“Da me a me” di Anthony M. Paglia, recensione di Lorenzo Spurio

Da me a me
di Anthony M. Paglia
Narcissus.me, 2013
Pagine: 162
ISBN: 9788867558179
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Recensione di Lorenzo Spurio

41W8v4cRE+L__AA258_PIkin4,BottomRight,-31,22_AA280_SH20_OU29_E’ convinzione comune e per lo più errata che un bambino che  vive in stato di inaffettività genitoriale o sottoposto a singolare vicende durante l’infanzia, possa riportare durante il suo percorso di crescita delle problematiche psicologiche motivate da un certo trauma che ne minino la stabilità. Non è, però, quello che accade a Giacomo, il protagonista di questo romanzo di Anthony M. Paglia intitolato “Da me a me”. La storia contenuta in queste pagine non è facile perché si intesse su una serie di motivi difficili che fanno riferimento al trascorso affettivo del protagonista, un rispettabile uomo sessantenne senza figli a cui viene data in affido una ragazzina non ancora maggiorenne, figlia di un suo amico deceduto. Le immagini che contraddistinguono i vari episodi che l’autore narra si connotano per essere violente e l’autore quasi si domanda se Anthony M. Paglia non abbia in realtà calcato troppo la mano e voluto inserire troppe cose in questo romanzo.

La storia si apre con l’affido di Giulia, una ragazza che ha tentato il suicidio più volte e che è stata rinchiusa in una clinica dove, pure, i medici cercano di curarla dall’anoressia. Piano piano l’autore sviscera le ragioni del mal di vivere della ragazza rintracciandole nel grande amore verso il padre che, però, è venuto a mancare perché assassinato per la strada in circostanza mai chiarite, ma che lo vedono, forse coinvolto nella frequentazione di prostitute o legato a un sistema mafioso, e sua madre che, invece, non si è mai interessata a lei e che l’ha procreata semplicemente per adempiere a un impegno preso con il padre.

Anche la personalità di Giacomo è abbastanza complessa; è un sessantenne solo che ha avuto due grandi esperienze amorose alle spalle, entrambe finite, una a causa del ritiro della donna in un convento di clausura, l’altra a causa di suicidio assistito dopo la scoperta di un tumore. Giacomo ha trascorso la sua infanzia con il calore e l’amore deviato della sua balia con la quale, nel tentativo di ricercare l’affetto che la madre non era in grado di dargli, è finito per unirsi sessualmente. Del padre, al contrario, restano ricordi piuttosto positivi se ricordato da solo, senza la presenza della madre, alla quale era brutalmente assoggettato a livello mentale tanto da diventare una marionetta: “Mi ero convinto che quello di mia madre fosse un meccanismo perverso, dire una cosa e poi negarla, chiederne una e poi dire di non averlo mai fatto per confondere e sottomettere mio padre, rendendolo un fantoccio. Oppure semplicemente per litigarci, poter urlare, fare una scenata, dopo sembrava ricaricata, come se avesse assorbito le sue energie, succhiato la sua linfa vitale. Bastava guardarli. Lei pimpante e rilassata, la schiena dritta e lo sguardo altero, sicuro che guardava verso l’alto, la sua dimensione giusta. Lui con schiena ricurva, gli occhi verso il basso come se fosse lo straccio bagnato che si passa sul pavimento” (p. 52).

La distorsione dei rapporti che Giacomo è portato a sperimentare sulla sua pelle in un clima familiare dove dominano la sopraffazione e l’indifferenza lo porterà ad avere addirittura un rapporto sessuale con la madre quando lei, ormai, è diventata completamente pazza. Di questo il lettore ne verrà a conoscenza solo nelle ultime pagine del libro e nel racconto che fa a Giulia osserva: “Da piccolo mi mancò terribilmente una madre normale” (p. 65). Poi il doloroso e poco imprevedibile atto estremo del padre, il suicidio, l’unico mezzo con il quale riuscì a sottrarsi dalla donna che gli aveva rovinato la vita, gesto che Giacomo non è in grado di condannare, ma che condivide.

La cornice narrativa è quella dei dialoghi serrati che l’uomo ha con la ragazza che le viene data in affido e che si porta a casa con sé, all’interno dei quali si inseriscono i ricordi melanconici e tormentati del passato dell’uomo che, da subito, alla ragazza chiarifica la sua volontà: prenderla con sé nella sua casa per adempiere alla volontà del padre, adducendo che a livello sessuale non è attratto da bambine e, soprattutto, che è impotente. I due trascorreranno molte giornate insieme durante le quali si conosceranno e Giulia, seppur non lo riconoscerà mai verbalmente, comincerà a provare un vero affetto nei confronti di Giacomo. Ed è in questo modo che anche la ragazza racconta il disagio che ha vissuto sulla sua pelle e che l’ha portata in clinica: non solo l’esaurimento dovuto alla morte del padre, ma anche la relazione sessuale con un uomo molto maturo che, in virtù della sua bellezza, le aveva proposto di lavorare nel mondo della moda, forzandola però a dimagrire (“Scoprii di essere grassa, la mia 40 per loro era troppa roba”, p. 87).

