Alcuni testi di Liliana Manetti tratti da “Colore di donna”, la nuova silloge poetica

Segnalazione a cura di Lorenzo Spurio  

Liliana-foto

Liliana Manetti

Liliana Manetti (Roma, 1980) si è laureata in Filosofia all’Università “Tor Vergata” di Roma. Poetessa e scrittrice, ha pubblicato numerosi volumi. Per la poesia L’ultima romantica (2011), La mia arpa (2012), Il fiore di loto. Storia di una rinascita (2015) e Colore di donna. La forza di una nuova rinascita (2020) con acquerelli della quotata artista polacca Anna Novak[1]. Per la narrativa il romanzo fantasy Almond. Il fiore dei Mondi Paralleli (2013) scritto assieme a Selina Giomarelli e i romanzi Shabnam. La donna che venne da lontano (2016) e La nuova favola di Amore e Psiche (XXX).  Consulente radiofonico e responsabile colloqui nel format radiofonico in onda su Radio Roma Capitale 93 FM dal titolo “Live Social” e giornalista e opinionista in varie testate cartacee come l’inserto culturale di Gaetano Di Meglio “Il Dispari”, “PaeseRoma”, “Abitare a Roma” di Vincenzo Luciani, e nella rivista “La Sponda” di Benito Corradini. Collabora come volontaria nel salotto culturale Polmone Pulsante a Roma e organizza eventi. È Ambasciatrice della Regione Lazio dell’Associazione culturale Internazionale DILA di Bruno Mancini. Numerosi gli incontri con il pubblico tenuti nel corso degli ultimi anni in vari locali e contesti culturali della Capitale e non solo.

Il volume Colore di donna (Santelli, Cosenza, 2020) si apre con una esaustiva presentazione della stessa autrice che fornisce alcuni parametri di lettura importanti da poter tenere in considerazione durante la lettura del volume in relazione all’approccio personale e biografico dell’autrice. In essa viene detto: “Le liriche sono ispirate al mio mondo interiore, sono quasi tutte introspettive ma anche e soprattutto celebrative: ossia esaltano l’importanza della poesia e dell’ispirazione poetica che è in me anche e soprattutto “catarsi” (purificazione) dal dolore e dai drammi che sono presenti nell’esistenza… una capacità che assomiglia, grazie alla sua forza immensa, al rinascere della natura nel periodo primaverile. […] Le liriche (come anche i romanzi) sono ispirati a delle mie situazioni esistenziali complicate, dove la soglia del dolore psicologico è stata ed è purtroppo molto alta per la mia persona, dovuta a esperienze limite ma anche alla mia spiccata sensibilità”. Ed è la stessa autrice, sempre in questa nota iniziale, a chiarirci le componenti tematiche che contraddistinguono le varie parti del nuovo libro, accompagnandoci come “per mano” in questo percorso: “La silloge inizia con il capitolo “Tra sogno e realtà. Nel limbo”: sono i primi cenni di riapertura al mondo, i sogni che rimangono nella nostra esistenza, nonostante il fatto che la realtà è molto più dura di quello che ci eravamo da sempre aspettati che accadesse nella nostra vita. […] La seconda parte si intitola “Approdo all’altro”: apro tematiche molto profonde, come quelle sull’amicizia e sulla pace, che mi sono sempre state a cuore, e che hanno segnato tante mie riflessioni, queste pubblicate sono le più mature. […] La terza e quarta parte della silloge, “La rinascita”, […] riprende la voglia e la capacità di andare avanti… una rinascita che è interiore, ma che avviene in particolare nel periodo primaverile. La quinta parte è quella in cui mi autodefinisco “Emersa nell’altro”, come il fiore di loto che “emerge dal profondo e sboccia”, a cui si arriva quando, avvenuta la rinascita ci si può aprire all’amore. La sesta e ultima parte “Essenza di donna” […] rappresenta una raccolta di poesie tutte dedicate alla donna”.

 

A continuazione quattro testi poetici selezionati dal volume:

 

Approdo all’altro

 

Viaggiatrice dell’anima

 

Scintilla di rugiada

sulle tue guance

scivola delicata

sulle fessure gentili del tuo volto

dove io scruto

attenta

la tua

ANIMA…

*

 

Rivoglio le mie ali

 

Vita restituiscimi i miei sogni!

