenti quali l’amore per la propria terra, l’amicizia, l’amore e il ricordo che spesso viene evocato in maniera nostalgica, altre volte con più leggerezza tanto da fondersi al presente della storia. La stessa autrice in una nota al libro ha confessato: “Se per caso io o qualcuno della mia famiglia dovessimo perdere la memoria, ci basterebbe leggere questo libro per riuscire a ricordare quel luogo. Tsugumi sono io” (p.153). Ecco spiegato il motivo di questa narrativa dettagliata, visuale e al contempo molto olfattiva: stendere sulla carta quella storia –dai motivi chiaramente autobiografici per l’autrice- è sinonimo di un ricordo perenne, che mai verrà perso con il passare del tempo. Banana Yoshimoto cristallizza, così, momenti sulla carta per non dover temere di vederli un giorno sfumare dalla sua mente. E questo è ovviamente un procedimento che presuppone una sensibilità molto profonda, un forte attaccamento alle nostre esperienze –sia positive che negative-, una continua lotta con il tempo che, in ultima battuta, è l’unico sconfitto.

La protagonista, Maria, dopo un periodo trascorso con la madre a casa degli zii e delle cugine nella residenza di Yamamoto, si trasferisce con i suoi genitori a Tokyo dove si iscrive all’università. La capitale nipponica, che può essere visto come motivo di eccitazione e apertura a un nuovo mondo, è vissuto da Maria, almeno inizialmente, in maniera non molto semplice: è troppo forte il carico di emozioni che la lega ancora alla casa di Yamamoto e a quel contesto familiare allargato e il mare (in realtà l’oceano), che sempre ha caratterizzato le sue giornate, non c’è più. La mancanza della visione del mare per una persona che ha sempre vissuto a contatto con quell’ambiente può rivelarsi dura e traumatica, come è per Maria.

DiscoveriesDi Tsugumi il lettore fa difficoltà a comprendere l’atteggiamento scostante, cinico e ribelle nei confronti di Maria e di tutta la famiglia. Maria inizialmente non la comprende e ci sta male, mentre gli altri hanno ormai imparato ad accettare Tsugumi per com’è anche se a volte può risultare irritante e fastidiosa. Ma tra le righe fa capolino anche l’ossessivo pensiero della morte che Tsugumi ha, motivato dalla sua malattia che l’ha sempre resa debole e cagionevole, sebbene non venga chiarita quale possa essere. Potrebbe trattarsi di anoressia o di un altro disturbo alimentare o di una qualsiasi altra malattia progressiva: al lettore non è dato sapere, ma potrebbe essere visto nel suo tortuoso pensiero di morire il motivo di tanta gratuita cattiveria: “Tsugumi era cresciuta con dei gravissimi problemi di salute, ma mai, nessuno per scherzo, aveva detto dove o quanto male provasse. Scaricava la propria rabbia chiudendosi in un silenzio assoluto oppure offendendo le persone” (51).

Bananna Yoshimoto ci fa respirare l’odore del mare, insegnandoci che esso è diverso a seconda di quale sia la stagione, ma soprattutto che muta con il mutare della sensibilità dei personaggi: Tsugumi dice che preferirebbe andare a Tokyo, mentre Maria è dubbiosa e dovendo lasciare quel posto dominato dalla presenza del mare, si sente come un’orfana: “E’ inevitabile perdere qualcosa, quando se ne ottiene un’altra. E tu ti lamenti proprio adesso che finalmente potrai vivere con i tuoi sotto lo stesso tetto? […] Cosa vuoi che sia il mare a confronto! Sei proprio una bambina” (27). La scrittrice narra della nostalgia del mare, sentimento che credo potrà essere meglio compreso da ciascun isolano o abitante di un città di una qualche costa. Il paese del Sol Levante, la cui cultura e letteratura conosciamo troppo poco, è vivo nei riferimenti alla cucina nipponica (sushi, tashimi, senbei), all’architettura della casa (fusuma) e ad altre terminologie che non permettono una sintetica traduzione dei lemmi nella nostra lingua se non una definizione descrittiva che nell’edizione in lingua italiana è presente nell’apparato finale a mo’ di glossario.

 

Lorenzo Spurio

 

Jesi, 22-01-2013

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE E/O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“I racconti poetici del lume della lampada” di Orazio Labbate, recensione a cura di Lorenzo Spurio

I racconti poetici del lume della lampada

di Orazio Labbate

Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2012 – Collana Ardeur

ISBN: 978-88-95881-27-0

Numero di pagine: 66

Costo: 10 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Collaboratore di Limina Mentis Editore

Con precisione infinita modelli l’illusione di

chi si dissolve nella materialità di un pezzo

di felicità, ma con imprecisione nullifichi la

tua superbia quando l’intelletto squarcia la

fragilità del non esistere.

(in “L’amore”, p. 19)

Non ho ben capito quale sia il percorso che Orazio Labbate ci inviti  a intraprendere attraverso la lettura di Racconti poetici del  lume della lampada. Ho notato, infatti, che non siamo in presenza di una poetica chiara e definita, ma che il poeta cambia vesti poesia dopo poesia. Il titolo può trarre in inganno: non si tratta di narrativa, non ci sono racconti. Ambigua e difficilmente comprensibile anche l’accezione di “racconti poetici”: un testo o è una poesia o è un racconto. E’ vero che la letteratura ha dato chiara voce anche a esperimenti letterari “di mezzo” tra l’uno e l’altro genere – il frammentismo di Clemente Rebora o la prosa poetica di Dino Campana- ma è difficile poter inserire uno scrittore contemporaneo in correnti come queste.

Condivido pienamente il messaggio contenuto dall’autore nella sua introduzione nella quale si fa riferimento al fatto che questa raccolta poetica è “malata” (p. 5). La malattia a detta di Orazio Labbate si manifesterebbe nell’ampia sequela di componimenti visionari che danno voce a mondi irreali, macabri e colmi di incubi. Aggiungerei che la degenerazione (la malattia) è altresì riscontrabile nella forma o, piuttosto, nella mancanza di forma delle liriche. Le parole –siano essi aggettivi, nomi o verbi- si susseguono velocemente nei vari versi in maniera inconsueta, anomala. Difficile individuare un senso di queste poesie ma credo che dietro l’intero progetto ci sia proprio l’espressa volontà del poeta di “narrare poesie” sconclusionate, disorganizzate, atematiche, ridondanti forse per dar espressione alla componente onirica ed esistenzialista dell’essere. Il motivo per quale lo fa però, non mi è chiaro.

