Una selezione di poesie della padovana Alessandra Pennetta

A cura di Lorenzo Spurio

Alessandra Pennetta è nata a Padova nel 1971. Ha iniziato a scrivere nel 2018. In Italia le sue poesie sono state pubblicate su Grado Zero, Frammenti, Tam Tam Bum Bum, Lido dell’Anima, L’Irrequieto, Poetarum Silva, Amado Mio, Il Grimorio del Fantastico, L’Altro Femminile, Radura Poetica, Neobar, Hook Literary Magazine, Inverso – Giornale di Poesia, Larosainpiu, Segreti di Pulcinella, Alma Poesia, nelle antologie Ecce Homo e Transiti Poetici, nelle antologie dei Premi Città di Montegrotto Terme (2019), Città di Melegnano (2019), Apollo Dionisiaco (2021) e nel IV volume della collana I Maestri (2021). All’estero le sue poesie sono state tradotte e pubblicate sulle riviste Centro Cultural Tina Modotti (Venezuela), Oltart (Romania) e Azahar (Spagna). Nel 2021 è stata finalista nella VIII edizione del Premio Apollo Dionisiaco con la poesia “La cena”, ha ricevuto un Attestato di Merito nella XXV edizione del Premio Letterario Internazionale Trofeo Penna d’Autore per la poesia “Apri la porta” e una Segnalazione Speciale nella XVII edizione del Concorso Nazionale di Poesia Fiori d’Inverno per la poesia “Imeros”. 

Presentiamo a continuazione alcune poesie dell’autrice.


“Mi hai portato sotto il sole d’estate”

Di ALESSANDRA PENNETTA

Mi hai portato sotto il sole d’estate

non dà pace a nessuna cosa, vivente o no

affligge in maniera uguale

arroventa i campi bruciando noi 

distesi come una distesa di baci 

colonie di cicale, le cavità addominali degli uccelli 

tenuti a terra dalla fame

Mi hai portato sotto il martello dell’estate

battente in maniera uguale

schiacciati inceneriti polverizzati

in un unico calderone noi gli uccelli le cicale


“Hai attraversato la città”

Di ALESSANDRA PENNETTA

Una spina tra i tuoi capelli

Dove sei stata amore mio?

Mi sono annoiato mentre ti aspettavo

ho contato tutte le mie ossa, tutti i miei peli

ho guardato sotto la mia pelle

dentro di me 

(non ho trovato niente di così interessante come te)

Sai di zolfo e rosa

Hai attraversato la città

dove gli uomini bestemmiano

e si rincorrono

Fuori città ti ho aspettato, scalzo e nudo

(le scarpe e i vestiti li portano quelli che sanno tutto)

alla fine sei arrivata, a passi pigri

per la curiosità di conoscere la città


“Apri la porta”

Di ALESSANDRA PENNETTA


Apri la porta 

Sono sulla soglia

L’aria brucia

Il mio corpo non è infinito

Sento che ci sei e stai bevendo 

Sento il tuo passo fresco

Più forte mi stringo alla tua porta

più ti sento. Ancheggi

Stringerei i tuoi fianchi

Sei il centro del mondo

Io sono il mondo. E brucio per te

(Questa poesia è risultata vincitrice di un attestato di Merito nella XXV edizione del Premio Letterario Internazionale Trofeo Penna d’Autore nel 2021)


“La cena”

Di ALESSANDRA PENNETTA

Lei ha fame e 

la bocca spalancata

Cammina su di lui

che non protesta

Lui le ha preparato la cena

Lei ha una finestra scura 

senza tende

Lui ha 

un candeliere, il fuoco dentro e

un’adorazione per lei 


(Questa poesia è risultata finalista all’VIII Premio Accademico Internazionale di Poesia e Arte Contemporanea Apollo Dionisiaco nel 2021)


“Forse non sei di questo pianeta”

Di ALESSANDRA PENNETTA

Forse non sei di questo pianeta

di questa città

di queste compagnie

le tue scarpe

le tue scarpe sono pulite

tu non tocchi terra

sei femmina di uccello

mi fissi dal cielo

io non capisco da che mondo arrivi


“Avevo voglia di vederti”

Di ALESSANDRA PENNETTA

La sera di nuovo calda

Presto le vene mi scoppieranno

Mi sono bruciato le piante dei piedi

mentre venivo da te, mi ha accecato il solleone

Ho allungato il passo per rimanere vivo

(per non venire completamente incenerito)

perché avevo voglia di vederti e ora 

mi ritrovo cieco a tastare con le dita la tua porta


“Sei passata per il giardino”

