Il prete incriminato: Il dubbio (2008)

Il film Doubt (Dubbio), regia e sceneggiatura di John Patrick Shanley, calato nell’America degli anni ’60 affronta un tema molto delicato e che in tempi a noi recenti ha avuto grande eco a seguito di numerosi casi veri e presunti che si sono manifestati e che hanno macchiato l’immagine della Chiesa Cattolica. Nel film infatti c’è una persistente convinzione nella sorella Aloysius che il parroco Flynn abbia intrattenuto strani rapporti con uno dei suoi chierichetti, il ragazzo nero Donald Miller. Tutto il film è improntato a condannare l’uomo, anche in mancanza di forti prove, a screditarlo, per farlo cedere e farlo confessare. Tuttavia non ci sarà nessuna confessione nella storia e tutti, compresi noi spettatori, rimaniamo con un grosso dubbio, impossibilitati a scoprire da che parte sia la realtà. Il chierichetto fu davvero oggetto di morbosi interessi da parte del prete o la suora Aloysius ha ingiustamente macchiato la sua figura in virtù dei suoi pregiudizi e delle sue intuizioni? Non lo sappiamo. Il dubbio, che viene richiamato nella predica iniziale del sacerdote domina su tutta la storia ed è proprio lì che risiede il vero significato dell’intero film. Siamo noi giudici degli eventi. Siamo noi chiamati a dare un’interpretazione. Siamo noi a chiudere la storia come crediamo.

Negli ultimi decenni la cronaca ha riportato (con ritardo) numerosi casi di preti pedofili e addirittura di vescovi ed alti prelati che per troppo tempo hanno coperto tali mostruosità. Uno studio commissionato dalla Conferenza Episcopale Americana nel 2004 ha sottolineato che il 4% di sacerdoti e diaconi americani nell’arco temporale dal 1950 al 2002 si sono resi responsabili di atti osceni per reati di ordine sessuali con minori[1].  Solamente una minima parte di questi cioè appena il 0,23% è stato condannato secondo le leggi previste dai rispettivi stati americani. Quest’esempio è eclatante di come le violenze di membri del clero oltre a non venire riconosciute, non vengono condannate e quindi non vengono ripagate dai carnefici. Lo stesso è avvenuto e avviene in tutti gli altri paesi del mondo più o meno nella stessa maniera (si ricordi i preti pedofili irlandesi e quelli americani di Los Angeles, Boston e Chicago dove in quest’ultimi casi anche gli alti ranghi del clero erano a conoscenza dei crimini ed hanno taciuto).

La Chiesa ha sempre cercato di minimizzare, divagare e spesso di negare anche dinanzi all’evidenza. Si trattano di pagine nere della storia e della nostra attualità che in molti casi hanno animato anche un sentimento di astio e di ripugnanza nei confronti della religione e della Chiesa in generale. Si è trattato ovviamente di reazioni esasperate, drammatiche e forse esagerate. Le uniche misure prese (non sempre) dai cardini della Chiesa nei confronti di preti colpevoli è stato quello di trasferirli da una parrocchia ad un’altra, da una diocesi ad un’altra. Misure come la scomunica e la revoca del mandato, dà sempre predilette dal Vaticano, sono state evitate.

La peculiarità del film in questione non è quella di affrontare questo tema difficile che credo sia stato già impiegato in maniere e forme diverse in altri film ma di calare la storia nell’America degli anni ’60, dominata da una morale ancora austera e che si sarebbe rinnovata solamente con i grandi fermenti giovanili, femministi, antimilitaristi del movimento giovanile del ’68. Vediamo più nel dettaglio che cosa succede nel film.

La severa suora Aloysius (Meryl Streep) è direttrice della scuola e ha metodi d’insegnamento molto austeri che prevedono anche punizioni corporali nei confronti degli alunni mentre la suora James (Amy Adams), più giovane, è molto buona e comprensiva nei confronti dei ragazzi. Tutto il film avviene in ambienti religiosi (la scuola retta dalle suore, la canonica e la chiesa).

La sorella James riporta alla superiora Aloysius di un comportamento strano del reverendo Flynn (Philip Seymour Hoffman) nei confronti di un alunno di colore, recentemente arrivato alla scuola, di nome Donald Miller (Joseph Foster). La suora evita di indagare sul reverendo che, secondo la gerarchia ecclesiastica ricopre un ruolo a lei superiore e convoca il reverendo del suo studio per affrontare la questione. Il parroco dà la sua personale versione dei fatti dicendo che il giovane Donald Miller aveva segretamente bevuto il vino delle ampolline per l’eucarestia e così lui l’aveva richiamato per ammonirlo ma affinchè il ragazzo non perdesse il suo incarico di celebrare messa (per aver bevuto alcool) la notizia non venne divulgata dal sacerdote e messa a tacere. La suora James capisce che ciò che aveva intuito era sbagliato ed è contenta nell’ascoltare quanto sia realmente accaduto per bocca del reverendo ma sorella Aloysius non è convinta della sua spiegazione e comincia a dubitare del parroco. Lo tiene sott’occhio, lo osserva, cerca di indagare. Per tutto il film le parole ‘pedofilia’, ‘abusi sessuali’ non vengono mai fatte ma ogni volta che nel discorso ci si riferisce ad esse si parla di attenzioni particolari del parroco nei confronti del ragazzo. Tutto il film è improntato alla ricerca della verità, della sicurezza che però non sarà mai trovata perché il dubbio domina su tutto non permettendo di giungere a una soluzione della questione. Singolare a proposito del dubbio è il sermone iniziale che il reverendo tiene durante una messa nel quale sostiene «Il dubbio può essere una grandissima forza unificante, al pari della certezza».

