Nanni Moretti torna con Habemus Papam

La succinta scheda del nuovo film di Nanni Moretti pubblicata da Il Corriere della Sera titolava in questi giorni “Un Papa appena eletto fugge dall’incarico e si perde per le vie di Roma”. Sembra una storia buffa e praticamente incredibile se ci figuriamo quanto sarebbe difficile per un Pontefice in questi tempi girare a piedi e da solo per le vie della Città Eterna. Nel film succede e la storia neppure sembra così strana e stupefacente. Andiamo per gradi.

Nanni Moretti, regista affermato ma controverso, è uscito da pochi giorni nelle sale cinematografiche con il suo ultimo film dal titolo Habemus Papam. Un titolo che sembra quasi essere irreverente e blasfemo se lo pensiamo ideato dal regista italiano.  Tra i suoi capolavori vanno ricordati film come La stanza del figlio (2001), dramma in piena regola dove si analizzano i comportamenti e i sentimenti di una famiglia che ha perso un figlio, e il più recente Il caimano (2006) tutto imperniato sulla visione politica antiberlusconiana di Moretti, presente anche in Aprile (1998)  . I suoi film si caratterizzano principalmente per una componente sarcastica e irrisoria, che viene fatta in maniera pacata, ma che caratterizza l’intera opera e per una condanna implicita e silente a certi comportamenti umani (prevalentemente politici). E’ maestro abile e curioso. Le sue opere sono squarci di realtà contemporanea e non celano la sua ideologia politica.

Habemus Papam tratta una materia nuova per Moretti, quello della religione. Si tratta di un film che ci narra delle ansie e delle inquietudini interiori di un Pontefice appena eletto ambientato in un età a noi contemporanea. Non ci sono riferimenti al Papa attuale né a quello precedente né ad altri papi, la sua è una storia completamente inventata e anche se al protagonista viene dato il nome di Papa Celestino V in realtà non ha niente a che vedere con il vero pontefice Celestino V[1] che visse durante il III secolo d.C.

Il periodico catalano La Vanguardia titolava un articolo che nella sezione cultura che si riferiva all’uscita nelle sale italiane del film con  “El Papa va al psicoanalista”. Infatti la storia che viene raccontata nel film non è quella convenzionale di un qualsiasi Papa (nascita, infanzia, ordinazione a sacerdote, elevazione a vescovo, elezione a Papa e morte) ma si focalizza invece su un problema personale dell’individuo che fu chiamato a ricoprire la carica di vicario in terra di Dio.

Ci viene mostrato un Papa anziano, debole, inquieto ed insicuro che soffre di instabilità personale e che ricorre all’ausilio di uno psicoterapeuta ateo, il professor Brezzi, interpretato nel film dallo stesso Nanni Moretti. Il Pontefice infatti, da poco eletto nel suo incarico si sente fuori luogo e non riesce a sopportare l’incarico che deve ricoprire.

L’uscita del film nelle sale italiane capita in un momento particolarmente importante per gli affezionati vaticanisti e più in generale i cattolici: l’inizio della Settimana Santa e la proclamazione a beato di un grande Papa, Giovanni Paolo II, che si terrà in Vaticano il prossimo 1 Maggio.

Il Vaticano non ha concesso le riprese nella Cappella Sistina, cappella dove si tiene ogni conclave e così a Cinecittà è stata ricreata una sala che vuol suggerire che ci si trova proprio nella famosa Cappella Sistina. Il vaticanista Salvatore Izzo in una lettera pubblicata su vari blog e sul quotidiano cattolico Avvenire ha invitato a boicottare il film: «Bocciamo la pellicola al botteghino – scrive il giornalista – saremo noi a decretare il successo di questo triste film, se ci lasceremo convincere ad andare a vederlo, perché il pubblico laico si annoierebbe a morte e infatti diserterà le sale. E’ su di noi che si fa conto per recuperare l’investimento cospicuo che è stato fatto per ricostruire la Sistina in uno studio». Ancora una volta un film di Moretti viene recepito come fastidioso da alcuni strati della società ed apre alla polemica, alla quale il regista stesso risponde «Sul mio lavoro c’è libertà di opinione, chiunque può dire qualsiasi cosa, ma io non commento. Dopo averlo visto possono boicottare»[2]

I cardinali che partecipano al conclave non si caratterizzano per opulenza, interessi personali, vincoli nepotici (caratteristici di ben altre epoche). Alla fine viene eletto il cardinale Melville (Michel Piccoli) che al momento ha 85 anni. Nel momento in cui dal balcone del palazzo apostolico viene recitata la formula che informa al mondo dell’avvenuta elezione del nuovo pontefice che recita Habemus Papam, il cardinale neo-pontefice prova un attacco di panico.