Di ALESSANDRA PENNETTA

Due guance rosse sul tavolo

acqua e foglie

una spina nel labbro

sei passata per il giardino

Ti ho lasciato la porta aperta 

ma tu sei entrata 

come un uccello 

rosso e bianco

dalla finestra 

(Poesia pubblicata su «Hook Literary Magazine» nel giugno 2021 e nel XXVIII volume dell’antologia Transiti Poetici nel luglio 2021)


NOTE:

Le poesie qui pubblicate, laddove non specificato diversamente, sono inedite. L’autrice dichiara, dietro sua unica responsabilità, di essere frutto del proprio ingegno e di detenerne i diritti a ogni titolo.

L’autrice delle poesie ha autorizzato alla pubblicazione delle stesse su questo spazio senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in seguito.

La riproduzione delle poesie ivi presenti, in forma integrale o di stralci e su qualsiasi tipo di supporto, non è consentita in assenza dell’autorizzazione dell’autrice.

Intervista a Francesco Manna. A cura di Lorenzo Spurio

LS: Quando si è reso conto che aveva bisogno di scrivere e quali sono stati i suoi primi componimenti? Può raccontarci il suo esordio come autore, come è avvenuto e quali sono stati i vari passi della sua carriera letteraria?

FM: Prima dei diciotto anni già dalle scuole medie amavo trascrivere sul mio banco versi di poeti italiani come Montale, Ungaretti e Quasimodo, o addirittura versi di canzoni italiane e straniere. (La musica è stata la mia prima fonte d’ispirazione fin da piccolo, a casa mia i miei genitori ascoltavano molta musica e mio zio amava il jazz che ho avuto modo di conoscere molto presto). Poi giunto a questa età, a causa di un grande innamoramento (il mio primo amore serio) ho cominciato a scrivere versi, e questa diciamo mia vocazione non  mi la lasciato più. Come autore ho esordito a metà degli anni settanta nella mia città con l’associazione poetica “Formica nera”, a mio avviso un po’ troppo dilettantistica, pubblicando su una loro antologia di poeti padovani. Associazione che dopo poco ho abbandonato, per frequentare alcuni poeti a mio avviso più seri, soprattutto negli anni ottanta, che successivamente formeranno il primo nucleo della rivista Inverso e del P.I.P (pronto intervento poetico) che ancora sopravvive a Padova. In seguito, ho pubblicato il mio primo lavoro poetico Verso i bordi (Editrice Universitaria, 1992) e tutti gli altri miei libri fino ad ora…

 

LS: Il significato intrinseco di ogni opera artistica (una poesia, un quadro, un film) non sta tanto all’interno della sua rappresentazione, ma fuoriesce dal rapporto che si instaura tra produttore e fruitore, se parliamo di poesia tra poeta e lettore. Questa è la ragione per la quale la letteratura, poesia o romanzi che siano, può avere una risposta molto diversa da persona a persona, da epoca ad epoca, da zona geografica a zona geografica. L’interpretazione di un testo, però, è necessario per la corretta comprensione delle intenzioni dell’autore anche se, come spesso è accaduto, alcuni critici o recensori hanno calcato la mano nelle loro analisi tanto da depistare e distorcere il messaggio che l’autore voleva mandare. Gli studi sulla letteratura insegnano che più è ampio lo spettro di risposte (sia positive che negative) che un testo genera, cioè più letture possibili un testo fornisce, più esso è un ricco contributo alla letteratura e generalmente un testo valido. Quando si parla tanto di un testo –sia osannandolo che demonizzandolo- inconsapevolmente si attua un procedimento che deriva dalla potente forza attrattiva che questo ha suscitato su di noi. Che cosa ne pensa della difficile e spesso spietata attività dei critici letterari?

FM: Come lei appunto afferma, l’interpretazione è soggettiva e opinabile, trattandosi di attività non scientifica ma umanistica, in cui proprio il ricercatore-critico essendo un uomo, inserisce magari neanche consapevole valutazioni del tutto soggettive e criticabili, ma ciò non toglie che le opere di qualità restano tali, nonostante critiche spesso ingiustificate. Voglio dire che gli artisti non cessano di esserlo quando subiscono critiche o stroncature, anzi vanno avanti ancor più corroborate da esse, consapevoli che non è certo una critica che possa smontare una vocazione, un’esigenza di espressione, di ricreazione della realtà che sono la materia fondante dell’arte, della letteratura, della musica e della poesia.