Mi dispiace che scrivendo questa breve recensione non abbia colto l’invito del poeta che nella prefazione dice testualmente: “Invito solo coloro che si cimenteranno in/ un’interpretazione a non interpretare” (p. 7). E’ impossibile leggere un libro –qualsiasi tipo di libro- senza interpretarlo. La nostra interpretazione può avvenire mentalmente, può esser messa per iscritto o no, ma ad ogni modo la lettura di ciascun testo ci permette di ragionare su qualcosa, di capire meglio una realtà, di affrontarla da un’altra prospettiva o ci dà appunto la possibilità di interpretarla. Trovo che le poesie qui contenute possono essere interpretare in infinite maniere dato che non ne ravviso dei fili conduttori, delle tematiche centrali, dei punti di partenza chiari.

Credo che i lettori quotidiani si siano ormai abbastanza stancati di testi pieni di controsensi, voli pindarici senza meta, nonsense, costruzioni articolate prive di senso o impiegate solo per crear stridore nel lettore. Il lettore, che legge tutto con attenzione e formula una sua interpretazione, positiva o negativa che sia, è tutt’altro che “malato” e, nella maggior parte dei casi, è sempre più lucido e “sano” dello scrittore stesso. Invito coloro che hanno intenzione di leggere questo libro, a cavarne una propria lettura. Questo, in fondo, è il senso della letteratura –high o low che sia- e della condivisione d’idee attraverso lo scritto.

Questa è la mia interpretazione.

 

 Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

Chi è l’autore?

Orazio Labbate è nato a Mazzarino (CL) nel 1985 ma ha vissuto a Butera (CL) sin dall’infanzia. Ha conseguito la maturità con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Eschilo di Gela e la laurea in Scienze Giuridiche presso l’università Bocconi di Milano. I suoi “profondi maestri notturni e letterati” sono W.S. Burroughs, Umberto Eco, Jack London, José Saramago, Gogol, Bukowski, Baudelaire, Lovecraft e molti altri. La sua poetica non è ascrivibile ad una corrente precisa o a un genere catalogabile, lui suole definirla “malata e affetta da cancro notturno”. E’ pervasa da una sorta di costante apprensione simile all’indefinibile sensazione di chi non distingue la veglia dall’incubo.

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

23° Concorso Internaz.le di Poesia “Città di Porto Recanati” – XXIII Edizione – 2012

 23° CONCORSO INTERNAZIONALE di POESIA «CITTA’ di PORTO RECANATI» XXIII Edizione 2012

Col Patrocinio del Comune di Porto Recanati e della Regione Marche

E la collaborazione dell’Associazione Lo Specchio di Porto Recanati

 

Art. 1 – Il  poeta invierà una sola poesia a  tema libero. L’organizzazione suggerisce di considerare tematiche sulla disabilità, sulla solitudine, su  “i nuovi poveri”, sugli extracomunitari, sugli anziani, sugli eventi catastrofici ecc., affinché si rifletta sulla condizione dell’uomo e del suo esistere,  ideazione che portò all’istituzione de Premio Città di Porto Recanati 25 anni fa.  Comunque sia, i temi indicati sono solo indicativi… La poesia inviata, che non deve superare i 35 vv. (per non eccedere nelle spese di stampa nell’eventuale raccolta dei testi dei Vincitori e dei selezionati in un’Antologia), può essere stata anche edita, ma che non abbia mai vinto il primo premio in altri concorsi. L’originale deve riportare: Nome e Cognome dell’autore, indirizzo di casa e indicazione della sua email e la dichiarazione: “Dichiaro d’essere autore dell’opera inviata al concorso”.

Art. 2 – La Giuria, composta di quattro elementi, sarà resa nota nel giorno della premiazione; essa stilerà una graduatoria di tre vincitori dei premi in denaro e di altri meritevoli sino  al 10° classificato.

La Giuria, a suo insindacabile giudizio, premierà quei poeti che,  con l’impegno culturale e la propria testimonianza di vita,  abbiano contribuito a superare una condizione  di vita difficile, o addirittura rendendola fonte di ispirazione.

Art. 3 – I premi in denaro sono:

1° classificato 500 euro, targa o trofeo.

2° classificato 300 euro, targa o trofeo.

3° classificato 200 euro, targa o trofeo.

Art. 4 –  Le poesie dovranno essere spedite entro il 31 luglio 2012 (farà  fede il timbro postale di partenza) in quattro copie,  per posta ordinaria al seguente indirizzo:

Prof. Renato Pigliacampo c/o Concorso Internazionale di Poesia “Città di Porto  Recanati”, XXIII Edizione 2012, Casella Postale n. 61    62017  PORTO RECANATI   (Macerata). La poesia potrà anche essere inviata per  e-mail a:   pigliacampo@cheapnet.it  Il concorrente verserà la tassa d’iscrizione di 15 (quindici) euro sul conto corrente postale n. 29 68 76 21 intestato a Renato Pigliacampo c/o Casisma., o con  altra modalità di sua scelta. La somma sarà messa a disposizione del monte-premi.

Informazioni. La premiazione avverrà a Porto Recanati, probabilmente nella seconda/terza decade di settembre. I vincitori dei premi in denaro avranno  comunicazione scritta del giorno, del luogo e dell’ora della Cerimonia. E’ prevista una raccolta delle migliori  opere in una  silloge.

Si chiede la cortesia di diffondere il Premio nei media e tra gli amici interessati. Grazie.

