Guido Oldani, artefice della “rivoluzione copernicana” della poesia del XXI secolo

Di Lorenzo Spurio

Domenica 15 maggio 2022 a Senigallia, nota località balneare della riviera Adriatica, è andata in scena la cerimonia di premiazione della decima edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, ideato, fondato e presieduto dal sottoscritto e organizzato annualmente con l’Associazione Culturale Euterpe di Jesi. Come avvenuto nelle edizioni precedenti sono stati consegnati alcuni premi speciali fuori concorso – frutto della proposta del sottoscritto e della deliberazione del Consiglio Direttivo di Euterpe APS – tra cui il Premio Speciale alla carriera al noto poeta milanese Guido Oldani, fondatore del Realismo Terminale.

Guido Oldani (Melegnano, 1947) ha conseguito una maturità tecnica. Maestri della sua adolescenza sono stati, tra gli altri, il critico letterario Giovanni Cesari e il violoncellista-pittore Gianni Zuccaro, autore di diverse vetrate della cattedrale di San Paolo del Brasile. Nel 1966 s’iscrive alla Facoltà di Medicina, concentrandosi nello studio dell’anatomia umana normale microscopica, con esiti brillanti di ricerca, che gli varranno pubblicazioni nella rivista scientifica «Acta Anatomica», fino al 1984. In contemporanea si occupa di psicodiagnostica, impadronendosi della metodica di Rorschach. Importante, in quel periodo, è la frequentazione dei poeti Luciano Erba, Antonio Porta, Alda Merini e Giovanni Raboni, il quale scriverà la prefazione alla sua prima opera poetica, Stilnostro (Cens, 1985). Oldani è immenso a trecentosessanta gradi nell’arte (come si leggerà a continuazione) e di quel periodo è anche l’amicizia con gli scultori svedesi Gert Marcus e Françoise Ribeyrolles.

Nel 1987 prende parte al Festival internazionale MilanoPoesia, dove porta il senso della sua raccolta, che consiste nel togliere la realtà dal tempo, mediante l’uso di gerundi, participi passati e ablativi. Prende subito a differenziarsi rispetto ai poeti circostanti. L’espressione di questo suo disagio lo indirizzerà al Seminario Internazionale degli Artisti, presso la Fondazione Vardö di Stoccolma. Alla Columbia University di New York stringe amicizia con il poeta americano Allen Mandelbaum, italianista traduttore della Divina Commedia in lingua inglese.

La svolta nella poesia si ha con la partecipazione al Convegno di Losanna, “Varcar frontiere”, nel 2000. L’anno dopo esce la sua seconda raccolta, Sapone (rivista «Kamen», 2001) La sua collaborazione a case editrici e quotidiani vari (tra i quali «Il sole24ore», «Avvenire», «Affaritaliani» on line, «Il Cittadino», al periodico «Luoghi dell’Infinito») è continuativa e importante e non verrà mai meno negli anni successivi.

Segue la pubblicazione di La betoniera (LietoColle, 2005), che sarà tradotta in diverse lingue, fra le quali l’arabo, a cura del poeta libanese Fuad Rifka. Gli viene affidata la direzione di una collana dall’editore Mursia dove nel 2010 uscirà la teorizzazione poetica del nuovo genere di cui è padre indiscusso, Il Realismo Terminale, che fissa in maniera compiuta il canone della sua poetica.

Le tesi avanzate in questo pamphlet richiamano immediatamente l’attenzione, oltre che di poeti e critici letterari, di medici, matematici, geografi, urbanisti, filosofi, antropologi, pedagogisti, e psicanalisti, che ne faranno oggetto di discussione in occasione di convegni e tavole rotonde. Si apre così, per Oldani, un decennio di frenetica e appassionata divulgazione. I princìpi del RT (acronimo che useremo d’ora in poi per riferirci al Realismo Terminale) entrano anche nelle scuole e nelle università. Intorno alla sua persona si forma con slancio e grande convinzione un cospicuo sodalizio di persone, poeti e artisti di varia natura, che nel 2014 al Salone del Libro di Torino con la presentazione del “manifesto breve” A testa in giù, si costituirà ufficialmente in movimento. Numerosissime le iniziative a cui partecipa, incontri, convegni, recital e altro ancora.

Seguono altre pubblicazioni: La guancia sull’asfalto (2018), in cui sprigiona esemplarmente, con felice e vulcanica creatività, tutte le potenzialità della “similitudine rovesciata”, una delle sue più avvincenti (se non ardite) creazioni da cui diparte l’idea stessa del Manifesto. Nel 2020, a dieci anni dal suo Manifesto, indirizza una “lettera aperta”, dal titolo Dopo l’Occidente, a quanti hanno accolto il suo “appello”, per fare un bilancio del lavoro fin qui compiuto e soprattutto per aprire ulteriori prospettive di sviluppo.