A partire da questo momento cresceranno le preoccupazioni, le ansie e le inquietudini del pontefice e il professor Brezzi lo avrà in cura ma senza successo. Il Pontefice non riesce a migliorare e così decide di fuggire sotto mentite spoglie, cedendo al lato umano della sua persona. I cardinali non sanno che fine abbia fatto e sono molto preoccupati. Continuano a fornire notizie al mondo che il Pontefice è nelle sue stanze e sta recuperando.

Un’analogia che mi sembra opportuna a questo riguardo è il recente film The King’s Speech che narrava di problemi personali di re Giorgio VI d’Inghilterra costituiti dal suo balbettio e dall’incapacità di tenere un discorso senza intoppi. Anche in questo film si sottolinea la fragilità e la debolezza della componente umana di un personaggio eminente. Ernst Kantorowicz[3] in un interessante saggio ha parlato dei due corpi del re sostenendo che il monarca (soprattutto secondo la tradizione monarchica medievale ma anche secondo un’ideologia molto diffusa ancora oggi in varie monarchie) disponga di due corpi: il corpo umano, naturale, che lo rende uguale a tutti gli esseri umani e che è soggetto allo scorrere del tempo, che invecchia e si indebolisce e il corpo regale rappresentato dalla sua funzione politica, il fatto di essere il capo del popolo e allo stesso tempo il vicario di Dio in terra. E’ ciò che succede in The King’s Speech dove il lato regale di re Giorgio VI viene minacciato dalle debolezze del lato umano della sua persona. Qualcosa di molto simile avviene in questo in cui il Papa, al pari del monarca, ha due corpi: quello naturale, deperibile e corruttibile e uno imperiale, religioso, temporale, che è esente dallo scorrere del tempo. Anche in questo caso viene mostrato come la componente umana del Papa, che dovrebbe apparire al popolo incorruttibile per rinsaldare l’idea della potenza e dell’infallibilità del suo ruolo religioso, sia invece rilevante.

In questo parallelismo tra i due film possiamo dunque individuare una serie di analogie: il personaggio eminente, il monarca (Il Papa, Re Giorgio VI), la compresenza dei due corpi in entrambi i personaggi, la presenza di un problema umano-psicologico-personale (l’inquietudine del Papa, le balbuzie di Re Giorgio VI), l’introduzione di misure correttive attraverso l’introduzione di un dottore (il psicoterapeuta Brizzi per il Papa, il logopedista Lionel Logue per re Giorgio VI).

La sua inquietudine, il suo malessere infatti non gli consentono di gestire il suo ruolo e di apparire al mondo capace di farlo.

Quando il Pontefice ritorna in Vaticano e accetta il suo incarico, sembra che tutto ciò che è successo precedentemente sia stato un incubo. Non è guarito e continua a non riuscire a sostenere il gravoso peso che il suo incarico comporta. Rinuncia al suo ruolo. In questa maniera il film non è altro che una messa in scena del lato umano, quello che rende uguali tutti i mortali, in persone potenti, che sono chiamate a ricoprire incarichi molto importanti per il bene di tutta la società. E’ un esempio di quanto sia difficile l’accettazione di ruoli pesanti e al tempo stesso troppo importanti. E’ il prevalere della componente umana-personale-psicologica dell’uomo rispetto a quella di comando-cerimoniale-religiosa).

Si sono richiamati sin qui una serie di elementi e comunanze che permettono di costruire una trama di parallelismi tra il nuovo film di Moretti e The King’s Speech. A prevalere in entrambe le storie sono la fragilità, la debolezza e la malattia di una persona eminente, potente e la cui immagine è particolarmente importante. Colin Firth che interpreta Re Giorgio VI grazie all’assiduo lavoro di Lionel Logue riesce a recuperare il suo problema e ad eludere i difetti di pronuncia nel famoso discorso alla nazione nell’occasione dell’entrata in guerra dell’ Inghilterra mentre Papa Celestino V, gravato dalla sua inquietudine, non riesce a rinsavire. Re Giorgio VI recupera la componente umana della sua figura e salva la componente regale, mantenendo il trono mentre Papa Celestino V non ci riesce. La debolezza che gli deriva dai suoi disturbi è tale che preferisce abdicare e lasciare il trono che fu di Pietro. Sono due diversi modi di comportarsi, di vincere i propri difetti e di preservare la propria figura regale. E’ ovvio che si tratta però anche di due disturbi molto diversi. Paragonati questi due film evidenziano quanto persone potenti, re, Papi che siamo soliti pensare come persone incorruttibili, invincibili e che non soffrono dolori umani siano invece estremamente vulnerabili alle malattie, ai disturbi, alle debolezze e alle inquietudini che sono proprie di tutto il genere umano.