“Favole crudeli” di Cristina Canovi, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Favole crudeli
di Cristina Canovi
con presentazione a cura di Roberto Baldini
Limina Mentis Editore, Villasanta (MB), 2008
Collana: Rêverie
ISBN: 978-88-95881-03-04
Numero di pagine: 100
Costo: 10,00 €
 
Recensione a cura di Lorenzo Spurio
Collaboratore di Limina Mentis Editore

  

La paura è l’attimo in cui perdi te stesso. Il panico è più della paura. E’ la paura della paura. (p. 60)

 Conservo la lucida coscienza della morte imminente: non solo la morte fisica, orrenda, per soffocamento (la più temuta), una lenta agonia, dolore come acido nelle vene, brucia da morire. No, non solo soffocare, ma disintegrarmi: la mia identità non esiste più; rimane solo la coscienza del dolore, la paura, l’assurdità del morire ora. (p. 79)

 

Nella breve nota introduttiva a cura di Roberto Baldini, è chiarito subito il significato di questo titolo “atipico”: il mondo che ci circonda è –anche se non sempre ci si rende conto- pieno di crudeltà. Non solo piccole cattiverie ed egoismi dell’uomo contemporaneo, ma come afferma lo stesso Baldini, “C’è una sottile crudeltà nell’esistenza quotidiana” (p. 5). Il poeta futurista Aldo Palazzeschi, dedicando una poesia ai fiori, non potette fare a meno di sottolineare come anche nella natura floreale e multicolore si celi la perversione, il vizio, la cattiveria. E’ un’impostazione questa che credo Cristina Canovi abbracci con questa ampia silloge di racconti, pensieri e quant’altro. Il libro contiene così una serie di favole “smitizzate”, riviste, ricollocate nella quotidianità spersonalizzante e logorante: ci sono così sogni amari che si tramutano in veri e propri incubi, paure, nevrosi e manie, ma anche desideri e deliri. Il tutto può essere visto quindi all’interno di un’attenta analisi psicologica tra le pieghe dell’io, un campo di ricerca a metà tra l’utopia e la paranoia. Baldini nell’introduzione aggiunge: “Favole crudeli, storie surreali a metà fra immaginazione e realtà, brevi irruzioni dell’assurdo nel mondo reale o del reale nel mondo dei sogni” (p. 5).

Il cantante romano Max Gazzè in una sua recente canzone dal titolo “Storie crudeli” – a suo modo- ha dato voce a questa stessa realtà: le piccole e grandi ingiustizie, prepotenze, cattiverie e crudeltà che ci circondano tanto che anche le favole – territorio sacro all’infanzia- risentono di questa cattiveria dilagante. Il rimedio che propone Gazzè è ottimistico e influenzato da una certa anima lirica che pervade i testi della sua produzione: “non c’è ragione per raccontare storie crudeli/ sulle cattiverie di orchi e fattucchiere/ io racconterei un volo verso il sole/ di fiori bagnati/ quando i ruscelli dissetano i prati”.

Il lettore incontrerà personaggi ambigui, strani, maniaci che e farà quasi difficoltà a non considerarli “pazzi” o “psicolabili” come il bambino di Piedin Faina che –pur essendo molto piccolo – è in grado di essere veramente cattivo nelle azioni, ma soprattutto nei pensieri: “[Al Berselli] piacevamo io e mamma: mamma perché aveva tette giunoniche, io perché facevo cacche e puzze record e alle battutacce grevi ridevo con la cattiveria compiaciuta della mia prima infanzia” (p. 10). L’infanzia del ragazzo è traumatica perché vissuta all’ombra di paure, minacce, e favole tenebrose raccontate dalla nonna per calmarlo e tutto questo funziona negativamente sulla sua psiche rendendolo cattivo, vendicativo e un pericoloso piromane: “La tata diceva che ero un mosto e che prima o poi Piedin Faina mi avrebbe mangiato le dita dei piedi. Mamma, invece, riteneva che fossi un bambino curioso e che, come tutti i bambini, dovevo semplicemente fare le mie esperienze. Smontare gli animali, pestarli, strozzarli, picchiarli era il mio modo di esprimere la creatività tipicamente infantile” (p. 14). Nel racconto è evidente anche un chiaro mal comportamento della madre nei confronti del figlio, sempre pronta a scusarlo o a proteggerlo, anche di fronte alle sue azioni più preoccupanti, mentre il padre è distante e ha paura di suo figlio, che è un mostro. Che la Canovi abbia voluto dire che il complesso di Edipo, l’attaccamento morboso del figlio maschio verso la madre esposto da Freud, possa portare a siffatte situazioni? Mi pare di intuire che è così.

La serie dei personaggi che incontrerete leggendo è multicolore ed eterogenea: un anziano ossessionato con l’allevamento e la cottura di tentacolati, ragazzi che tirano avanti con gli “eroi chimici” (p.53), una vicina “strana” dalla quale stare in guardia che però la protagonista non riesce mai a incontrare (è una prostituta? è una criminale? è una matta? o è semplicemente una persona normale? Non ci è dato di sapere, come neppure alla protagonista stessa), un’arcigna nonna-strega che terrorizza la nipote con orrori, minacce e strane storie.

C’è molto sangue, vomito e puzze varie tra le pagine di questo libro, immagini poco edificanti che, unite a molte altre, ci consegnano una visione amara e un po’ degradante della società dell’oggi, perché si sofferma appunto nel sottolineare le mancanze, le devianze, le debolezze e gli errori dell’uomo. La Canovi ha fatto una scelta personalissima nel dare al lettore riflessioni, pensieri e raccontini che, pur partendo da immagini e situazioni forti (a volte addirittura al limite), hanno la forza di far riflettere e di interrogarsi.

Questa opera è preziosa perché apre di continuo le porte dell’immaginifico, proiettandoci con un piede nel surreale e l’irrealtà, facendoci rimanere, però, con l’altro piede nel mondo reale. I protagonisti, e lo stesso lettore, non sanno se lasciarsi completamente andare a varcare quella soglia o se, invece, forte della sua componente razionale, rimanere con i piedi saldi nel mondo reale, conoscibile, dell’oggi.

Grazie a Cristina Canovi per questo percorso tra vie traverse, tra universi distanti, presenti contemporaneamente per ciascuna persona che sia capace di non prendersi troppo sul serio e lasciarsi andare –almeno per il tempo della lettura del libro- a varcare le porte dell’immaginario.

 

 

Chi è l’autrice?

