“Il Faust di Goethe simbolo dell’umanità intera” di Tina Ferreri Tiberio

Johann Wolfgang von Goethe (1742-1832) è stato uno dei più grandi scrittori, poeti e pensatori tedeschi di tutti i tempi, è considerato una delle figure fondamentali della letteratura mondiale, ha contribuito allo sviluppo del Romanticismo e del Classicismo tedesco

Per Goethe, il concetto di Natura non è solo un insieme di elementi fisici o un semplice ambiente naturale, ma rappresenta un’unità viva e dinamica. La Natura è vista come un organismo in continua evoluzione, un processo di crescita e trasformazione; Goethe la considera anche come una fonte di saggezza e di bellezza, qualcosa di profondo e misterioso che va oltre la mera apparenza. In sostanza, per lui, la Natura è un’entità viva, intelligente e piena di significato, che merita di essere osservata e compresa con rispetto e sensibilità.

La sua opera più famosa è il poema epico Faust, ma ha scritto anche romanzi, poesie, drammi e saggi che hanno avuto un grande impatto culturale e filosofico. 

Il Faust è un poema drammatico in due parti, opera complessa e ricca di significati, esplora temi profondi, come il desiderio di conoscenza, il senso della vita, il peccato, la redenzione e il conflitto tra il bene e il male. Nel suo dramma, Goethe esplora il desiderio dell’uomo di conoscere e di entrare in contatto con la Natura, che rappresenta anche il mistero e la perfezione. Faust stesso è un personaggio che cerca di superare i limiti umani e di comprendere il senso della vita, spesso attraverso un rapporto complesso con la Natura. Goethe vede la Natura come qualcosa di vivo, di dinamico e di sacro e nel suo lavoro questa connessione è molto importante, perché rappresenta anche la ricerca dell’armonia tra l’uomo e il mondo naturale. Il rapporto tra Faust e la natura è centrale nel pensiero di Goethe, che la considera un elemento fondamentale della vita e della conoscenza. L’opera è ispirata dalla leggenda del personaggio, il Dottor Faust della tradizione europea. Il poeta cominciò a scrivere il primo abbozzo nel 1772 e lo considerò terminato nel 1831, ma nel 1832 vi apportò ancora dei ritocchi. Le scene scritte tra il 1772 e il 1775 formano l’Urfaust (Primo Faust), che pubblicò solo nel 1887, influenzato dal Faust del poeta elisabettiano Cristopher Marlowe. La corrente letteraria di riferimento fu lo Sturm und Drang/ Impeto e Assalto.

Nel 1790 Goethe fece apparire un Frammento che comprendeva all’incirca la metà della prima parte, poi completò questo Frammento a partire dal 1797; nel 1808 pubblicò la prima parte del dramma, che non fu più modificata. Lo stile è quello del Classicismo. In questa prima parte, di gran lunga più accessibile, Goethe mescola ricordi personali ai dati leggendari. Il suo Faust si dà al demonio per desiderio di sapere e per sete di godimento.

Il fulcro dell’azione è una scommessa tra Mefistofele, il diavolo, che si impegna di sedurre il dottor Faust e il Signore, il quale sostiene che Faust sarà capace, con le sue sole forze di trionfare sulla tentazione. Faust, medico – scienziato, uomo rispettabilissimo, svolge la sua attività con un aiutante (Wagner) ed è insoddisfatto della sua vita e della sua conoscenza, così si rivolge alla magia, incarnata dalla diabolica figura di Mefistofele. Faust e Mefistofele siglano un patto: Faust si impegna a servire il diavolo e ottiene la giovinezza in cambio della propria anima. Ma nel corso degli eventi Faust si confronta con le sue scelte, le tentazioni e le conseguenze delle sue azioni e diventa il simbolo dell’umanità intera, che “erra in quanto agisce”, ma che deve agire per realizzare l’ideale sentito dalla propria coscienza.       

Seduce l’innocente Margherita, che poi abbandona; l’infelice ridotta alla disperazione, uccide il suo figlioletto ed è condannata a morte. Spira tra le braccia di Faust, ma, una voce dal cielo fa sapere che sarà salvata grazie al suo pentimento. Margherita è una figura che simboleggia la fragilità e la vulnerabilità della donna nell’ambiente sociale del tempo. La storia di Margherita evidenzia il conflitto tra il sentimento amoroso e le conseguenze del peccato. Nonostante il suo destino tragico, Margherita ha la possibilità di scegliere la redenzione, dimostrando la sua forza interiore. La fede di Margherita è un elemento centrale nella sua storia, che la spinge a cercare la salvezza anche nelle circostanze più difficili. La tragedia di Margherita è un’importante parte del dramma di Faust e ha avuto un grande impatto sulla cultura e sull’arte. E’ una storia che continua a commuovere e a far riflettere sul potere dell’amore, sulla fragilità umana e sulla possibilità di redenzione.

 Questo dramma della passione, a cui Goethe dà il nome di Tragedia di Margherita, non è che un semplice episodio. Due sono le grandi tematiche del Faust: il patto – scommessa e lo Streben (il cercare); Mefistofele sfida Dio, volendo dimostrare che Faust, pur affannato e alla ricerca di nuovi ed elevati saperi, in realtà è pur sempre disponibile ad un piacere che proviene dall’abbandono della sapienza. La parola Streben è la parola che caratterizza il protagonista, il suo continuo sforzo di superare i limiti, di non appagarsi mai in nessuna situazione; rappresenta anche lo spirito della borghesia, la sua forza innovativa e rivoluzionaria. Faust, nel primo prologo è disperato: il sapere non gli permette di conoscere l’intima essenza della Natura e decide dunque di darsi alla magia, evocando Mefistofele. Faust è salvato in extremis dal suicidio: sente le campane della Pasqua e la gioia che da esse deriva. In Faust convivono due anime in contrasto: la prima tende al potere – sapere, l’altra ad un legame con il mondo.

