L’unità d’Italia. Ma esiste?

E’ bello vedere camminando in giro per le diverse città italiane i tricolori sventolare per celebrare il centocinquantesimo dell’unità d’Italia. Peccato che la festa non sia stata riconosciuta dal governo come festività annuale e che l’Italia possa festeggiare i suoi compleanni solo di cinquanta in cinquanta. Festeggiare cioè una volta a generazione. Più o meno. Bella la festa, le celebrazioni, le frecce tricolori e gli alzabandiera ma può uno stato festeggiare la sua unità e indipendenza dai popoli oppressori una volta ogni cinquanta anni? Che senso ha? Forse è proprio per questo motivo che sono nate le polemiche leghiste che, oltre a riconoscere uno sperpero monetario per le celebrazioni dell’evento, non vedono il motivo della festa. Suonare l’inno nazionale all’apertura delle sedute comunali e provinciali in questa circostanza finisce per risultare senza senso, quando non si è mai fatto per molti decenni.

Come ogni caso italiano anche le celebrazioni dell’unità d’Italia, che avrebbero dovuto vedere tutti gli italiani uniti, da Aosta fino a Caltanissetta, in realtà sono stati il luogo delle polemiche e delle critiche che hanno sottolineato, mai come in questo momento, problemi gravi. Il problema più grave è che, anche se l’Italia festeggia i suoi centocinquanta anni della sua unità in realtà non è unita per niente. Il divario tra Nord e Sud Italia, presente al momento dell’unificazione è ancora presente; la questione meridionale non è stata mai risolta e mai come oggi è cosi evidente e stridente nei confronti del Nord sovrasviluppato. Massimo D’Azeglio l’aveva detto al momento dell’unificazione “Fatta l’Italia, facciamo gli Italiani”. Toccherà ricordare che il re che aveva fatto l’Italia, utilizzava il francese per parlare in famiglia. Gli italiani non si sono ancora fatti, sebbene l’Italia esista. O, meglio, si sono fatti in più modi diversi. Veneti e campani sono entrambi italiani ma sono cosi culturalmente diversi che di fatto potrebbero dar vita a due stati separati (proprio come vorrebbero i fedeli di Bossi). L’unità d’Italia le tiene unite sotto un unico governo, sotto un’unica lingua e moneta, ma la cultura e i problemi sociali sono profondamente diversi. Si è lavorato poco allora in questi centocinquanta anni per formare gli italiani, per renderli coesi. O forse si è lavorato male.

I leghisti hanno fatto le loro decisioni in merito alla non partecipazione alle celebrazioni dimostrando, in un certo senso, di non mostrarsi cosi italiani come i romani o i torinesi dove nella loro città venne fondata la prima capitale dello stato italiano. Polemiche anche nella provincia autonoma di Bolzano dove il presidente, di origine sudtirolese, ha annunciato alcune settimane prima dell’evento che la provincia non avrebbe preso parte ai festeggiamenti in quando pur appartenendo allo stato italiano ha un’ampia popolazione di origine tedesca che non si riconosce nel popolo italiano e nella sua cultura. Oltretutto la minoranza tedesca ha sottolineato il fatto che Bolzano e il Trentino vennero annessi all’Italia solo a conclusione della prima guerra mondiale e che quindi nemmeno si poteva festeggiare i cento cinquanta anni d’unità. Bell’affronto per il presidente Napolitano e per l’Italia unita. In molti si sono vergognati del presidente della provincia di Bolzano, della sua arroganza e del fatto che, pur non festeggiando l’Italia riceva abbondanti fondi e soldi dal governo italiano.