Cristina Canovi è nata a Reggio Emilia e vive tra Reggio e Cesena. Laureata in Lettere Moderne presso l’università di Bologna (110 e lode!), attualmente insegna italiano, storia e geografia nelle scuole medie. Possiede, al posto di un conto in banca, una biblioteca di oltre tremila volumi e una cineteca personale composta da quasi mille titoli, la metà dei quali horror, genere del quale l’autrice è una grande appassionata. Tra i suoi scrittori preferiti: Roal Dahl, Richard Matheson, Joe R. Raymond, Philip Dick, Rod Sterling, Milan Kundera, Stephen King, Raymond Queneau, Georges Perec, Daniel Pennac, Oscar Wilde, Ray Bradbury, Dino Buzzati, Carlo Lucarelli, Eraldo Baldini. Tra i registi più amati: Tim Burton, Quentin Tarantino, Woody Allen, Sam Raimi, Peter Jackson.

 

Lorenzo Spurio

scrittore, critico-recensionista

Collaboratore di Limina Mentis Editore

 

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

“Attimi. Il puzzle della vita” di Antonella Ronzulli, recensione a cura di Lorenzo Spurio

Attimi. Il Puzzle della vita

di Antonella Ronzulli

prefazione di Roberto Incagnoli

Lettere Animate Editore, Martina Franca (Ta), 2012

ISBN: 9788897801290

Pagine: 107

Costo: 10,00 Euro

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Domani tornerà il sole

e noi umani, senza comprendere

tra fango e morte ci rialzeremo.

(da “Nei silenzi della paura”, p. 30)

Antonella Ronzulli, poetessa piemontese, dopo il grande successo ottenuto con la prima silloge di poesie, AliVive (Rupe Mutevole, 2010), torna con un nuovo lavoro, tutto da scoprire. Nella copertina, dagli scenari fantasy e riccamente sfumata in azzurro, vediamo una donna bionda di spalle (proiezione della stessa autrice?) che si approssima ad attraversare una porta. La cosa curiosa è che la porta non appartiene a un edificio particolare, non ne intravediamo la struttura. L’edificio è il cielo, l’atmosfera infinita attorno alla quale si stagliano anche altri pianeti. Il titolo, Attimi, richiama subito il tema del tempo, uno dei più utilizzati da sempre in letteratura che la Ronzulli coniuga in questa silloge a una serie vasta di sentimenti dell’uomo d’oggi. Ecco perché il titolo da solo non basta, e l’autrice ha deciso di utilizzare un sottotitolo, “Il puzzle della vita”, ancor più significativo. Ci chiediamo ad una prima vista in che maniera la Ronzulli intenda la vita come puzzle; probabilmente come serie congiunta e necessaria di momenti, come excursus obbligato di riti di passaggio, come sfaccettature multiple onnipresenti contemporaneamente.

La silloge si apre, dopo una nota di prefazione, con due citazioni che “consacrano” l’attimo, una di Giuseppe Ungaretti, l’altra del filosofo Nietzsche.

In “Senza maschere” la poetessa si lascia andare a una veloce autoanalisi sul sé: chi sono e come dovrei essere? Dovrei essere diversa? Conclude sostenendo di no, altrimenti finirebbe per essere un’altra persona: “Fingere per compiacere?/ Impensabile/ l’inganno è ipocrisia./ Maschere non so indossare” (p. 24). La poesia di Antonella Ronzulli va, forse, letta proprio in questi pochi versi nella quale la poetessa innalza la semplicità, l’autenticità e il desiderio di offrirsi per come si è agli altri. E’ una poesia che ama il vero, il visibile e che rifugge le morbosità, le macchinazioni, gli inganni. Autenticità e preservazione dell’innocenza che si ritrovano nella dolorosa poesia “Assassino d’innocenti” in cui la poetessa è affranta per l’uccisione insensata di una giovane ragazza e si sente priva di perdono e comprensione per quanto un bruto ha irrimediabilmente commesso.

Le liriche di Antonella Ronzulli sono, inoltre, in grado di farci respirare odori particolari, “fragranze e sapori d’allegria” (p. 26) , “essenze di faggi che porgono foglie al vento” (p. 26) ma attente anche dal punto di vista sonoro: “battito d’ali notturno” (p. 39), “miagolii di gatti ammaliati” (p. 41) e possiamo dire che nel complesso si configurano come una celebrazione della vita; il suo messaggio è chiaro: goditi la vita e fai le scelte che credi essere le migliori: “Assapora e respira la vita” (p. 36); per conservare l’isotopia del “mangiare”, la Ronzulli ci dice che la vita va addentata (afferrata), mangiata (fatta nostra), assaporata (vissuta). Il carpe diem oraziano si fa concretezza nella poesia della Ronzulli come esortazione vivida a non lasciarsi scappare il tempo che passa, perché poi, non ritorna: “Ieri è tramontato/ sfida il domani/ sfuggi gli eventi/ nell’anima scolpiti” (p. 36), in altre parole, lasciati il passato alle spalle, vivi il presente, che è il tuo futuro!

La lirica “Angelo nero” è –secondo la mia opinione- la più bella della collezione: la poetessa è riuscita ad allontanare da sé la Morte quando “rasente oltre misura/ mi hai volutamente lambita”, ha trionfato, ma sa che per la natura degli esseri umani, prima o poi sarà l’Angelo nero a decidere. E’ per questo che essa “riappare ogni giorno” ed è sempre in agguato. “Chissà, se ti concederò il trionfo”, conclude la Ronzulli in questo breve monologo ragionato con la Morte. Considerazioni ed esternazioni che ritornano in “Nemico invisibile”, già edita nella precedente silloge nella quale la poetessa si scaglia con violenza contro quello che la Fallaci definì “L’Alieno”. Condivido il pensiero di Roberto Incagnoli, editore di Lettere Animate e amico di Antonella Ronzulli che osserva: “Antonella è esattamente quello che scrive”. La poetica di Antonella Ronzulli, semplice, piana ed accessibile a tutti, fornisce squarci del suo vissuto intercalati nel suo animo lirico che dona alla semplicità degli eventi un’aura tutta particolare.