Il Faust è un’opera attuale perché affronta temi universali e senza tempo come il desiderio di conoscenza, il senso della vita, il conflitto tra bene e male e le conseguenze delle proprie scelte. Questi argomenti continuano a rispecchiare le sfide e le domande che affrontiamo ancora oggi, rendendo la sua storia e i suoi insegnamenti sempre rilevanti. Inoltre, il personaggio di Faust rappresenta la ricerca incessante di significato e di progresso, che sono temi molto presenti nel mondo moderno, per cui, anche se il testo è stato scritto secoli fa, le sue riflessioni sono ancora molto, molto attuali grazie alla sua profondità e alla sua capacità di parlare delle grandi domande dell’esistenza.                                                                                                   L’opera affronta anche il desiderio di trascendenza e del senso più profondo della vita che alla fine si può interpretare come ricerca di redenzione e di salvezza, anche attraverso le proprie azioni e il proprio percorso di vita.

Goethe ha scritto il “Faust” perché voleva esplorare grandi temi come quello sulla condizione umana, sulla tensione tra aspirazioni spirituali e desideri materiali e quello sulla possibilità di redenzione anche dopo errori e tentazioni. Il Faust è spesso considerato un simbolo dell’umanità intera perché rappresenta l’aspirazione umana all’infinito, la ricerca di conoscenza e l’insofferenza per i limiti della condizione umana; è un uomo che si ribella ai confini della conoscenza, del potere e della vita stessa, cercando di raggiungere un’esistenza superiore attraverso un patto con il diavolo. La ricerca dell’infinito lo porta a desiderare la conoscenza assoluta, il potere e l’eterna giovinezza: fa il patto con il diavolo per soddisfare il suo desiderio di trascendere i limiti. E’ simbolo della condizione umana segnata da un’aspirazione all’infinito e da un costante desiderio di trascendere i propri limiti.                                           

Faust, nel suo viaggio alla ricerca di conoscenza, sperimenta il tormento di non riuscire a raggiungere la serenità e la felicità eterna, anche con il potere del diavolo e nonostante il patto con il diavolo; non rinuncia alla sua aspirazione al divino, cercando di raggiungere un senso di appagamento che vada oltre le cose terrene. 

TINA FERRERI TIBERIO


Bibliografia:

Johann Wolfgang Goethe, Faust edizione integrale, Rusconi libri, Santarcangelo di Romagna (TN), 2022

Aldo Carotenuto, La forza del male. Senso e valore del mito di Faust, Bompiani, Milano, 2004

Massimo Donà, Una sola visione. La filosofia di Goethe, Bompiani, Milano, 2022


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N.E. 02/2024 – “Poesia e Spiritualità”, articolo di Tina Ferreri Tiberio

Parlare di poesia è sempre un tema affascinante, chiedersi cosa sia Poesia, come nasce, perché i poeti amano esprimere in versi il loro sentire, sono domande che gli uomini si sono posti nel corso dei tempi. Definire poesia non è affatto facile, molti chiamano poesia delle loro riflessioni scritte. La poesia è mistero, è magia, scrivere in versi è l’arte più alta che ci sia, fortunati coloro che hanno avuto il dono e il privilegio (dagli dei?) di cantare con le Muse.

Cos’è la Poesia e che rapporto c’è con la spiritualità? Ogni epoca ha avuto la sua concezione di Poesia e ha dato un significato precipuo alla sua funzione.

La poesia è soprattutto metafora, un’immagine dovrebbe dare il senso al pensiero, di cui diventa messaggio, simbolo; dovrebbe raccontare lo spaccato della società, che ormai nega attenzione alla persona.

Apparentemente la poesia descrive qualcosa, ma questa descrizione è simbolica, è la rappresentazione simbolica della vita umana.

La poesia usa un linguaggio universale, trasmette agli uomini l’universalità dei nostri sentimenti.

Rifacendoci al pensiero del filosofo Heidegger possiamo condividere ciò che lui pensa di quest’arte, cioè che la poesia va intesa nel significato di poiesis, ossia di pro-durre, creare, svelare, portare alla luce ciò che è nascosto. La parola ha un potere evocativo, non è la parola della scienza o della tradizione metafisica, la parola della poesia chiama le cose nella loro essenza: è il linguaggio che svela il mondo, è pensiero che diventa parola, “quella determinata parola”, perché poi da lì scaturisce l’emozione; di conseguenza la poesia ha una forte componente irrazionale.

Dobbiamo dire che la poesia è nata prima della scrittura e all’inizio si è espressa in forma orale

All’origine l’uomo ha fatto esperienza della conoscenza proprio attraverso il linguaggio poetico, linguaggio che ha disvelato il mondo e sé stesso e per ritrovare il senso della sua esistenza l’uomo ha dovuto riscoprire nel non detto, nell’abisso più profondo il principio da cui tutto ha avuto origine, perché il dire dei poeti ha infinite sfaccettature.

La poesia disvela universi sconosciuti ed è la migliore opportunità per conoscere sé stessi e il mondo, ha una forte capacità d’introspezione e di indagine. Spesso ricorriamo alla poesia per esprimere i sentimenti più profondi della nostra anima, che non possono essere trasmessi dal linguaggio lineare e controllato della prosa.