 

LS: La rivista Inverso di cui è co-direttore assieme a Beppe Mosconi e a Roberto Segala Negrini, si caratterizza per dare una vivida immagine iconografica delle poesie in essa pubblicate grazie alla presenza di foto che accompagnano i vari testi, pagina dopo pagina. Una sezione importante è dedicata alla pubblicazione di testi di poeti “classici” che in questo modo vengono ricordati e un’altra alle traduzioni dato che molti poeti –più o meno conosciuti – all’estero, in molti casi in Italia non hanno voce e solo in pochi casi esistono delle persone che si dedicano a tradurre questi testi nella nostra lingua per farli fruire a un pubblico maggiore. Può dirci come è nata l’idea della rivista, quale è la sua diffusione e se vi hanno scritto eminenti penne della letteratura italiana e straniera?

FM: Era la fine dell’estate del ’96, quando in una pausa di riflessione, dopo un periodo contrassegnato dalle nostre esperienze nel P.I.P, ci eravamo ritrovati, noi tre, un po’ spaesati in un locale messicano, il Puerto escondido, un posto dove attraccare dopo un lungo periodo passato in mare, e ci domandammo “e adesso?”. Il problema nel P.I.P (pronto intervento poetico) era stato spesso quello di dire che l’organizzazione doveva cominciare ad essere la priorità, dopo anni in cui poeti e artisti avevano lavorato insieme, alcune volte anche piuttosto bene; ma c’era sempre chi affermava che organizzarsi significava imbrigliare la creatività, salvo poi arrabbiarsi quando nelle nostre iniziative i microfoni non c’erano, o non funzionavano. Poi quella sera qualcuno di noi disse che una rivista di poesia poteva essere il conseguente approdo del gruppo e delle esperienze condivise. L’idea sembrava buona, anche se già sapevamo che sarebbe stato un bell’impegno e il dover affrontare una serie di difficoltà oggettive, ma eravamo pronti a fare il salto. Quale nome dunque dare a questa nuova rivista? Non c’era bisogno di sforzarsi tanto, un nome già c’era stato agli inizi degli anni ottanta, e tra l’altro non male, Inverso, una serie di fogli più o meno fotocopiati che avevano “invaso” la nostra città e facevano bella mostra alla libreria Feltrinelli. E così ci siamo messi in moto e siamo arrivati fino ai giorni nostri.

La rivista ha ospitato nel corso degli anni autori stranieri come Stephen Kudless, David  Shapiro, Wendy Cope, Nils Hav, Delfín Prats, Jorge Etcheverry, Carlos Valerino, o italiani come Andrea Zanzotto, Alda Merini, Ferruccio Brugnaro, Milo de Angelis, Roberto Mussapi, Claudio Pozzani; ed è diffusa soprattutto in Sud America, ma ci scrivono poeti da tutto il mondo. Insomma va avanti da ormai 17 anni e questo vorrà pur dire qualcosa…

 

LS: La sua attività di poeta e scrittore si accompagna ad altri interessi artistici: la musica jazz e l’arte figurativa. Può dirci cosa le dona in particolare ciascuna forma artistica e qual è il peso che rivestono nella sua vita la letteratura, la musica e la pittura?

FM: La pittura l’ho praticata per moltissimo tempo, ancora prima della poesia, e ho fatto varie mostre personali e collettive. Ora invece mi dedico solo alla poesia e alla letteratura. La musica, poi, è sempre con me, la sua presenza è costante, non saprei vivere senza la musica e la scrittura, fanno parte integrante della mia personalità ed esistenza. La poesia, inoltre, è assimilabile a queste due forme d’arte, sia nel mondo classico, in cui poesia e musica erano un tutt’uno, sia nell’esperienza poetica contemporanea. La pittura, infatti, è ciò che le parole descrivono con un altro medium. L’Impressionismo, ad esempio, è pittura e musica, ma anche poesia (Pascoli, Mallarmé, D’Annunzio, e per alcuni versi Montale, per fare solo i primi nomi che mi vengono in mente di poeti che potremmo definire espressionisti).

