Ilaria Celestini sulla scrittura di Susanna Polimanti

Susanna Polimanti narratrice dell’anima

 A CURA DI ILARIA CELESTINI 

 

 

Susanna Polimanti, nata a Foligno e residente a Cupra Marittima, nelle Marche, oltre a essere un’esperta traduttrice e una fine esegeta di testi letterari, membro di giuria in svariati e prestigiosi concorsi, è una narratrice sui generis, che privilegia l’essere all’apparire, con un uso moderato del linguaggio, fatto di frasi brevi, senza ricerca di effetti speciali con cui stupire il lettore, senza inutili orpelli, molto riservata e al tempo stesso incisiva.

Lo si evince dalla lettura dei suoi due testi più recenti, Lettere mai lette (2010) e Penne d’aquila (2011) (entrambi editi da Kimerik, Patti – Me)

Testi molto diversi tra loro eppure complementari sul piano ideale.

Nel primo, una raccolta epistolare le cui missive non sono mai giunte ai destinatari, non vi è una trama, così come non ci sono personaggi fissi o intrecci.

C’è la voce narrante dell’autrice, che racconta in modo garbato vicissitudini, vita quotidiana, aspettative deluse, doni offerti generosamente senza chiedere contraccambio, tenerezza e amore, anche per le creature più semplici, come un cane, presenza umile ma preziosa che arricchisce l’anima.

downloadE tanto basta per coinvolgere il lettore, senza nessuna affettazione, senza pose intellettualistiche, solo con la forza espositiva di una mente lucida sorretta da un cuore che sa commuoversi, e di conseguenza è in grado di suscitare emozioni profonde.

Il secondo testo potrebbe essere ascrivibile al genere del romanzo di formazione, e sarebbe facile citare l’Emilio di Rousseau o altri analoghi, ma quello che preme alla narratrice sembra il desiderio di farsi voce dell’anima, un’anima che compie la propria maturazione a poco a poco, attraverso dolori e disillusioni cocenti, ma sempre affrontate con dignità, eleganza e pudore.

Susanna è affabulatrice elegante e discreta; conduce per mano il lettore nei segreti teneri e commuoventi di una ragazza di buona famiglia, amata e protetta, ma al tempo stesso autonoma, emancipata, capace d’iniziativa.

Ci s’innamora di Virginia, come personaggio, perché è facile riconoscersi nei suoi pudori, nella sua innocenza, nei suoi slanci e soprattutto nella sua generosità.

E’ un’anima giovane, si è detto, eppure sa amare. Profondamente.

Il suo è un sogno d’amore casto e ardente insieme, che persiste e si evolve nel tempo, e possiede una personalità ricca di sfumature, dietro un’apparenza semplice, da ragazza della porta accanto.

Estremamente attuali sono anche le delusioni, sentimentali ma anche professionali, della protagonista, che sono quelle tipiche di chi ha una cultura umanistica e deve fare i conti con le esigenze del mercato.

Sorprendente è però il messaggio di fondo, che giunge in una modalità inconsueta e insperata: tutti i singoli passi del percorso esistenziale servono, anche quelli che in apparenza sono più ostici, si rivelano e si spiegano in una visione superiore che li ricompone e li colma di significato.

Un messaggio di speranza, utile ai giovani di oggi e alle persone in cerca di risposte sui fini ultimi della vita, a tutte le età.

 

 

                            Ilaria Celestini

 

Brescia, 8 settembre 2014

A Fermo si parlerà della scrittura di Susanna Polimanti, giovedì 28 agosto

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La Cisterna Art Cafè – FERMO

ore 21:15 – Ingresso libero

Presentazione dei libri di Susanna Polimanti

Presenta: Lorenzo Spurio

(scrittore – critico letterario)

Voce recitante: Daniela Agostini

 

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Intervista a Susanna Polimanti, a cura di Lorenzo Spurio

INTERVISTA A SUSANNA POLIMANTI

autrice del romanzo “Penne d’aquila”

a cura di LORENZO SPURIO

 

 

LS: In questo libro si ripercorrono le vicende della protagonista Virginia a partire dalla sua infanzia fino alla maturità soffermandosi in maniera particolare sulla psicologia del personaggio. C’è sempre una grande attenzione alla componente psicologica, intimista, di Virginia, e si evince la tua volontà di dirci in maniera esatta in che maniera il personaggio ha vissuto/sperimentato determinate esperienze. In questo –ma posso sbagliare- ho intuito un’ampia volontà di auto-rappresentazione, quasi come una sorta di diario trasfigurato in fiction. E’ così o sono sulla strada sbagliata?