Quella vita sempre immaginata…

quella storia che mi sono sempre raccontata

ancora aleggia nei miei desideri!

Speranza lotta contro i momenti bui

del mio vagare…

La meta porta in vetta,

la voglia di non arrendersi mai

mi trascina in percorsi mai

esplorati

ma da sempre impressi

nella mappa geografica

della mia vita…!

Striature colorate

vedo in lontananza…

il filo rosso che conduce

ai miei obiettivi più profondi

emerge dalle difficoltà…

Non voglio perdermi…

rivoglio le mie ali!

 

*

 

Figlia della luna

 

Figlia della luna

sorella delle stelle

con i sogni per vestiti

e le ali per volare

per raggiungere

le vette più alte delle mie fantasie…

io?

Una creatura fragile,

fragile e felice.

Ma la vita non perdona

invidiosa del mio volo e del mio canto

mi ha strappato le vesti,

le ali.

Son caduta in picchiata

in questa fredda realtà…

ora, nuda

scrivo versi

con la nostalgia di quel mondo tutto mio

un mondo silenzioso

disegnato dai colori della mia anima.

*

 

A Frida Kahlo (come bozzolo…)

 

Come bozzolo

incustodito

mi sforzo di custodire

il mio dolore…

contengo le mie ferite più profonde

ma le mie nell’anima,

le tue nel corpo e nell’anima

scalfisco lì dove fa male

dipingo,

io con parole,

scolpisco

ma senza sublimare

mi osservo

mi accetto

rifletto luce

dal profondo dell’oscurità

vivo l’attimo che scorre…

assaporo, degusto

il cibo più prelibato…

come te:

comunque vivo!

519s97YTBjL._SX317_BO1,204,203,200_Rilevanti anche i sostanziosi contributi critici che arricchiscono il testo, ovvero la prefazione a firma di Domenico Mazzullo[2] e la postfazione stilata da Franco Di Carlo. Cito da entrambi i testi riportando in superficie considerazioni interessanti e degni di una maggiore diffusione. Mazzullo, che è un affermato medico psichiatra, annota: “Ho trovato, scoperto, riconosciuto [nei suoi versi] la conferma di una sensazione, un’intuizione che è sempre stata una mia ferma convinzione, tanto da farne una ragione di vita. La sofferenza […] non sempre è, come spesso ci appare, inutile, insulsa e fine a se stessa, ma a volte, e questo dipende solo da noi, essa si trasforma, si trasmuta, si nobilita in una esperienza personale e collettiva che ci insegna, che ci fa, o ci obbliga, a crescere, a farci più maturi, a capire e comprendere noi stessi e gli altri che ci circondano, a trasformarci da esseri spontaneamente e naturalmente egoisti, in Persone capaci di soffrire, ma anche di gioire assieme agli Altri, per i Loro dolori e le Loro gioie. […] Le poesie sono tutte belle e ognuna diversa dalle altre, permettendo ad ogni Lettore, di scegliere tra queste quella che è stata maggiormente capace di penetrare il Suo animo, di sconvolgerlo, di travolgerlo, di commuoverlo, di emozionarlo”.

 

 

NOTE:

Franco Di Carlo[3], noto poeta e scrittore, autore di vari volumi di critica (su Tasso, Leopardi, Verga, Ungaretti, Poesia abruzzese del ‘900, l’Ermetismo, Calvino, Avanguardia e Sperimentalismo, il romanzo del secondo ‘900), invece, nella nota di chiusura al volume riporta: “[La sua] è una poesia esistenziale e affettiva, fatta di incontri (voluti o sognati): con la poesia stessa e con l’arte, con la Natura (sempre Mater benigna), con l’Amicizia e soprattutto con l’Amore, principio di tutte le cose, “Principio Vivificante”, come ci ricorda Giacomo Leopardi. […] [Essa è connotata dal] suo lirismo passionale ma luminoso, [dal]la vena autobiografica, [da]l diarismo esistenziale, [dal]l’afflato simbiotico e archetipico con i Principi fondanti della Vita (naturale e umana). […] L’Amore [è] inteso in tutte le sue varie declinazioni: ansia, sogno, desiderio; tema-guida”.

