Lunar Park
di Bret Easton Ellis
Torino, Einaudi, 2005
Recensione a cura di Francesca Mazzucato
Che cos’è Lunar Park di Bret Easton Ellis? E’ possibile definirlo, raccontarlo, “dirlo”? Sentivo davvero il bisogno di rileggerlo. E’ uscito sei anni fa, ma ci sono libri ai quali occorre tornare. La “rilettura” è un’attività fondamentale per chi la compie ed è un modo per opporsi a questa vita così rapida dei libri, nelle librerie. Dei libri di carta, che vivono e restano pochissimo sugli scaffali ( quando ci arrivano). Non è necessario che accada questo. Di ebook e di editoria digitale parleremo un’altra volta, anzi, più volte, ma c’è un valore e una lentezza che vanno ogni tanto concessi. A se stessi. Alle storie.
Dicevo quindi. Cos’è questo libro? Una sorta di autobiografia immaginaria e reale, anzi più reale che immaginaria? Un’autocitazione, un farsi il verso cominciando dal gioco degli incipit per passare a quello della cocaina e della vita spericolata?
” -Sei una perfetta caricatura di te stesso- Questa è la prima frase di Lunar Park, e nella sua brevità e semplicità doveva essere un ritorno alla forma, un’eco, della frase iniziale del mio primo romanzo, Meno di zero- La gente ha paura di buttarsi nel traffico delle autostrade a Los Angeles- Da allora le frasi iniziali dei miei romanzi- per quanto ben costruite- sono diventate sempre più complicate ed elaborate, sovraccariche di un’enfasi pesante e inutile sui minimi dettagli…. e nell’inverno del 1983 avevi tirato fuori un manoscritto che alla fine era diventato Meno di zero. Raccontava per filo e per segno le vacane di Natale a Los Angeles- per la precisione a Beverly Hills- di uno studente ricco, alienato e sessualmente ambiguo, iscritto a un college della costa orientale, descrivendo tutte le feste per cui vagava e tutte le droghe che prendeva e tutte le ragazze e i ragazzi con cui faceva sesso e tutti gli amici che osservava passivamente mentre si perdevano nella tossicodipendenza,nella prostituzione e in una smisurata apatia; giorni passati correndo strafatti di Nembutal con bellissime bionde su cabriolet scintillanti verso la spiaggia; notti perdute nelle sale vip dei club alla moda e tirando cocaina …”
Che cos’è questo? Un horror, una storia di demoni e spiriti (che non si sa se sono più demoniaci e spaventosi gli amici di famiglia con tanto di villetta e grondanti rispettabilità che le presenze intermittenti e violente all’interno della casa)? Forse è uno dei più bei romanzi degli ultimi tempi sul rapporto padri- figli, figli- padri, sull’inutilità dei padri, sui figli che non li vogliono e che diventano attori perfetti recitando la commedia dimessa del figlio che accetta il padre per tranquillizzarlo, padri che restano impressi con terrore nella memoria, tremende immagini di genitori cannibali alcolizzati che ritornano quando meno te lo aspetti. Attraverso flash improvvisi. Attraverso avvisi, frasi, insiemi di coincidenze, impensabili e impalpabili presenze. E’ perfetto questo libro, nella sua costruzione, dove alcune parti raggiungono l’apice di una scrittura magistrale energica e furibonda, e altre parti si appiattiscono insieme alle cene che devono raccontare, ai discorsi banali, (“Ma quando Nadine filtrava senza ritegno con me-allora la noia e i cliché della provincia soffocavano qualsiasi entusiasmo per la mia nuova vita di uomo deciso a trasformarsi nell’adulto responsabile che probabilmente non sarebbe mai diventato….eravamo un gruppo qualsiasi di normali papà,insomma, e ci crogiolavamo nella morbida luce del benessere che avevamo creato unendoci alle nostre genericamente belle consorti nel tentativo di assicurare un posto al sole ai nostri figli perfetti..”) ai colloqui da incubo con gli insegnanti della scuola così in che mette soggezione. C’è riflessione e poi fantasmagoria, proiezione visionaria e quotidiana apatia fra le pagine di questo grande libro sospeso fra il post moderno e il passato, c’è una critica neanche tanto nascosta al folle degrado di una certa società americana che imbottisce di psicofarmaci i bambini di sei anni e li rende imbambolati fantocci davanti a terroristici e violenti videogames. E’ un libro malinconico, a tratti morale, anche se pare che a quella morale, poi, Ellis voglia infondere un cinismo nascosto che riesce a far capolino, un libro capace di disorientare, stupire, commuovere, spostare il centro della narrazione, rimetterlo al posto in cui non era(come i mobili in casa), farsi inseguire. E’ un auricolare collegato al proprio passato e a quel presente che le droghe e l’alcol impediscono di vivere fino in fondo, un auricolare che manda strani segnali a intermittenza, o rassicuranti onde lunghe o un silenzio che sa di fine e di cenere, è una sarabanda di sorprese, è la realtà che apre mondi immaginari e l’immaginazione che apre mondi reali. Un romanzo capace di regalare momenti altissimi di narrazione, fra i tanti questo.
” Le ceneri si alzarono nell’aria salmastra sparpagliandosi al vento e tornando indietro, ricadendo nel passato e coprendo le facce dei presenti, impolverando ogni cosa, e poi si accesero in un prisma e cominciarono ad assumere forme e a riflettere le immagini degli uomini e delle donne che avevano creato lui, me e Robby. Turbinarono sul sorriso di una madre e coprirono la mano tesa di una sorella e scivolarono lungo le cose che volevo condividere con tutti…le osservai mentre continuavano ad alzarsi e a danzare sopra una quantità di immagini del passato, cadendo giù e poi tornando a volare in aria, e le ceneri si alzarono sopra una giovane coppia che guardava in cielo e poi la donna fissò l’uomo che le porgeva un fiore e i loro cuori battevano forte mentre si aprivano lentamente e le ceneri si posarono sul loro primo bacio e poi su una giovane coppia che spingeva una carrozzina al Farmer’s Market …“
Difficile pensare a cosa potrà scrivere Ellis dopo questo libro in cui entra con nome, cognome, vita ,vizi, entrate uscite e vitalizi, in cui ipnotizza e devasta il lettore con le sue esilaranti descrizioni di fameliche e opulente vite, sia normali che fuori dagli schemi, tanto è sempre la stessa allegoria, lo stesso demone, fino a quando non sono proprio gli schemi a vacillare, a franare come una diga devastata dall’impeto alluvionale del capolavoro.
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