SP: Hai colto nel segno, Lorenzo. Questo romanzo è una biografia romanzata. Affidare la narrazione ad una terza persona, la protagonista Virginia per l’appunto, è stata volutamente una mia scelta. Ritengo che Virginia possa rappresentare ogni donna, in ogni fase del suo vissuto. In realtà la vita di Virginia è semplice e complicata, esattamente come la vita di tutti noi. Il vero messaggio, l’essenziale è nascosto dietro ogni evento, in particolare “come” e “cosa” determinati avvenimenti generano nell’interiorità di ogni individuo.

  

LS: Il viaggio, inteso come momento di pausa e come intrattenimento, o come esperienza universitaria vissuta fuori di casa, o come trasferta lavorativa o, ancora, -e forse più importante di tutti- come ritorno alla città natale, sono espressioni di graduali momenti di ricerca e al contempo di forme di esperienza che consentono la crescita e l’acquisizione di una più concreta conoscenza del mondo. Quanto sono effettivamente importanti i viaggi per Virginia? E quanto lo sono per Susanna?

SP: I viaggi sono molto importanti per la protagonista Virginia, l’immaginazione si ferma laddove una valigia si posa, perché toccare le altrui realtà vuol dire divenire “consapevole” dell’esistenza di un intero universo che non si limita all’orticello di casa nostra. Io Susanna, ho sempre viaggiato molto e spero di poterlo ancora fare in futuro.

 

LS: La tua città natale, Foligno, nel romanzo è volutamente non nominata con il suo nome, ma nel riferimento al suo fiume Topino è facilmente individuabile. Conosco abbastanza bene la città dato che quando studiavo a Perugia ho spesso perso la coincidenza del treno ed ho così avuto occasione di visitarla, passeggiarci e rimanere incuriosito dal dialetto del luogo. Quanto sei legata alla tua città natale? Vivendo da molti anni nel sud delle Marche, ti senti più umbra o marchigiana?

SP: È molto difficile rispondere a questa domanda, perché le mie origini sono sia umbre che marchigiane. Mia madre è umbra e mio padre era marchigiano, eppure, senza ombra di dubbio più di una metà del mio cuore appartiene all’Umbria. Vivo nelle Marche ormai da anni, ad essere sincera di questa regione amo il suo mare e i tanti paesini dell’entroterra, in particolare il paese natio di mio padre.

 

imagesLS: Il finale del romanzo, chiaramente aperto e possibile alle interpretazioni, lascia il lettore con un velato senso di incompletezza, nel senso che si auspica un suo seguito o una sorta di chiarimento di quel paragrafo finale che –credo- hai espressamente voluto caricare di ambiguità. Parlando della metamorfosi nel temperamento avvenuta nel corso degli anni e dei vari avvenimenti vissuti da Virginia, nel romanzo concludi con un animo pacificato: “Qualcuno stava traghettando la sua zattera del labirinto della mente a quei luoghi appartati della sua anima per mostrare il coraggio, la saggezza, la consapevolezza e ogni altra risorsa interiore per superare qualunque sfida”. Mi sono arrovellato su quel “qualcuno”: esso è da intendere con Dio, con una ritrovata forza interiore o, invece, è personificato ed è rappresentato da un nuovo “ingresso” nella vita della protagonista?

SP: Quel “qualcuno” è unicamente la presenza divina nel quotidiano di Virginia, il nostro stesso io spirituale, che s’identifica con tale presenza. Dietro una finta realtà oggettiva esiste molto di più, Virginia arriva a comprendere il valore del suo vissuto complicato, si affida e continua il suo viaggio terreno, in attesa di raggiungere l’evoluzione finale che, con l’aiuto della sua fede riuscirà ad elevarla e condurla verso l’unica vera vita, dove solo il cuore e la sua anima si sentiranno finalmente liberi.