LORENZO SPURIO

25-04-2011


[1] L’unico elemento che si potrebbe richiamare a questo riguardo è che Papa Celestino VI fu uno dei pochi pontefici ad abdicare.

[2] Claudia Morgoglione, “Moretti, lettera aperta sull’Avvenire: ‘Non andiamo a vedere il suo film’ “, La Repubblica, 17 Aprile 2011.

[3] Ernst Kantorowicz, The King’s Two Bodies. A Study in Mediaeval Political Theology, Princeton, 1957.

The King’s Speech (Il discorso del re)

 

Il film The King’s Speech (Il discorso del re), recentemente uscito nelle sale italiane (regia di Tom Hooper, paese: Regno Unito/Australia) pone al centro della sua trama un aspetto poco conosciuto o che la storiografia tende a tralasciare. Ci narra la vita di re Giorgio VI d’Inghilterra non in termini cronachistici e biografici, nel senso che non ci descrive le diverse fasi della sua vita (infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia) ma si focalizza su un suo difetto di pronuncia, le balbuzie, che, una volta diventato re, lo mise di fronte a problemi molto importanti: l’impossibilità di comunicare degnamente alla nazione e la conseguente cattiva immagine del regnante agli occhi del suo popolo come “re debole” o addirittura “re silente”.

Le immagini che seguono si riferiscono a scene tratte dal film.

1. Re Giorgio VI

Il principe Albert (1895-1952) era il secondogenito di Re Giorgio V d’Inghilterra (1865-1936) e della Regina Mary di Teck (1867-1953). Come secondogenito del sovrano a Giorgio (soprannominato Bertie in famiglia[1]), venne affidato il titolo di Duca di York. Suo fratello maggiore, invece, il principe Edoardo (1894-1972) in qualità di principe ereditario ottenne il titolo di Principe di Galles.

Alla morte di Re Giorgio V, nel 1936, il regno passò al suo primogenito, il principe Edoardo, che venne incoronato come Re Edoardo VIII. Tuttavia la personalità del monarca fu molto discussa: non aveva ancora una moglie e questo non era una buona garanzia per il futuro della monarchia. Oltretutto era accompagnato con una signora americana, Wallis Simpson (1895-1986)[2], la quale aveva alle spalle due divorzi. La relazione era malvista dalla corte e addirittura dal popolo inglese. Alla fine re Edoardo VII dovette fare una scelta tra amore e trono e scelse di abdicare a favore di suo fratello. Nello stesso anno, al trono salì il principe Albert che, per dare una certa linea di continuità con il padre, assunse il nome di Re Giorgio VI.

Non ci interessa far riferimento alla vita familiare del re e alle sue azioni diplomatiche, basterà ricordare che il re prese direttamente voce all’interno dello scenario della seconda guerra mondiale, dichiarando, con il discorso del 1936, l’entrata in guerra degli inglesi contro il nazifascismo. Va inoltre ricordato che Re Giorgio VI si sposò con la contessa Elizabeth Bowes-Lyon (1900-2002) che con la sua unione divenne la Regina Elisabetta. Siamo soliti ricordarla come la Queen Mum, la Regina Madre, scomparsa nel 2002 alla veneranda età di 102 anni. L’attuale regina Elisabetta II non è che la figlia di Re Giorgio VI e della Regina Madre.[3]

2. Il film

Il film si apre nel 1925 con un discorso scritto dal re padre che il principe Albert sta leggendo per la chiusura dell’Empire Exhibition al Wembley Stadium di Londra. Il principe è impacciato, affaticato e soffre di balbuzie. Non riesce a leggere in maniera sciolta il discorso, che risulta essere asfittico e intermittente. La nazione apprende della deficienza del figlio del re.

L’intero film affronta i vari tentativi del logopedista Lionel Logue[4] nel cercare di migliorare le balbuzie del principe, facendogli fare ogni sorta di esercizi linguistici e fisici. Inizialmente queste prove non sembrano dare gli esiti sperati e il principe è deluso dall’ennesima terapia. Con un lavoro molto rigoroso e continuo il dottor Logue riuscirà a far forza sui problemi del principe e, pur non riuscendo a risolverne completamente le sue balbuzie, riesce a migliorare il suo disturbo. Il film non sembra darci risposte precise alle origini del disturbo del principe ma allude a varie cause: l’atteggiamento severo del re padre e la predilezione della tata per suo fratello.