Personalmente mi sento di consigliare vivamente questo libro perché è espressione di un’autenticità lirica preziosissima e unica nel suo genere nella nostra contemporaneità; le liriche di Antonella Ronzulli si susseguono fresche e l’intero libro è una vera celebrazione del connubio di due espressioni artistiche: poesia e fotografia. Ambiti che la Ronzulli “apre” anche agli altri per mezzo di una serie di collaborazioni molto importanti che si notano leggendo il testo. Nella seconda parte del libro, ad esempio, si respira l’ebrezza di elogio alla scrittura congiunta, con apprezzabili componimenti scritti a più mani con altrettanti poeti contemporanei tra cui Annamaria Pecoraro, Donata Porcu, Gianluca Regondi, Mario Di Nicola ed altri. L’apertura nei confronti degli altri è riscontrabile anche in alcune liriche finali tradotte in inglese e in spagnolo, proprio a testimonianza del fatto che la poesia abbraccia tutti, indistintamente. La comunione di intenti e la collaborazione letteraria sono aspetti centrali per il percorso che Antonella Ronzulli ha deciso di fare: “Siamo uomini e donne/ nati per non essere/ soli”, conclude in “Soli” (p. 35).

Chi è l’autrice?

Antonella Ronzulli (Novi Ligure, 1963) scopre la scrittura come ancora per superare un problema di salute; diventa una passione che associa a quella per la fotografia. Nel giugno del 2010 pubblica con Rupe Mutevole la silloge di poesie AliVive e nel gennaio 2012 la seconda edizione, essendo la prima esaurita con un buon riscontro di critica. Collabora alle attività letterarie della “Vetrina delle Emozioni”, è membro del Consiglio Direttivo e Responsabile del settore web dell’Associazione Culturale “Orizzonti Nuovi”. E’ vice-direttore editoriale di Lettere Animate Editore e direttrice delle Collane “Phoetica” e “Insieme”.

E’ SEVERAMENTE VIETATO RIPRODURRE E/O DIFFONDERE LA PRESENTE RECENSIONE IN FORMATO INTEGRALE E/O DI STRALCI SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

Intervista ad Antonella Ronzulli, autrice di AliVive

a cura di Lorenzo Spurio

 LS: Come dobbiamo interpretare il titolo che hai scelto per la tua opera?

AR: AliVive è nato in un momento particolare della mia vita; un problema di salute mi aveva resa debole, anche psicologicamente, ed io donna forte e sicura prima, ora quasi vegetavo. Ma dentro di me non accettavo questa condizione e alla fine mi sono ribellata. Ho iniziato a scrivere, pensieri, stati d’animo ed emozioni, accorgendomi così di una cosa meravigliosa: i miei tormenti uscivano da me e restavano sulla carta. Liberandomi ho ripreso il controllo sulla mia vita, sono di nuovo “viva” e sono tornata a “volare” verso i miei sogni. AliVive è la fotografia di questo preciso momento.

LS: Un autore negherà quasi sempre che quanto ha riportato nel suo testo ha un riferimento diretto alla sua esistenza ma, in realtà, la verità è l’opposto. C’è sempre molto di autobiografico in un testo ma, al di la di ciò, il recensionista non deve soffermarsi troppo su un’analisi di questo tipo perché risulterebbe per finire fuorviante e semplicistica. Quanto c’è di autobiografico nel tuo libro? Sei dell’idea che la letteratura sia un modo semplice ed efficace per raccontare storie degli altri e storie di sé stessi?

AR: Anche se non è stato facile superare la riservatezza per la mia vita privata, nel libro ci sono io, con le mie gioie e i miei dolori, la mia famiglia, i miei amici, la mia vita. Ho raccontato momenti che mi appartengono, che ho vissuto, e storie che ho appreso ascoltando persone a me vicine.

LS: Quali sono i tuoi autori preferiti? Quali sono le tendenze, le correnti italiane e straniere e i generi letterari che più ti affascinano? Perché?

AR: Leggo in ogni momento libero, senza distinzioni, l’importante è che lo scritto mi coinvolga emotivamente. Neruda ed Hemingway sono tra gli autori che preferisco, Alda Merini, che sento molto vicina al mio carattere, li colloco tra i “maestri”. Prediligo la poesia, le parole miste a suoni e ritmi mi regalano messaggi, vibrazioni ed emozioni sempre diverse. E c’è Fosco Maraini con la sua raccolta di poesie “Gnosi delle fànfole”:  è stata per me la scoperta della metasemantica, una tecnica che mi ha affascinata così tanto da volerla provare, ed è stato emozionante.

LS: So che rispondere a questa domanda sarà molto difficile. Qual’è il libro che di più ami in assoluto? Perché? Quali sono gli aspetti che ti affascinano?

AR: In effetti è difficile rispondere, ogni libro mi lascia qualcosa dentro. Sicuramente “Il vecchio e il mare” di Hemingway con i suoi temi: l’amicizia e l’affetto tra il vecchio Santiago e il giovane Manolo, la solitudine, l’abbandono, lo sconforto di chi ormai inutile  viene emarginato da tutti; una parziale sconfitta che serve però ad esempio: con tenacia e caparbia, si può lottare senza avere rimpianti e affrontare la vita con determinazione.

LS: Quali autori hanno contribuito maggiormente a formare il tuo stile? Quali autori ami di più?

AR: Come ho già detto Pablo Neruda, Ernest Hemingway, Alda Merini, Fosco Maraini,  posso aggiungere Cesare Pavese , Thomas Stearns Eliot, Ezra Pound, tutti grandi autori che mi hanno donato momenti di riflessione. Riguardo al mio stile  ti posso dire che seguendo l’istinto, esprimo sinteticamente i miei pensieri e non credo di essere ancora pronta a cimentarmi in un romanzo.

LS: Collabori o hai collaborato con qualche persona nel processo di scrittura? Che cosa ne pensi delle scritture a quattro mani?

AR: Si l’ho fatto e continuo a scrivere con amici autori, è un’esperienza utilissima. Si impara, ci si confronta, si cresce, si gioisce insieme del risultato, è uno scambio continuo, un esercizio di scrittura per me molto utile e soprattutto piacevole.

LS: A che tipo di lettori credi sia principalmente adatta la tua opera?

AR: Non penso ci sia un tipo di lettori mirato, ho ricevuto consensi da persone molto diverse tra loro, uomini e donne, giovani e adulti, figli e genitori. Nel libro puoi scoprire situazioni in cui molti si possono riconoscere; e forse questo è piaciuto, nessuna finzione, molta realtà.

LS: Cosa pensi dell’odierno universo dell’editoria italiana? Come ti sei trovato/a con la casa editrice che ha pubblicato il tuo lavoro?