[1] Nella sua introduzione l’autrice scrive: “La pittrice Anna Novak è famosa per i suoi dipinti, che hanno come soggetto donne dai colori pastello sorprese in alcuni momenti particolari tutti al femminile. Il lavoro di questa silloge quindi rappresenta un connubio tra le arti, la poesia che si fa pittura e la pittura che si fa poesia: una modalità di espressione che mi è cara da sempre”.

[2] Domenico Mazzullo è nato a Roma, ove vive ed esercita; si è laureato in Medicina a Roma e successivamente specializzato in psichiatria a Pisa. Nei primi anni di professione è stato medico condotto e medico di bordo. Ha lavorato presso l’ospedale psichiatrico di Volterra ed in varie strutture specialistiche psichiatriche. È stato consulente psichiatra e poi Direttore medico di un istituto specialistico di riabilitazione psichiatrica. Ha curato i capitoli inerenti la Psichiatria e la Psicofarmacologia nella stesura di testi di medicina interna. Collabora, in qualità di psichiatra, con rubriche di medicina su Internet. Esercita la libera professione come psichiatra clinico e psicoterapeuta. Ha partecipato all’edizione 2003-2004 della trasmissione Domenica In di RAI UNO condotta da Paolo Bonolis.

[3] Franco Di Carlo (Genzano di Roma, 1952), oltre a diversi volumi di critica (su Tasso, Leopardi, Verga, Ungaretti, Poesia abruzzese del ‘900, l’Ermetismo, Calvino, D. Maffìa, V. M. Rippo, Avanguardia e Sperimentalismo, il romanzo del secondo ‘900), saggi d’arte e musicali, ha pubblicato varie opere poetiche: Nel sogno e nella vita (1979), Le stanze della memoria (1987), Il dono (1989); fra il 1990 e il 2001, numerose raccolte di poemetti: Tre poemetti; L’età della ragione; La Voce; Una Traccia; Interludi; L’invocazione; I suoni delle cose; I fantasmi; Il tramonto dell’essere; La luce discorde; nonché la silloge poetica Il nulla celeste (2002). Della sua attività letteraria si sono occupati molti critici, poeti e scrittori, tra cui: Bassani, Bigongiari, Luzi, Zanzotto, Pasolini, Sanguineti, Spagnoletti, Ramat, Barberi Squarotti, Bevilacqua, Spaziani, Siciliano, Raboni, Sapegno, Anceschi, Binni, Macrì, Asor Rosa, Pedullà, Petrocchi, Starobinski, Risi, De Santi, Pomilio, Petrucciani, E. Severino. Traduce da poeti antichi e moderni e ha pubblicato inediti di Parronchi, E. Fracassi, V. M. Rippo, M. Landi. Tra il 2003 e il 2015 vengono alla luce altre raccolte di poemetti, tra cui: Il pensiero poetante, La pietà della luce, Carme lustrale, La mutazione, Poesie per amore, Il progetto, La persuasione, Figure del desiderio, Il sentiero, Fonè, Gli occhi di Turner, Divina Mimesis, nonché la silloge Della Rivelazione (2013).

 

La riproduzione del presente testo, e dei brani poetici riportati (dietro consenso dell’autore), sia in forma di stralcio che integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dei relativi autori.

“Semplicemente, la mia storia” di Barbara Colapietro, recensione di Lorenzo Spurio

Recensione di Lorenzo Spurio

Poesia del nostro tempo, quella contenuta in Semplicemente, la mia storia (Bertoni, Perugia, 2018), opera della poetessa Barbara Colapietro, estimatrice della grande poesia lirica del poeta spagnolo Federico García Lorca. Questo volume si compone di varie sotto-sezioni che, volutamente, tramite i titoli anticipatori, tracciano un po’ il segno del percorso (significativa, a tal riguardo, è l’evocativa immagine di copertina) che la Nostra si appresta a compiere e ci invita a raccogliere. Poesie che si nutrono della propria interiorità e che attraversano il tempo con lucidità, senza nessuna remore di mostrarsi allo sconosciuto lettore.