Il mondo della Poesia, ancora oggi, s’interroga sulla sua essenza: c’è chi afferma che la Poesia è un momento emozionale; chi un momento di riflessione; chi usa la Poesia per sperimentare linguaggi nuovi, a volte ermetici, di difficile interpretazione. Io personalmente, penso che al fondo della Poesia ci sia sempre la ricerca di senso, la ricerca dell’uomo, del suo essere. Poesia è filosofia e in questo condivido il pensiero del poeta romantico tedesco Holderlin, ma nel contempo la poesia è ricerca della parola, parola che esprime il nostro sentire, anche se ciò non sempre avviene. Bravi quei poeti che riescono non solo a trasmettere in pochi versi l’emozione, ma anche il senso, ossia l’essenza del loro sentire. In questo senso intendo la “spiritualità” della poesia, perché il poeta dona sempre una visione della realtà che va rivissuta, goduta in ogni attimo; ad esempio soffermiamoci sul verso foscoliano dell’Inno primo dedicato a Venere del poema Le Grazie, opera incompiuta  Splendea tutto quel mare; mirabilmente Ugo Foscolo in versi endecasillabi sciolti, fa fluire, trasparire sia il senso dell’armonia del creato, sia il conflitto interiore tra la memoria e l’anelito verso l’Infinito, armonia del creato intesa come equilibrio di bellezza e virtù, suscitata dalla vista di quella distesa azzurra. Il poeta di fronte alla “vastità”, alla distesa mediterranea, al colore azzurro, al mistero dell’Universo rimane stupito, il desiderio si trasforma in conflitto tra il piacere e il dolore che tale piacere procura e questo piacere doloroso è simile a quel sentimento del sublime di cui discorreva Kant nella Critica del Giudizio.

La condizione esistenziale del poeta Foscolo di sradicato, di cittadino, anche se ideale di tante patrie, Grecia, Venezia, Italia al quale le circostanze negarono una vera appartenenza, viene appagata soprattutto nel cantare la Bellezza, anche la Bellezza femminile, in un paesaggio eminentemente classico ed è una Bellezza che rasserena, mitiga gli istinti; il linguaggio che Foscolo usa è un linguaggio elevato, classico, sembra che voglia afferrare l’inafferrabile.

In alcune immagini Foscolo esprime in maniera evidente sensazioni intime, personali, in ciò è vicino alla lirica moderna, proprio per quella ricerca dell’analogia tra il linguaggio e le cose. 

 La figura della donna che affiora dal mare è accecante così come le ninfe acquee che veleggiano per ispirare gioia, serenità e desiderio di un amore puro.

 La poesia del Foscolo non è né antica, né moderna, le visioni che lui ci ha regalato sono proprie di un presente perenne, perché, appunto, la poesia non è figlia di un’epoca, per esempio lo sguardo commosso di Odisseo nella poesia A Zacinto è lo stesso sguardo del giovane moderno nel suo sostare e meditare sulla distesa azzurra.

 Secondo la teoria di R. Jackobson, la funzione poetica caratterizza ogni testo letterario in quanto in esso l’attenzione si concentra sugli aspetti formali del messaggio.

Nella poesia il significante e il significato sono indivisibili: il primo indica le parole della poesia, il loro suono e il loro ritmo, cioè come la poesia è scritta, mentre il significato rappresenta il messaggio vero e proprio della poesia.

Nel quadro linguistico letterario che va dal Manzoni in poi, secondo il Devoto, ci sono delle evasioni linguistiche. Queste evasioni possono essere: sentimentali, realistiche, esuberanti. Le evasioni sentimentali le ritroviamo in Pascoli nella poetica del Fanciullino e sono chiamate dal Devoto evasioni linguistico-sentimentali. Evasione linguistica intesa come cambiamento della lingua, evoluzione, sviluppo che va al di là del quadro rigido di quello che era stata la lingua del Manzoni oppure la lingua del Verga, la lingua plastica-romantica; in essa troviamo l’uso di onomatopee, ossia i suoni si basano sui ricordi, sulle sensazioni. Le evasioni realistiche sono quelle un po’ ragionate di Fogazzaro, che viene visto nel primo periodo un po’ come il contrasto, l’antitesi del Manzoni, soprattutto nella riflessione dei luoghi e dei personaggi.

In questo periodo la poesia ha una dimensione alogica, è consolatrice della funzione, ossia lo scopo del poeta è quello di consolare, sollevare, dare sfogo ai sentimenti. La letteratura diventa evasione, evasione dalla storia, evasione dai problemi reali della società, anche evasione dalla società industriale un po’ in tutta l’Europa. La poesia non serviva per lottare, serviva per evadere dalla realtà e dai contrasti con la stessa realtà. Dal punto di vista linguistico, la poesia si sposta, si amplia attraverso la descrizione di momenti quotidiani, per fare questo il poeta ha bisogno di ricercare nuovi vocaboli, di arricchirsi lessicalmente, il Pascoli in particolare trova la soluzione nelle onomatopee. Il verso non è più così lirico, così stretto, poetico, enigmatico, il verso diventa quasi prosastico, somigliante quasi ad un discorso. La parola assume un valore evocativo e suono simbolico, è associazione del suono e del simbolo a cui fa riferimento.  Pascoli attraverso gli echi e le risonanze melodiche, arricchite da rapide note impressionistiche e da frasi che racchiudono l’essenzialità, ci parla di un mondo, simbolo delle sue angosce e delle sue ossessioni interiori: le figure più ricorrenti nella sua poesia appartengono al mondo campestre e contadino, il nido, l’orto, la siepe, gli uccelli, i fiori, sono i simboli delle angosce e delle ossessioni interiori del poeta.  