Nel corso della cerimonia di premiazione a Senigallia, Oldani è intervenuto con un suo contributo spontaneo che ha riscosso ampio interesse nel pubblico. Accompagnato da Annachiara Marangoni, amica e collaboratrice all’interno delle attività del RT, Oldani ha trovato in sala ad applaudirlo anche la poetessa Tania Di Malta, fervente seguace del RT e autrice, tra gli altri volumi, di una recente antologia dal titolo Il gommone forato. La poesia civile del Realismo Terminale (puntoacapo, 2022).

Prima di invitarlo sul palco a parlarci del suo impegno nella letteratura e dei motivi trainanti che lo hanno condotto alla teorizzazione del RT, ho dato lettura in forma sintetica, della motivazione critica da me stilata quale argomentazione per l’attribuzione del Premio alla Carriera. Essa è stata pubblicata nell’opera antologica del Premio (volume non in commercio) assieme alla raccolta di inediti di Oldani dal titolo Tegole dalla quale mi piace estrarre la poesia “Aggiornamenti climatici” che così recita: “solo un farlocco può pensare ancora / che sia successo niente dal duemila / e spalma il novecento in tiritera. / adesso sono uguali i continenti, / fotocopie dell’africa che bolle / o meglio cinque pentole sul fuoco / e l’estate è un gran forno di sterminio; / nelle città, oppure sulle spiagge / non è più tempo questo di cremine / e l’aria è bianca come l’alluminio”.

Propongo il testo della motivazioni integrale a continuazione perché permette di avvicinarsi ancor meglio alla genialità e insieme alla prodezza di Oldani nella fondazione del movimento del RT.

Nel 2010 Guido Oldani pubblicava il Manifesto del Realismo Terminale che, nel giro di poco tempo, veniva tradotto in varie lingue, diffuso sulla stampa, dato a conoscere negli ambienti culturali di varie zone d’Italia, riscuotendo subito una grande attenzione. Oggi, a distanza di anni, possiamo sostenere che l’intervento di Oldani con il Manifesto, non tanto programmatico ma ideologico, agli albori del XXI Secolo ha rappresentato senz’altro una picconata ai sistemi sempre più granitici e solipsistici di una cultura disattenta al contesto in cui abita.

A partire da quella data, infatti, è nata una fluente teorizzazione e produzione critica e antologica tesa a indagare le peculiarità e i punti di forza di questa rivoluzione antropologica. I contributi del docente Giuseppe Langella e di Elena Salibra, in particolare, sono stati molto apprezzati e ritenuti, assieme al Manifesto d’apertura della nuova stagione di riflessione, fonti di prim’ordine irrinunciabili per tutti coloro che nel tempo hanno inteso avvicinarsi e meglio concepire l’idea capostipite e il movimento che ne è nato.

Il RT parte dall’assunto di un grande ribaltamento tra soggetti e predicati e vede l’uomo sostituito dal mondo degli oggetti che, nella società consumistica in cui viviamo, hanno rimpiazzato ogni parvenza di naturalità. Attorno alla geniale e indovinata definizione di similitudine rovesciata si snoda la poetica terminale, si pensi ad alcuni versi quali “un cielo bianco come il lardo” (che dà il titolo a una celebre opera di Oldani); “il cielo è carta igienica già usata”, “ha la forma del manico di secchio,/ l’arcobaleno” ; “sembrano le piante chiodi storti” , “il vento come ruspa scavatrice”, “i pioppi spogli sono delle forche”  e così via in un repertorio vastissimo di momenti in cui la natura è presentata dissimulata, cementificata, con sembianze e forme di arnesi, strutture portanti, elementi rigidi. Si pensi alle tante poesie che parlano di calce, cavalcavia, grattacieli, cantieri, betoniere e tanto altro ancora. Prevalgono, alle spese dell’emozionalismo, della spiritualità e dello scavo psicologico, la ruvida concretezza, il mondo della materia, l’accumulo e il pattume, l’asfalto e i gas tossici, la materialità possente e autoreferenziale, gli ambiti scatologici dell’uomo, il patologico e il virale, l’utilità dell’essere umano non in quanto ad abilità e conoscenze intellettive ma in relazione al suo punto di raccordo, quale ingranaggio mediano, nella catena di montaggio.

Oldani con la sua operazione che egli stesso ha definito come una sorta di “incidente mentale” ha evidenziato, meglio di nessun altro, il preoccupante e inarrestabile processo di disumanizzazione dell’uomo, lo svuotamento emotivo delle persone, il loro divenire merci indistinguibili, utili solo in quanto alla loro pratica funzionalità. In questa esplicitazione cruda e incontrovertibile della “dittatura degli oggetti” ha fatto emergere il caos e la disperazione di un’età, la disillusione e lo stravolgimento dettato dall’accumulo di persone (lui parla di pandemia abitativa), spesso definito anche come accatastamento non mancando di adoperare una giusta dose d’ironia che s’unisce spesso a una certa crudeltà d’immagini. Non perché sia un sadico ma perché il mondo è recidivamente cattivo.

La cronaca urlante di guerre, violenze, atti di degenerazione urbana fa da sfondo, insieme al dramma molto sentito per le sciagure migranti, a molte liriche tanto in Oldani quanto nei realisti terminali suoi seguaci.