Non da ultimo i monarchici hanno sottolineato che l’unità d’Italia si raggiunse sotto la monarchia sabauda, grazie anche alla figura di Re Vittorio Emanuele II. Nel 1861 non c’era la repubblica italiana ma la monarchia e dunque i Savoia hanno preso parte alla celebrazione al Pantheon dove il presidente Napolitano si è presentato per una visita la tomba di Re Vittorio Emanuele II. Alcune bandiere con lo scudo sabaudo sono riapparse sventolanti a qualche balcone o tenute a spalla da qualche nostalgico. L’Italia si fece con i Savoia ed è merito loro. Qualcuno smorza subito questo entusiasmo ricordando che i Savoia non hanno fatto altro che rovinare l’Italia con i loro comportamenti spregiudicati dando credito a Mussolini e firmando le leggi razziali e fuggendo dall’Italia nel momento in cui il popolo aveva più bisogno del proprio governante.  Se i Savoia hanno fatto l’Italia unita, si sono anche macchiati di gravi crimini proprio contro gli italiani. Ma questa è un’altra storia. Oppure no?

Difficile coniugare idee diverse e contrastanti, i leghisti che chiedono incessantemente il federalismo che pure era stato proposto a suo tempo da Carlo Cattaneo, i monarchici nostalgici e coloro che non si sentono italiani perché appartengono a una minoranza di lingua diversa. C’è da chiedersi se l’Italia sia veramente unita. Se ci rispondiamo che non lo è, allora che cosa stiamo festeggiando?

LORENZO SPURIO

18-03-2011

150 anni dell’unità d’Italia

Si potrebbe scrivere molto e ricordare varie eventi storici che hanno permesso la costituzione dello stato unitario italiano nel 1860. Si potrebbe parlare dei moti rivoluzionari che coinvolsero le città settentrionali, o dei vari tentativi di presa della città eterna, della spedizione dei Mille, dell’abbattimento del regno delle Due Sicilie o addirittura dei vari plebisciti a cui la gente venne chiamata ad esporsi circa l’annessione allo stato unito. Il blog festeggia i 150 anni dell’unità d’Italia attraverso una serie di foto di patrioti, politici e pensatori italiani che resero grande il nostro paese e permisero con i loro sforzi e le loro imprese di giungere all’unità d’Italia. Per ovvie ragioni vengono ricordati quelli più significativi ma è ovvio che ve ne sono numerosi altri che permisero questa grande impresa. Viva l’Italia! Buona festa dell’unità d’Italia!

GIUSEPPE GARIBALDI (1807-1882)

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GIUSEPPE MAZZINI (1805-1872)

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CAMILLO BENSO, Conte di Cavour (1810-1861)

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VITTORIO EMANUELE II, Re d’Italia (1820-1878)

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CARLO PISACANE (1818-1857)

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SILVIO PELLICO (1789-1854)

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AURELIO SAFFI (1819-1890)

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EMILIO BANDIERA (1818-1844) E ATTILIO BANDIERA (1810-1844)

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BENEDETTO CAIROLI (1825-1889)

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NINO BIXIO (1821-1873)

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LORENZO SPURIO

16-03-2011

Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa (2006)

Il film Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa (regia di Maurizio Zaccaro, paese: Italia, anno: 2006) narra la storia della principessa di casa Savoia, figlia di re Vittorio Emanuele III e della regina Elena che, considerata nemica del regime nazista, venne internata in un campo di concentramento dove trovò la morte. Il film non trasmette scene che riguardano la nascita della principessa, la sua infanzia e la sua adolescenza. Al contrario, si apre con il suo matrimonio assieme al Principe Filippo d’Assia che avvenne al castello di Racconigi il 23 Settembre 1925.

Velocemente scorrono le immagini della vacanza di nozze della coppia principesca e la nascita dei prime due bambini dopo di che l’azione si sposta dieci anni più tardi nel 1935.

Questa volta ci troviamo a Berlino dove il partito nazionalsocialista di Hitler si è giù costituito cosi come un’imponente milizia nazista. Il marito della principessa, il principe Filippo d’Assia è un membro dell’esercito tedesco, nazista convinto. Intanto in Germania e nelle varie città europee inizia la lotta contro gli ebrei: vengono distrutti i negozi ebraici e i tedeschi si accaniscono contro di loro. La principessa Mafalda si schiererà apertamente a favore degli ebrei che vengono vessati in una circostanza in cui i nazisti irrompono nei negozi degli ebrei. Questo episodio costituirà la sua condanna a morte dato che a partire da quel momento la principessa viene considerata cospirazionista contro il regime nazista.