AR: Universo è la parola perfetta per esprimere il mio pensiero; sono tante, troppe forse le scelte possibili, tra case serie e pericoli in cui cadere. Molti editori seguono i propri autori in tutto il processo, dalla pubblicazione alla promozione delle opere, aiutandoli a districarsi in questo mondo; altri invece mirano solo al guadagno e non mantengono ciò che promettono, abbandonando l’autore a se stesso. Il mio modesto suggerimento a tutti gli editori, compreso il mio, è di investire molto nella promozione, il risultato sarà soddisfacente per voi e per i vostri autori.

LS: Pensi che i premi, concorsi letterari e corsi di scrittura creativa siano importanti per la formazione dello scrittore contemporaneo?

AR: Partecipo a premi e concorsi letterari volentieri, lo trovo un momento di stimolo e di confronto; le soddisfazioni iniziano ad arrivare, spingendomi a migliorare, sono convinta che non si finisce mai di imparare.

LS: Quanto è importante il rapporto e il confronto con gli altri autori?

AR: Come ho già detto lo ritengo importantissimo, come esercizio e crescita personale. Per questo motivo ho iniziato a collaborare con alcune riviste, per instaurare rapporti ed entrare in contatto con altri autori, per scambiare idee ed opinioni: sono fermamente convinta che bisogna allargare i propri orizzonti e che la nostra mente ha bisogno di continuo nutrimento.

LS: Il processo di scrittura, oltre a inglobare, quasi inconsciamente, motivi autobiografici, si configura come la ripresa di temi e tecniche già utilizzate precedentemente da altri scrittori. C’è spesso, dietro certe scene o certe immagini che vengono evocate, riferimenti alla letteratura colta quasi da far pensare che l’autore abbia impiegato il pastiche riprendendo una materia nota e celebre, rivisitandola, adattandola e riscrivendola secondo la propria prospettiva e i propri intendimenti. Che cosa ne pensi di questa componente intertestuale caratteristica del testo letterario?

AR: Molti autori scrivono basandosi sulla realtà e questo porta inevitabilmente a riprendere argomenti comuni: siamo tutti esseri umani con un vissuto, ci differenziamo solo nel modo di affrontarlo. 

LS: Hai in cantiere nuovi lavori e progetti per il futuro? Puoi anticiparci qualcosa?

AR: Si ho vari progetti da realizzare, ci sto seriamente lavorando: il mio nuovo mondo mi piace, collaborazioni importanti, un libro …  Il futuro? Scrivo, continuo a scrivere e ad inseguire i miei sogni.

La ringrazio per avermi concesso questa intervista che verrà pubblicata sul mio spazio blog, Blogletteratura e Cultura, sulle riviste on-line Parliamone, Segreti di Pulcinella e Fucinando con tempi e modalità che le verranno in seguito fornite.

 intervista a cura di Lorenzo Spurio

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Ali vive di Antonella Ronzulli

Ali Vive di Antonella Ronzulli

Prefazione di Silvia Denti

Rupe Mutevole, 2010, pp. 62

ISBN: 9788896418833

Recensione di Lorenzo Spurio

Ho avuto il piacere di leggere Ali Vive, silloge poetica di Antonella Ronzulli. Il linguaggio che utilizza è semplice ed accessibile a tutti, rifugge da particolari figure retoriche, chiasmi o orpelli di forma per andare invece dritta al messaggio, ai contenuti. E’ una poesia estremamente vivida che nasce direttamente da esperienze personali della Ronzulli, esperienze particolarmente difficili. E’ per questo che la silloge è principalmente incentrata sui temi della vita e della morte, sulla mancanza, sulla malattia e il dolore, sul ricordo. E’ di certo encomiabile la forza della Ronzulli che si sprigiona da liriche cariche di drammatismo ma mai di vittimismo; c’è sempre una continua ricerca della scrittrice-donna di mettersi in gioco, un modo tutto personale di sfidare se stessa per cercar di combattere imprese che ad una prima analisi sembrerebbero imbattibili. La malattia può essere sconfitta, ci dice la Ronzulli. E’ vero, anche se sappiamo che, purtroppo, questo non avviene sempre e così spesso come tutti ci augureremmo. Non ci sono ricette o chiavi di volta per vincere la malattia se non l’amore di persone vicine, una famiglia coesa e presente e una grande apertura morale connessa a una profondissima esegesi della vita. La scrittura della Ronzulli ha tutto questo, e molto altro ancora. La poetessa si confessa nero su bianco, senza paure né fragilità, traccia una visione diacronica della sua vita, minacciata da gravi impedimenti ma alla fine, come in un qualsiasi romanzo di formazione la poetessa risorge, è cambiata e cresciuta. Non solo ha raggiunto la guarigione ma ha scoperto la poesia, mezzo particolarmente adatto per immortalare le sue paure, le sue sofferenze e i suoi ricordi. Lo fa in una maniera diretta e semplice che ci permette, in qualità di lettori, di simpatizzare con la poetessa-donna oltre che apprezzare i suoi versi.

La poesia è sempre stata considerata come la massima forma di espressione in letteratura. Se poi ad essa si aggiungono motivi biografici, narrati in maniera spontanea senza camuffamenti o timori legati al desiderio di mantenere una velata imperscrutabilità, allora si innalza ulteriormente come forma di comunicazione. La scrittura della Ronzulli non è altro che proiezione diretta dei suoi sentimenti e dei suoi tormenti legati a determinati momenti della sua vita. La lirica che chiude la silloge è in grado di trasmetterci quella felicità che il lettore ricerca ossessivamente per tutta la lettura del libro. Così come la vita è un percorso difficile, ricco di impedimenti e di salite, la poesia della Ronzulli “risorge” nel finale consacrando il valore dell’amore.

