N.E. 02/2024 – “Ut pictura poësis. La forma dello Spirito nell’opera di quattro celebri artisti-poeti”, saggio di Wanda Pattacini

Immagino lo Spirito come un soffio vitale che da lontano sfiora le chiome degli alberi spogli, senza foglie, sullo sfondo di un cielo indaco, quando la Natura è immobile e non c’è ragione fisica che giustifichi il vento. L’artista, ad occhi chiusi, attende l’ispirazione. Non indaga più le ragioni del suo sentire così profondo e oscuro, né del suo vedere al di là dell’apparenza effimera e fugace. Ormai sa: è solo uno strumento attraverso cui l’Essere sussurra o urla, rivelandosi. Ha risposto a quella chiamata da veggente, votandosi ad una esistenza spesso fuor di regola. Talvolta ha invidiato l’inconsapevolezza dell’uomo comune, ma non ha mai rinunciato al proprio dono, rimanendo fedele a se stesso e affinando le proprie doti espressive per tradurre in parole, colori, forme o note i quesiti insondabili dell’Esistenza.

Talora la chiamata dello Spirito è talmente forte che un’Arte non basta per dargli espressione. Un rapporto privilegiato è il binomio poesia-arti figurative. Già nella letteratura antica la relazione parola-immagine è frequente nell’uso della figura retorica dell’ekphrasis in grado di eternare in prosa o in poesia la magnificenza di manufatti artistici ideati dall’uomo. Si pensi allo scudo bronzeo di Achille descritto in un celebre passaggio dell’Iliade omerica o alla preziosa veste ricamata offerta come premio di una gara di corsa nella Tebaide di Stazio.

In questa sede, però, non indagheremo il potere del metodo ecfrastico in grado di trasformare le parole in pennello. Al contrario, passeremo in rassegna l’attività di quattro grandi personalità di artisti-poeti che hanno lasciato un segno indelebile e ineguagliabile usando diversi e molteplici mezzi espressivi, sempre allo scopo di dara forma visibile all’Invisibile.

Michelangelo Buonarroti

Secondo lo storico dell’arte cinquecentesco Giorgio Vasari l’artista che fra i morti e i vivi porta la palma e trascende e ricuopre tutti è il divino Michelangelo Buonarroti (1475-1564), ovvero colui che raggiunse l’eccellenza nelle tre arti maggiori – pittura, scultura e architettura – superando persino gli antichi. Sono capolavori universalmente noti il David marmoreo, la Pietà del Vaticano, gli Ignudi in torsione e le Sibille visionarie della volta della Cappella Sistina, la Cupola di San Pietro, metafora della volta celeste. Meno conosciuta al grande pubblico, invece, è l’attività di Michelangelo come poeta. Per comprendere l’importanza che la pratica letteraria rivestiva per lo scultore toscano basta citare le sue parole al momento dell’invio all’amico Vasari di due liriche di intonazione spirituale: “Messer Giorgio, io vi mando due sonecti; e benchè sien cosa scioca, il fo perchè veggiate dov’io tengo i miei pensieri”. Una cosa scioca dunque, eppure depositaria dell’inquietudine e della passione che ha animato i capolavori del Buonarroti, che ricomponeva, correggeva e riformulava i propri scritti poetici sempre in cerca dell’immagine più adeguata e della parola più adatta per esprimere verbalmente un concetto o uno stato d’animo. Le sue Rime, quindi, non sono un puro esercizio accessorio, ma il frutto di una vocazione autentica che completa e arricchisce la sua attività di artista.