Anche in D’Annunzio la parola è importante, la parola in D’Annunzio acquista un valore sensuale, però nella sua poetica è evidente un altro aspetto, non quello del quotidiano come nel Pascoli, ma quello dell’eroe, dell’eroe decadente; s’intende per eroe decadente un eroe che non è impegnato in un tipo di lotta, è un eroe più intimista, è superiore anche a certi problemi, così superiore che non li osserva nemmeno questi problemi, non è l’eroe foscoliano. L’opera del D’Annunzio è varia, va dalla prosa alla poesia e i moduli artistico-espressivi che usa sono molteplici; anche in D’Annunzio c’è una tendenza impressionistica, così immediata che quasi quasi si impoverisce di contenuto, ecco che la poesia e la prosa dannunziana hanno avuto  successo in quel momento in cui andavano di moda, poi non hanno avuto più lo stesso riscontro nella storia della letteratura e non possiamo dire che un’opera del D’Annunzio sia intramontabile come l’opera del Manzoni, perchè l’opera del D’Annunzio si è impoverita proprio per questa eccessiva evocazione, per questo impressionismo della parola e alla fine questo tipo di linguaggio ha avuto scarsa presa sul lettore.

Ci chiediamo, quale funzione, oggi, la poesia abbia e a che serve. Possiamo affermare che la poesia predispone ad un atteggiamento di apertura e di flessibilità, predispone ad arricchire la percezione delle cose, della realtà esterna, anche dei sentimenti interiori di ognuno, perchè la poesia consente di focalizzare nella sua dinamicità il potenziale significativo delle parole, sia attraverso una pluralità di sensi, sia attraverso l’estensione del lessico, in quanto la poesia è sensibile a una pluralità di registri linguistici che in essa, a differenza di altri testi, si manifestano più liberamente. Inoltre la poesia è sensibile, anche, all’immaginazione linguistica, così si esprime Maurizio Della Casa e viene definita polisemica perché ogni parola, ogni verso ha almeno due significati: quello letterale e quello simbolico ed è un particolare tipo di scrittura letteraria, caratterizzata da una serie di artifici metrici, ritmici e retorici attraverso i quali si realizza al massimo grado la funzione poetica del linguaggio.

La poesia, dunque, è ritmo, musicalità, metrica, anche nel verso libero il ritmo è dato dalla scansione interna del poeta, non è legato ad alcuna regola oggettiva, per cui la scelta della parola diventa essenziale, proprio per il suo significato di “essenza”. Il verso libero è espressione di tensione alla libertà che è caratteristica della nostra epoca.  La danza nei passi “essenziali” trasporta il poeta nel mondo dell’immaginazione, con le sue regole, con la sua armonia. Così, infatti la poesia, la possiamo definire “Armonia dell’universo” e specchio della spiritualità dell’uomo.

Bibliografia:

Della Casa Maurizio, I generi e la scrittura, La Scuola SEI, 2014

Devoto Giacomo, Profilo di storia linguistica italiana, La Nuova Italia, 1990

Foscolo Ugo, Le Grazie, Tiemme Edizioni Digitali, 2021

Foscolo Ugo, Le poesie, a cura di Matteo Palumbo, Rizzoli, 2010

Heidegger Martin, La poesia di Hölderlin, Adelphi, 1988

Jackobson Román, Lo sviluppo della semiotica, a cura di Pierluigi Basso Fossali, Luca Sossella editore, 2017

Pascoli Giovanni, Poesie, a cura di M. Pazzaglia, Salerno editrice, 2002

Pascoli Giovanni, Tutte le poesie. Ediz. Integrale, Newton Compton Editori, 2006


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore/l’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

N.E. 01/2023 – “All’ombra della luna”, poesia di Tina Ferreri Tiberio

Tra una storia e l’altra la nostra vita

scorre dipanandosi in rivoli

e palpiti scomposti.

C’era un tempo in cui lo stupore

mescolava l’ardire allo smisurato

 riverbero del sole

e nello spazio infinito pagine bianche

 e parole travolgenti si rincorrevano

a perdifiato senza perdersi nel tempo.

 All’ombra della luna il pensiero indaga

senza sosta e oltre la siepe, al di là delle ombre

 tra una foglia d’acero e una di castagno

scruta in quel casolare, in quel vicolo,

e come in un sogno immagini ad acquerello

si fissano come dipinti sulla tela.

All’ombra della luna i rattoppi s’imbevono

e si disperdono nella nebbia, intrappolati

e rasenti raccontano visioni che risuonano

in un tintinnio, in uno scroscio insensato

e smarrito.

*

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N.E. 01/2023 – “Il libro, manifestazione dell’essere”. Articolo di Tina Ferreri Tiberio

Il nostro secolo può essere definito il secolo della “multimedialità” e l’interrogativo di fondo che ci poniamo in questa cultura elettronica è il chiedersi se c’è ancora posto per il libro o esso è destinato ad uscire di scena. Alcuni hanno sostenuto in più occasioni la morte del libro o l’assassinio del libro da parte della televisione, per es o dell’ipertesto. Ma il libro è sempre un’esperienza a cui l’uomo non vorrà mai rinunciare: non basta leggere, occorre saper scegliere cosa vale la pena di leggere. 

Sant’ Agostino affermava: “Il Mondo è un libro e coloro che non viaggiano leggono solo una pagina.”

Orbene il libro rappresenta non l’orizzonte pressochè esaustivo del processo di apprendimento, come spesso è avvenuto, ma diventa uno dei tanti strumenti di cui l’uomo può disporre nei suoi processi di ricerca. Si tratta, cioè di assegnare una diversa identità al libro, non come matrice condizionante di sapere, bensì come strumento per la costruzione del sapere. Oggi, cioè, si guarda al libro non come al luogo di sistemazione del sapere, bensì come ad un insieme di pagine e contenuti che aspettano di essere interpretati, integrati, strutturati.  Leonardo Sciascia affermava che “Il libro è una cosa: lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, ma se lo apri e lo leggi diventa un mondo”.

Il libro cioè è uno strumento che aspetta di essere esplorato con intelligenza, che non si impone, ma si presta, non irrigidisce, ma alimenta, è lo specchio del nostro io.

