N.E. 02/2024 – “La sacralità nella natura”. Intervista a Mirella Crapanzano. A cura di Lucia Cupertino

Cara Mirella[1], grazie per aver accettato questa intervista sulla tua ricerca personale come poetessa che ci permetterà di conoscerti meglio ed esplorare con più profondità il tuo universo poetico. È impossibile scindere i poeti dai luoghi che abitano. Raccontaci dunque la relazione tra il tuo luogo, immerso nello splendore delle Alpi, la vita comunitaria che conduci e la pratica di scrivere poesia.

Grazie a te, Lucia, per l’invito, come tu ben sai, la mia poesia nasce dall’esigenza di esplorare la quotidianità attraverso la spiritualità e viceversa, conferire ad ogni azione della mia giornata un valore, a cominciare dalla meditazione mattutina, perché questo significa predispormi a tutte le altre attività, con la giusta attenzione e centratura. C’è una relazione profonda, per me siciliana, agrigentina, nata vicino al mare e innamorata dei luoghi dove sono cresciuta fin da piccola, tra la bianca magia della Scala dei Turchi e la Valle dei templi, dove giocavo e respiravo la bellezza dei miti della mia terra e quest’altra terra bellissima, dove vivo da quasi trent’anni, la Valchiusella, ricca di boschi, laghi, torrenti, a pochi chilometri da Ivrea. Incastonata in questa valle c’è una comunità spirituale, Damanhur, conosciuta in tutto il mondo e meta di ricercatori, sognatori, ma anche curiosi in cerca di nuovi modelli sociali in cui poter vivere, come si diceva una volta, a misura d’uomo. Sono arrivata qui con il sogno di trasformare la mia esistenza, di intraprendere un percorso personale che mi desse l’opportunità di raggiungere quello spazio sacro in fondo al cuore, dove si dice, esserci “la stanza che contiene tutte le risposte”.

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Nella tua produzione poetica si respira una spiritualità molto accesa e in cui la natura apre una specie di portale magico per meditare sulla realtà è sul nostro tempo, è così? Cosa attiva la tua ricerca poetica e quali sono le “scoperte” a cui giungi?

La poesia è diventata, col tempo, la chiave che mi permette di svelarmi, che raccoglie con la sua essenzialità quello che le parole quotidiane non sanno dire: è la poesia che si avvicina alla mia anima e ne coglie l’inesprimibile. Vivere immersi nella natura cambia il proprio orientamento: i sensi si ampliano, le percezioni, le intuizioni, i sogni si colorano e si affinano, si riscopre un linguaggio ancestrale ricco di profumi, segni, che col passare degli anni, delle esperienze vissute, portano significati che aprono alla visione e all’ascolto della vita. Come la musica suscita armonia e tocca corde che fanno vibrare l’anima, così la poesia si accende dei suoni del bosco, dei colori del cielo, entra in empatia con gli spiriti dei luoghi, degli esseri di natura che vivono dove la natura è incontaminata ed è così che, amplificando ogni più piccola scoperta, la poesia diventa il linguaggio privilegiato dello spirito. 

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L’autrice Mirella Crapanzano

Nel tuo più recente libro La fragilità del bruco (Macabor 2020), lo stato transitorio di fronte a cui vita e morte ci pongono costantemente apre le porte ad una filosofia dell’accettazione e della diminuzione del proprio “io”. Com’è nato questo libro che, come recita un suo verso, cerca di muoversi oltre quel “perimetro di certezza”, che portiamo sempre con noi?

Nel libro La fragilità del bruco scrivo dello stupore della vita, attraverso quello che pensiamo sia un confine, la vita e la morte che invece è passaggio alla trasformazione. Nel caso del bruco vediamo la “metamorfosi” di un essere che “rinasce” sotto altre sembianze, conclude un ciclo per cominciarne un altro. Un essere di terra, il bruco che diventa farfalla, un essere d’aria, di cielo, se vogliamo. La metafora di due aspetti, vita e morte, che contengono al loro interno l’evoluzione, la trasformazione e che sono imprescindibili l’una dall’altra e sono così colme di fascino e mistero. Attraversare questi stati dell’essere, in maniera lucida, consapevole, con rispetto e dignità significa aver vissuto bene.  E quello che rimane di noi è l’essenza preziosa, è l’amore che abbiamo saputo coltivare.