Si pensi, a tal proposito, alla dibattuta questione del non finito michelangiolesco. Si tratta di un procedimento tecnico-artistico adottato sistematicamente dallo scultore che contrappone parti scolpite, finite e levigate a parti lasciate allo stato di abbozzo. Variamente interpretata come il “non portato a termine” o il “non pagato”, la spiegazione più suggestiva di questa pratica si rintraccia nella filosofia neoplatonica di cui l’artista era imbevuto sin dai tempi della frequentazione della cerchia di Lorenzo il Magnifico. Secondo quest’ottica, allora, gli incompleti Prigioni ideati per la Tomba di papa Giulio II sarebbero perfetti così, eternando il conflitto tra lo Spirito, levigato e netto riflesso della perfezione divina, e il Corpo, che intrappola l’Anima nelle spire della materia solo sbozzata e inerte, impedendole di raggiungere il suo Creatore. A supporto di questa teoria interviene il celebre sonetto “Non ha l’ottimo artista alcun concetto”, che esplicita l’idea michelangiolesca secondo cui la statua è già presente nel blocco di marmo e il compito dell’ottimo artista è semplicemente liberarla dal suo superchio, ovvero l’eccesso di materia, lasciando che la propria mano sia guidata dall’intelletto. Per Michelangelo, quindi, la scultura per via di levare è l’unica forma di scultura concepibile, come attestato dal madrigale “Sì come per levar, donna, si pone”. In questo componimento l’effetto della donna sull’amante è liberatorio e nobilitante perché in grado di liberare dalla sua carne (cruda e dura scorza) l’anima (l’alma che pur trema) dell’artista privo di volontà e di forza. Alla stessa maniera la viva figura della statua è liberata dalla pietra alpestra e dura grazie alla mano dello scultore.

Una interessante analogia si riscontra tra lo stile poetico e lo stile artistico del divino Michelangelo: in poesia è insofferente ai vincoli delle forme metriche obbligate, prendendo ispirazione dal modello dantesco e dalla regola petrarchesca, rinnovandoli, però, con uno stile più personale e riflessivo; nelle arti figurative e in architettura egli fissa in principio i canoni ideali della perfezione rinascimentale, per poi scardinarli dall’interno, configurandosi, quindi, come il primo manierista nella Storia dell’arte.

Artista visionario e poliedrico l’inglese William Blake (1757-1827) si distingue come incisore, poeta e pittore protoromantico. I limiti della realtà sensibile sono stretti per lui che indaga i temi della Bibbia con grandi stampe a colori e il mondo spirituale della Commedia dantesca con miniature. Come letterato – o dovremmo meglio dire veggente – ha ideato mondi immaginari divisi tra le opposte forze del Bene e del Male. I due stati contrari dell’anima umana trovano espressione nei Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza.

William Blake

Il confronto tra The Lamb e The Tyger è da manuale: le due poesie, che ad una prima lettura superficiale evocano due veri animali con le loro caratteristiche, condividono in realtà un significato più profondo, ovvero il problema della Creazione e dell’identità del Creatore (Little Lamb, who made thee?Tyger! […]What immortal hand or eye/could frame thy fearful symmetry?). L’agnello, allora, rappresenta la perfetta innocenza dell’infanzia e la tigre il male che proviene dall’esperienza. Ma l’innocenza è anche uno stato dell’anima che può essere presente in un adulto (si pensi al pronome I riferito al poeta stesso) e gli occhi ardenti (burning) della tigre bruciano di rabbia e violenza, ma sono anche luminosi (bright), trasformando l’animale in qualcosa di splendente, forse la luce dello Spirito che sottomette l’errore e l’ignoranza delle tenebre della notte (forests of the night). Lo stile poetico di Blake è essenziale, nudo e musicale: con un ritmo incalzante denso di simboli ed allegorie è in grado di tradurre in parole visioni mistiche e immaginifiche.

Una battaglia cosmica tra il Bene e il Male frutto di una spiritualità anticonformista si concretizza anche in campo pittorico, in particolare nelle opere del ciclo di acquerelli de Il Grande Drago ispirato ad alcuni passaggi dell’Apocalisse biblica. La speranza luminosa di una Donna incinta vestita di Sole – metafora della Chiesa o della Vergine Maria – si oppone alle cupe tenebre del Male incarnato in un enorme drago a sette teste e dieci corna, che cede i suoi poteri infernali ad una Bestia venuta dal mare. La forza mistica delle immagini apocalittiche è resa da Blake attraverso un segno grafico semplificato ed essenziale: una linea quasi fumettistica definisce figure surreali che dominano fondali evanescenti, privi di indicazioni di profondità, ad alludere ad una dimensione altra, parallela ed alternativa a quella umana.

