Manolete, el torero más grande

Particolarmente affascinante il film Manolete uscito nel 2007 per la regia di Menno Meyjes. Il film traccia l’ultima corrida e l’ultima giornata di vita del grande torero cordobese, uno dei più grandi matadores che la Spagna ricordi. Difficile dire quanto ci sia di vero nel film che racconta gli ultimi momenti di vita prima della cogida fatal, della cornata mortale, che lo colpì mentre sfidava un toro nella plaza de toros di Linares (Jaén) nel 1947. In quella corrida toreavano con lui anche Luis Miguel Dominguín e Gitanillo de Triana.

Il film no ci dà informazioni circa la vita di Manolete durante l’infanzia, il suo apredizaje nelle plazas de toros ne tantomeno del momento in cui prese l’alternativa, un vero e proprio rito di passaggio nella carriera del matador de toros. Di contro la storia si apre direttamente nel 1947 nel giorno in cui il torero cadrà sull’arena e ci narra principalmente con una serie di ampi flashback la sua conoscenza e l’innamoramento verso una donna che nel film è interpretata  dalla bellissima attrice Penélope Cruz. Dunque i piani temporali che si mescolano, che si intrecciano sono quelli del presente della storia nel 1947 e quelli di anni prima nei quali sbocciò il difficile e tormentato amore verso Lupe Sino.

Quella di Manolete è una storia di amore e di morte. Di una morte violenta dettata da un destino beffardo. Una morte che viene mostrata lì sul palcoscenico di fronte a centinaia di occhi.

La fisionomia di Manolete, torero dalla corporatura esile, dallo sguardo triste e dalla faccia magra, è ben resa nel film dall’attore Adrien Brody (protagonista di vari grandi film: The Pianist e The Village, solo per citarne alcuni).

Vari colori forti e vistosi dominano durante il film: il luccichio del traje de luces, il tipico vestito che indossa il torero nell’arena, il rosso della muleta e del sangue che sgorga dalla ferita alla coscia rendendo difficili anche le operazioni chirurgiche, il giallo abbaiante dell’arena sotto un sole infuocato, il nero del toro e dei capelli di Lupe Sino. E’ un film che gioca sui colori, sulle loro luminosità, suoi contrasti.

Il film ci dà l’immagine di un torero dalla vita privata particolarmente difficile e che lo rende debole, con una relazione amorosa instabile ma al tempo stesso particolarmente forte e un torero forte sull’arena sebbene non mancano momenti nel film che mettono in luce ormai l’inizio del declino del torero (i fischi durante il paseillo nell’arena nell’ultima corrida), lo storico antagonismo con Dominguín e l’ascesa di quest’ultimo. Nel film c’è un momento in cui un intervistatore dice a Manolete che Dominguín ha detto che lui rappresenterebbe il passato mentre Dominguín sarebbe il futuro.  Visibilmente indispettito ma restio a cedere a Dominguín il primato della bravura nell’arte del toreare, Manolete risponde pronto, sarcastico e quasi con tono di sfida «Chi è Dominguín?».

Nell’ultima corrida, nella plaza di Linares, Manolete sembra inquieto, sembra portare addosso un peso che gli deriva da una sofferenza privata e non è più in grado di sostenerlo, si guarda attorno e non vede la donna che ha amato. La cornata del toro Islero lo colpisce direttamente nell’arteria femorale producendo una grande fuoriuscita di sangue. La sabbia dell’arena si tinge di sangue. Di un sangue scuro, ma la sorte ha voluto che non sia quello del toro. Per una volta il toro ha vinto sul torero.  Subito ci si rende conto della gravità delle condizioni del torero. Si tenta un intervento ma non riesce e in breve il grande matador muore.

“De verdad Islero quería que yo le acompañase en la muerte” (In realtà Islero voleva che lo accompagnassi nella morte), fu questa una delle ultime frasi che il torero disse in punto di morte. Islero era il toro che gli aveva sferrato la cornata mortale. Una frase che sottolinea ancora una volta quanto la simbiosi tra la sua vita e il mondo della tauromachia fosse inscindibile.