La natura, come saremmo portati a concepirla, è presente nelle forme deviate dettate dall’azione antropica distruttiva dell’uomo. È una natura fatta di cemento, calcestruzzo, lamine di metallo, vetri e altri elementi inerti, freddi, privi di loquela. L’identificazione con il mondo oggettuale fa sì che l’uomo risulti disperatamente ingabbiato in categorizzazioni, stereotipi e automatismi che lo conducono a un procedimento di cosificazione.

Questa meccanicizzazione e oggettivizzazione continue sono la causa e la dannazione dell’uomo contemporaneo che, pur vivendo in una società plurale, allargata e densamente abitata come la metropoli, risulta essere solo, indifferente, asociale, completamente staccato dal contesto, come una piccola sfera d’acciaio in un più ampio ingranaggio: necessaria per funzionare ma inabile a emozionarsi. Che il Male si annidi proprio nella sciatteria, in forme di chiaro egoismo e nella frenetica attenzione al guadagno in questo clima virtuale, difficile come un campo minato, è evidente da considerazioni amare e grottesche al contempo come quando in una poesia annota “i poliziotti arrestano i più buoni”.

Auditorium San Rocco, SENIGALLIA (Ancona), 15 maggio 2022 – Un momento della premiazione del Premio “L’arte in versi” con la consegna del Premio alla Carriera a Guido Oldani. Da sinistra: Stefano Vignaroli (Segretario Euterpe APS), Michela Zanarella (Presidente di Giuria), Guido Oldani e Lorenzo Spurio (Presidente del Premio; Presidente Euterpe APS)

La poesia del RT (“terminale è la distanza abissale e incolmabile tra uomini e oggetti” sostiene il fondatore, ma essa è terminale anche perché ultima, disperata, tendente a un oltre dopo la fine che è prossima eppure non individuabile), definita d’avanguardia in un primo momento, divenuta poi fertile movimento e ora vasto e ineliminabile repertorio d’immagini crude e spietate che ci parlano senza superfetazioni del nostro presente, ha la forma di una denuncia perentoria dei nostri tempi, delle metropoli accatastate, della cronaca luttuosa, delle azioni malevoli e irreversibili dell’uomo, fatta a partire dall’idea di una degenerazione preoccupante, inarrestabile, divenuta mera circostanza consuetudinale: “il sangue è l’olio che condisce / il pasto umano per i terrorismi / in un menù che è quasi abituale” .

In questa “apoteosi del cemento” in cui siamo diluiti nelle “metropoli bestiali” tutto, compreso l’invisibile, assume una dimensione plastica: “le nuvole sono in cemento / abusive, perciò in continua fuga” e l’uomo non è neppure più pedina, pupazzo o manichino, macchina di produzione, ma oggetto, merce e, pertanto, oggetto di vendita, scambio, subordinato alle logiche di acquisizione, permuta, cessione, espropriazione. Privato della dimensione soggettiva, del sentimento solidale verso l’altro, dell’esigenza di condivisione e della coralità che ne farebbe parte attiva nella comunità, pietrificato nel narcisismo patologico e nel disturbo ossessivo-compulsivo dell’accumulo, l’uomo è oggi, nella poesia di Oldani, una presenza imprecisa, innocua, assoggettata alla materia, e mai indispensabile: “ci sono tante salme in obitorio / come accade nel centro commerciale / per molti elementi surgelati”.

Per la grande innovazione apportata in campo letterario e non solo con la teorizzazione e applicazione in campo poetico del RT, una sorta di “rivoluzione copernicana” dei nostri tempi che ha assunto la forma di un vero shock esperienziale dando vita a intermittenze di luci e divagazioni critiche e puntuali sullo stato dell’uomo nella contemporaneità, l’organizzazione del Premio ha deciso di attribuirgli il Premio Speciale “Alla Carriera”.

Come ricordato anche nella nota biografica presente nell’antologia, Oldani si interessa da sempre non solo di poesia. Un rapporto particolare che ha sempre avuto è quello con gli artisti visuali. Già nel 1989, avendo conosciuto e frequentato i Nuovi Ordinatori tedeschi, ha curato mostra e catalogo di uno di essi, il pittore Klaus Karl Mehrkens. Nel 1997 ha allestito la mostra postuma del pittore Roland Ettner, già membro della Bauhaus. Nel 2000 ha fatto collocare una grande sfera dello scultore Gert Marcus presso il fiume Po, come punto della latitudine per la pace mondiale. Dal 2008 al 2011, inoltre, è stato membro del Consiglio direttivo della Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano.

Per il teatro ha curato una riduzione e regia dell’opera a quattro mani di Carlo Porta e Tommaso Grossi, Giovanni Maria Visconti, duca di Milano. Al festival internazionale di Firenze è stata presentata un’opera sulla sua poesia, Millennio terzo, nostra meraviglia, a cura di Gilberto Colla, con musiche di Thomas Chinnery.

