La corrida: il torero, il picador e il banderillero 4/10

Colui che affronta il toro durante la corrida è tradizionalmente noto come torero o come matador. In realtà nella corrida non è solo il torero a fronteggiare il toro, sebbene sia lui ad ucciderlo. Nella corrida infatti intervengono anche altre figure molto importanti e il Ministerio del Interior individua nel Registro General de Profesionales Taurinos sette diverse professioni nell’ambito taurino. Vediamole di seguito partendo dalla più importante e prestigiosa:

  1. matador de toros (il torero vero e proprio)
  2. matador de novillos con picadores
  3. matador de novillos sin picadores
  4. rejoneador (il torero a cavallo, diffuso nella corrida portoghese)
  5. banderillero e picador
  6. torero cómico
  7. mozo de espada

Al fine di poter attuare secondo ciascuna delle sette categorie professionali è necessario e obbligatorio la registrazione della persona al suddetto registro. L’iscrizione al Registro fornisce una data di scadenza (fecha de caducidad) pari a cinque anni, oltrepassata la quale o si provvede a rinnovare l’iscrizione per rimanere attivi nella propria professione o non si rinnova l’iscrizione e automaticamente si abbandona il lavoro alla plaza de toros. Il passaggio da una sezione all’altra è stabilita secondo dei particolari requisiti stabiliti dal Ministerio del Interior.


Ciò che colpisce del torero, ben prima della sua prestazione sul ruedo, è la sua uniforme denominata traje de luces che letteralmente significa ‘vestito di luci’. E’ così chiamato perché è cucito di fili d’oro e d’argento e ad esso sono applicati una serie di brillantini e specchietti che rendono la divisa molto luminosa ed appariscente. Tra gli altri attributi del torero vanno ricordati la montera (il cappello), la coleta (il codino) che una volta era vero e che in tempi recenti è sostituito da un codino posticcio. Il codino è molto importante perché il taglio dello stesso fatto sul ruedo significa che il torero abbandona il suo lavoro per sempre; il corbatín (cravattino), la chaquetilla (giacchetta), gli  alamares (bottoni della chaquetilla), la taleguilla (pantaloni), la camisa (camicia), las medias rosas (i calzetti fucsia), las zapatillas (scarpe piatte simili alle ballerine). Tre sono invece gli strumenti utilizzati dal torero sulla plaza: il capote, la muleta e l’estoque. Si parlerà più precisamente di ognuno di essi nella parte dedicata ai vari tercios della corrida.

Con il primo tocco di clarino entrano sul ruedo due picadores che si dispongono in posizione opposta. Il picador è seduto sul cavallo bendato e con protezione e dispone di una lunga lancia di legno che termina con una punta metallica. Si tratta della vara o lanza de picar con la quale infilza il toro almeno due volte per debilitare il toro. Le ferite che produce il picador con la lanza sono particolarmente gravi e il toro prende a sanguinare in maniera copiosa.
Il banderillero è un membro importantissimo della cuadrilla e dispone delle famose banderillas, degli arponi colorati che terminano con una punta di metallo a freccia di circa cinque centimetri. Il banderillero è agile nel conficcare un paio di banderillas sul collo dell’animale e solitamente vengono infilzate quattro paia di banderillas. Vedremo con più attenzione ciascun soggetto della corrida nella descrizione dei tre tercios, delle tre parti che compongono la corrida.

Foto: nell’ordine: 1)Il torero (El Juli), 2) Il picador, 3) Il traje de luces, 4) Il banderillero.

LORENZO SPURIO 
20-05-2011

Manolete, el torero más grande

Particolarmente affascinante il film Manolete uscito nel 2007 per la regia di Menno Meyjes. Il film traccia l’ultima corrida e l’ultima giornata di vita del grande torero cordobese, uno dei più grandi matadores che la Spagna ricordi. Difficile dire quanto ci sia di vero nel film che racconta gli ultimi momenti di vita prima della cogida fatal, della cornata mortale, che lo colpì mentre sfidava un toro nella plaza de toros di Linares (Jaén) nel 1947. In quella corrida toreavano con lui anche Luis Miguel Dominguín e Gitanillo de Triana.

Il film no ci dà informazioni circa la vita di Manolete durante l’infanzia, il suo apredizaje nelle plazas de toros ne tantomeno del momento in cui prese l’alternativa, un vero e proprio rito di passaggio nella carriera del matador de toros. Di contro la storia si apre direttamente nel 1947 nel giorno in cui il torero cadrà sull’arena e ci narra principalmente con una serie di ampi flashback la sua conoscenza e l’innamoramento verso una donna che nel film è interpretata  dalla bellissima attrice Penélope Cruz. Dunque i piani temporali che si mescolano, che si intrecciano sono quelli del presente della storia nel 1947 e quelli di anni prima nei quali sbocciò il difficile e tormentato amore verso Lupe Sino.

Quella di Manolete è una storia di amore e di morte. Di una morte violenta dettata da un destino beffardo. Una morte che viene mostrata lì sul palcoscenico di fronte a centinaia di occhi.