Il film si basa dunque su una serie di sedute a cui il principe si sottopone ma non manca di rappresentare anche i momenti più cari alla nazione inglese: la morte di Re Giorgio V, l’intronizzazione del fratello, il Re Edoardo VIII e la sua abdicazione, fino all’intronizzazione del principe che diviene Re Giorgio VI.

Il film si conclude con il discorso che il re fa alla nazione in occasione dell’entrata in guerra dell’Inghilterra contro la Germania hitleriana. Dopo un’iniziale titubanza verbale il nuovo re riesce a leggere il suo discorso senza intoppi. E’ il segno che il lavoro del dottore Logue è andato a buon fine.

A conclusione del film, alcune frasi esplicative ricordano che da quel momento il dottor Logue fu sempre presente con il Re nei momenti dei discorsi alla nazione, che i due divennero grandi amici e che il Re lo nominò cavaliere del regno.

3. I discorsi del re

Sebbene il titolo del film faccia riferimento al “discorso del re” in realtà nel corso della storia i discorsi del re sono molti. Il titolo sottolinea ed enfatizza l’ultimo discorso del re, quello felice, quello in cui le balbuzie sembrano averlo abbandonato, che viene fatto nel 1939, in occasione dell’entrata in guerra dell’Inghilterra. Se decidiamo di leggere il film sulla base dei vari speeches ne possiamo analizzare molteplici: il discorso iniziale del principe Albert per celebrare la chiusura dell’ Empire Exhibition, i vari discorsi (o meglio, conversazioni) che il principe, inizialmente riluttante, scambia con il dottore, i discorsi con la sua famiglia (con l’anziano re padre, con il fratello libertino e con l’amorevole moglie), il discorso della cerimonia dell’intronizzazione nella cattedrale di Westminster (che tuttavia non viene riportato nel film) sino all’ultimo discorso, quello dell’entrata in guerra dell’Inghilterra. La vita di re Giorgio VI viene mostrata in questo film attraverso una serie di discorsi, attraverso un processo di riacquisto dell’indipendenza linguistica. La riabilitazione linguistica sotto questo punto di vista viene a significare che il re ha completamente accettato e si è impossessato del ruolo che deve ricoprire.

Un film interessante, che investiga un aspetto curioso e di debolezza di un grande della storia inglese. La morale che ne possiamo trarre è che, chiaramente, anche un re può soffrire di disturbi e avere deficienze. Non gli è tollerato però mostrarle in pubblico e deve necessariamente combatterle. La concezione dei due corpi del re di Ernst Kantorowicz[5] (il corpo fisico, mortale, deperibile e comune a tutti i mortali e il corpo regale, unto dal balsamo di Dio) ci suggerisce proprio che il re è un mortale come tutti noi, che soffre debolezze e mancanze anche se l’aurea di regalità ce lo fa immaginare divino, prescelto da Dio e superiore ai comuni mortali.

 

LORENZO SPURIO

10-02-2011

 


[1] Era diffusa al tempo l’attitudine di impiegare soprannomi per i membri della famiglia reale che però venivano utilizzati solo all’interno dell’ambito familiare. La principessa Elisabetta, attuale regina, era Lillibet, mentre sua sorella, la principessa Margaret era Margot.

[2] Wallis Simpson fu un personaggio chiaramente in rotta contro la casa reale: non aristocratica, con due divorzi alle spalle, dalla condotta eccentrica e dispendiosa e addirittura vicina ai regimi nazisti.

[3] Nel film la moglie del re è una presenza costante. E’ continuamente al fianco del marito, condivide con lui il suo problema e la sua sofferenza e gioisce al termine della storia quando capisce che suo marito ha vinto la battaglia. Nel film ci sono varie scene che riguardano anche le due figlie della coppia, le principesse Elisabetta e Margaret.

[4] Il logopedista Lionel Logue (1880-1953) fu un medico di origini australiane che visse a Londra. Sebbene nel film la terapia del dottor Logue inizi in un periodo prossimo al 1936 ossia alla morte di Re Giorgio V, nella realtà, il principe Albert fu in cura da lui dal 1926. Per quanto concerne le conversazioni tra il dottore e il principe Albert, la descrizione delle loro sedute e gli esercizi che Logue faceva fare al principe, il film si basa su fonti storiche molto attendibili: il libro che Mark, nipote di Logue, scrisse assieme a Peter Conradi sul rapporto tra suo nonno e il monarca: The King’s Speech: How One Man Saved the British Monarchy.

[5] Ernest Kantorowicz, The King’s Two Bodies. A Study in Mediaeval Political Theology, Princeton, Princeton University Press, 1957.

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