Tra i vari riconoscimenti attribuitigli si ricordano la nomina a membro dell’Accademia Internazionale «Le Muse» di Firenze (2006), il Premio alla carriera “Città di Acqui Terme” (2010), il Premio “National Talent Gold” della Fondazione Zanetto di Brescia (2012), il Premio “FestivalArt” di Spoleto (2013) e l’“International PoetryAward 1573” di Luzhou, in Cina (2019) al quale ora va ad aggiungersi il Premio alla carriera “L’arte in versi” di Euterpe di Jesi (2022).

LORENZO SPURIO


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“Ponte poetico / Most poetycki”: poesia italo-polacca, volume antologico a cura di Izabella Teresa Kostka

Segnalazione di Lorenzo Spurio

La talentuosa e prolifica poetessa e scrittrice polacca Izabella Teresa Kostka, da tanti anni residente e attiva nel nostro Paese, ha recentemente curato un volume antologico bilingue italiano-polacco intitolato Ponte poetico / Most poetycki edito dalla Kimerik Edizioni di Patti (ME).

Il volume, come ricorda la Kostka nella nota introduttiva, è l’ulteriore segno evidente di un programma di iniziative e scambi culturali, volti al confronto e all’arricchimento collettivo, da lei inaugurato nel 2015 nel capoluogo meneghino con i primi riusciti e seguitissimi incontri del “Verseggiando sotto gli astri di Milano”. I numerosi appuntamenti che, nel tempo, si sono tenuti sotto questo importante evento hanno visto partecipare, al Centro di Ricerca e Formazione Scientifica “Cerifos” di Milano, un gran numero di poeti mediante la formula del reading ma anche di vere e proprie presentazioni di libri. «Il mio obiettivo» – annota la Kostka – «era quello di unire tutti i campi dell’arte, mostrare le diversità culturali e molte tendenze stilistiche spesso opposte». Aperta e particolarmente affine alle nuove tendenze stilistiche e contenutistiche della poesia contemporanea, la Kostka si è distinta, nel corso degli anni, quale una delle più attente sostenitrici del movimento letterario denominato realismo terminale, ideato e curato dal poeta Guido Oldani e teorizzato, tra gli altri, dal prof. Giuseppe Langella, docente dell’Università Cattolica di Milano.

L’antologia Ponte poetico / Most poetycki rappresenta, dunque, la realizzazione compiuta del sogno personale della Kostka, vale a dire quello di far interloquire – mediante i versi di numerosi poeti scelti – le due lingue, l’italiano e il polacco, le due culture, le due storie, i due mondi. Un progetto ardimentoso, dunque, ma necessario e particolarmente amato dalla Kostka, come spesso avviene quando – con esperimenti analoghi – si cerca di mettere su carta alcune delle sfaccettature identitarie della nostra persona. La Kostka, che è nata a Poznań (Polonia), dal 2001 risiede in Italia. Poetessa, scrittrice e promotrice culturale, ha conseguito la Laurea Magistrale in pianoforte classico con qualifiche pedagogiche presso l’Università Accademia di Musica di Poznań. Ha pubblicato dieci raccolte di poesia in lingua italiana e in versione polacca. Dal 2015 fa parte del movimento del realismo terminale e dal 2019 è ambasciatrice e portavoce ufficiale del medesimo movimento per la Polonia.

Ponte poetico / Most poetycki presenta al suo interno, dopo le prefazioni di Guido Oldani e Giuseppe Langella, una serie di poeti italiani (Giusy Càfari Panìco, Igor Costanzo, Sabrina De Canio, Tania Di Malta, Massimo Silvotti, Antje Stehn, Luca Ariano, Lorenza Auguadra, Umberto Barbera, Lucia Bonanni, Margherita Bonfilio, Gabriele Borgna, Maria Giuliana Campanelli, Pasquale Cominale, Rosa Maria Corti, Maria Teresa Infante, Gianfranco Isetta, Giuseppe Leccardi, Veronica Liga, Roberto Marzano, Massimo Massa, Raffaella Massari, Giacomo Picchi, Barbara Rabita, Maria Teresa Tedde, Tito Truglia, Patrizia Varnier assieme ai due prefatori e alla curatrice stessa del volume) le cui opere sono tradotte in polacco dalla Kostka e una serie di poeti polacchi (Daniela Karewicz, Teresa Klimek Janota, Katarina Lavmel (Katarzyna Nazaruk), Anna Maria Mickiewicz, Jolanta Mielcarz, Olaf Polek, Krzysztof Rębowski, Marian Rodziewicz, Bogumiła Salmonowicz, Eliza Segiet, Alex Sławiński, Izabela Smolarek, Józefa Ślusarczyk – Latos, Tadeusz Zawadowski) che, al contrario, sono riproposti nella nostra lingua sempre grazie all’operazione interpretativa e di traduzione del testo operate dalla curatrice. In totale nel volume sono raccolte le esperienze letterarie di quarantaquattro poeti.