La fisionomia di Manolete, torero dalla corporatura esile, dallo sguardo triste e dalla faccia magra, è ben resa nel film dall’attore Adrien Brody (protagonista di vari grandi film: The Pianist e The Village, solo per citarne alcuni).

Vari colori forti e vistosi dominano durante il film: il luccichio del traje de luces, il tipico vestito che indossa il torero nell’arena, il rosso della muleta e del sangue che sgorga dalla ferita alla coscia rendendo difficili anche le operazioni chirurgiche, il giallo abbaiante dell’arena sotto un sole infuocato, il nero del toro e dei capelli di Lupe Sino. E’ un film che gioca sui colori, sulle loro luminosità, suoi contrasti.

Il film ci dà l’immagine di un torero dalla vita privata particolarmente difficile e che lo rende debole, con una relazione amorosa instabile ma al tempo stesso particolarmente forte e un torero forte sull’arena sebbene non mancano momenti nel film che mettono in luce ormai l’inizio del declino del torero (i fischi durante il paseillo nell’arena nell’ultima corrida), lo storico antagonismo con Dominguín e l’ascesa di quest’ultimo. Nel film c’è un momento in cui un intervistatore dice a Manolete che Dominguín ha detto che lui rappresenterebbe il passato mentre Dominguín sarebbe il futuro.  Visibilmente indispettito ma restio a cedere a Dominguín il primato della bravura nell’arte del toreare, Manolete risponde pronto, sarcastico e quasi con tono di sfida «Chi è Dominguín?».

Nell’ultima corrida, nella plaza di Linares, Manolete sembra inquieto, sembra portare addosso un peso che gli deriva da una sofferenza privata e non è più in grado di sostenerlo, si guarda attorno e non vede la donna che ha amato. La cornata del toro Islero lo colpisce direttamente nell’arteria femorale producendo una grande fuoriuscita di sangue. La sabbia dell’arena si tinge di sangue. Di un sangue scuro, ma la sorte ha voluto che non sia quello del toro. Per una volta il toro ha vinto sul torero.  Subito ci si rende conto della gravità delle condizioni del torero. Si tenta un intervento ma non riesce e in breve il grande matador muore.

“De verdad Islero quería que yo le acompañase en la muerte” (In realtà Islero voleva che lo accompagnassi nella morte), fu questa una delle ultime frasi che il torero disse in punto di morte. Islero era il toro che gli aveva sferrato la cornata mortale. Una frase che sottolinea ancora una volta quanto la simbiosi tra la sua vita e il mondo della tauromachia fosse inscindibile.

Secondo interpretazioni abbastanza recenti il torero non sarebbe morto per la cornata ricevuta ma a causa di una trasfusione di sangue o più probabilmente di plasma sbagliato, importato dalla Norvegia. Lo scrittore Carlos Vidales nel 1997 scrisse per la rivista svedese Svenska Dagbladet riportando la cronaca dei quei momenti tragici titolando l’articolo (nella sua versione tradotta in spagnolo) con queste parole “Manolete, el Toro e la Muerte Noruega”[1]. Le vere cause della morte del matador rimangono tutt’ora ignote come spesso succede per i più grandi miti che la storia ci narra. Il mito per essere tale deve avere qualcosa d’insondabile, d’inspiegabile che crei quell’aura di mistero attorno alla sua figura. Così è per Manolete.

Nel film la sua donna Lupe Sino riesce ad arrivare alla plaza de toros appena in tempo per poterlo vedere un’ultima volta. La storia o forse la leggenda si dovrebbe dire dato che stiamo parlando di un mito narra che Lupe Sino chiese di poter sposare Manolete in punto di morte ma che la madre del torero non glie lo concesse.

Il pubblico, che prima aveva preferito ed esaltato Dominguín, riservando indifferenza e fischi per Manolete, al momento dell’annuncio della sua morte piange il memorabile torero che ha reso grande l’arte di toreare. Francisco Franco annuncia tre giorni di lutto. Dominguín prende il testimone e lo manterrà nei dieci anni successivi. Manolete, il mito, rimane.

Manuel Laureano Rodríguez Sánchez, soprannominato Manolete, era nato a Córdoba nel 1917.  Prese l’alternativa alla Maestranza di Sevilla nel 1939 avendo come testimone il torero Gitanillo de Triana. Confermò l’alternativa a Las Ventas di Madrid nello stesso anno avendo come testimone il torero Juan BelmonteMorì il 29 agosto 1947 a seguito di una cornata mortale che ricevette dal toro Islero in una corrida celebrata nella plaza de toros di Linares (Jaén). Il famoso torero è ampiamente celebrato nella toponomastica spagnola. Celebre è il monumento a Manolete che si trova nella Plaza del Conde de Priego a Córdoba, sua città natale. Ovviamente un monumento bronzeo è stato posto anche nei prossimità della plaza de toros di Linares dove il matador perse la vita.

FONTI:

http://vidales.tripod.com/Manolete.htm

http://www.caretas.com.pe/1480/manolete/manolete.htm

LORENZO SPURIO

17-04-2011

[1] Il titolo originale in lingua svedese dell’articolo di Carlos Vidales pubblicato sulla rivista Svenska Dagbladet nel 1997 era “Naturen dödade Manolete — inte norrmännen”.

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