LORENZO SPURIO

 11 Agosto 2011

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After the Sun, Intervista ad Angela Grillo

INTERVISTA AD ANGELA GRILLO
AUTRICE DI AFTER THE SUN
LAMPI DI STAMPA, MILANO, 2011
INTERVISTA A CURA DI LORENZO SPURIO

LS: Qual è stata l’idea dalla quale è nato il romanzo? Qual è stata la genesi?
AG: L’idea di questo libro nasce sulla scia del mio grande interesse per i libri sin da quando ero bambina, ricordo di aver letto il mio primo libro, Piccole Donne, in terza elementare. La passione per la scrittura è cominciata verso i 20 anni. Mio padre e mia madre mi hanno sempre incoraggiata a scrivere ma ho avuto altre priorità nelle diverse fasi della mia vita. Quando mio padre è mancato ho sentito che glielo dovevo e ho pensato di accontentarlo. Mi sono ritagliata degli spazi nella frenetica attività lavorativa e sono riuscita a portare a termine questo lavoro.

LS: Il titolo del romanzo, After the Sun, nel corso della narrazione non viene mai spiegato esplicitamente cosicché siamo noi lettori a dover interpretarlo come vogliamo. L’interpretazione più ovvia si rifà alle prime pagine del libro in cui la protagonista vede un ragazzo seduto sul treno di fronte a lei fotografare il sole e, guardandola, ne rimane affascinata. Il ‘dopo’ a cui il titolo fa riferimento dunque potrebbe essere a ciò che si sviluppa tra la protagonista e il ragazzo dopo quel momento d’incontro, quel pivotal moment? Potresti spiegare il titolo?
AG: Certo, il “dopo” a cui il titolo in inglese fa riferimento è un fil rouge che si ripresenta più volte durante il racconto, per esempio dopo aver visto l’alba la protagonista, Stella, incontra un ragazzo e s’innamora, oppure dopo essere stata ingaggiata dalla “Sun” (la sua casa discografica) incontra la persona che rivestirà un ruolo importantissimo per la sua carriera e per la sua vita. E poi… non sveliamo troppo sul resto della storia. Chi lo leggerà tutto fino in fondo… capirà!

LS: A molti lettori piacciono romanzi come il tuo, romantico, giovanile, mentre altri diciamo che aborrono narrazioni di questo tipo. Perché, secondo te, a molte persone non piacciono narrazioni di questo tipo? Quali sono i motivi? Secondo il tuo parere un romanzo di Moccia è da considerare inferiore a un romanzo ad esempio di Saviano?
AG: Non bisogna essere né prevenuti né presuntuosi. Bisogna leggere tutto, informarsi, anche sui generi che non ci appartengono. Solo dopo aver letto entrambi i generi si può dare una preferenza. Due opere possono essere diverse nel genere ma entrambe importanti per quello che comunicano, per le sensazioni che ci ha trasmesso l’autore e per mille altre ragioni. Io rispetto il lavoro di tutti, non considero inferiore il lavoro di nessuno e non giudico chi legge uno o l’altro tipo, ma preferisco, per quanto mi riguarda, il romanzo d’amore. Chi compra questo genere di libri è perché ha bisogno di storie romantiche, divertenti, frizzanti. Forse nel mondo in cui viviamo manca proprio l’amore. Le emozioni, in questa società iperattiva, sono passate in secondo piano. C’è carenza di semplicità, di sentimenti, di affetti. Bisogna rilassarsi e scegliere letture che parlano d’amore, storie che semplicemente emozionano e, perché no, che fanno sognare.

LS: Quanto di autobiografico c’è nel romanzo? La protagonista della storia ha qualcosa in comune con te?
AG: Questa è una domanda ricorrente! No, non è autobiografico. E’ una storia inventata. Io e Stella abbiamo in comune due cose, la prima è l’amore per il mondo della musica e la seconda è caratteriale, siamo entrambi tenaci, caparbie e abbiamo ogni giorno la forza per andare avanti anche se, a volte, troviamo degli ostacoli sulla nostra strada. Come Stella credo che bisogna avere il coraggio di sognare e lottare per i propri desideri, sempre. C’è una bellissima frase di Goethe che vorrei citare: “Qualunque cosa tu possa fare, qualunque cosa tu possa sognare, comincia.”

LS: Nel romanzo la proposta di lavoro che viene fatta a Stella le cambia completamente la vita. Passa da cameriera e da universitaria che ha abbandonato gli studi a cantante che incide canzoni. Il cambio è notevole e velocissimo, sembra quasi che lei accetti la nuova occupazione senza pensarci troppo, come se fosse una macchina facilmente suggestionabile. Come insegna la realtà la fama e le manie di grandezza sono sempre negative perché pur garantendo esibizionismo e successo dall’altra, in campo privato, si configura come un grande impedimento. La vita privata e la privacy per un personaggio pubblico è spesso difficile da proteggere e le due sfere, privato e pubblico, si mescolano provocando disagi. Cosa ne pensi di questo? Avevi in mente questa polarità quando scrivevi la storia? Che cosa ne pensi di questo tema nella realtà?
AG: Sì, durante la stesura del testo avevo previsto questa polarità, questo contrasto nella mente della protagonista dibattuta tra voglia di aver successo e paura. D’altronde quasi tutti nella realtà vivono la polarità. Quasi tutti conducono la propria vita ma vorrebbero viverne un’altra o trovarsi in altre situazioni. E visto che mi piace descrivere la realtà, scrutare le persone e i fatti che accadono ogni giorno, ho pensato di inserire anche questo fattore.

LS: Ad un certo punto Stella, la protagonista, chiarisce qual è la ragione per la quale ha abbandonato gli studi universitari. Non si tratta di poca voglia di studiare ma di un fatto destabilizzante ossia di un suo professore che ha cercato di violentarla e che l’ha minacciata di fargliela pagare. Dall’altra parte lei non va a denunciare il professore-pervertito e questo fatto corrisponde specularmente con quanto avviene nella realtà dove spesso il violato non è in grado di denunciare la violenza subita dal violatore. E’ pertanto un’immagine quanto mai realistica. Quanto consideri pericolosi e dannosi i ricatti di qualsiasi tipo nella nostra società?
AG: Nel romanzo ho cercato, appunto, di aprire una finestra, seppur piccola, su quanto accade nella nostra realtà. La violenza e i ricatti che ha subito Stella sono ormai all’ordine del giorno in tutti i settori. Ci sono persone che non hanno il coraggio di denunciare e altre che, per fortuna, lo fanno. Le molestie sessuali sono ricatti. Mai scendere a compromessi con chi ricatta. La violenza, in generale, non può trovare una giustificazione e va punita.