Attraverso il libro l’individuo è portato a trovare risposte sempre più adeguate ai suoi problemi, alle sue esigenze, alle sue aspettative e il gusto del leggere, pertanto sollecita sempre più la capacità di autonomia cognitiva da parte dello stesso individuo, che si fa ricercatore e operatore del proprio sapere.                   

L’uomo non è un “io” separato dal mondo e messo in comunicazione con esso per mezzo delle sensazioni, egli è un organismo entro la natura che interagisce con l’ambiente, per cui da sempre l’uomo ha sentito il bisogno di raccontarsi, per es. i ragazzi tratteggiati dalla penna di scrittori, come Pasolini, ci vengono incontro con tutta la loro ricchezza esistenziale. Sono figure vive, concrete, non soggetti astratti di categorie sociologiche. E’ un modo per far parlare i ragazzi, per parlare con i ragazzi, usando la bellezza della letteratura, gli occhi partecipi dello scrittore e non la lente neutrale dello studioso.  

I libri non perdono mai il loro fascino, anzi con le nuove tecnologie informatiche, moltiplicano la forza di attrazione e la capacità di incuriosire. Quotidiani e televisione sono lo specchio del mondo e la scrittura è la risposta ad un reale bisogno comunicativo.

Leggere seriamente i testi degli autori antichi greci e latini, per es. significa consentire loro, di essere delle occasioni di sviluppo profondo per l’interiorità, l’espressività e l’eticità di noi lettori. Accostare le opere di oltre un millennio di cultura occidentale ha senso se il confronto con esse permette al singolo individuo di valutare la qualità e lo spessore umano dei propri sentimenti e delle proprie passioni; potenzia la raffinatezza, la fondatezza e la penetratività del proprio modo di esprimersi; ha senso se centra l’attenzione sul senso della propria vita e sui valori che la possono orientare.

Soffermiamoci sulla prima raccolta poetica di Montale “Ossi di seppia”. 

Lo stato di disagio e di inquietudine dell’uomo, chiuso nella propria crisi, si riflette in un linguaggio del tutto nuovo, pieno di suggestioni e spesso sconvolgente. Il punto di partenza della tematica montaliana è costituito dalla sua prima raccolta poetica: “Ossi di seppia”, pubblicata nel 1925. La realtà paesistica che nell’opera il poeta descrive ha una sua precisa fisionomia, è il paesaggio della sua natìa Liguria, colto in tutta la sua asprezza e squallore. I piccoli particolari della vita quotidiana sono presentati nella loro nudità e spigolosità: “rovente muro d’orto”, “sterpi” e assumono sotto la penna del poeta, un alto valore simbolico mettendo in luce la sua coscienza dell’aridità, dell’assurdità della vita, la quale non è altro che isolamento, esclusione, inutilità. Vivere, dice infatti Montale in “Meriggiare” non è altro che “seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. Così in “spesso il male di vivere” la legge di sofferenza che domina costantemente la vita umana affiora negli aspetti più giornalieri della realtà delle cose: “è il rivo strozzato che gorgoglia”, “l’accartocciarsi della foglia riarsa!”, “il cavallo stramazzato” e l’unica salvezza dal male di vivere è “la divina Indifferenza”. “Non chiederci la parola, continua ancora Montale, che squadri da ogni lato l’animo nostro informe” “che mondi possa aprirti”. “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. La poesia, insomma, non può lanciare messaggi, non può dare certezze, ma solo qualche sillaba storta che esprime il crollo di qualsiasi mito, la consapevolezza del non essere.  D’altronde lo stesso Montale nella sua prima raccolta non esclude la possibilità di un mutamento verso cui il poeta tende nell’ansioso, ma consapevolmente vano tentativo di trovare una via di salvezza di fronte alla precarietà, al fallimento dell’esistenza. E’ questo il motivo cantato nel gruppo di liriche “Mediterraneo” poste al centro della raccolta, in cui il mare preso a simbolo di vita autentica, di positività, come quell’approdo, è purtroppo non raggiungibile per l’uomo, che sa di essere “della razza di chi rimane a terra”. 

Pertanto, nell’opera viene riaffermata la visione montaliana del vivere una vita senza fedi, senza certezze, senza “lume di chiesa o di officina” come egli dice in “Piccolo testamento”. Egli non ha seguito nella sua vita “chierico rosso o nero” orgogliosamente chiudendosi nella propria solitudine. L’uomo del nostro tempo, afferma il Montale, attraverso la metafora del prigioniero destinato alla morte, che può uscire dalla propria cella solo diventando accusatore e carnefice degli altri, è ben consapevole di essere oppresso da una società che lo condiziona, ma niente può fare per sfuggire a questo carcere. Egli avrà comunque un destino negativo, sia che si faccia complice, sia che rimanga vittima. Questa la lezione lasciataci da Montale: consapevolezza di vivere in una società priva di illusioni e rassegnazione ad un destino di solitudine e dolore cui opporre un rigore morale che non accetta compromessi.           

Per concludere l’uomo sente che il libro gli può dare risposte, ogni libro può diventare un mezzo per ampliare il proprio orizzonte di vita, per mettersi in relazione con i grandi spiriti del passato e così la lettura diventa un’attività fondamentale per far circolare sempre messaggi di bene e di bellezza.