La poetessa e critico letterario fiorentino Lucia Bonanni – che figura antologizzata nel volume – ha recentemente redatto un lungo testo critico di analisi e approfondimento su questo progetto della Kostka dal quale risulta utile citare alcuni estratti a continuazione per meglio comprendere il taglio, le peculiarità e la forza espressiva di tale lavoro. In merito all’azzeccata quanto chiara scelta del titolo del lavoro della Kostka, quella del ponte, che evoca l’idea dell’avvicinamento e della coesione, la Bonanni ha scritto: «Nell’immaginario collettivo il ponte rappresenta un qualcosa che unisce unità tra loro distanti, ma distinte ossia rimanda al concetto metaforico di quanto l’Uomo è riuscito a costruire per andare oltre, questo anche nella dimensione interpersonale e in quella psichica in considerazione di vari punti di vista come ad esempio quello antropologico, archetipico, letterario e dialogico nonché l’attrazione verso l’altro da sé l’oltre, l’ignoto, lo sconosciuto e il diverso in modo da poter usufruire di questo spazio di transizione, attuando la comunicazione e l’incontro. […] questo Ponte poetico fa da collegamento tra il passato e il futuro di una nuova identità artistica, divenendo memoria di interazione culturale».

Particolare attenzione è stata posta da Bonanni alla poesia “La favola” di Guido Oldani che «narra della cementificazione selvaggia che ha invaso le zone liminari dei centri abitati, distruggendo le realtà rurali e con esse la flora e la fauna». Il tema ecologico – importante all’interno del volume – viene ripreso anche dal prof. Langella nella sua poesia “Il business dell’eolico”. Alcune liriche sono dedicate al dramma del terremoto, vi sono anche componimenti che rimembrano la tragedia nucleare di Černobyl con la distruzione di Pripyat e la tossicità diffusa su mezza Europa, l’edificazione massiccia, l’inquinamento, l’azione distruttiva e malevola dell’uomo sull’ambiente. Temi importanti e inscindibili dalla poesia quali l’amore, la memoria, il recupero dell’infanzia, lo scorrere del tempo, la solitudine e il silenzio (l’incomunicabilità e la disattenzione), la vanità, la durezza del lavoro nei campi, l’emarginazione dei mendicanti e dei disadattati in generale, ampliano la ricca trama di contenuti di questo lavoro corale e internazionale.

Lorenzo Spurio

Jesi, 03-12-2020

Premio alla Carriera a Guido Oldani, padre del “realismo terminale” nella Repubblica Popolare Cinese

In occasione della Terza edizione dell’International Festival of Poetry &Liquor, nella settimana dell’Arte della città di Luzhou, in collaborazione con il Governo Cinese, la Union of Writers of China, la prestigiosa rivista Huakai Xinhe, co, ltd, la China National Opera, la China Poetry Net, con la sponsorizzazione della China Liquor Brewery; il Maestro Guido Oldani riceverà l’ “International Poetry Award 1573”.

Il premio verrà consegnato a Guido Oldani l’8 Ottobre P.V nella città di Luzhou,  in occasione della cerimonia di apertura del Festival, alla presenza del grande poeta cinese, Presidente del comitato organizzatore Jidi Majia, del Console Davide Castellani.

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L’occasione sarà unica per suggellare l’amicizia tra i nostri due mondi poetici , che grazie a ponti culturali di questo genere non può che approfondirsi, altresì è significativo l’apprezzamento che viene dimostrato dalle Istituzioni cinesi nei confronti della letteratura italiana contemporanea, rappresentata dal Maestro Oldani e dal suo movimento de “Il Realismo Terminale”.

Al poeta Guido Oldani è stata dedicata l’apertura del n°28 della rivista di poesia e critica letteraria Euterpe con la pubblicazione di alcuni suoi inediti e un profilo critico curato da Lucia Bonanni, consultabile e scaricabile cliccando qui.

Esce “La guancia sull’asfalto” del Maestro Guido Oldani, padre del realismo terminale

Di seguito riportiamo, con il suo consenso, il commento della poetessa Izabella Teresa Kostka in merito al nuovo libro del Maestro Guido Oldani, “La guancia sull’asfalto”, già apparso su “Alessandria Today” in data 08-02-2019:

img_20190208_125321_732La mia grande conquista: l’ultimo libro del M° Guido Oldani “La guancia sull’asfalto” – raccolta calda, crudele e preziosamente ruvida. Il Realismo Terminale D.O.C. che seguo col cuore dopo averlo abbracciato nel 2015 / 2016. Nota introduttiva a cura del Prof. Giuseppe Langella, editore Mursia. Testi crudi, perfettamente sincronizzati con le onde della nostra complicata tecnologica vita moderna, gettata come un rifiuto nella discarica dei sentimenti privi di misericordia. Ci siamo persi tra vari oggetti soppressi dai codici a barre, dimenticando di essere “semplici e fragili mortali”. La poetica travolgente, geniale nella sua trasparenza e metrica, scritta con una leggerezza stupefacente e un linguaggio sobrio ed efficace, mai artificiale nonostante la difficile impronta civile dell’intero volume. Libro imperdibile che consiglio sinceramente a Tutti!

Al Maestro Guido Oldani è stata dedicata recentemente l’apertura del n°28 della rivista di poesia e critica letteraria “Euterpe” scaricabile cliccando qui con alcuni suoi inediti gentilmente offerti alla rivista e un commento critico di Lucia Bonanni. 