 

LS: Il poeta spagnolo Antonio Machado (1875-1939) fu un esponente di spicco della letteratura del secolo scorso e ancora oggi la sua poesia continua ad essere studiata ampiamente nei migliori atenei italiani ed esteri quali chiara manifestazione di una purezza esistenziale ed amore profondo per la tradizione.[1] L’attenzione verso l’ambiente incontaminato della Castiglia, l’amore autentico per Leonor, lo sguardo critico nei confronti della storia e le inquietudini pressanti derivanti dal catastrofico 1898, año del desastre[2], sono tutti ravvisabili in quella che è considerata la sua opera magistrale, Campos de Castilla, pubblicata nel 1912. Nella città di Soria, dove Machado insegnò letteratura francese e visse per vari anni, si trova ancor oggi conservato il grande olmo a cui il poeta dedicò una lirica, “A un olmo secco”[3], dove descriveva il possente albero colpito a morte da un fulmine, ma sul quale spuntavano delle gemme. Le chiedo un suo commento personale su questa poesia:

 

Al vecchio olmo, spaccato dalla folgore
e nel mezzo marcito,
con le piogge d’aprile e il sole a maggio,
sono spuntate alcune verdi foglie.
Oh, l’olmo secolare sopra il colle
ch’è lambito dal Duero! La corteccia
bianchiccia da un gialligno musco è tinta
nel tronco putrefatto e polveroso.
Come i pioppi canori, che sorvegliano
il cammino e la riva, non sarà
di rossicci usignuoli popolato.
S’arrampica su esso di formiche
un esercito in fila, e nelle viscere
tramanos i ragni le lor grigie tele.
Olmo del Duero, prima che t’abbatta
con l’ascia il legnaiuolo, e il falegname
trasformi in un mozzo di campana ,
stanga di carro o giogo di carrettai
prima che rosso nel camino arda
domani in qualche misera casetta.
sull’orlo d’una strada;
prima che ti annienti un turbine e ti schianti
il soffio delle candide montagne;
prima che il fiume ti sospinga al mare
per valli e per burroni,
olmo, voglio annotare nei miei appunti
la grazia del tuo ramo rinverdito.
Anche il mio cuore aspetta,
alla luce guardando ed alla vita,
altro prodigio della primavera.

 

FM: Machado e Unanumo sono autori che io amo molto, anche per la loro correlazione con la storia di Cuba, che è la mia seconda patria elettiva. Che dire della poesia, è splendida e ricorda un po’ Leopardi nelle sue descrizioni della natura, ma dotata di un’energia e positività sconosciute al grande marchigiano, tipiche della latinità e del vitalismo spagnolo e latino americano che io amo oltre ogni dire. E’ una poesia splendida che già conoscevo. Tra l’altro, molti anni fa nel giardino antistante la mia casa c’era una grande e vecchia quercia che una notte di temporale fu colta da un fulmine e crollò, risparmiando per fortuna la mia casa. Un’emozione fortissima mi portò a scrivere una poesia dedicata a quella vecchia e amata pianta. La mia poesia, dal titolo “La pianta”, così recitava:

 

Quando portarono via
la pianta
tagliata a poderosi spicchi
di sole spremuto agli aghi
e foglie e rami ancora vivi
sradicata all’alba
da furore rovesci impetuosi
e potenti d’energia
tuoni lampi tromba d’aria
dalla mia casa a chiudere
finestre e sbattere di vetri
la gola arsa
acqua fredda
la luce abbatté dalla terra
radici lacerate con urlo
quasi d’animale
cadde
la vidi abbattersi
su altre piccole innocue piante
cipressi a crescere al cielo
distrusse un’automobile
propaggine meccanica
d’umana indifferenza
quando portarono via i tuoi resti
triste
fumai una sigaretta
piansi
la natura distruttrice
il morire della vecchia
cara indimenticabile
pianta di vita.

 

LS: L’idea di questa intervista è quella di poter diffondere le varie interpretazioni sulla Poesia e in questo percorso ho ritenuto interessante proporre a ciascun poeta il commento di due liriche di cui la prima è di un poeta contemporaneo vivente e ampiamente riconosciuto dalla comunità letteraria e un’altra di un poeta contemporaneo, esordiente o con vari lavori già pubblicati, per consentire l’articolazione anche di una sorta di dibattito tra poeti diversi, per esperienza, età, provenienza geografica, etc. e di creare una polifonia di voci e di interpretazioni su alcune poesie appositamente scelte. La prima che Le propongo è “Noia”[4] del poeta milanese Rodolfo Vettorello[5], celebre anche per la frequente presenza come giurato in famosi concorsi letterari:

 