Edvard Munch

L’indagine dello Spirito e di intensi stati emotivi è il principale oggetto di interesse dell’artista norvegese Edvard Munch (1863-1944). E la Natura è il suo mezzo di espressione. Così scriveva il pittore sul suo taccuino nel 1908: “la Natura non è soltanto ciò che è visibile all’occhio – sono anche le immagini interiori dell’anima – sul lato posteriore dell’occhio”. I dipinti dell’artista postimpressionista, infatti, esplorano i sentimenti più profondi e inquietanti della psiche umana e le forme naturali ancora riconoscibili in essi sono solo un pretesto simbolico per alludere agli abissi segreti dell’anima tormentata di Munch che, per primo, è riuscito a dare una voce universale alla propria angoscia personale, tracciando la strada della rivoluzione artistica del Novecento.

Questo importante e sofferto percorso pittorico è affiancato da una copiosa e variegata produzione scritta carica di lirismo, con cui il pittore indaga il significato dell’arte, racconta gli ambienti e i personaggi della propria vita, completa e chiarisce il significato dei propri dipinti, spesso considerati oscuri. Egli sperimenta molteplici generi – prose liriche, schizzi letterari, lettere di viaggio, articoli di giornale, pagine di diario – per i quali pensava alla pubblicazione, come si deduce dal testamento con cui lasciava le bozze dei propri lavori al Comune di Oslo. Il doppio trattamento di alcuni motivi in maniera sia artistica sia letteraria è indicativa del suo modus operandi. Le molteplici e celebri versioni de L’Urlo si accompagnano, infatti, ad altrettanti testi che chiariscono il significato e potenziano la forza espressiva di un quadro divenuto icona del mal di vivere. Queste le parole scritte da Munch nel 1892:

Camminavo lungo

la strada con due

amici – poi calò

il sole

Il Cielo

si fece

all’improvviso rosso sangue

Mi arrestai, appoggiandomi

contro la balaustra mortalmente

stanco – il fiordo nero-blu

e la città

erano lambiti da lingue di sangue

I miei amici proseguirono

e io rimasi immobile

tremante

d’angoscia –

e udii riecheggiare

attraverso

la natura

un immenso infinito

grido.

La recente traduzione in lingua italiana di una selezione di scritti di Munch consente di apprezzare a pieno il parallelismo artistico e letterario dell’artista norvegese, rendendo note composizioni ancora sconosciute al grande pubblico. Ne emerge anche un interessante confronto tra uno stile di scrittura rapido e spontaneo che, trascurando ortografia e punteggiatura, esprime i moti dell’animo nella loro cruda immediatezza, e uno stile pittorico nudo ed essenziale, basato su semplificazioni deformanti e colori arbitrari, riflesso dei colori dell’Anima.

Paul Klee

Posto sulla soglia chiaroscurata tra il Visibile e l’Invisibile, l’artista svizzero Paul Klee (1879-1940) osserva l’incontro tra il mondo esterno e il mondo interiore, intuendo il Mistero che si nasconde dietro l’esperienza più sensibile e quotidiana, senza mai riuscire ad afferrarlo, ma suggerendone le tracce attraverso molteplici arti. Musicista, poeta e pittore egli ricerca costantemente la forma d’arte a lui più congeniale per tradurre in un codice decifrabile la chiamata mistica dello Spirito. Se è con la pittura che ha cambiato il corso della Storia dell’arte, ispirando generazioni di artisti, si cimenta con successo anche nell’arte della parola. I suoi Diari, ricchi di aforismi, poesie e annotazioni, sono costruiti, infatti, come un sapiente oggetto letterario. Sia nella pagina dipinta sia nella pagina scritta la sua cifra stilistica risiede nella inafferrabilità e nella mutevolezza che apre infinite possibilità alla sua forza creatrice, impedendogli di assumere una forma fissa ed una regola troppo rigorosa che insterilisca il suo daimon. Nel 1901 Klee scrive:

Non chiederti cosa sono.

Non sono nulla

non so nulla.

Conosco solo la mia felicità.