  

LS: Nella nota introduttiva al romanzo viene sostanzialmente spiegato il significato dell’aquila che hai voluto nel titolo, quale espressione di un animale maestoso ed intelligente che nelle varie culture ha avuto le più ampie accezioni. Un primo richiamo al volo è presente a pagina 23 quando Virginia afferma “ero sicura di aver volato già”. Questo “volo” io l’ho inteso anche nel tipo di prospettiva utilizzata nel tipo di scrittura che hai adottato: da una parte sembrerebbe esserci una tecnica modernista con una grande attenzione ai sentimenti e agli stati d’animo, dall’altra, invece, ho intuito una esplicita componente descrittiva, paesaggistica, ritrattistica (di città, paesi) come se la narrazione avvenisse dall’esterno e addirittura dall’alto. Aerea, insomma. Che cosa ne pensi?

SP: È esattamente come tu stesso hai interpretato: Virginia si evolve giorno dopo giorno, scopre di avere un dono che le permette di guardare ogni realtà intorno a lei dall’alto, con gli occhi della sua anima e non più con il solo sguardo umano. L’incontro con il suo più intimo io le permette di valutare gli eventi, le persone e ogni paesaggio intorno, dall’esterno. Virginia riesce a far tacere la mente affidandosi unicamente alle sue percezioni e cercando la risposta ad ogni perché, solo dentro il suo cuore. Siamo tutti troppo abituati a credere che il nostro cervello sia la chiave di tutto ma l’essere umano non è costituito di solo cervello, l’anima e lo spirito sono le parti più antiche, è lì che risiede la vera conoscenza.

  

LS: Quali progetti legati al mondo della letteratura attualmente ti vedono coinvolta? Stai lavorando a una nuova pubblicazione? E se sì, puoi gentilmente anticiparci qualcosa?

SP: Ci sto lavorando, purtroppo, vari impegni lavorativi e familiari mi concedono poco tempo per dedicarmi alla stesura del mio prossimo romanzo. Posso soltanto anticipare che si tratterà di un romanzo ambientato in un castello. Non abbandono mai la scrittura anche se finora ho soltanto scritto e terminato racconti vari. Ho molto materiale da parte e troverò senz’altro il modo di organizzarmi in futuro. 

Sono parte attiva di varie associazioni culturali e, leggendo molto, mi dedico volentieri a recensioni di vari autori. M’interessa tutto ciò che ha a che fare con cultura e tradizioni.

 

 

Grazie per avermi concesso l’intervista.

Lorenzo Spurio

06-06-2013

 

 

 

“Penne d’aquila” di Susanna Polimanti, recensione di Lorenzo Spurio

Penne d’aquila
di Susanna Polimanti
Kimerik Edizioni, Patti (Me), 2011
ISBN: 978-88-6096-716-9
Pagine: 173
Costo: 12 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

 

images“Penne d’aquila”, dell’amica Susanna Polimanti, è un romanzo che non lascerà indifferente il lettore. Il perché di questa affermazione il lettore lo sviscererà lentamente, pagina dopo pagina.

Il linguaggio chiaro e pulito, la ricca presenza di citazioni e riferimenti a testi “classici” della letteratura europea e non solo, rendono il percorso del lettore ulteriormente piacevole e motivo di riflessione sui temi che Susanna Polimanti affronta. Dolore, solitudine e senso d’apatia si intervallano a momenti d’evasione, flirt amorosi, serate spensierate con le amiche per poi risprofondare nella sofferenza per la dipartita di un congiunto, la desolazione interiore e lo scoraggiamento per una situazione lavorativa traballante, insicura, e ulteriore motivo di tormento. Ma il romanzo non è un elogio alla sofferenza, né una presa di coscienza sulla miserevolezza e la condizione disagiata dell’uomo nella società contemporanea, piuttosto è la trasposizione su carta di un animo sensibile che ha combattuto battaglie che l’hanno forgiata. Perché il libro è chiaramente una summa organica di motivi e riferimenti biografici della scrittrice (la citta natale dove scorre il fiume Topino, che è chiaramente la città di Foligno, la “cittadina delle Marche piena soltanto di salite e discese” (32) in cui vive che è di certo la città-capoluogo di Fermo, il lavoro di traduttrice-interprete, etc).