LS: L’episodio del ferimento di Stella durante un concerto, per altro narrato in maniera molto fugace e chiarito poi mediante lo stalking di un ammiratore fanatico, non ti sembra essere una forzatura in questo romanzo? Perché hai voluto inserirlo?
AG: Il libro è stato scritto per un pubblico attento ai fatti di tutti i giorni. Oltre ai sentimenti e alla voglia di farcela della protagonista, si parla di violenza, di morte e di stalking questo nuovo tipo di molestia di cui si è parlato molto e se ne parlerà ancora. Non volevo appesantire più di tanto la storia con questo reato. La protagonista partecipa ad un Festival musicale, si esibisce e… bang! Le sparano. Così come capitano le disgrazie nella vita vera.
LS: Verso il finale il lettore viene quasi destabilizzato quando si scopre chi è lo stalker che ha cercato di uccidere Stella. Si tratta di un personaggio che il lettore conosce già ma che, sicuramente, non pensava all’altezza di queste azioni. Come mai hai voluto inserire questa thriller story all’interno del romanzo?
AG: E’ un colpo di scena che ha spiazzato un po’, ma andava fatto. Ho scelto questo personaggio perché provavo per lui una forte antipatia e io, mettendomi nei panni del lettore, ho pensato che andava punito per quello che aveva fatto e gli ho procurato questa “particina” dello stalker. Chi leggerà il libro capirà il perché.

LS: Solo con l’attentato a Stella e la malattia tumorale di sua zia la protagonista decide di cambiar vita considerando il suo lavoro troppo pericoloso e spossante. Parallelamente si rende conto di quanto è stata stupida a lasciarsi trasportare dal successo e ad allontanarsi dai suoi amici e dalla zia. Credi che nella vita reale succeda qualcosa di analogo? E’ necessario che accada qualcosa di brutto e di destabilizzante per permettere all’uomo di riscoprire sentimenti e relazioni umane un tempo per lui importanti?
AG: No, non è necessario che accada qualcosa di brutto per farci aprire gli occhi sulla realtà, per riscoprire i veri sentimenti, i valori. A volte basta un esame di coscienza, un momento di riflessione per decidere di stravolgere la propria vita, sacrificarsi e aiutare chi ha bisogno, magari in India o in Africa o magari nel più vicino ricovero per senzatetto o anche solo per una persona cara, un familiare che ha bisogno.

LS: Stai scrivendo un nuovo libro? Hai progetti in cantiere? Se sì, potresti anticiparci qualcosa?
AG: Sì, ho due progetti che vorrei realizzare. Il primo è un romanzo storico al quale tengo molto, è la vera storia di due ragazzi nel Medioevo, due giovani innamorati che, seppur di un’epoca diversa dalla nostra, si ritrovano ad affrontare tanti e svariati problemi, proprio come i ragazzi di oggi. Il secondo progetto è… il seguito di After the Sun! Eh sì, me lo chiedono in tanti via mail (angelagrillomail@gmail.com) e sulla mia pagina Facebook (http://tinyurl.com/3llzucg ). Penso proprio che dovrò inventarmi ancora qualche avventura per Stella. Questo è molto bello! Vuol dire che Stella, con il suo carisma, la voglia di vivere ma anche con tutti i suoi problemi e i suoi difetti, ha conquistato i lettori che si sono immedesimati in lei e si sono emozionati con questa bella storia che è divertente e fa riflettere dalla prima all’ultima pagina!
Ringrazio Angela Grillo per avermi concesso questa intervista.

 

 
LORENZO SPURIO
17 Luglio 2011


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Pazienti smarriti di Maria Rosaria Pugliese finalista al Premio Domenica Rea

Il meraviglioso romanzo di Maria Rosaria Pugliese dal titolo Pazienti smarriti, edito da Robin Edizioni è stato incluso tra i finalisti per il Premio Domenico Rea – XVII Edizione – Sezione Narrativa.

Tra gli altri finalisti alla sezione narrativa ci sono Franco Matteucci con Lo show della farfalla (Newton Compton Editori), Francesco Recami con La casa di ringhiera (Sellerio Editore), Marcello Fasolino con Napoli ultima chiamata (Iuppiter Edizioni) e Geo Nocchetti con Saldi di fine emozioni (Tullio Pironti Editore). La giuria della XVII Edizione sarà composta da: Presidente: Gennaro Sangiuliano (vice-direttore TG1); Giurati: Alberto Bevilacqua (scrittore), Gigi Marzullo (conduttore RAI), Alessandro Gnocchi (capo-redattore Cultura de Il Giornale), Massimo Lojacono (docente), Annella Prisco Saggiomo (operatrice culturale).

Il premio Rea è stato istituito nel 1995 per ricordare Domenico Rea, scrittore napoletano che ha narrato in maniera attenta e realistica squarci di vita partenopea come nei famosi Racconti di Spaccanapoli (1947). Rea è inoltre stato vincitore del Premio Strega nel 1993 con Ninfa plebea.

Il romanzo di Maria Rosaria Pugliese è una vivida storia d’amore che si snoda su piani temporali diversi, l’infanzia felice che viene revocata in una miriadi di ricordi e la difficile realtà del presente al fianco di un parente gravemente malato che, giorno dopo giorno, combatte la sua battaglia con il Maligno. E’ un’affascinante storia che ha chiari riferimenti autobiografici e che ci rende partecipi di un dolore familiare che potrebbe essere quello di ciascuno di noi, facendoci vivere sulla pelle un miscuglio di sentimenti molto forti.

Al romanzo ho dedicato una recensione, pubblicata su questo stesso blog, che potete trovare qui: http://tinyurl.com/3sjhcvn

Ho inoltre avuto il piacere di intervistare, a distanza, l’autrice del romanzo. L’intervista si può trovare qui: http://tinyurl.com/4ydmwef/  

La premiazione del vincitore è prevista per il 7-8 Ottobre 2011, sull’isola di Ischia (Napoli).

Per aggiornamenti visitare il sito internet www.premiodomenicorea.org o contattare Livius@Ischianet.com  

Faccio i miei più sentiti e sinceri auguri a Maria Rosaria Pugliese per la sua opera finalista al premio!

 Lorenzo Spurio

 27 Luglio 2011

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