“Non ti avrò mai” di Claudio Secci, recensione di Lorenzo Spurio

Non ti avrò mai
di Claudio Secci
Seneca Edizioni, 2013
Pagine 200
Costo:  16 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

loghinoIl titolo enigmatico di questo libro richiama da subito l’attenzione e la curiosità del lettore. Chi è che non avrà mai chi? Il libro è un romanzo pervaso da spirito giovanile che narra in maniera autentica di sentimenti quali l’amicizia e l’amore che nascono all’interno di un gruppo di amici. I normali rapporti di questo gruppo di giovani, che si concede un viaggio nell’affascinante Spagna del nord, vengono rivisti alla luce dei momenti vissuti ventiquattro ore su ventiquattro insieme e così una parola non detta o una mossa fatta di troppo vengono a caricarsi improvvisamente di significati ben più grandi di quelli che corrispondono al semplice atto di “dire” o di “fare”.

Da subito l’autore delinea come possano esistere tante varietà di amicizia: quella leale e fidata che travalica tutto, quella silenziosa e traballante, quella mal riposta. Se, poi, l’amicizia con una persona del sesso opposto si trasforma in infatuazione, prima ed ossessione poi le logiche interpersonali si complicano ulteriormente. Chi decide “cosa” è una persona per noi? Dove finisce l’amicizia e dove inizia l’amore? Chi definisce questi limiti, ammesso che questi possono essere definiti tali?

Claudio Secci affronta una materia tendenzialmente semplice facendolo, però, in maniera inedita ed estremamente acuta: il tessuto psicologico dei membri del gruppo fuoriesce attraverso i numerosi dialoghi spesso due a due, le conversazioni o le riflessioni ad alta voce. Lo stile ha immancabilmente moltissimo del linguaggio parlato con vari termini tratti direttamente dal linguaggio giovanile che rendono la lettura spigliata e coinvolgente.

Ma il libro non è solo questo, è molto di più.

Un amore platonico e non corrisposto è il punto di partenza e di fine di questa narrazione avvincente che incollerà le mani del lettore al libro fino a che non lo avrà chiuso perché ultimato. Ed ancora richiamiamo in causa il “limite” perché qual è l’argine che stabilisce la normalità dalla morbosità di un rapporto? Forse è qualcosa di individuale, forse è una materia meramente soggettiva.

Il protagonista del libro, frustrato e indeciso, riflette molto su di sé, su quello che desidera (l’utopico) e su quello che di concreto ha (il reale) e il volo che fa di continuo da un mondo all’altro è tessuto sulla carta dai suoi pensieri, dalle sue sofferenze momentanee, dalla sua grande voglia che accada qualcosa che cambi la realtà nella maniera che lui desidera. Ma non è possibile forzare il destino e, spesso, quando lo si fa questo diventa controproducente, quasi che il Fato, indispettito, decida di avventarsi su di noi.

Il personaggio di questo libro, infatti, non lo farà, ma neppure si rassegnerà alla sua condizione di amante deluso, di eterno addolorato per pene d’amore e cercherà sempre di darsi da fare per risollevare la sua situazione.

Secci inserisce un finale che il lettore avverte come agrodolce dall’incipit e che scoprirà, invece, essere drammaticamente spietato, ma non meno coinvolgente.

Un’amara riflessione sui limiti dell’amore e su come il tempo, inesorabile, non è in grado di restituire all’uomo ciò che ha perso nel suo passato.

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

 

Jesi, 28-02-2013

E’ SEVERAMENTE VIETATO DIFFONDERE E/O PUBBLICARE LA PRESENTE RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DA PARTE DELL’AUTORE.

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“Voce” di Elisabetta Bagli, recensione di Lorenzo Spurio

Voce

di Elisabetta Bagli

Ilmiolibro, 2011

Pagine: 64

Costo: 9€

 

Recensione di Lorenzo Spurio

 

 

Non ho più desideri,

non posso più amare,

non voglio più vivere.

(da “Anima perfetta”)

 

Elisabetta Bagli, italiana trapiantata nella capitale spagnola, esordisce nel mondo della scrittura con questa densa silloge poetica, sebbene il suo amore per la letteratura l’abbia sempre contraddistinta. E questa doppia appartenenza Italia-Spagna si evince da numerose liriche qui contenute; sono numerose le tracce spagnole a cominciare dalla lirica dedicata a Carmen Laforet (1921-2004), l’omaggio al capoluogo della regione Cantabria in “I fuochi di Santander” e i numerosi colori e odori di una natura florida e spontanea di tipo chiaramente mediterraneo. Dall’altra parte, invece, estremamente pittoresca è l’immagine di Trastevere in un momento di goliardia presente in “Festa de ‘noantri” mentre  in “Garbatella” la poetessa rievoca non senza nostalgia l’infanzia lì vissuta.