Ma non chiedermi se me la merito.

Lasciatemi solo dire

che è ricca e fonda.

In una celebre poesia del 1920 – riportata anche sulla sua lapide – afferma:

Qui sono inafferrabile

abito bene con i morti

come con i non nati. Sono

vicino alla creazione. Eppure

non abbastanza.

Così come le sue parole sono magiche ed evocative, aperte a molteplici e suggestive interpretazioni, il suo stile pittorico è ricco e variegato e, pur rifuggendo da classificazioni ed etichette, la sua è una pittura di luce, fatta di segni impalpabili e leggeri e toni liquidi che trascolorano. Egli è in grado di decifrare la lingua dello Spirito, che incanta chi è pronto ad ascoltarla. Nel dipinto Strada principale e strade secondarie, ad esempio, tasselli acquerellati di colori azzurri e aranciati si compongono in una trama definita da linee sottili e pur dense di lirismo, quasi fossero venature del marmo o del legno: la via principale è tracciata, ma la Vita percorre vie traverse e inaspettate.

Se dopo questa breve disamina dell’opera di queste quattro geniali personalità vi starete chiedendo quale sia la forma espressiva più adatta ad eternare lo Spirito, la mia risposta è il motto oraziano ut pictura poësis: Poesia ed Arte sono sorelle, figlie del Vento dell’Ispirazione che muove la mano di artisti e poeti, o, forse, gemelle se si segue il pensiero del poeta lirico greco Simonide secondo cui la pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla.


Bibliografia

Blake William, Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza che mostrano i due contrari stati dell’anima umana, a cura di Roberto Rossi Testa, Milano, Feltrinelli Editore, 2009

Botta Gregorio, Paul Klee. Genio e regolatezza, Bari-Roma, Laterza, 2022

Buonarroti Michelangelo, Rime, a cura di Paolo Zaja, Milano, Rizzoli Bur, 2010

Klee Paul, Poesie, a cura di Giorgio Manacorda, Milano, Ugo Guanda Editore, 1978

Munch Edvard, La danza della vita. La mia arte raccontata da me, Roma, Donzelli Editore, 2022

Plutarco, La gloria di Atene, a cura di Italo Gallo e Maria Mocci, Napoli, D’Auria, 2003

Vasari Giorgio, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino ai tempi nostri. Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1986


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

Tre drammi di Jon Fosse: “Variazioni di morte”, “Sonno” e “Io sono il vento”. Saggio di Anna Vincitorio

Jon Fosse – definito da molta critica come “nuovo Ibsen” – è stato proclamato Premio Nobel per la letteratura nel 2023. Secondo la motivazione dell’Accademia, “le sue opere, tradotte in più di quaranta paesi, danno voce all’indicibile”.

Il poeta, scrittore e drammaturgo Jon Fosse
(Premio Nobel per la Letteratura 2023)

Osservo il suo volto ombrato: occhi chiari che trapassano il tempo. Solitudine, tristezza. Uomo dei fiordi e delle nebbie. Ha sessantaquattro anni. Un passato di alcool. Il suo sentirsi solo, attraverso la parola, ha suscitato emozioni profonde, un linguaggio scarno, innovativo, fortemente drammatico. La sua scrittura esprime il dramma del vivere attraverso la parola scarna, visionaria a volte, minimalista che trapassa e scava come goccia sulla pietra.                 

I suoi personaggi sono nel tempo e fuori del tempo. Non hanno un nome. Sono visioni di una realtà crudele e incisiva. La sua scrittura prevarica le convenzioni, i limiti della parola. Scrive parole che vanno oltre la parola stessa, producendo emozioni che solo la poesia autentica può dare. Chi ascolta o legge i suoi drammi si sentirà proiettato in una dimensione atemporale. Il saggio di Leif Zern su Fosse, Quel buio luminoso, è introduzione e origine del volume. Tre drammi: Variazioni di morte, Sonno e Io sono il vento. Immagini come cascate che fiottano parole. I suoi personaggi non sono eroi ma quelli che non ce la fanno a reggere il peso degli eventi, gli smarrimenti, sono personaggi la cui identità è sospesa tra la vita e la morte.