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Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

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Bibliografia

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, 2000

Eugenio Montale, Tutte le poesie a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, I Meridiani collezione, 1984

Walter J. Ong, Oralità e scrittura: le tecnologie della parola, Bologna, Il mulino, 1986, ed. orig. 1982

Guglielmo Cavallo, I luoghi della memoria scritta: manoscritti, incunaboli, libri a stampa di biblioteche statali italiane, direzione scientifica, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1994

Storia del libro. Storia di libri. A cura della prof.ssa Rosa Marisa Borraccini  PDF 2018

Tina Ferreri Tiberio recensisce “Pareidolia” (2018) di Lorenzo Spurio su “L’Oceano nell’Anima”

Nella raccolta poetica Pareidolia Edizioni The Writter, Lorenzo Spurio ci trasporta in una realtà cruda e dolorosa e ci consegna una visione del mondo circostante dal sorso amaro, proprio come dice Saba “Era questo la vita: un sorso amaro”.
Ogni verso, ogni pensiero esprime una esacerbata desolazione in cui l’uomo smarrito, sopraffatto da passioni e tormentato da compromessi, vive sospeso tra emozioni, perplessità, drammaticità. La raccolta è suddivisa in quattro sezioni: Affossamenti, Ecchimosi, Dedicatio e Pareidolia, in ognuna delle quali il poeta s’interroga sul mondo attuale.

La sensazione immediata che si prova nella lettura dei versi è quella di uno scorrere spietato e ineluttabile di una condizione umana, all’apparenza, senza via di scampo.

Per la Sezione Affossamenti “In ventuno di nero”: Il risentimento ormai è dato ai pochi/ e ci si annulla in molecole d’acqua/ in un Mediterraneo/ conca di morti/ acquitrino di angosce/ culla di dolore abissale. I versi di questa poesia, nati in seguito all’esecuzione di ventuno egiziani copti ad opera dell’Isis in Libia nel febbraio 2015, hanno toni intensi di drammaticità e di pathos ed il riferimento al Mediterraneo, conca di morti, colpisce a fondo e tristemente le nostre coscienze indifferenti e assopite, scuotendole.
Il poeta Spurio con le sue riflessioni e notazioni, che diventano indagini dettate dall’enigmaticità dei drammi umani, scava alla radice del problema, mette a nudo tematiche scottanti e tragiche, graffia l’anima del lettore, rivelando in tal modo la sua profonda sensibilità, come in “Sacchi neri (Carme lento)”: Ma quell’acqua che pesa troppo/ è a sigillo di un naufragio atroce/ che d’Agosto si bagna nel Mediterraneo/ non può fingere di non conoscere./ La vostra vita dispersa nelle acque/ dimora in ogni molecola di mare. Invero il tema “Mediterraneo” e delle sue acque è molto sentito dallo Spurio ed è spesso ricorrente.
Intensamente emotivi e struggenti sono anche i versi di “Queiq River” (L’acqua rossa di Aleppo) e de “L’acqua indocile”, sembra che gli spazi abbiano una dimensione incompleta e che il senso del mondo diventi frammento di una realtà fugace e fluente, proprio come l’acqua. L’elemento “acqua” è molto spesso presente nella poesia dello Spurio: l’acqua rappresenta il fluire del tempo e delle cose, è mutevole, ma sempre uguale a se stessa. L’acqua è vita, ma può essere anche morte, distruzione; talvolta l’acqua prende i riflessi della luce e ci abbaglia. Orbene, i versi del poeta attraverso l’immagine simbolica dell’acqua invitano a superare le angustie dei nostri limiti e ad avere una visione più elevata della vita e della nostra esistenza; inoltre, in modo sagace e perspicace mettono in evidenza la crisi irrefrenabile dei valori in atto nella società dandone così testimonianza e analizzando i vari aspetti del tempo in cui viviamo.

Nella sezione Ecchimosi i riferimenti agli eventi tragici, di ieri e di oggi, riguardanti la storia dell’umanità ci sorprendono come una sferza pungente e dolorosa. Ad esempio in “Humus negato”: Quando traduci il verso/ di paure e fronde di sole/ nei riverberi asciutti/ dell’indolenza che cresce/ non chiedere l’evidenza/ se la sera non traspare./ Sempre s’ammazza il giorno/ nei balconi che vibrano/sotto trucioli di cielo vi è la denuncia della guerra in Siria, dei siriani bombardati , di come la vita, seppur fragile sia sempre preziosa.
Goethe affermava: “Se non hai mai mangiato con le lacrime agli occhi, non conosci il sapore della vita”, analogamente il nostro Poeta mette in evidenza la crisi Siriana e il sacrificio di tante vite umane; una crisi che ha distrutto e stravolto la vita di una generazione, soprattutto bambini (humus negato ossia terreno fertile, produttivo) ed ha reso terribilmente immane e difficile lo sforzo di ricostruzione e inestimabile la speranza di una Pace duratura.

In Dedicatio Spurio fa esplicito riferimento a diversi autori e personaggi da cui attinge intensità e dinamismo intellettuale: pensiamo a Federico Garcìa Lorca, ad Antonia Pozzi, a Rosario Livatino.

Poi nell’ultima parte di Pareidolia mette a nudo se stesso, s’interroga sul senso della vita, lascia trasparire anelito di giustizia e lealtà; in “Corri e scolorisci la notte” leggiamo: Dell’anima che si piega e/ si siede non vista, ti parlo./ Non chiedere il senso:/ la sera s’è incenerita,/ la stanza vive storie,/ vorticano le onde e/ i petali intirizziti nell’angolo/ stillano gocce di mistero./ …La lotta si consuma tra l’erba e/ il sospiro che brilla e riparla. Slega il buio all’istante: corri e/ ruba le forme più belle, ad esse congiungi le idee che s’alzano,/ corri: ora sei quello che vuoi. Tuttavia questi versi esprimono efficacemente il bisogno intimo di rialzarsi, prendere in mano la vita, slegare il buio, le tenebre, ciò che è opaco e incerto, lottare, perché la lotta si consuma tra l’erba e il sospiro, una metafora bellissima ed eloquente di come ciò che è umile, semplice (il filo d’erba), insignificante, può avere il potere di cambiare il mondo.

È un barlume di luce, che si intravede in tanta desolazione e che suona come un monito rivolto all’uomo di ogni tempo ad avere fiducia nel futuro ed avere il coraggio di andare avanti, senza mai lasciarsi sopraffare dalla forza bruta dei propri egoismi e degli eventi.