semplicemente-la-mia-storia.jpgLa prima parte “Apocalisse del cuore” ben mostra il sistema di contrasti che dominerà per tutto il corso del libro. Quello degli ossimori e degli opposti è uno dei sistemi più efficaci messi in campo da Barbara Colapietro per evidenziare lo scarto che esiste tra una realtà attuale desolante e caotica al contempo e una società improntata al bene e alla solidarietà che appare come ideale e irraggiungibile. In realtà con la sua poesia l’autrice chiama a un’analisi di questa condizione asfissiante e alienante nella quale siamo immersi. Si rimarcano, nei vari versi che appartengono a questa prima parte della silloge, gli aspetti più gravi e deleteri di una società asservita al Male: “In una sola notte/ hanno estirpato/ tutti i fiori” (18); “Hanno messo/ la passione nella bara/ per uccidere/ il ventre di una madre” (18). Per tali ragioni la Nostra si trova inserita in un contesto nel quale cerca di individuare una possibile strada di semplicità, una via nella chiarità che possa in qualche modo dare compimento alla nostra ricerca continua di una verità. Si percepisce un piano evidentemente spirituale, sorretto da un pensiero religioso che nutre l’esistenza della Nostra e ne corrobora i pensieri, anche quelli apparentemente più grevi. La giustizia (dall’omonima poesia) si tinge di quel monito sentito e di quell’impegno furente che ha la sembianza di una lotta per la verità.

Si parla di cattiveria, ipocrisia, di situazioni di marginalità, povertà economica quanto morale. Nella poesia “Apocalisse del cuore”, un po’ come il celebre poeta granadino, partidario de los que no tienen nada, la poetessa parla di persone “affamat[e],/ deris[e],/ calpestat[e],/ depredat[e],/ violentat[e]” (21).  Netto e chiaro è il grido di dolore di cui la poetessa si fa testimone nella dolente poesia “La voce della storia”, quadretto amaro di una realtà dove dominano il vizio, il peccato e il crimine. “Hanno strappato le mie radici con la violenza/ penetrando/la sopraffazione del prepotente” (22).

La falsità prende la forma non solo di atteggiamenti menzogneri improntati, furbescamente, a sovvertire la mente degli altri, ad uso e consumo, ma anche di veri e propri cambi d’abito e mascheramenti come sono quelli a cui si allude in “La chiave”: “Demoni travestiti da santi” (31) ed è questo, nella diffusa promiscuità di bene e male, tra falsità del bene, che è opportunismo e strumentalizzazione, e male atavico, che la società disillusa galleggia. Viene a mancare la possibilità di una speranza nei confronti dell’altro. Minacciata in maniera irriguardosa è la fede verso il gruppo umano, il senso di comunità, la possibilità di un’azione coesa e responsabile. In “Amico fuoco” dove la Colapietro ritorna ampiamente su tema della “falsità imperante/di questi giorni,/sempre in maschera” (33) si parla anche di tradimento che è forse, a qualsiasi livello e forma esso venga compiuto, la più bieca e offensiva azione che un uomo può commettere verso un suo simile.

La sardonica “Lettera alla società perbene” recepisce tutti questi motivi e li indirizza, senza mai cadere nell’uso di un linguaggio becero che cade nel populismo, a un possibile indirizzario. Non è un indice puntato verso qualcuno, né un tentativo – pur vago – di metter sotto processo qualcuno, piuttosto di marcare ancor più distintamente l’aspetto bifido dell’uomo: tra apparenza e intenzioni, tra forma e sostanza, tra veste che ricopre e interiorità celata. Si capisce che non è semplice mettere per iscritto la sofferenza che si prova, giorno dopo giorno, nell’apprendere e sperimentare sulla propria pelle di una società disattenta e sorda, indifferente e cinica nella quale, pur malvolentieri, siamo calati. Ciò comporta un ripiegamento dell’animo che fa seguito all’evidenza della vulnerabilità dell’uomo solo, solitario, immerso nei suoi pensieri: “Ho il cuore/ pieno di lacrime…” (37), scrive in “Le tue lacrime”.