VARIAZIONI DI MORTE (2001)

Spazio in cui si susseguono eventi in cui sovrana è la parola. Il tempo non ha una dimensione oggettiva. Si ripetono e si dilatano suoni. Possono estasiarti come ferirti. Sei avvolto da una atmosfera che ti imprigiona. La parola quando ti penetra, fa di te il personaggio. Sono attimi di una realtà che non ti appartiene ma che tu avverti sulla pelle come un brivido. L’uomo anziano, la donna anziana. Dialoghi brevi: “Che errore! / proprio non capisco…/ che lei se ne potesse andare”. Lei disperata: “Possiamo ancora fare qualcosa…”. L’uomo anziano: “Non possiamo fare niente”. La loro unica figlia che segue il suo destino… “È morta / È via per sempre…”. Nulla tiene ora uniti quei due. Lui non vuole vederla. Se ne vuole andare. Un evento tragico quasi sempre distrugge un passato comune. È crudele ma inevitabile. Sulla scena una donna giovane entra e un uomo giovane. Si incontrano e si abbracciano. Poco denaro, una squallida cantina dove vivere. “Non è davvero molto / Tutto è così incerto; / questa è la vita / Ho paura e sono preoccupata / Non aver paura / tu…: Dovetti andare / Loro telefonarono / E lei stava stesa là…/ E i suoi capelli / E i viso / il suo viso”. Parole, quasi sussurrate ma dure come pietre. Sulla scena nuovamente i due giovani. “Lei ha le doglie. Sta male…”. “E così lei se n’è andata / via per sempre”.

Si alternano un prima e un dopo. La storia non è chiara. Presente e passato s’intrecciano. C’è una figlia; contrasti tra i due giovani di prima; incomprensione tra gli anziani. Non è importante il susseguirsi di una storia con vuoti improvvisi e ritorni, quanto le emozioni provocate dal suono delle parole. Riandare ripetuto dalla vita alla morte e viceversa. “Credo che si possa avere / un segreto, una pace dove si riposa / solo riposo / l’uno nell’altro / Ma io voglio stare sola / sempre sola…”. Ricordi di un tempo che non c’è più: “E lui veniva verso di me / con la pioggia nei capelli / una sera: veniva verso di me / con la pioggia nei capelli / una sera / veniva verso di me… / la luce nei suoi occhi / veniva… / in quella musica che è sua veniva / E la pioggia nei suoi capelli / resterà sempre là / I suoi capelli nella pioggia / una sera / proprio là / proprio allora”, “Lei uscì di notte / nella pioggia / nel vento/…”. È un susseguirsi di parole che straziano. È un parlare, ricordo e presagio di morte. Ma affascina. “Perché i suoi capelli nella pioggia / stavano là / come la luce del cielo / Perché l’amore assomiglia alla morte… È una sola sera con la pioggia”. Ho riportato alcuni frammenti dei dialoghi. Vanno ascoltati, non descritti. Il lettore ne proverà la potenza su se stesso. Ancora, la figlia: “Mi pento/ voglio ritornare/ voglio stare sola/ Non avrei dovuto/…”. È importante per me in un’opera teatrale, non tanto comprendere quanto affogare nell’estasi trascinante delle parole.

SONNO (2005)

I personaggi non hanno nome. Dove il tempo? Nel ricordare. Il lettore affonda in personaggi senza storia. Attese malinconiche; eppure in questo – poco –, si comprenderà la natura nemica. Sono le voci di dentro che tutti conosciamo e scopriamo a un tratto. Non ha importanza l’evento che potrebbe anche non verificarsi ma penetrare nel non detto, sentirsi reietti, vivi o nel “sonno” che precede la morte. I personaggi sono anziani o di mezza età. Più che dialoghi si notano esternazioni di un pensiero. “Ti ricordi / e la stessa cosa / e fai la stessa cosa con me (ride un attimo) no che sciocchezza”. La donna anziana: “E io sto sempre peggio / le gambe / non mi vogliono sostenere / Non ce la faccio quasi a fare più niente / E non posso più parlare”. L’uomo anziano: “…ecco è caduta…l’ho trovata stesa sul pavimento… non parlava… ma si cioè respirava / e così tornasti di nuovo in vita e incominciasti a parlare…”. Il dramma è la solitudine e l’attesa. Il figlio arriva ma deve subito andare via. Resta l’uomo anziano: “Noi ce la facciamo/ Non preoccuparti di noi / tutto va bene”.