 

Chi è Guido Oldani

Guido Oldani (Melegnano, 1947) ha coltivato la “discordanza culturale” collaborando con suoi studi e approfondimenti nella rivista “Acta Anatomica” e ha collaborato con il Politecnico di Milano presso l’insegnamento di Tecnica della Comunicazione. Propulsore della necessità che la poesia si faccia realmente concreta, manifestandosi nelle forme e nei temi a lei più congeniali che abbiano un rimando e un legame stretto alla realtà fisica nel 2000, durante il convegno “Varcar frontiere” tenutosi a Losanna, il poeta si dimostrò paladino dinanzi all’insufficiente espressione della realtà. Atti dimostrativi e di pronunciamento in difesa della poesia come questi non mancarono negli anni a seguire difatti nel 2001 presso la Statale di Milano, nel corso del convegno “Scrittura e realtà” ebbe modo di ampliare le sue considerazioni in materia. Ha pubblicato le raccolte: Stilnostro (CENS, 1985, con prefazione di Giovanni Raboni), Sapone (Kamen, 2001), La betoniera (LietoColle, 2005), La guancia sull’asfalto  (Mursia, 2018). Il cielo e il lardo (Mursia, 2008). È l’ideatore del realismo terminale teorizzato nel volume Il Realismo Terminale (Mursia, 2010), al quale sono seguiti La Faraona ripiena. Bulimia degli oggetti e realismo terminale (Mursia, 2013, a cura di Elena Salibra e Giuseppe Langella), Dizionarietto delle similitudini rovesciate (Mursia, 2014, a cura di Luisa Cozzi). La sua poetica è diventata uno spettacolo teatrale dal titolo “Millennio III nostra Meraviglia”, scritto e interpretato da Gilberto Colla. È direttore del Festival Internazionale “Traghetti di Poesia” e fondatore del “Tribunale della poesia”. I suoi testi sono stati tradotti in inglese, tedesco, spagnolo, rumeno, russo e arabo. Nel 2014 in seno al Salone del Libro di Torino, assieme a Giuseppe Langella ed Elena Salibra, firma e fa conoscere il “Manifesto breve del realismo terminale” che qui pubblichiamo. Oltre alla sua produzione e alle curatele è vasta la bibliografia sulla “corrente” del realismo terminale da lui fondata; tra i maggiori lavori ricordiamo: Alla rovescia del mondo (LietoColle, 2008, a cura di Amedeo Anelli), Oltre il 900 (Libreria Ticinum, 2016, a cura di Amedeo Anelli). Per il teatro ha curato una riduzione dell’opera di Carlo Porta e Tommaso Grossi, Giovanni Maria Visconti duca di Milano, e la Ninetta del Verzèe, del Porta stesso. È presente in alcune antologie, tra cui Il pensiero dominante (Garzanti, 2001, a cura di Franco Loi), Tutto l’amore che c’è (Einaudi, 2003) e Almanacco dello specchio (Mondadori, 2008), Antologia di poeti contemporanei (Mursia, 2016, a cura di D. Marcheschi), Poesia d’oggi, un’antologia italiana (Elliot, 2016, a cura di Paolo Febbraro), Una luce sorveglia l’infinito. Tutto è misericordia (La Vita Felice, 2016, a cura di Antonietta Gnerre e Rita Pacillo), Novecento non più. Verso il realismo terminale (La Vita Felice, 2016, a cura di Danila Battaggia e S. Contessini), Poesie italiane 2016 (Elliot, 2017, a cura di A. Berardinelli), Luci di posizione. Poesie per il nuovo millennio (Mursia, 2017, a cura di Giuseppe Langella). Ha collaborato e collabora ai quotidiani “Avvenire”, “La Stampa” e “Affari Italiani” (oltre a trasmissioni RAI); suoi testi sono presenti sulle riviste cartacee “Alfabeta”, “Paragone”, “Kamen” e sulle riviste e piattaforme online di letteratura “Griselda Online”, “Italian Poetry”, Sulla nostra rivista, nel n°25 (Novembre 2017), è apparsa un’intervista a Guido Oldani fatta dalla poetessa Izabella Teresa Kostka.mSulla sua produzione si sono espressi Maurizio Cucchi, Luciano Erba, Giancarlo Majorino, Antonio Porta, Giovanni Raboni, Tiziano Rossi, Cinzia Demi e numerosi altri.

(Questa presentazione è tratta dalla rivista “Euterpe” n°28 – Febbraio 2019, precedentemente citata).

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“Frammenti di vita”, l’antologia di racconti di Marco Bertoli

Frammenti di vita. Antologia di racconti.

Editore: “Liber Iter” casa editrice elettronica.

Prezzo: Euro 4,99.

ISBN: 978-88-98906-16-1.

 

FrammentiDall’Introduzione

L’antologia “Frammenti di vita” raccoglie una serie di testi che l’autore ha scritto nel biennio 2013 – 2014.