L’anoressia, della quale al termine del romanzo, non ci è detto se la ragazza è guarita o no, quale disturbo alimentare non è che la risposta a una serie di condizioni alle quali è stata sottoposta che l’hanno ridotta a pesare cinquanta kili. Essa si lega a una serie di altre condizioni che evidenziano deficienze nell’utilizzo del proprio corpo quale l’impotenza di Giacomo alla quale si è accennato che, come il lettore poi scoprirà, non esiste. A livello sessuale la panoramica delle vicende che vengono raccontate è varia: si va dalla pedofilia (Giulia ha rapporti sessuali con l’uomo che la introdurrà nel mondo della moda quando non ha ancora diciotto anni), al lesbismo (di Giulia con una sua amica, osservato vouyeristicamente, non visto, da Giacomo), all’incesto (di Giacomo con sua madre) e addirittura a uno spiazzante coup de theatre che vedrebbe Giulia essere un ermafrodito.

Nel romanzo assistiamo a manifestazione inaudite di cattiveria e di violenza che possono far chiedere al lettore quale sia il reale intento dell’autore: se dipingere una realtà sociale ormai disfatta, rovinata dalle sue stesse mani o se, invece, far riflettere su quanto la vita a volte possa accanirsi con una sola persona. Suicidi, inaffettività, violenze psicologiche, episodi di pedofilia, drammi personali, amori persi e ritrovati dopo tanto, quando non c’è più tempo per poterli rivivere perché intanto la vita ha fatto il suo tempo e sono sopraggiunti mali incurabili come nella storia di Giacomo con Lucia, chiarificano al lettore quanto la vita umana sia spesso accidentata da episodi non voluti, arrivati per caso e ai quali l’uomo deve sottomettersi per cercare un futuro migliore, convivendo con essi e costruendo la sua personalità, giorno dopo giorno, su queste circostanze.

Quando la desolazione interiore per tanto male di vivere può attanagliare l’anima, la confessione dei propri tormenti a qualcuno può diventare un percorso salvifico ed è ciò che Giacomo fa nei racconti a Giulia nei quali in fondo finisce per parlare quasi sempre di lui, come il titolo del libro stesso evidenzia “Da me a me”. Il discorso è concentrato principalmente sul Giacomo di allora e il Giacomo di adesso, un rimbalzo di palla tra infanzia e maturità, dolori e privazioni che lo porterà, come si è detto ad attaccarsi a Giulia con un reale carico affettivo. Ci sarà tempo anche per un loro rapporto sessuale, è vero, ma come ricorda la ragazza, il sesso oramai nella nostra società e come siamo soliti intenderlo, non è che un gioco atto al puro divertimento: “Scopare non conta niente, importanti sono sole le parole, quelle vere e quelle finte ma comunque dette” (p. 157).

Sembra non esserci troppo spazio ai sentimenti nel personaggio di Giulia che, però, una volta che scopre l’assenza per sempre dell’uomo che ha imparato a conoscere e che con la sua terapia dialogica l’ha effettivamente curata, ne sentirà una profonda mancanza.

Lorenzo Spurio

-scrittore, critico letterario-

 Jesi, 15-08-2013

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“Dicotomie” di Nazario Pardini, recensione a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 DICOTOMIE di Nazario Pardini

 Recensione a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

imagesCAG2LL81Si può dire che ormai Nazario Pardini si presenti come uno dei poeti di grande e notevole spessore del secondo Novecento italiano. Ciò che colpisce di primo acchito è la sua capacità espressiva rigorosamente sintetica che ha conservato, delle prime opere, la schiettezza e l’incanto stilistico, oltre che l’efficacia di una fervida creatività e fantasia. La sua poesia è profonda, illuminata, incisiva con un nitore e una fluidità eccezionali. 