Tra lei e il marito iniziano gli screzi: secondo il marito, in qualità di moglie di un ufficiale tedesco, deve condividere le sue idee e non mostrarsi in pubblico a favore dei nemici.

Il film fa un ulteriore balzo temporale e si sposta al 1942. Mafalda sta parlando con suo cugino, l’erede de re del Montenegro[1] che è stato deposto dai nazisti. Il regno del Montenegro non potrà essere restaurato perché i nazisti sono alle calcagna.

Allo stesso tempo la principessa viene continuamente tenuta sott’occhio dai nazisti che la considerano una traditrice nei confronti del regime. Per lo stesso motivo al principe Filippo viene revocato il suo incarico di governatore dell’Assia-Nassau e viene mandato a Francoforte sull’Oder dove sostanzialmente viene destituito dei vari incarichi militari.

Il 26 Agosto 1943 la principessa Mafalda torna in Italia dove il re suo padre gli comunica che teme per la sorte di un’altra sua figlia, Giovanna[2] perché suo marito, Re Boris III di Bulgaria (1894-1943) è stato avvelenato probabilmente dai nazisti. Mafalda non ci pensa due volte e decide di andare in Bulgaria a sostenere la sorella per la perdita del marito, sebbene la madre, la regina Elena glie lo scongiuri. La situazione in Europa è molto pericolosa.

La principessa Mafalda arriva a Sofia dove conforta la sorella Giovanna e partecipa assieme a lei al funerale di Re Boris III di Bulgaria. Terminata la sua visita alla sorella riparte in treno alla volta di Roma. Intanto l’8 Settembre 1943 re Vittorio Emanuele III firma l’armistizio con gli angloamericani, destituendo Mussolini; l’Italia passa a combattere a fianco di inglesi ed americani contro la Germania. Questo evento segnerà a morte il destino di Mafalda che, inconsapevole del cambio di strategie del re suo padre cadrà in mani nemiche. La regina Elena nel film è particolarmente critica nei confronti del marito al quale fa capire che con la firma dell’armistizio senza avvertire Mafalda l’ha praticamente esposta ad un grave pericolo. Il re e la regina abbandonano la capitale e si rifugiano a Brindisi.

Durante il viaggio in treno il convoglio viene fermato alla stazione di Sinaia per volere della regina Elena di Romania (1896-1982) la quale le scongiura di non andare in Italia perché la situazione è molto pericolosa. Mafalda continuerà il suo viaggio e riesce a giungere a Roma e a incontrare i quattro figli che stanno sotto la protezione del Vaticano.

Intanto i nazisti hanno interrotto i contatti tra la principessa Mafalda e suo marito che si trova in Germania e le dicono che se vuole comunicare con suo marito deve recarsi all’ambasciata. Con questo stratagemma i nazisti immobilizzano la principessa che viene condotta nel campo di concentramento di Bunchenwald. La principale accusa che le viene mossa è quella di essere una traditrice nei confronti del regime nazista e di essere stata a conoscenza dell’armistizio firmato da suo padre.

Al campo di concentramento fa conoscenza con alcune persone ma è estremamente afflitta e trascorre i primi giorni rifiutandosi di mangiare. Anche molti degli internati manifestano un atteggiamento astioso nei suoi confronti riconoscendo in lei la figlia dell’uomo che ha condotto gli italiani in guerra. Mafalda si scusa con loro per cose che lei non ha fatto facendo comprendere alla gente che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli.

All’interno del lager si mostra particolarmente coraggiosa come quando riesce a salvare una bambina strappata da una madre che i nazisti avevano appena assassinato. I deportati cominciano ad apprezzare la sua umanità, come il dottor Maggi il quale assieme ad altri uomini si sta occupando di scavare un tunnel per provare a fuggire dal campo.