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Nelle tue raccolte poetiche precedenti la natura è la grande protagonista, ma qual è il percorso che ti ha portato dalla tua prima pubblicazione nel 2014 ad oggi? Qual è stata l’evoluzione del tuo linguaggio poetico a tal riguardo?

Nei miei libri, esiste un costante riferimento, sottile e sottinteso, alla poesia come dimensione libera, l’unica forse in grado di dialogare con aspetti diversi dell’esistenza, come l’umano e il divino, i mondi vegetali, minerali e animali per restituire ad ognuno la bellezza dell’unicità, la sacralità e il rispetto che ogni specie merita senza distinzione. Dialogare e dar voce ad ognuno di questi aspetti che “mi compongono” significa abitarmi come un luogo dove tutto può accadere.  Del resto, come ha ben scritto Franca Alaimo nella prefazione a La fragilità del bruco, “l’osservazione della realtà circostante, da cui si origina ogni testo della raccolta, viene dilatata fino a comprendere la vastità simbolica di ogni elemento che immette il lettore in una sorta di spazio sacro, in cui piante, animali, acque, terra e cieli sono allo stesso tempo concreti e spirituali.” Elementi che divengono tutti parte di una realtà non più separata ma infinitamente ricca e variegata nelle differenti unicità. 

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Nella tua poesia la punteggiatura scarseggia o è assente. C’è qualche legame tra questo e la tua visione del fluire delle cose, del ciclo, dell’ascolto dell’impercettibile?

La punteggiatura col tempo è sparita del tutto, proprio perché le pause in poesia, se non dettate dal silenzio, rischiano di non far fluire l’incanto della molteplicità della vita con tutte le emozioni, la passione che infine ci incalza a vivere. Come ha intuito Claudia Manuela Turco, a proposito della mia poesia, “la punteggiatura è divenuta superflua, quindi è scomparsa, e con la sua sparizione si sono arricchiti anche i significati dei segmenti di poesia in movimento.” Questo ultimo concetto in poesia diviene una sorta di caleidoscopio dove le immagini si trasformano, si aprono e divengono altro, una visione, un linguaggio, uno spazio che si apre e che ognuno può sentirsi libero di abitare. 

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Infine, la spiritualità è una ricerca costante. Ti definisci ricercatrice nel campo della poesia, delle arti pittoriche e visive. Come comunicano tra di loro per te queste tre arti e a quali esiti ti porta il crocevia che si crea tra di esse?

Preferisco definirmi una ricercatrice nei campi dell’arte e della scrittura, piuttosto che poeta, pittrice o altro, perché questo mi permette di scandagliare le forme in cui posso dipingere o scrivere, creare immagini, installazioni, senza dover appartenere necessariamente a un gruppo, una corrente filosofica, poetica o pittorica, anche perché ho attraversato diverse fasi e persino vite, pur se molte in questa stessa e ogni volta mi sono riscoperta simile e completamente diversa, ed è per questo, ad esempio, che anche la mia scrittura non è mai uguale. In comune queste arti mi danno la possibilità di percorrere colori e segni ancestrali attingendo a significati che la storia dell’umanità ci ha lasciato in eredità. Nella pittura mi esprimo con il linguaggio a me più congeniale, quello del colore, scrivo frequenze che posso comporre e leggere, le arricchisco di segni, ideogrammi, che servono a creare storie da raccontare e far sentire attraverso le emozioni e così nella poesia, vorrei far respirare queste frequenze, vibrazioni, allo stesso modo che nei miei quadri, perché conducano il lettore a far vibrare, per assonanza, il proprio suono interiore che va a costituire quell’accordo immenso di cui tutto l’universo vibra.


[1] Mirella Crapanzano (Agrigento, 1959) è pittrice e ricercatrice nel campo della poesia, delle arti pittoriche e visive. Ha pubblicato la raccolta Le stanze del fiore nero (Lietocolle, 2014), la silloge Terracqua (Terra d’ulivi, 2016) con la quale ha vinto il primo premio Castello di Prata Sannita L’Iguana 2017, dedicato a Anna Maria Ortese, per la poesia edita e il poemetto Il Labirinto (Il Convivio, 2018), per essersi classificata seconda al Premio, per sillogi inedite, Pietro Carrera.  La fragilità del bruco (Macabor, 2020). Sue poesie sono presenti in diverse antologie, alcune edite da Lietocolle, Fara editore, Terra d’ulivi e Macabor e su varie riviste poetiche online. 


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

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