I racconti sono inseriti nel cosiddetto filone “realistico”, poiché analizzano varie problematiche sociali e affettive che in alcuni casi riguardano la vita di tutti i giorni. Affrontano, cioè, situazioni peculiari dell’esistenza di un qualsiasi essere umano inteso, però, nella più ampia delle sue accezioni: i protagonisti, infatti, possono essere sia persone comuni che si ritrovano l’esistenza sconvolta all’improvviso oppure veri e propri serial killer e criminali, nascosti – e questa è la cosa peggiore – sotto apparenze innocenti o, invece, soldati alle prese con la drammaticità della guerra. Tutti, però, sono accomunati dalla profonda consapevolezza che la vita è molte volte un susseguirsi di azioni ed eventi imprevedibili che, spesso, ci travolgono con la loro violenza. In quei momenti di crisi solo la solidità delle radici a cui ognuno di noi àncora il proprio intimo impedisce di perdere la ragione e di cadere nella pazzia; in caso contrario le conseguenze possono essere tragiche.

 

Marco Bertoli è geologo. Vive a Pisa. Il suo romanzo “La Signora che vedeva i morti” ha vinto il Premio Scrittore Toscano 2012 selezione on-line e quello della Giuria al Concorso “Città di parole”, 2013. Nel 2014 ha pubblicato il suo secondo romanzo, “L’avvoltoio. Delitti all’alba della scrittura”, un giallo storico. Nel 2015 ha pubblicato l’antologia epub “Frammenti di vita”, una raccolta di racconti inseriti nel cosiddetto filone “realistico” scritti nel biennio 2013 – 2014. Suoi racconti sono inclusi nelle antologie “365” Delos Books. “Buchi” è stato finalista al Concorso Robot 2014, Delos Book, “Ali” pubblicato su Romance Magazine 13 e “- 40°C” su Terre di confine Magazine 1, il racconto “Processione” è stato selezionato nel Contest “Ira Domini” e pubblicato sul numero 41 della rivista “Writer’s Magazine”, Delos Books, e il racconto “Lampo nero” sul numero 5 della rivista “Il lettore di fantasia”. Numerosi altri hanno vinto concorsi, o classificati finalisti, e pubblicati in oltre settanta antologie.

“25 racconti per altrettanti gusti”: Paolo Ragni su “La cucina arancione” di Lorenzo Spurio

Lorenzo Spurio,  La cucina arancione

25 racconti per altrettanti gusti

a cura di PAOLO RAGNI 

 

cover_frontMa guarda un po’! Questi racconti raccolti attorno alla Cucina Arancione stanno insieme tenuti da un filo sottile, quello che intercorre tra un regista e i suoi attori, o tra un allenatore e la sua squadra.

E’ vero, può sembrare una provocazione, e nemmeno delle più gradite in certi casi: potrebbe fare pensare che l’autore si nasconda così bene dietro ai suoi stili che magari non ne conosce nemmeno uno. O, per essere più preciso, che magari non si riconosce nemmeno in uno. Invece, fortunatamente, non è questo il caso, perché siamo difronte ad uno scrittore, a noi ben conosciuto, che intraprende varie strade sulle basi uno studio metodologico molto serio e puntuale.

Lorenzo Spurio chi è? E’ essenzialmente uno studioso, un ricercatore, un saggista, un operatore culturale. Ma della sua preparazione accademica noi apprezziamo subito, nella Cucina Arancione, la grande abilità di “switchare” da un registro all’altro, la furbizia nell’incatenare il lettore con incipit brucianti e conclusioni straordinarie, l’eleganza con cui le scene si preparano, si sviluppano, si concatenano l’una all’altra, in modo logico, consequenziale e talvolta perfino meccanico.

Le storie di Spurio sono storie essenzialmente di disagio, di difficoltà, di stramberie. Sono storie di persone che difficilmente riescono a scrivere la propria storia, sono storie di gente alla rinfusa, di bric-à-brac, di desolazioni e dolori, di inettitudini, di anime senza qualità. Si potrebbe tentare di trovare attenzione, carità, affetto verso i protagonisti delle stravaganti avventure quotidiane di Spurio. Ma non è così. Le storie si dipanano quasi sempre senza partecipazione alcuna da parte dell’autore. Non ama né disprezza i suoi personaggi, non li prende in giro, non prova affetto o derisione verso di loro. Solo in un caso (in una lunare fantascientifica storia che il lettore non avrà fatica a rintracciare nel libro) l’autore appare con una morale, con una idea che vuole esporre, con una partecipazione che spiega e dà un senso al tentativo patetico di raggiungere l’immortalità attraverso l’ibernazione.

Per il resto, quel che sorprende del libro è proprio la freddezza degna dei migliori naturalisti francesi, specie quando non si facevano prendere dai sentimenti e si lasciavano invece trascinare dal delirio di spiegare per forza una loro tesi, più o meno meccanicistica. In questo, senza dubbio Spurio è erede proprio dei naturalisti francesi (e loro assimilati). Si ha in lui il massimo del realismo e il massimo del delirio, così che capita come nei romanzi di Balzac in cui ci perdiamo volentieri tra i calcoli dei franchi, le rendite e le pigioni, oppure come quando Zola, in un vero e proprio delirio e furore ideologico, parla di Parigi come parlerebbe dell’altra faccia della luna, solo come luogo dove potere sperimentare scientificamente i propri assunti e verificare se la tesi è esattamente quella presente in nuce agli inizi del racconto.