Tina Ferreri Tiberio

Si ringrazia l’autrice della recensione per questo bel testo che è stato precedentemente pubblicato sulla rivista “Oceano News” dell’Associazione Culturale “L’Oceano nell’Anima” di Bari nel mese di ottobre 2021.

“E l’uomo chiese” di Tina Ferreri Tiberio, con un commento di Lorenzo Spurio

“E l’uomo chiese”[1] di Tina Ferreri Tiberio

 

E l’uomo chiese,

scrollando il capo,

se la terra, avvolta da

invisibile, infinita

nebbia, potesse proseguire

implacabile il suo

giro, fino ai confini

dello spazio.

 

Tremolante e inquieto

Il vento si levò,

lasciò intravedere

una fuggitiva nuvola,

…come un bacio appena appena

pennellato e perduto

nel grembo rabbioso

del cuore della terra.

 

Commento di Lorenzo Spurio

La poesia “E l’uomo chiese” di Tina Ferreri Tiberio, che è raccolta nella silloge “Frammenti” che fa parte dell’opera a più voci Sopra il deserto avviene l’aurora. Qualcuno lo sa (2017), si presenta al lettore come una cauta riflessione sui sensi dell’esistenza. Il titolo, che chiarifica in merito a una condizione dubitante dell’uomo, fa da apripista a un testo bistrofico dal verso libero. L’uomo, quasi ravvedutosi dalle sue azioni sconsiderate (sembra di intuire) pare svegliarsi da un sonno turbolento e, di colpo, prendere visione dello scenario nel quale è calato: la terra ricoperta da una fiabesca e impalpabile patina di nebbie che la rende quasi irreale e al contempo gradevole alla visione. Immancabile, nelle vene di un sotto-testo che non è così difficile da estrapolare, il pensiero di salvaguardia ambientale che la poetessa intende delineare quando, con un linguaggio semplice che rifiuta volutamente la dura interrogazione, allude a un possibile futuro del Pianeta. Ci sarà tempo – o, meglio, ci saranno ancora le condizioni – affinché la terra possa “proseguire/ implacabile il suo/ giro”?

Nella strofa che segue una folata d’aria, quasi provvidenziale e connaturata come segnale benaugurante, fa la sua presenza in scena; l’energia del vento è capace di disperdere la cappa di nebbia prima formatasi. Il ripristino di una situazione di ariosità del cielo permette lo svelamento: l’occhio riacquista visibilità su ciò che prima – nelle summenzionate condizioni fisiche – non aveva accesso. Ecco che la poetessa s’interessa di cogliere una “fuggitiva nuvola” che subito, con un’estensione romantica, associa a un bacio pitturato che si costruisce con pennellate velocemente sino a diventare indecifrabile e sparire. Esso si contraddistingue proprio per la stessa fuggevolezza e transitorietà della nuvola nel suo incedere inavvertibile eppure continuo.

La chiusa provvede a un sigillo significativo, ricorrendo nelle immagini a una ciclicità ben codificata. Dopo la meticolosa attenzione riversata al mondo d’aria (nebbia, vento, nuvola) si ritorna al mondo della concretezza, alla terra, descritta nel suo “grembo rabbioso”, antro tellurico di forze e di energie magmatiche di naturale genesi ma anche di una nutrita insofferenza verso la diffusa inciviltà dell’uomo.

 

L’autrice

img_1062-fileminimizer.jpgTina Ferreri Tiberio è nata e vive a San Ferdinando di Puglia (BT). Docente in pensione. Laureata in Pedagogia, ha insegnato nella scuola dell’infanzia e successivamente Storia e Filosofia in un Liceo Scientifico. Fin da giovanissima si dedica alla scrittura di poesie. Solo negli ultimi due anni ha partecipato a vari concorsi letterari ottenendo lusinghieri riconoscimenti tra cui (solo per citarne alcuni) il Premio Speciale CEI (Ufficio Nazionale per la Pastorale, il tempo libero, turismo e sport) al 3° Premio Letterario “Città di Fermo” nel 2017 con la poesia “Ti ho cercato o Dio, ti ho cercato” e il 2° premio assoluto al VI Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi con la poesia “Dammi i colori, madre”. Suoi componimenti poetici sono presenti in varie antologie di premi letterari fra le migliori opere selezionate dalle relative giurie, altri componimenti sono inseriti nell’Enciclopedia della Poesia Contemporanea vol. VI del 2014-2015 della Fondazione Mario Luzi.Suoi saggi di carattere storico-filosofico sono presenti sulla rivista semestrale “Il Vascello”, rassegna di cultura, scuola e società dell’Istituto di Istruzione Superiore “Michele Dell’Aquila” di San Ferdinando di Puglia (BT) oltre che sulla rivista di letteratura online “Euterpe”.

 

[1] AA.VV., Sopra il deserto avviene l’aurora. Qualcuno lo sa, Aletti, Guidonia, 2017, p. 90.

“Frammenti” di Tina Ferreri Tiberio, recensione di Lorenzo Spurio

Tina Ferreri Tiberio, Frammenti in Sopra il deserto avviene l’aurora. Qualcuno lo sa, Aletti, Guidonia, 2017.

Recensione di Lorenzo Spurio 

download.jpgLa silloge Frammenti di Tina Ferreri Tiberio è contenuta nella raccolta poetica a più autori dal titolo Sopra il deserto avviene l’aurora. Qualcuno lo sa (Aletti, 2017). Come ha osservato l’autrice in una recente dichiarazione, si tratta della sua prima raccolta di poesie che timidamente ha pubblicato, perché un po’ restia a estrinsecare i suoi pensieri.