Il lettore è affascinato dalle pieghe intimistiche del romanzo ed accompagna mano nella mano la sua eroina, Virginia, ragazza dall’animo inquieto, sofferente, taciturna e minata –lo si dirà nelle primissime pagine del romanzo- da ricadute e svenimenti che, oltre a indebolirla, la conducono a domandarsi di continuo il perché di quegli avvenimenti.

La narrazione prende una virata più colorita quando la narratrice ci parla della sua introduzione al mondo del lavoro con colloqui, licenziamenti, contatti con dirigenti e quant’altro nella sua attività di interprete e traduttrice in imprese del calzaturiero nel Fermano (altro riferimento alla stessa autrice dove appunto vive ed ha lavorato).

“Penne d’aquila” è un romanzo di formazione: seguiamo Virginia dall’adolescenza fino alla maturità e nel trascorso degli anni intuiamo una crescita morale che si esplica nella felice riconciliazione con sé e nella scoperta del bello nel semplice, ma è anche e soprattutto un romanzo d’amore perché la componente formativa, di conoscenza del mondo, tipica del bildungsroman, non può non passare attraverso la conoscenza, l’attrazione e l’amore verso qualcuno. L’amore è di certo un elemento conoscitivo ed esperenziale di fondamentale importanza nel percorso di crescita e qui, nel romanzo di Susanna, è il tema che aggruma tutta la narrazione, come il finale agrodolce evidenzierà. Ma la crescita non può avvenire neppure senza aver sperimentato realtà spaziali differenti da quella natia ed è per questo che l’esperienza universitaria di Bologna, la singolare vacanza-studio in Germania, le trasferte lavorative a Copenaghen e a Shangai, oltre a significare momenti di lucido ritrovamento di se stessa, di pacificazione e di osservazione dei suoi problemi da fuori, funzionano come rinvigorimento di quell’essere a tratti depresso a tratti perturbato dai sentimenti contrastanti che l’amore spesso genera. Ma nella vita di Virginia –il cui nome non può che richiamare la grande scrittrice inglese che soffrì di depressione e che introdusse il celebre “flusso di coscienza”-  non mancano forti contraccolpi e momenti bui ad aggravare la pesantezza di un vivere tormentato quali sono la morte del padre, prima, e quella di una grande amica. Momenti difficili che pongono l’autrice ad elucubrazioni ancora più particolareggiate e di difficile risposta che affida soprattutto ad alcune citazioni che la scrittrice ha deciso di mettere all’inizio di ciascun capitolo.

Un romanzo d’indagine nelle pieghe dell’io, alla continua ricerca della ragione del mal di vivere e al contempo di una esasperata volontà di sentirsi amata. A volte –sembra sussurrarci l’autrice all’orecchio- non c’è una spiegazione chiara e definita a ciò che ci accade. Possiamo collegarlo a qualcos’altro o rintracciarne la causa in ciò che più ci fa piacere, ma il più delle volte le cose accadono per caso, per sbaglio, per coincidenze. Ed è proprio per questo che Virginia ed Angelo riusciranno a rincontrarsi dopo trenta anni e a riscoprirsi attratti, coinvolti, uniti in un amore mai del tutto esplicitato, ma che ancora una volta verrà vissuto troppo velocemente.

Nelle ultime pagine leggiamo: “Aveva imparato a sorridere, anche quando le circostanze le avevano impedito di farlo” (172). Il tempo dona esperienze, nuove amicizie, amori, regala viaggi, momenti di condivisione, ma porta con sé anche l’aggravarsi di malattie e ci priva di persone care. Forse, allora, la soluzione di tutto sta nel saper colloquiare con esso, riconciliandosi agli eventi passati senza rancori né recriminazioni, per consentire a quelle ali invisibili che tutti abbiamo, di spiegarsi e di dar vita a un soave volo. E magari di sorvolare sui lidi adriatici delle Marche di cui Susanna ci parla e dei quali io stesso condivido un grande attaccamento.

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico letterario)

 

Jesi, 6 Giugno 2013

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