Il principe Filippo d’Assia, destituito dei suoi incarichi e ormai considerato un traditore dai nazisti non può operarsi direttamente per mettere in salvo sua moglie. Nel film non viene mostrata la preoccupazione del re, della regina e dei membri della famiglia Savoia all’annuncio dell’internamento della figlia nel lager tedesco. I Savoia vengono mostrati come cinici, traditori nei confronti dell’ex alleato tedesco, pavidi e fuggitivi dal loro popolo. Nel film non fanno niente per cercare di salvare la principessa Mafalda.

Intanto iniziano i bombardamenti aerei e le esplosioni nel lager e un gran numero di deportati muoiono. I colori che più abbondano a partire da questo momento sono il rosso del sangue, il giallo degli scoppi e delle fiamme e il grigio del fango che ricopre tutta la superficie di terreno del campo.  Durante uno di questi scoppi la principessa viene colpita da uno scoppio di una granata ed è profondamente ferita. Il dottor Maggi cerca di salvarla operandole l’amputazione del braccio ma dopo poche ore la principessa muore.

Una lettera struggente e drammatica che ripercuote la permanenza di Mafalda al lager viene scritta da una donna rinchiusa nel lager e inviata ai figli di Mafalda. Nella missiva si sottolinea la bontà, la generosità della principessa e il suo pensiero fisso e costante verso la sua famiglia.

Il film si chiude con una scena che trasmette un senso di incompletezza e di dolore, l’immagine del marito il principe Filippo d’Assia assieme ai quattro figli seduti a tavola durante il pranzo e una sedia vuota che sottolinea la pesante assenza di Mafalda.

Prima dei titoli di coda, una frase riassume l’intera esistenza della principessa Mafalda:

Ricordatemi non come una principessa, ma come una vostra sorella italiana.

(Mafalda di Savoia 19/11/1902 – 28/08/1944).

Il film evidenzia come l’origine regale di Mafalda non serva a evitarle la stessa fine che fecero milioni di ebrei, omosessuali ed oppositori al regime nazista. Come la morte di molti italiani anche la sua fu dovuta alle tremende decisioni politiche prese dal re suo padre (l’affido del governo a Mussolini, la firma delle leggi razziali, l’alleanza con Hitler).

Tutta l’azione verte sul personaggio della principessa Mafalda e, a mio avviso, il contesto familiare attorno viene un po’ tralasciato. Non vengono mostrati i Savoia che fuggono da Roma, ne il malcontento che si crea in Italia a seguito della firma dell’Armistizio. Il re e la regina nel film non fanno niente per salvare la loro figlia e anzi, il re con le sue decisioni la pone continuamente in pericolo e in mano dei nazisti. L’immagine dei Savoia che ne esce da questo film non è per nulla positiva, come pure non lo è in quello che la storia ci racconta. C’è dalla loro parte un senso di cinismo e menefreghismo che non si esplica solo nei confronti del loro popolo (fuga da Roma) ma anche nei confronti di una loro familiare.

Per completare l’idea che con questo film ci facciamo di re Vittorio Emanuele III e della sua famiglia nei confronti della guerra, dell’armistizio, della fuga da Roma e della perdita di consenso della monarchia può essere utile vedere un altro film: Maria Josè, l’ultima regina (regia di: Carlo Lizzani, paese: Italia anno: 2001), dove viene narrata la storia della regina Maria Josè d’Italia che fu moglie di Re Umberto II di Savoia, fratello della principessa Mafalda.

LORENZO SPURIO

14-03-2011


[1] Va ricordato che la madre della principessa Mafalda, la regina Elena era una principessa appartenente alla famiglia Njegosh-Petrovic, alla famiglia reale del Montenegro. Il cugino erede del trono di Montenegro di cui si parla nel film è dunque un cugini per via materna.

[2] La principessa Giovanna nel film è interpretata dall’attrice francese Clotilde Coreau, moglie del principe Emanuele Filiberto di Savoia, nipote di Re Umberto II di Savoia che fu fratello delle principesse Giovanna, Mafalda, Jolanda e Maria.

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