Si tratta davvero di un libro diverso, insolito e stupefacente, il suo Dicotomie perché fuori dagli schemi, nonché diverso anche dai suoi precedenti. Dunque, ritengo sia l’opera della piena maturità, il “clou” della sua attività poetica, incardinata nel senso della vita di cui ha percorso ogni tratto di strada, ogni sentiero impervio, ogni segmento vitale e ogni morte del passato, tra interiore ed esteriore, tra sacro e profano. Il poeta è perfettamente in sintonia con quell’idea di “poesia onesta” di sabiana memoria, una parola che non sia artefatta, arzigogolata e non si compiaccia del proprio potere magico che pure ha a iosa, ma che aderisca alla vita, all’idea di onestà del linguaggio, in una prospettiva storica e umana che ne contenga principi spontanei e linearità, visione della realtà e condivisione con gli altri. In questo libro Nazario Pardini raggiunge la perfezione senza nulla perdere in termini di fascino, d’eleganza della scrittura. Il poeta possiede il carisma come strumento di suggestione poetica, vi si evincono precisione d’immagini, testi memorabili e folgoranti. Sufficienti pochi versi per capire come l’autore sappia coniugare alla perfezione tutti i capitoli della sua storia con estrema semplicità, con sofferta e matura sensibilità emozionale, consegnandoci spaccati di vita e di memoria inossidabili. La poesia di Nazario Pardini è intessuta di nostalgia, si respira in abbondanza una diffusa serenità, in atmosfere calde e suggestive. “non profumano più quei bocci bianchi;/ ci sono uccelli a branchi/ che roteano largamente sui detriti/ dell’ingordigia umana”. L’accento viene posto con lucidità, ma anche con tenero distacco, con sensazioni e pensieri che si avvalgono di un linguismo chiaro, nitido, semplice, raffinato che possiede la grande capacità di testimoniare sul piano letterario un livello che salta all’occhio, per la grande compostezza del modulo espressivo, la trasparenza e la levigatezza del verso.

Segno di grande maturità e autentica vocazione, voce limpida che sa giungere direttamente al cuore del lettore:

Facemmo un ombrello di carta e la sera
ci avvicinò con l’aria
seviziata dai guizzi del tramonto.
Restammo assieme a lungo
sotto il battito
di quella volta fragile.
Poi il silenzio
di me che non sapevo il giorno,
di te che ti affidavi a sera
delle parole al volo,
ci cullò quasi vestito
dei fremiti del mare.
Andare, andare era il tuo sogno.
 
Al semaforo un emigrante lavavetri
cercava tra i colori delle case
un qualcosa che portasse al suo paese.”

 

Anche il pensiero poetante illuminato dalla luce spirituale è un tratto distintivo di Nazario Pardini: i toni epico-lirici sono pervasi da una tensione orfica e di un trasfondere di coscienza che si evince e si individua come autentico e matamorfico coacervo di storia, che indaga il tempo e gli eventi, l’umanità e la divinità dell’universale che non si limitano a descrivere momenti solo alti, ma va al di là, oltre la ferita umana, oltre la fatica esistenziale per rivendicare un po’ d’infinito, quantomeno, la sensibilità di un “perdono” a qualche nota stonata, a qualche rievocazione di silenzio trafitto, che evidenzia e mette in luce il pianto e il dolore universali, tra i riconoscibili segni di questo ottimo poeta. Insomma un libro che c’è, è presente, si fa riconoscere, raggiunge note alte, armonizzandosi alla coscienza planetaria. Si presenta carismatico col segno preminente della pietas, tra gli aneliti estremi del perdono che si configura come immagine di un simbolismo misterico assoluto che pare redimere e del quale tutti ne costruiamo la spiritualità e i sentimenti, umanizzandone solitudini e assenze e aprendo il cuore alla bellezza del creato. Superlativi ad es. questi versi in memoria della madre:

Non di rado,
alla sera, il tramonto si gonfiava
per toccare coi suoi colori d’oro
la mota di quei solchi. E mia madre
si stupiva davanti a quei colori,
davanti a quella volta iridescente.
Con il falcino in mano, e il volto stanco,
ammirava, stupita,
quei giochi del tramonto sopra il campo.
 

La straordinarietà della poesia di Pardini consiste nel voler sottrarre la bellezza della natura, del sogno, del mito agli annichilenti artigli del tempo, alle incidenze delle scoloriture e recuperarle alla vita, limitandone l’entropia e la corruzione, prolungando fin dove possibile le accensioni sublimi delle sue cromature, dei suoi riverberi, fermandone le note essenziali in atmosfera d’anima, con la struggenza ineluttabile e tragica della partecipazione, attraverso il sortilegio del ricordo o di una parola intensa e metafisica che possa limitare i danni della sua autodistruzione nei correlativi analogici oggettivi di eliotiana memoria.  

 

QUESTA RECENSIONE VIENE PUBBLICATA DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

 

 

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