Senz’altro, a volere analizzare cocciutamente il realismo e l’attenzione estrema ai dettagli di cui Spurio fa gran profusione può sorgere il dubbio se tutti i particolari sono realmente tutti strettamente necessari alla trama. Può sorgere il dubbio se il lettore, a un certo punto, sia più interessato allo svolgimento onirico e furioso della concatenazione degli eventi oppure se gli piaccia perdersi nelle descrizioni estremamente visive delle case, degli esterni, dei paesaggi che Spurio ama.

Spurio è autore essenzialmente visivo, che però evita i rischi cui ho appena accennato mediante una grande attenzione alle motivazioni psicologiche che muovono i personaggi. Non c’è dubbio che niente o quasi appare lasciato al caso. Molti dei racconti presentati in questa antologia viaggiano sul doppio binario della traccia che si dipana mediante molti eventi e della spiegazione del perché delle scelte dei personaggi.

Si tratta di uomini liberi? La domanda non è di poco conto. E la potremmo rivolgere ai 25 lettori dai differenti gusti che si saranno imbattuti in questo libro. Perché, eccetto rari casi, proprio i protagonisti principali sembrano mossi da un fato inesplicabile, da un destino, spesso avverso, o comunque da una fissazione originaria, da un peccato originario che li porta via, li trascina dove, in fondo, loro stessi desideravano di sprofondare. Forse “Fili elettrici bluette” e “Scettico” sono i testi più esemplari di queste fissazioni, magari neanche molto innocue, mediante la creazione di anime diverse, emarginate, ma più che altro di anime (si possono nutrire grossi dubbi sugli altri protagonisti, spesso macchine messe in moto da un terribile e spietato autore che non garantisce loro se non scarsa autonomia). Si tratta di persone che sono fuori dal contesto: come si vede, ad esempio in questa frase emblematica di una situazione esistenziale, più ancora che psichica: “Il più delle volte si trattava di cose sensate anche se, però, erano fuori contesto”. Oppure “nominò l’asino di Buridano, il cubo di Rubik e la psicologia della Gestalt”.

Ecco, questi riferimenti ammucchiati l’uno sull’altro fanno riflettere sul tipo di società del quale Spurio è, in qualche misura, portavoce. Siamo nella società post-moderna, ops!, liquida, dove tutto è sostituibile, la storia, la geografia, gli amori e i disamori, la vita e la morte, la lucidità e lo sballo. Realmente, una scrittura pure così lucida (ripeto lucida e onirica, perché il tono è spesso stravolto come nei tentativi deterministici dei realisti francesi) raggela per le implicazioni sociologiche e per l’attenzione forte al fenomeno dell’ossessione. Forse, “Sofware di base” è il miglior esempio di questo prendere una idea e portarla fino alle estreme conseguenze, come in “L’alfabeto numerico”. Anche l’”Ordigno inesploso” esprime con grande chiarezza come una fissazione (la perdita della propria identità) possa tramutarsi in uno stile di vita. Mi pare che una influenza sia identificabile nel nostro Buzzati, che sviluppava logicamente da un fatto pratico, concreto, tutta una sua teoria sconvolgendo gli eventi e facendo loro assumere, nella apparente logicità, una visionarietà diffusa, fuorviante ed enigmatica. Qui, forse, il tema della malattia è troppo forte perché l’elemento fantastico (pur se ridotto a mero schema logico come spesso in Buzzati, con le conseguenti estremizzazioni) riesca a prevalere.

Spurio è, anche, non dimentichiamolo, anche un saggista e gli slanci troppo acuti della fantasia sono tenuti saldamente a freno da una argomentazione stringente, da una attenzione ai processi del pensiero, per storti che siano, facendoli parere perfino logici. Si arriva ad una coerenza, dentro il singolo racconto in tutto il volume, tra le premesse e le conclusioni. Ed a questo si arriva senza nulla levare alla grandissima varietà di intrecci, alla differenziazione di stili, alla capacità di percorrere non solo tematiche ma generi differenti.

In definitiva, un libro accattivante, inquieto, che forse trova le sue parti migliori quando l’autore si lascia prendere dal fluire della storia e riesce a ironizzare sulle stravaganze altrui. Quando parte con incipit fulminanti così: “A un certo punto mi accorsi che stavo sognando in arabo (mi hanno schedato)”, oppure quando in “Al negozio cinese” dice “Infatti una banana sola non fa compagnia (…) ma un casco di banane sì”. Probabilmente queste perle sono indispensabili in un tessuto connettivo in cui pare di assistere ad un franare continuo di rocce dalla sommità di una montagna. Sono quella ricchezza gratuita e non esplicativa che impreziosisce la storia e tiene l’autore a debita distanza, come un nascosto burattinaio.

 

PAOLO RAGNI

20 gennaio 2014