Le liriche scorrono veloci sotto i nostri occhi ma le sensazioni che la poetessa evoca –frutto di suoi momenti realmente vissuti- rimangono come sospesi nell’aria, a circondarci e a regalarci un mondo variopinto di stati emozionali comuni ad ogni mortale ma che Elisabetta Bagli ha steso sulla carta con maestria. Un senso di leggerezza pervade l’intero libro quasi che una leggera brezza lambisca le pagine mentre lo stiamo sfogliando, inoltrandoci nel cuore della silloge. E’ per questo, forse, che la poetessa ha scelto un’immagine edenica nella foto di copertina dove due angeli –uno maschio e uno femmina sembrerebbe, anche se gli angeli non hanno sesso- si abbracciano lievemente e si baciano, quasi a costituire un tutt’uno. Le ali dispiegate dei due che riusciamo a intravedere solo in parte “sollevano” lo spettatore verso l’alto con una chiara volontà di innalzare il testo qui contenuto a una ricchezza lirica degna d’analisi.

Del titolo, Voce, colpisce l’utilizzo del singolare che, però, è subito chiarito nella prima e omonima poesia: è la voce-anima taciuta della poetessa equiparata al lento e indistinto fluire di un corso d’acqua del quale con difficoltà si riesce a percepire il rumore che “mossa da un nuovo impeto,/  con vigore, / si rivela a tutti”.

In “Scrivere” Elisabetta Bagli affronta dal suo punto di vista il senso della poetica: “scrivere per comunicare […] scrivere per rappresentare la tua vita […] scrivere per dare un senso ai tuoi sogni […] scrivere per sfogare la tua rabbia […] scrivere anche quando non vuoi […] scrivere per toccare l’esistenza più alta della tua vita”. Il messaggio della poetessa è chiaro: la scrittura, in questo caso la poesia, è un’eterna amica che ci sostiene sempre e alla quale si deve ricorrere come sostegno, riparo e confidente anche nei momenti nei quali la rabbia, la disperazione o la noia ci assalgono.

Nella coloratissima “Chi sono” si respirano profumi variegati e la poetessa si ritrova e si riscopre parte della natura in un’atmosfera panica, circondata dalla Madre Terra di cui è parte che la porta a scrivere: “Sono l’odore della terra/ dopo il temporale, forte, acre”. Perché anche l’odore della terra può cambiare, ci insegna Elisabetta Bagli a seconda della temperatura o delle condizioni meteo. Ma più che questi fattori fisici credo che ciò che la poetessa intenda dire è che gli odori sono e non sono come li percepiamo, a seconda di come ci troviamo, di come ci rapportiamo e sperimentiamo il mondo. La natura è celebrata ampiamente in tutta la silloge come in “Neve”, “Luna piena” o in “8.46”, cronaca di un parto dove il senso di maternità e di forza generatrice riconducono direttamente alla più ampia accezione di natura.

Ci sono versi amari in “Bulimia” dove la poetessa annota “Una dopo l’altra,/ due dita penetrano nella mia gola/ si muovono, insistono sulla lingua,/ scendono ancora più giù./ Finalmente tutto esce,/ come cascata esce. / Mi libero soddisfatta”. Questa poesia non intristisce la raccolta che è pervasa, invece, da un animo profondamente vitale ma serve piuttosto a delineare anche le debolezze del corpo umano, i sistemi che attentano al naturale sviluppo dell’essere. Ciò che colpisce della lirica in questione è la consapevolezza della soddisfazione – oserei dire quasi gioia- dell’atto meccanico e malato che porta l’io poetante a un certo comportamento lesivo per se stessa. Nella lirica la bulimia viene connessa al desiderio di “morire magra” piuttosto a quello di vivere con un aspetto filiforme, ma non credo che la poetessa abbia voluto mandare un messaggio allarmistico. Dalla bulimia si può uscire, con convinzione però.

La poesia di Elisabetta Bagli è positiva, naturalistica, spontanea e molto piacevole. In essa si riscontra anche un invito all’attivismo, a guardare avanti perché alla fine di ogni percorso ce n’è sempre uno nuovo che ci aspetta: “Devo fare di più/ scoprire fin dove posso arrivare”, scrive in “Limiti”.

 

 

Lorenzo Spurio

(scrittore, critico-recensionista)

 

Pamplona 08/10/2012

 

 

 

Chi è l’autrice?

Elisabetta Bagli, classe ‘70, è romana ma risiede a Madrid. Ascolta la sua voce poetica da poco più di due anni. Nonostante i suoi studi accademici di formazione economica-giuridica, ha sempre amato la letteratura, spaziando dai classici italiani e stranieri ai contemporanei e moderni.

La sua esperienza di vita, che l’ha portata a vivere lontano dalla sua terra natale, l’ha spinta a riflettere sulla sua condizione di donna che, in merito a scelte fatte in accordo alle proprie esigenze, ha perduto il contatto diretto con il suo mondo di origine. Ma lo ha portato dentro di sé. Vive la sua realtà aperta ad accogliere le novità della vita senza dimenticare mai che “è quel che è soprattutto perché è stata”.

Espansiva e cordiale con quanto la circonda, dopo aver cresciuto i suoi due figli fino all’età scolare, ha avuto più tempo per poter ascoltare la sua voce, per alimentare la sua analisi introspettiva, per poter descrivere le sue emozioni, i suoi dubbi, la sua identità mai perduta sui fogli bianchi di quel quaderno che, come una premonizione, le è stato regalato nel giorno della sua laurea. Ora ha deciso di farsi conoscere. Offre al pubblico la sua prima raccolta di poesie con la speranza di poter riuscire a prendere per mano i suoi lettori e portarli all’interno del suo mondo, fatto di vita, di amore, di sguardi.

 

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