Il dubbio che aleggia attorno a tutta questa storia è l’impossibilità di avere certezze e sicurezze su quanto realmente sia successo. Tutto resta vago, possibile ed ambiguo. Mentre la sorella Aloysius nutre dubbi sul reverendo, la sorella James dall’altra parte non ne ha nessuno. Alla fine con uno stratagemma la sorella Aloysius riesce a far abbandonare il sacerdote la parrocchia ma la cosa più strana è che il vescovo lo affida ad un’altra parrocchia, elevandolo anche di grado e garantendogli anche la dirigenza della scuola parrocchiale[2].

Il dubbio che si crea rappresenta l’impossibilità di dividere il buono dal cattivo, il sano dal depravato, il vero dal falso ed è una continua corsa e lotta tra gli elementi che costituiscono queste antitesi. L’autore ci suggerisce che tra nero e bianco non c’è il vuoto ma c’è sempre uno spazio liminare indefinito, grigio, nebuloso che pur distanziando le due parti allo stesso tempo le mette in comunicazione. Il bianco e il nero ritornano ampiamente nel film: il bianco dell’innocenza e della verginità dei ragazzi, dell’ostia, simbolo del sacrificio di Cristo, dell’acqua in una delle ampolline dell’eucarestia e il nero del saio del reverendo ma anche quello delle vesti delle suore, il colore della pelle del ragazzo, l’ombra della chiesa, il cielo scuro e il nero del vino rosso in una delle ampolline per l’eucarestia. E’ un contrasto appariscente, quasi stridente. Colori e contrasti che ritroviamo nella copertina del dvd dove una grande croce nera su un campo bianco è impiegata per contenere il titolo, gli attori e tutte le informazioni di produzione del film. L’asta verticale della croce ha la forma del tetto di una chiesa mentre la lettera iniziale del titolo con un carattere antichizzato richiama un’atmosfera gotica. La croce e la Chiesa nella copertina sono colorate di nero mentre il titolo Doubt è riportato in bianco. Non credo sia una scelta dettata dal caso. Se immaginiamo il negativo della copertina siamo sicuri che la nostra interpretazione e simbologia data ai colori rimanga inalterata?

FONTI:

Manohla Dargis, “Between Heaven and Earth, Room for Ambiguity”, The New York Times, 12 December 2008

Jane Wheatley, “John Patrick Shanley’s Doubt: in the Church of Poisoned Minds”,The Sunday Times, 22 January 2009.


LORENZO SPURIO

29-04-2011



[1] Lo studio che fornisce questi dati è contenuto nel testo The Nature and Scope of the Problem of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests and Deacons in the United States, meglio conosciuto come John Jay Report il cui testo completo può essere letto collegandosi al sito http://www.usccb.org/nrb/johnjaystudy/ .

[2] Questo atteggiamento degli alti livelli del clero non deve stupire in quanto anche nella realtà spesso vescovi e cardinali hanno utilizzato il trasferimento da una parrocchia all’altra di sacerdoti compromessi in vicende quali abusi sessuali. Ovviamente il trasferimento si configura sia nel film che nella realtà dei fatti una misura inefficace e insensata poiché le cronache riportano numerosi casi di sacerdoti che trasferiti di sede hanno perseverato nei loro abusi sui minori.

The River Wild – Il fiume della paura (1994)

Il film The River Wild (The River Wild – Il fiume della paura, 1994) è un film diretto dal regista Curtis Hanson. Si tratta di un thriller completamente ambientato nella natura selvaggia, delle montagne dell’Idaho con la costante presenza del fiume Salmon.

Gail Hartman (Meryl Streep), esperta guida di montagna e conoscitrice delle tecniche del rafting, decide di trascorrere alcuni giorni a contatto con la natura assieme al figlio Roarke (Joseph Mazzello), navigando le acque del fiume Salmon nell’Idaho. Assieme a loro portano il cane di famiglia.  La relazione di Gail con il marito, Tom (David Strathairn), sembra ormai essere in crisi. Tom, geometra, è sempre impegnato a disegnare bozzetti e pensa al suo lavoro.  Al momento della partenza con il gommone per il viaggio lungo il fiume Gail e Tom conoscono un uomo anch’egli in procinto di navigare il fiume e che si professa un conoscitore della natura e delle rapide del Canyon.

Con sorpresa di Gail e di Roarke, Tom rispettivamente marito e padre dei due, giunge sul posto, intenzionato a trascorrere quella vacanza a contatto con la natura assieme alla sua famiglia, portando rigorosamente con se i suoi bozzetti a cui lavorare.