La seconda sezione del libro, “Gocce di luce”, sembrerebbe aprire a una stagione meno fosca, caratterizzata da quella luce che, pur in forma distillata, riesce comunque a contaminare in senso positivo il mondo.  Sono liriche pervase da quel sentimento cristiano di cui si diceva, dove si allude spesso a una dimensione altra che non facciamo difficoltà a leggere come l’io lirico in rapporto con la dimensione religiosa, in cerca tanto di un conforto, che di una promessa. La poesia che apre la sezione s’intitola non a caso “Giuramento” e si parla di “Eterno presente” e di “armonia degli opposti” (41). C’è una rinata speranza che riaffiora: “Oggi canto il sole” (42) recita la Nostra che qui si dedica a tracciare momenti felici del passato, incontri amorosi, momenti di affetto e di dolcezza che neppure il tempo ha diminuito nella loro forte carica in termini di pathos e emozione. Seppure siano sempre presenti quelle “nebbie/ che accecano la Verità” (48) sembra che la poetessa abbia risalito la china rispetto alla foschia che contraddistingueva la prima parte del libro. La rinata consapevolezza di un mondo che, pur brutto e degradato, non annulla completamente la speranza del bello e del raggiungimento della felicità, si può collocare proprio in queste liriche che occupano la parte mediale del volume. Una sorta di rito intermedio, di passaggio, da una visione allucinata e criticamente lucida del vivere e una predisposizione alla levità (che si vedrà nella terza sezione), che passa immancabilmente in questo stadio intermedio, in questo anello comunicante, che è la riattualizzazione felice del passato, la riscoperta del colore, l’esigenza di un’alterità e il sentimento religioso a conforto. Alla domanda “Chi sono io?”, che almeno una volta nella vita tutti ci siam posti, Barbara Colapietro si auto-risponde: “Una voce vera/ nel deserto dell’uomo senza Dio” (49). Si procede con una apprezzabile poesia religiosa, potremmo dire quasi un poemetto data la sua lunghezza, dal titolo “Il Vangelo di Chiara” dove la poetessa liricizza l’esperienza errabonda e filantropica di Chiara di Assisi: “Emozioni espresse di una donna/ che ha vestito la sua carne/ col manto nudo/ del colore del vento/ per Amore” (50). Il senso di bellezza insito nella semplicità e nella povertà vissuta quest’ultima non come motivo di autocompiacimento o lamentazione, ma come motivo esso stesso di ricchezza, poiché motiva e arma l’uomo al fare. La vicenda della mistica è in qualche modo riecheggiata anche nei versi di “Oasi” dove si legge: “Sono una mendicante nel deserto./ […]/ e vago/ alla ricerca della mia oasi” (55).

La parte conclusiva del volume, “Il colore del vento”, è formata da diciotto componimenti, alcuni dei quali molto brevi e posti in coppia nella stessa pagina. Alcuni dei titoli chiarificano il percorso intrapreso nella precedente sezione, di matrice etico-religiosa, che qui si prosegue: “Il mio pane”, “Sui sentieri di Chiara e Francesco”, “Chiara di Dio”, “Viandante dello spirito” e così via. Sono poesie che sono testimonianza di un percorso iniziato e nel quale ci si è introdotti. Un tragitto di conoscenza interiore e del mondo, sostenuti dalla dottrina cristiana che è custode dell’anima dell’uomo. La poesia conclusiva del volume, “Sulle orme del tempo”, ben si coniuga anche alla foto scelta per la copertina nella quale non vi è una presenza umana in forma diretta, ma in forma indiretta vale a dire mediante le orme che attestano un passaggio, una presenza nel passato prossimo. Queste orme sono i segni distintivi di un attraversamento e, dunque, di una presenza vera vissuta, concreta e documentabile. Qui, in questa poesia, si parla di tracce di un amore che restano indelebili nel cuore e che, neppure il passare del tempo, ha la capacità di sbiadire: “Il tuo cuore di madre/ è stato bruciato/ sulla pira del potere.// […]/ Vivi la vita” (71). È un messaggio di speranza e di ritrovata tranquillità. Quella pace con noi stessi e col mondo – spesso friabile – che si può ottenere forse solo con un vero percorso di analisi, ricerca, approfondimento e lettura di sé, e di sé in relazione con gli altri.

Lorenzo Spurio

29-10-2019

La riproduzione del presente testo, in forma di stralcio o integrale, non è consentita in qualsiasi forma senza il consenso scritto da parte dell’autore.