L’elemento naturale e paesaggistico è spesso contenuto nelle composizioni della Nostra da divenire ingrediente speziato e radicato di quei brani lirici le cui tematiche riaffiorano nell’infanzia richiamando ricordi lontani che si rimembrano con letizia e un pizzico di nostalgia.

Il tono è pacato, il linguaggio rifugge virtuosismi di sorta per prediligere forme canoniche di una sintassi che trae dal linguaggio comune le terminologie. Poetica descrittiva e figurativa, cadenzata da tocchi di intimismo e di regressione a fasi del passato della donna vissute in completezza e concordia con l’amato e con l’ambiente che la circondava (“Come a vent’anni!”, 84).

L’intera dissertazione lirica gira attorno alla tematica del tempo, ricorrente con immagini e forme diverse ma sempre a sottolinearne il fulmineo tracciato e l’intransigenza del suo percorso, la Nostra parla, infatti di un “tempo caduco e crudele” (78) così impietoso da ricevere i connotati di violenza e brutalità: esso non conosce requie come nei Sonetti addolorati d’amore del Bardo inglese.

I frammenti della Nostra sono stralci di un vissuto che vengono ripescati e incastonati nella carta a eterna memoria e per un rinvigorimento continuo delle esperienze, difatti la stessa Poetessa rivela in una poesia che la sua volontà è quella di “rivivere/le storie” (78). Così i versi contengono una materia che ha a che fare col vissuto autentico della donna, vagliato dall’esperienza saggia di protagonista del mondo, al punto da poter descrivere i suoi brani come delle vere e proprie stesure di “vite narrate” (82).

Talora appaiono sporadiche tracce di criticità e insoddisfazione, oppure di perplessità che la porta a servirsi della confessione con la carta proprio per l’esternazione dei suoi pensieri che, a volte, rasentano quel “nulla fulmineo” (77) indescrivibile in quell’oscurità che può prendere forma anche se poi l’aurora non manca di succederle. Tina Ferreri Tiberio racconta in stille poetiche quelle che furono le gioie e le spensieratezze di un’età giovane e smaliziata: “Canto la giovinezza/ sognante e tenebrosa” (80): curiosa ma assai d’impatto questa costruzione ossimorica della giovinezza quale momento sognante, dunque dotato di stupore e meraviglia, ma anche tenebrosa, perché, forse, inconoscibile e dunque misteriosa.

L’introspezione, pur vagliata da una profonda conoscenza della storia, a volte assurge ad alti livelli come accade nella lirica “Dammi i colori, madre” dedicata al ricordo di Auschwitz (non contenuta nella silloge in oggetto), risultata vincitrice del 3° posto alla VI edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi (2017) di cui la Commissione Giudicatrice così commentò il bel testo: “I versi semplici e puliti sono un sofferto inno d’amore e un richiamo accorato e sincero in cerca di aiuto e di amorevole sostegno. Gli orrori della prigionia ad Auschwitz divengono anche voce e ispirazione di una preghiera rivolta alla Madre Celeste, a testimoniare un affidamento e una devozione senza confini, ad alleviare la pena di un’esistenza che si avvicina al termine”.

La Poetessa – come ogni buon poeta – si interessa anche dei fatti del mondo non mancando di riferirsi alle “miserie umane” (91) e all’impassibilità dell’uomo (“Gli amici, indifferenti, vanno via”, 99) sebbene la centralità rimanga sempre attorno alla tematica del tempo, delle emozioni vissute, dei soavi ricordi che riaffiorano con piacevolezza mentre “la vita sussulta alla debole luce” (81). C’è un effluvio comunicativo anche con l’ambiente paesaggistico che contorna le vicende episodiche tratteggiate nei componimenti lirici come quando la Nostra osserva “Ho provato ad immaginare/ il vento senza la sua carezza” (85) e poi, in un’altra lirica, fa capolino una domanda impalpabile: “È possibile correre sotto/ lo stesso cielo?” (86).

Tina Ferreri Tiberio trae dall’esperienza personale la materia prima per impastare i versi delle sue liriche che si contraddistinguono per freschezza, gradevole fruibilità, carico espressionismo, rifuggendo forme arcane di stagno ermetismo o di virtuosismo performativo. Donna che appartiene alla terra e che, nella semplicità genuina dove risiede il senso di bellezza, “am[a] ascoltare il silenzio” (87); silenzio che fa pensare a versi dolci e pacificati di Giusi Verbaro o, meno efficaci all’istante, di Mario Luzi.

Così la donna ci affida le “molte avventure” (91) appartenute al suo tracciato esistenziale ferme nella convinzione che “amore è giovinezza” (92). Nell’età matura in cui la Poetessa scrive ci informa anche del suo “spossato corpo” (91), sintomo – forse – di una leggera stanchezza che non ha nulla dell’affanno ed è in linea con una più consapevole coscienza che “la vita fievolmente/ rotola” (99) verso il suo “interminabile peregrinare” (94). In tale vissuto esistenziale la Poetessa ha deciso di lasciarsi felicemente trasportare dall’emozione, valicando i continui “battiti del tempo” (94) che a volte ci pongono dinanzi a dei bivi, a delle decisioni, a delle stasi, a dei dolori invalicabili che si scoperchiano.

Con dignità e fermezza Tina Ferreri Tiberio “Ravvolg[e] i rimanenti battiti accartocciati;/ arranc[a]” (100) tra i banchi densi di “solitudin[e] e [di] indifferenza caliginosa” (103) con la virtù innata di un insegnamento morale che sa d’antico e di profonda spiritualità e che, invece, è motivo e fine del nostro ‘esserci’ al mondo: la traccia che lasciamo è estensione di noi stessi. Ecco perché “ammutoliti possiamo/ raccogliere e tessere i labili frammenti/ della nostra vita” (105).

Lorenzo Spurio

Jesi, 26-01-2018

 

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