Durante il percorso lungo il fiume, sovrastato da possenti montagne e da una natura incontaminata, la famiglia incontra Wade (Kevin Bacon), l’uomo conosciuto precedentemente assieme ad un altro uomo di nome Terry (John C. Reilly). All’apparenza sembrano entrambi persone socievoli e amichevoli ma ben presto tramuteranno l’allegra vacanza della famiglia in un vero incubo.

La famiglia verrà presa in ostaggio, malmenata e sottoposta alle volontà di Wade e Terry i quali squarciano il loro gommone, costringendo la famiglia a viaggiare con loro. Il percorso lungo il fiume, oltre ad essere minacciato dalle rapide tortuose e dai massi spioventi, è terrorizzante per la minaccia dei due sequestratori i quali hanno delle armi con loro e stanno fuggendo perché sono due latitanti. La vacanza lungo il fiume diventa uno spregevole viaggio dominato da ansie, inquietudini e paura di morire.

Il film vuole forse suggerire come anche un posto estremo e incontaminato come la natura selvaggia dell’Idaho non possa del tutto sottrarsi alla malvagità insita nel genero umano. Uno spazio edenico, la purezza della wilderness divengono, quasi in maniera paradossale, il luogo del male e del crimine (la fuga dei latitanti, il sequestro e la minaccia con le armi).

Per un attimo sembra che il destino della famiglia possa risorgere quando sulla scena arriva un ranger del parco di nome Johnny (Benjamin Bratt). La famiglia sotto minaccia delle armi non può rivelare all’uomo che sono stati sequestrati e poi Wade uccide il ranger gettandolo nelle rapide.

Wade a Terry chiedono a Gail di guidare il gommone verso un punto del fiume particolarmente pericoloso, ricco di rapide e dove anni prima una coppia ha avuto un grave incidente in cui una persona è morta e l’altra è rimasta paralizzata.

Verso la fine la situazione precipita e Tom cerca di uccidere Wade, c’è una lotta tra i due ma momentaneamente entrambi si salvano. La battaglia termina con Gail che getta un borsone nell’acqua e da esso fuoriescono le banconote che i due tizi avevano rapinato e la stessa che spara mortalmente a Wade. Il male è stato eliminato, la famiglia si scopre più unita che mai e Terry viene arrestato dalla polizia.

Il regista sembra voler suggerire che avvenimenti forti e psicologicamente destabilizzanti quali il sequestro, la minaccia sotto armi, il tentato omicidio possono essere elementi che hanno alla fine un risvolto positivo nella coesione dell’unità familiare che all’inizio della storia era profondamente compromessa. In altre parole la violenza, la minaccia e la paura della morte rendono palese ai vari personaggi quanto sia grande il valore della vita e con esso il ruolo della famiglia.

Probabilmente se niente di tutto questo non fosse accaduto la coppia Gail-Tom, rinchiusa nella solita monotonia e fissità domestica, avrebbe finito per separarsi o divorziarsi mentre l’happy ending che solitamente nel thriller non è mai garantito, qui risulta una chiave d’interpretazione buonista e conciliatoria di come le relazioni umane possano cambiare in base agli eventi che accadono o che non accadono.

Il film fu accolto dalla critica con opinioni divergenti e contrastanti. Alcuni parlarono di una trama debole ma enfatizzarono il setting naturalistico e selvaggio che fa dell’intera storia il punto di maggior forza evitando di presentare una banale thriller story ma ampliando l’interesse cinematografico anche verso l’aspetto visivo e legato all’azione. Le scene di rafting lungo il pericoloso fiume richiamano all’attenzione il tradizionale tema di sfida dell’uomo alla natura e ci immergono in uno spazio estremo e particolarmente minaccioso.  Inoltre, la presenza dell’attrice Meryl Streep nei panni di Gail arricchisce ulteriormente la pellicola.

Il critico americano Roger Ebert diede un’analisi abbastanza negativa del film sostenendo che « film come questi sono troppo prevedibili […] The River Wild fu costruito a partire da molte idee, personaggi e situazioni riciclate da altri film».[1]

Secondo il mio modesto parere si tratta di un ottimo film, ricco di elementi e chiavi di spunto per un’eventuale analisi più dettagliata. Coniuga generi diversi che vanno dal thriller, all’azione fino al film naturalistico in cui i vari aspetti sono coniugati e tessuti in un’unica trama particolarmente avvincente e innovativa. Seppur il critico Robert Ebert sostiene che i temi, i personaggi e gli elementi messi in scena non sono altro che una rivisitazione di altri film, a tutt’ora non ho trovato nessun film analogo che mi abbia trasmesso la stessa suspance e desiderio di vedere il film con coinvolgimento sino alla fine.

 

LORENZO SPURIO

03-03-2011

 


[1] La traduzione dell’estratto è mia. Il testo originale è: «movies like this are so predictable in their overall stories that they win or lose with their details…The River Wild was constructed from so many ideas, characters and situations recycled from other movies that all the way down the river I kept thinking: Been there.», in Rogert Eber, “The River Wild”, Chicago Sun Times, 30 September 1994.

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