Secondo interpretazioni abbastanza recenti il torero non sarebbe morto per la cornata ricevuta ma a causa di una trasfusione di sangue o più probabilmente di plasma sbagliato, importato dalla Norvegia. Lo scrittore Carlos Vidales nel 1997 scrisse per la rivista svedese Svenska Dagbladet riportando la cronaca dei quei momenti tragici titolando l’articolo (nella sua versione tradotta in spagnolo) con queste parole “Manolete, el Toro e la Muerte Noruega”[1]. Le vere cause della morte del matador rimangono tutt’ora ignote come spesso succede per i più grandi miti che la storia ci narra. Il mito per essere tale deve avere qualcosa d’insondabile, d’inspiegabile che crei quell’aura di mistero attorno alla sua figura. Così è per Manolete.

Nel film la sua donna Lupe Sino riesce ad arrivare alla plaza de toros appena in tempo per poterlo vedere un’ultima volta. La storia o forse la leggenda si dovrebbe dire dato che stiamo parlando di un mito narra che Lupe Sino chiese di poter sposare Manolete in punto di morte ma che la madre del torero non glie lo concesse.

Il pubblico, che prima aveva preferito ed esaltato Dominguín, riservando indifferenza e fischi per Manolete, al momento dell’annuncio della sua morte piange il memorabile torero che ha reso grande l’arte di toreare. Francisco Franco annuncia tre giorni di lutto. Dominguín prende il testimone e lo manterrà nei dieci anni successivi. Manolete, il mito, rimane.

Manuel Laureano Rodríguez Sánchez, soprannominato Manolete, era nato a Córdoba nel 1917.  Prese l’alternativa alla Maestranza di Sevilla nel 1939 avendo come testimone il torero Gitanillo de Triana. Confermò l’alternativa a Las Ventas di Madrid nello stesso anno avendo come testimone il torero Juan BelmonteMorì il 29 agosto 1947 a seguito di una cornata mortale che ricevette dal toro Islero in una corrida celebrata nella plaza de toros di Linares (Jaén). Il famoso torero è ampiamente celebrato nella toponomastica spagnola. Celebre è il monumento a Manolete che si trova nella Plaza del Conde de Priego a Córdoba, sua città natale. Ovviamente un monumento bronzeo è stato posto anche nei prossimità della plaza de toros di Linares dove il matador perse la vita.

FONTI:

http://vidales.tripod.com/Manolete.htm

http://www.caretas.com.pe/1480/manolete/manolete.htm

LORENZO SPURIO

17-04-2011

[1] Il titolo originale in lingua svedese dell’articolo di Carlos Vidales pubblicato sulla rivista Svenska Dagbladet nel 1997 era “Naturen dödade Manolete — inte norrmännen”.

Cappuccetto Rosso Sangue, presto nelle sale

La famosa fiaba di Cappuccetto Rosso scritta dai fratelli Grimm e conosciuta da tutti attraverso la realizzazione della fiaba in cartone animato verrà proposta in un film diretto dalla regista Catherine Hardwicke. Il film dal titolo Red Riding Hood è uscito nelle sale americane l’11 marzo 2011 e in Regno Unito è uscito oggi, 15 aprile 2011. Nelle sale italiane l’uscita del film è prevista per il 22 aprile 2011 col titolo Cappuccetto Rosso Sangue.

In realtà la fiaba di Cappuccetto Rosso non venne scritta dai fratelli Grimm ma dal favolista francese Charles Perrault dal quale venne ripresa e riadattata, così come molte altre celebri fiabe.

Il film può essere catalogato come un dark fantasy. La componente fantastica della fiaba è ben nota a tutti: il lupo parlante incontrato nel bosco, il lupo che mangia Cappuccetto Rosso e la nonna ma è riadattata non in una semplice storiella edificante per bambini ma in una dark story nella quale si sottolineano gli aspetti più gotici, inquietanti e paurosi della vicenda stessa. Nel compaiono nuovi personaggi e nuove vicende che li legano ma alcuni elementi fondanti della fiaba rimangono: Cappuccetto Rosso, la presenza minacciosa del lupo, il cacciatore, la nonna e il bosco.

Il film non è adatto a bambini o a giovanissimi che non conoscono l’antica fiaba e pensano di trovarla narrata nel film. Non troveranno niente di ciò che scrisse Perrault o i fratelli Grimm. La storia è stravolta al punto tale che Cappuccetto Rosso è stata trasformata da una fiaba a un horror in piena regola. Il rosso che domina non è quello del mantello e del cappuccio della protagonista ma quello del sangue che viene versato.  