Giorni d’estate e noia disperata,
quella che fa suonare i campanelli
per poi scappare,
giocare a rimpiattino nei fienili
e toccare furtivi le compagne
e imparare così l’anatomia
con un po’ d’esercizio obbligatorio.
E pomeriggi ai cine d’oratorio
Per masturbarsi al buio
col seno nudo della Pampanini.
Il catechismo usato in penitenza
per scontare i peccati capitali
e preparare i canti gregoriani
per una processione patronale.
Si giocherà alla lippa nel cortile
e con le figurine contro il muro
e la raccolta delle cartoline
e le biglie di vetro di Murano.
E fiutare nell’aria odor di donna,
sbavare dietro a una ragazza bella
soltanto per lo spacco di una gonna.
La noia se ne va con l’età grande
quando iniziano le preoccupazioni
e poi si invecchia
e con gli anni ritornano anche quelli,
i giorni della noia disperata.
Il tedio è come un morbo che accompagna
l’età più bella
e poi si fa silente per la vita
pronto a ripresentarsi puntuale
come una sorta di recrudescenza
d’un bell’attacco d’herpes genitale.

 

FM: Premetto che non voglio assolutamente dare giudizi estetici e/o contenutistici, mi limito ad alcune brevi considerazioni e riflessioni del tutto personali. Questa è a mio avviso una poesia che, nella felicità di alcune immagini poetiche, si scontra purtroppo con un certo poetare un po’ troppo esplicito. Peccato, perché è proprio vero che la giovinezza è contrassegnata dalla noia del dover crescere, aspettando il tempo che passi più velocemente di quello che si sente a quell’età, poi si rincontrerà con la velocità ineluttabile, invece, degli anni che passano nell’epoca della maturità come vero e proprio tedio. Sperando che questa specie di ritorno non sia poi solo tutto un fatto di malattia venerea, ciò sarebbe troppo truce.

  

LS: Di seguito, invece, Le propongo una poesia della poetessa Giorgia Catalano[6]  intitolata “A te, poesia”[7] dove l’io lirico sembra colloquiare con la sua fonte-ispirazione e al contempo mettere in luce la grande affezione nei confronti dell’arte lirica: essa è gioia, conforto, speranza e motivo d’esistere. Gliela sottopongo per un analisi-commento:

 

Fedele compagna dei malanimi miei,
generosa ascoltatrice dei miei silenzi,
mi conduci là dove vi è respiro,
dove la notte s’illumina a giorno.
Mia speranza, in te vivo per il mio domani,
per respirar profumo di freschi nettari
d’alberi in fiore.
Dalla tua pianta colgo
immagine di me stessa,
dalle tue radici
la mia stessa essenza.
Vivo per te,
per la gioia che m’offri
vivo per l’ombre del sole
a mezzodì.
Vivo per questa vita,
per i figli miei.
Vivo con te,
sempre eterna Poesia.

 

FM: Come già detto prima, queste sono solo mie considerazioni personali e opinabilissime. Siamo qui di fronte decisamente a una poesia più idealistica e protesa alla metafisica, che è poi l’approdo, secondo me,  più felice o forse unico della vera poesia (vedi Emily Dickinson). Anche se la poesia non è solo gioia, o sentimenti positivi e alti, ma anche negatività, dolore, delusione e risentimento, magari per la vita stessa, o per gli esseri umani che ne impediscono a volte il naturale e libero esprimersi (vedi ancora Emily Dickinson che per me, con Sylvia Plath, è la vera poesia declinata al femminile).

  

LS: Nella sua produzione poetica si ravvisano vari componimenti che a titolo diverso sono pensati come ricordo e commemorazione di personaggi pubblici, quali Fellini e alcuni musicisti del jazz. L’encomio e la commemorazione sono tra le forme-generi poetici più antichi e che sono sempre stati coltivati nella storia della letteratura come chiaro esempio di omaggio e riconoscenza ad autori e personalità varie per il loro indubbio operato. Quanto secondo Lei è importante nella nostra contemporaneità questo tipo di poesia? Quali sono secondo Lei i motivi scatenanti che la portano ad omaggiare alcune personalità di indiscussa fama?

FM: Alcune mie poesie sono dedicate ai miti moderni che hanno, secondo me, detto moltissimo sulla vita e sulla morte, sull’arte e sulla realtà, sull’ideale e il banale, sulla nostra contemporaneità, cose e opere che ce li fanno sentire grandi, enormi, alti, distanti, irraggiungibili, ma nello stesso tempo uguali, vicini a noi stessi.