In qualunque paese queste scene si ripetono. Attese, fuga e arrivi e poi, nuovamente solitudine e silenzio. Il sonno diviene conforto o solo preludio di morte? L’opera ha debuttato in prima assoluta a Sesto Fiorentino per il Festival Intercity Oslo. Ne parla Eleonora Tedeschi: “Il suo è un teatro complesso in cui il ritmo è scandito dai silenzi, sospensioni, interruzioni. La parola stenta ad arrivare alle labbra per la difficoltà e forse addirittura l’impossibilità della parola di esprimere il dramma dell’esistenza”.

IO SONO IL VENTO (2007)

Due soli attori. Voci che fluttuano in uno spazio immaginario che però prende forma dalle loro parole. Una barca sul mare. È tutto grigio: gli isolotti, le isole, i monti e le pietre sulla spiaggia.

L’uno vorrebbe attraccare la barca in una insenatura. “La barca sarà al sicuro / Entriamo a vela e attracchiamo… E oggi il mare è tranquillo… E il mare è mare aperto”. Sono voci che si spandono nella nebbia… L’uno: “Io non volevo / Lo feci così per caso”. L’altro: “Accade così per caso / Ma poi avevi / paura che accadesse / Si. E così accadde”. È un lungo dialogo sulla vita che ognuno plasma secondo il suo essere. La vita è presente nell’altro. L’uno parla, forse spiega il perché del suo atto. Il non voler più essere. Non è ma ricorda. Non può essere sulla barca ma c’è. Cosa rappresenta la barca? Un rifugio precario perché il vento la spinge verso il mare aperto. Il pericolo affascina come la follia perché non può essere compreso. L’uno che non è più invita l’altro a fissare le corde e nella vicinanza della costa a saltare. La corda fissata ad un palo e poi nuovamente saltare per tornare sulla barca e qui, insieme, consumare del vino…mangiare. Sembrerebbe che il dramma tenda ad allentarsi. Il mare aperto è oltre la scogliera “e là / là si incontrano il mare e il cielo”. Così come la vita va incontro alla morte. Parole, parole che si dicono. Parole che diventano pietra. La pietra è greve, non muta come il deciso impulso di non essere più. Disteso nell’acqua e poi via per sempre.

È la solitudine che sospinge verso la morte “che sta là / non solo come pensiero / non solo come paura / ma come qualcosa vicina”, “Ma tu / la vita… non è poi così brutta / Non sempre… è bello vivere”. Sempre il vento sospinge la barca immaginaria verso il largo. L’uno: “Ho sempre avuto paura che accadesse / e ho pensato che sarebbe accaduto / e ho avuto paura”. L’altro: “…io non posso far niente / in mezzo al mare aperto…; Io guardo e lo cerco… la barca va avanti. Dove sei? Ma non posso vederlo”. Le onde sono nere e bianche e piove. “Ma perché lo hai fatto?” “L’ho fatto e basta… Sono via / Sono andato via con il vento / Io sono il vento”.

Dramma trascinante. Sospensioni, riprese. Il tutto in un clima allucinatorio. La sua fine è la fine di ogni essere umano sia che la agogni, sia che la tema. Teatro di pensiero in spazi immaginati, descritto con parole di mare e di nebbia e noi, perduti, affascinati e avvolti dal sibilare del vento. Il teatro siamo noi che ci immedesimiamo negli attori. Siamo quel pubblico che ascolta dall’alto del loggione e che Giorgio Albertazzi definì Les enfants du Paradis. Mi rivedo ragazzina correre per le ripide scale della Pergola per guadagnare un posto e poi… Si alza il sipario.