La protagonista è Valerie, una bellissima ragazza contesa da due uomini. Lei ama Peter ma la sua famiglia ha stabilito che sposerà il ricco Henry. Per fuggire dalle decisioni dei suoi genitori Valerie progetta assieme al suo amato di fuggire ma viene a sapere che sua sorella è stata uccisa dal lupo mannaro che spadroneggia nella foresta che limita con il piccolo villaggio. Per vari anni le genti del villaggio hanno conservato una sorta di tregua con il lupo maligno offrendogli un animale come preda ogni mese. Ma il lupo, immagine della forza bestiale e dell’istinto animale, in concomitanza all’arrivo della Luna Rossa, rompe la tregua uccidendo una vita umana.

Addolorato e in cerca di vendetta il popolo chiama un famoso cacciatore di lupi, Father Solomon, per chiedere lui aiuto nel disfarsi del lupo. Tuttavia l’arrivo del cacciatore al villaggio avrà conseguenze negative in quanto si scoprirà che il lupo durante il giorno assume sembianze umane, che è dunque un licantropo e che quindi può essere ciascuna persona del villaggio. Molte cose nel film fanno pensare a The Village (regia di M. Night Shyamalan, 2006): la presenza del bosco visto come luogo dell’ignoto, del male, come rifugio della bestia; la pericolosità di inoltrarsi nel bosco; il villaggio tenuto sotto scacco dalla violenza animale; il dolore e il massacro; il mantello indossato per inoltrarsi nel bosco e se vogliamo l’isotopia del colore rosso: in Cappuccetto il suo mantello, il sangue che viene versato (la versione italiana del film porta il titolo Cappuccetto Rosso Sangue), in The Village è il colore innominabile. Il mostro sia in Cappuccetto che in The Village ha qualcosa di animale e di umano allo stesso tempo: in Cappuccetto è un uomo-lupo, è un licantropo, in The Village è la maschera dell’animale (di un orso, forse) che viene indossata. In entrambi i casi dunque si ripete la compresenza di bestiale nell’umano e di umano nel bestiale. La figura del licantropo mostra meglio di qualsiasi altra il grande grado di mutevolezza dell’animo umano che va dall’aspetto istintuale (animale) a quello razionale (umano), dalla forza bruta al potere.

Intanto il lupo continua a mietere vittime e Valerie comincia a pensare che possa trattarsi di una persona che conosce molto bene. Altri personaggi intervengono nella storia e ci sono dei veri e propri scontri con il lupo. Nel film non manca neppure la figura della nonna di Cappuccetto Rosso e alla casa della nonna, in mezzo al bosco, si consumerà la fine della storia.

Cappuccetto Rosso Sangue è un film che va visto soprattutto per rendersi conto quanto la regista abbia lavorato creando una storia maledetta e gotica attorno ad una semplice fiaba infantile. Un rewriting notevole ma degno di nota e che non può far a meno di farci tracciare parallelismi, antinomie o analogie tra il film e la fiaba. Gli elementi caratterizzanti della fiaba (il protagonista, il nemico, l’aiutante) sono qui presenti e riadattati alle nuove esigenze della storia. Il licantropismo e la Luna Rossa sono elementi dichiaratamente gotici e che ci rimandano a scenari ricchi di fascino ma capaci di creare tormento e paura, in cui dominano il misterioso e il mostruoso.

Dunque un film ricco di suspense e di momenti di dubbio, espressione della grande tradizione horror e del thriller psicologico. Il vero dramma si diffonde nel momento in cui il villaggio scopre che il mostro è uno di loro e che quindi non è più possibile fidarsi di nessuno. La compattezza e la solidità di un piccolo villaggio viene rotta da questa grave minaccia che solo alla fine potrà essere svelata. Un film dalle tonalità piuttosto fosche e torve, a dispetto del grande utilizzo che vien fatto del colore rosso.

Trailer in lingua italiana del film:


Fonti:

 http://redridinghood.warnerbros.com/

http://www.rottentomatoes.com/m/girl_with_the_red_riding_hood/

http://www.elmundo.es/elmundo/trailers/fichas/2011/04/6093_caperucita_roja.html


LORENZO SPURIO

15-04-2011

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