 

 LS: Puntualmente, quasi ogni giorno, veniamo a conoscenza tramite i mass media di deprecabili episodi di violenza dell’uomo nei confronti della donna. L’universo di violenze verbali, soprusi e violenze fisiche a cui spesso la donna è soggetta sono motivo di mutismo per ragioni di vergogna, mancanza di difesa e paura. Se si pensa che il reato di stalking è stato riconosciuto dalla Legge Italiana solo nel 2009 e che oggigiorno si presentano ancora dei casi d’omicidio all’interno della coppia dopo varie segnalazioni da parte della donna alle autorità competenti, ci rendiamo conto che il problema, più che legale (prima) e sanzionatorio (poi) sia radicato nella mente malata dell’uomo che vive e alimenta il suo stato disturbato, ossessivo, violento in azioni in cui si situa al di sopra di ogni sistema di uguaglianza. L’atteggiamento ha probabilmente a che fare con una errata convinzione dell’uomo e delle sue prerogative che gli deriva da indecorosi modelli di patriarcato portati all’estremo con virate misogine e maschiliste nei confronti della donna. Che cosa ne pensa di questo grave problema sociale?

FM: Avendo fatto parte proprio della giuria di un concorso, il cui tema era  la donna di oggi, ho avuto modo di leggere come chi scrive poesia sia naturalmente toccato dalla condizione, incredibilmente per i nostri tempi, di inferiorità di essa nell’immaginario contemporaneo, in cui è vista ancora o come madre e santa, o come puttana e demonio. Bisogna assolutamente fare tabula rasa in noi stessi di questi sciagurati luoghi comuni, contrassegnati dall’odio e dalla violenza per e sulle donne, ma bisogna anche essere inflessibili e durissimi con chi ancora esprime selvaggiamente, uccidendo e menomando, queste sue mostruosità.

  

5114225054_baf6a4880d_mLS: Negli ultimi anni si sono diffuse molte scuole, centri e corsi di scrittura creativa con l’intento di offrire l’esperienza di validi professori e scrittori al servizio delle nuove generazioni che, amanti della scrittura, vogliono dar un senso ai loro testi. Secondo alcuni detti centri di “insegnamento a scrivere” sono una stupida forzatura perché lo scrittore nasce tale da sé, rendendosene conto durante la sua esistenza e, per quanto la sua scrittura agli esordi possa essere acerba, la andrà affinando con il tempo grazie alle letture, al rapporto con altri scrittori, alle esperienze fatte e a tanto altro senza il bisogno di mettersi “a studiare” per comprendere come e che cosa scrivere. L’atto di scrittura, infatti, è molto personale e ciò che un autore scrive può essere insignificante per una persona, ma interessante per un’altra. Ci si domanda, insomma, da una parte, che diritto ha il docente ad insegnare allo scrittore in erba – giovane o no- come scrivere? Secondo altri, invece, le considerazioni in merito sono diametralmente opposte e sono convinti che simili percorsi istruttivi, culturali e di affiancamento possono realmente mostrarsi producenti sostenendo che il professore in quella veste non detta né insegna, ma dà consigli ed accoglie proposte alle quale fornisce suggerimenti. Lei che cosa ne pensa a riguardo?

FM: Essendo anche insegnante di lettere, penso che sull’argomento scrittura, cosiddetta creativa, si stia facendo spesso un’opera di strumentalizzazione, a fini di interesse economico personale, da parte di coloro che gestiscono queste scuole di scrittura. Certamente, seguire una scuola fa sempre bene, nel momento in cui si impara qualcosa, ma o uno è scrittore per vocazione e ha talento, allora la scuola può fargli solo bene, oppure se scrivere non è il suo destino, non è necessario essere scrittore, non ce lo ha ordinato il medico: il solo fatto di leggere e godere della letteratura, è sempre anche un atto creativo. Inoltre, seppur la scuola insegni a scrivere, bisogna imparare tutto sulla scrittura e poi magari dimenticarlo ed essere poi scrittore. Come ebbe a dire il grande e innovativo musicista jazz Charlie Parker: “Impara tutto sulla musica, poi dimenticalo e suona jazz” così io dico: impara tutto sulla scrittura, poi dimenticalo e fai lo scrittore.