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A Milano una serie di incontri sulla letteratura di viaggio. Esposizione dell’opera miliare di Swinton Andrew sull’Europa del nord

Mare Magnum è lieto di invitarVi a 

Vecchi Libri in Piazza diaz

La letteratura da viaggio

 Domenica 10 giugno 2018 – ore 9-17, piazza Diaz, Milano

 

Un imperdibile appuntamento con il libro antico, raro, introvabile, curioso e da collezione: sotto i portici di piazza Diaz, piazza del Duomo, via Gonzaga, via Marconi, via Baracchini 100 espositori rendono questa mostra mercato una delle manifestazioni all’aperto, dedicate al libro antico, più grandi d’Europa.

Maspero_ViaggioNorvegia.jpgL’estate è ormai alle porte e anche per il mese di giugno si rinnova l’appuntamento a tema con Vecchi Libri in Piazza. L’argomento per questa edizione sarà incentrato su La letteratura da viaggio, un’occasione unica per andare a caccia nel maremagnum di libri da leggere sotto l’ombrellone. Oltre ai libri presenti in catalogo, le librerie partecipanti suggeriscono alcune interessanti proposte legate al tema del mese che spaziano dall’antico al moderno.

È il caso, per esempio, di Maspero Gabriele Libri Antichi che proporrà alcune rarità tra cui Viaggio in Norvegia, in Danimarca ed in Russia negli anni 1788, 89, 90, 91 tradotto dal conte cav. Luigi Bossi di Swinton Andrew. [Milano, dalla Tipografia Sonzogno e Comp., 1816.4 volumi in-12° (cm. 16,5), legature coeve in m. pelle con titolo, fregio e filetti in oro ai dorsi, piatti marmorizzati, tagli gialli; Ex libris araldico alla controguardia coperto da etichetta biblioteconomica; carte in ottimo stato, con 16 tavole illustrative di vedute in rame f.t. in coloritura coeva; lievi e rare fioriture, piccola e leggera gora alle prime carte dell’ultimo volume, per altro marginale. Prima edizione italiana di questa famosa ed interessante relazione di viaggio inserita nella Raccolta de’ viaggi. Esemplare molto buono.]

Per i collezionisti è da segnalare l’interessante proposta della Libreria Zivago:

Ferdinand M. Bayard, Voyage dans l’intérieur des États-Unis, a Bath, Winchester, dans la vallée de Shenandoah, etc. Pendant l’Été de 1791. Seconde édition. Augmentée de descriptions et d’anecdotes sur la vie militaire et politique de Georges Washington. Il volume descrive il viaggio compiuto dall’autore alla fine del XVIII (1791) secolo lungo la costa nord orientale dei neonati Stati Uniti d’America con descrizioni particolareggiate della popolazione e della campagna di George Washington attraverso il racconto di alcuni suoi ufficiali. Il volume è in francese e reca anno VI come data di stampa, quindi 1797.

Per chi, invece, è a caccia di belle edizioni moderne, si consiglia di fare un salto allo stand delle Edizioni Henry Beyle che, per il tema di giugno, ci porta in viaggio in compagnia di firme autorevoli in giro per il mondo. Qualche esempio? Giuseppe Prezzolini, Primavera a New York; Ardengo Soffici, America Sognata; Leonardo Sciascia, Sicilia e molti altri ancora…

Per conoscere tutte le proposte delle librerie partecipanti visitare la seguente pagina:
https://www.piazzadiaz.com/index.php/category/la-letteratura-da-viaggio/

Vecchi libri in piazza Giugno.png

Segui gli aggiornamenti sul sito: http://www.piazzadiaz.comIngresso gratuito

 

Calendario 2018

Domenica 10 giugno: La letteratura da viaggio

Domenica 8 luglio – A tavola! Libri di cucina

Domenica 9 settembre – Il cinema e il teatro

Domenica 14 ottobre – La letteratura siciliana: 60 anni dopo “Il Gattopardo”

Domenica 11 novembre – 100 anni dalla Prima guerra mondiale

Domenica 9 dicembre – Arte e illustrazione

 

Ufficio stampa:

Marco Bosio 

stampa@maremagnum.com 

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