 

 

Padova, 7 maggio 2013

 

[1] A questo riguardo mi pregio di ricordare che l’Associazione Culturale TraccePerLaMeta di cui faccio parte ha organizzato nel 2012 un Concorso Letterario Internazionale Bilingue (italo-spagnolo) ispirato ai versi “Caminante no hay camino” di Antonio Machado. Detto concorso ha avuto una grande partecipazione e ha avuto la sua premiazione ufficiale a Firenze il 11 maggio 2013.

[2] Il 1898 per la Spagna fu un anno catastrofico che la storiografia ricorda come año del desastre (anno del disastro) perché il paese perse le sue ultime colonie (Cuba, Porto Rico e le Filippine). Questo episodio generò nelle coscienze una profonda crisi d’identità. Con l’intento di “rigenerare” la Spagna autentica, una pattuglia di scrittori che in seguito vennero riconosciuti come membri della generazione del ’98 si dedicarono ai problemi contingenti della società spagnola, rompendo con gli ideali romantici e realisti e battendosi per la riscoperta e la diffusione della tradizione autentica della Spagna con la relativa rivalutazione del paesaggio e della natura popolare. Antonio Machado, assieme a Miguel de Unamuno, Baroja e Azorin, fece parte della pattuglia. 

[3] Antonio Machado, Poesie. Soledades – Campos de Castilla, Traduzione di C. Rendina, Milano, Newton e Compton, 2012.

[4] Rodolfo Vettorello, Siamo come sassi, Reggio Calabria, Leonida, 2010, pp. 72-73.

[5] Per maggiori informazioni sul poeta si legga la sua biografia nel capitolo-intervista a lui dedicato.                                      

[6] Giorgia Catalano è nata nel 1971 a Ventimiglia (IM). Sue liriche sono incluse in antologie, in un libro d’arte, agende e calendari poetici e su quotidiani, periodici locali e riviste letterarie on line, anche internazionali. Alcune di esse sono state lette in trasmissioni radiofoniche quali “L’uomo della notte”, condotta da Maurizio Costanzo su RadioUno, e “Dimensione Autore”, condotta dagli autori Giorgio Milanese e Laura Scaramozzino su Radio Italia Uno. Ha ricevuto segnalazioni e menzioni in diversi concorsi letterari sia per la poesia che per la narrativa. Recentemente ha pubblicato la sua prima silloge poetica, Un passaggio verso le emozioni (Photocity Edizioni, 2012), e un libro d’artista, Alle risposte, il tempo (EGS Edizioni, 2013). Collabora con la rivista di letteratura on line Euterpe. Cura un blog che porta il nome della sua raccolta poetica.

[7] Giorgia Catalano, Un passaggio verso le emozioni (2010-2012), Pozzuoli (NA), Photocity Edizioni, 2012, p. 28.

“Il crepuscolo” di Marco Marchi

Titolo: Il Crepuscolo 
Autore: Marco Marchi
Casa editrice: Prospettiva Editrice
Anno: 2009
Isbn: 978-88-7418-559-7
Numero: di pagine 178
Costo: 10 €

 

copertina terzo libro - 2009SinossiSi inizia da una comune aula universitaria per arrivare poi a tutt’altri luoghi e molti anni più avanti.Luigi Salvàti è uno studente universitario che cresce con la certezza che la cultura vada aiutata e promossa, in ogni sua forma. a diciannove anni quando si iscrive al primo anno di università, trenta quando lavora scrivendo poesie per riviste, quaranta quando fonda la sua associazione culturale Liberi di pensare e quasi novanta quando si trova a raccontare la sua vita senza rimpianti.Questa è la storia sua e di chi come lui cerca di raggiungere gli obiettivi che sente suoi, in maniera onesta e caparbia, lontano da ipotetici riflettori.

 

Chi è l’autore?

Marco Marchi è nato a Padova nel 1978. Laureato a Ca’ Foscari a Venezia, ha pubblicato nel 2005 la prima raccolta di racconti surreali “Non Si Può Mai Sapere”, (ri-edita nel 2011 con il titolo “La Fine Del Mondo”). Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di racconti “Dove Si Va”, parte finale del progetto iniziato con il primo libro, e nel 2009 il romanzo “Il Crepuscolo”.I suoi libri sono stati recensiti da quotidiani nazionali (tra gli altri Il Gazzettino e Il Corriere della Sera), riviste letterarie (Cabiria), televisioni nazionali (Sky, Rai1), emittenti regionali e radio.

“L’essenziale curvatura del cielo” di Adriana Gloria Marigo, recensione di Lorenzo Spurio

L’essenziale curvatura del cielo

di Adriana Gloria Marigo

postfazione di Eros Olivotto

La Vita Felice Editrice, Milano, 2012

ISBN: 9788877994615

Pagine: 72

Costo: 10 €

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Del dicembre conosco le lune

il ritorno lento della luce

dentro il cristallo dell’aria

(Da “21 Dicembre 2010, p.30)

 

Dopo la fortunata e introspettiva silloge di poesie Un biancore lontano (Lieto Colle Edizioni, 2011), Adriana Gloria Marigo torna con un nuovo lavoro dal titolo quasi criptico, L’essenziale curvatura del cielo, edito dalla casa editrice milanese La Vita Felice. L’attenzione che la poetessa padovana pone nei confronti del cielo –richiamato anche nell’esergo, una citazione di Pierluigi Cappello- come elemento fisico e simbolico era già stata evidenziata nella mia recensione al suo precedente libro dove avevo avuto modo di sottolineare come l’elemento “celestiale” era sempre connesso a qualcosa di meraviglioso, ma al tempo stesso di non completamente raggiungibile, un qualcosa cioè di sfumato e sfuggente. La centralità del suo poetare si localizza nell’isotopia della luce, del colore, dei bagliori e di un universo che già ebbi a definire come “un percorso aereo, sospeso tra il cielo e l’atmosfera”. E di quel “biancore” evocato nella prima silloge si ritrovano tracce anche in questo nuovo libro in quel “silenzio bianco” (p. 36) e nel “gioco di chiaro” (p. 35) della bianca luce lunare anche se in una lirica il bianco, l’assenza di tinta, viene sopraffatto dal colore: “Del bianco non seppi/ poiché m’insidiò il blu” (p. 54).

Dalla presa di coscienza di un tempo che giunge all’anticipo della fine, l’autunno, nella lirica d’apertura dal titolo “Tutto si consuma nell’autunno” si passa a una serie di liriche dolci, sussurrate, quasi che il lettore sia chiamato a leggerle facendo delle lunghe pause tra un verso e l’altro per riuscire ad assaporarne il vero contenuto: “Non seppi dirti novella/ neppure accennare a un’aria di/ adagio o l’ovvia domanda,/ trapassata io a stalattite” in “3-4 Gennaio 2011” (p.11). In “Quando la materia della luce” (p. 13) Adriana Gloria Marigo ci consegna una sorta di soffice inno all’operosità e al tempo stesso alla ciclicità della natura che sempre si ripete nel suo “contrasto apparente del rigore”. E questo panismo lirico lo si ritrova in numerose altre liriche in cui la poetessa si abbiglia direttamente con gli elementi naturali, “m’assesto i pensieri/ come un cappello di fiori” (p.15); “pampini vestivano/ la tua nudità ammirata” (p.22); “il roseto in fiamme/ del mio pensiero” (p. 48). In “Rimbalzi specchiati” (p. 14) la poetessa sottolinea una realtà che è concretezza nella vita dello scrittore: chi scrive è anche un gran lettore e chi legge spesso ama anche scrivere perché le due cose, pur coinvolgendo due attività tra loro diverse, sono strettamente connesse quasi come un rimando di riflessi allo specchio.

La poesia di Adriana Gloria Marigo potrebbe sembrare criptica e a tratti addirittura ermetica perché attribuisce alle parole un valore, un significato, più ampio -perché interiorizzato- di quello che noi nella vita di tutti i giorni siamo soliti dargli. E’ una poesia riccamente elaborata che utilizza molti elementi della natura per “agghindarsi” e risplendere così come ci viene offerta. La luce, il sole, l’ombra o la mancanza di luce sono, oltre che caratterizzazioni visibili e temporali, fasi di un’anima sensibile stese sulla carta, momenti, sensazioni, colorazioni di episodi vissuti: “Se amore si fa quarto/ come la Luna, d’uno sguardo/ abbracci l’ombra e nel/ gioco di chiaro, di scuro/ avvampa il cambiamento” (p. 35).

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

11/11/2012

Chi è l’autrice?

Adriana Gloria Marigo è nata a Padova nel 1951. Gli studi umanistici l’hanno condotta prima all’insegnamento, poi ad occuparsi di eventi di danza moderna e contemporanea, seguendo un talento versatile, sensibile all’arte, alla bellezza che trova dimora pure “dove l’ombra si gioca della luce”. Ha pubblicato L’essenziale curvatura del cielo (La Vita Felice Editrice, 2012) e Quel biancore lontano (Lieto Colle Edizioni, 2011).

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