INTERVISTA A MAURIZIO ALBERTO MOLINARI
Autore di New Yorker’s Breaths
LietoColle, Faloppio (Co), 2011
Intervista a cura di Lorenzo Spurio
LS: Qual è stata la genesi di questa silloge di poesia? Com’è nata l’idea?
MAM: L’idea è nata per caso lungo le strade di New York… Viaggiavo con la mia Canon digitale tascabile e nel frattempo, senza accorgermene, al secondo giorno avevo già scritto 6 o 7 poesie sul mio fedele Moleskyne. Mi rendevo conto però che ad ogni momento della giornata rischiavo di perdermi qualcosa… Allora ho avuto l’idea di cominciare a “rubare” fotografie in ogni luogo, decidendo che al mio ritorno in Italia avrei completato il lavoro scrivendo direttamente le mie emozioni già fissate nelle immagini.
LS: Hai dovuto fare una cernita del materiale da pubblicare oppure hai incluso nella tua raccolta di poesie tutte le liriche che avevi scritto e che riguardassero New York?
MAM: La cernita in realtà l’ho fatta ma sulle foto (ed è stata dura sceglierle…), tuttavia non volevo che la quantità delle immagini e delle relative poesie fosse troppo alta. Sono convinto che il taglio migliore per un volume di poesie debba aggirarsi intorno ai 50/60 pezzi. Nel mio caso, con la presenza delle poesie visive, sintetizzate attraverso una parola in lingua inglese per ogni rappresentazione, richiedeva a mio avviso, non più di 25 sezioni abbinate. La difficoltà maggiore era rappresenta dal fatto trovare un Editore, di esclusivo taglio editoriale poetico, disposto a pubblicare un volume così diversamente sinergico.
LS: Come mai hai scelto New York come sfondo delle tue liriche? Hai fatto un viaggio in questa città e ne sei rimasto particolarmente affascinato? Quanto di autobiografico c’è in questa raccolta?
MAM: Il libro, come anticipato nella prefazione, è nato appunto dal mio primo viaggio in questa fantastica metropoli. Questo viaggio presenta tra le altre cose un retroscena piuttosto particolare. Il 12 di settembre del 2001 mi accingevo a confermare la prenotazione per la mia vacanza di 5 giorni nella Grande Mela, sfruttando e allungano il previsto ponte di novembre. Ho rinunciato con la morte nel cuore e negli occhi, tuttavia, in quel preciso istante, decisi che sarebbe stato solo rimandato, cosa avvenuta infatti nel Giugno del 2009. New Yorker’s Breahts non è da considerarsi una silloge autobiografica, semmai va scandagliata in ogni sua “parentesi” che si apre in esso e, nel contempo, dentro la città di New York. La silloge nasce con la precisa volontà di trattare temi importanti e quotidiani, troppo spesso defilati nel rapporto dell’idea di un viaggio, in particolare all’interno di una metropoli così vasta e unica nel suo genere.
LS: Hai scelto un titolo in lingua inglese che in un certo senso abbracciasse la tua intera collezione di poesie. Perché hai utilizzato la parola “breaths” (respiri) nel titolo e qual è il senso giusto che dobbiamo attribuire a questo titolo?
MAM: La scelta è avvenuta in maniera naturale, semplicemente. Nel momento stesso in cui ho avuto l’ispirazione avevo già deciso i contenuti, la struttura e la proiezione (perché nei sogni il libro non finisce in questo modo). La genesi di NYB è stata pensata per essere ambivalente, in un percorso che associasse la lingua italiana e quella inglese/americana, come pure il contrario (ma questo per il momento è ancora un sogno nel cassetto… ). Per quanto concerne “Breaths” rappresenta lo spirito stesso del libro, è il respiro di quelle persone, viaggiatori anche di soli pochi giorni, che entrano in contatto “fisico” con questa incredibile megalopoli, che toccano con mano le pulsioni quotidiane di questa città, del suo incredibile crocevia di emozioni e di culture interrazziali. E’ per questo motivo che quando mi è stato offerto di fare un’intervista in video Milano-New York, in diretta via Skype, ho accettato con entusiasmo e con la certezza che avrei potuto in parte raccontare con il mio viso e le mie parole, questa superba emozione e vicinanza.
LS: C’è una lirica che mi ha creato alcuni problemi di interpretazione. In parte è compito dello scrittore, e in questo caso del poeta, di insinuare il dubbio, di far nascere quesiti che consentano al lettore di interrogarsi sul significato che l’autore vuole trasmettere. La lirica in questione è “Riccioli in attesa” corredata, per altro, da una bellissima fotografia. Ho circoscritto alla parola ‘attesa’ il senso centrale della lirica ed ho immaginato che stessi parlando di una prostituta magari della periferia newyorkese. La mia interpretazione è sbagliata o può essere una delle tante possibili in base a quanto hai scritto?
MAM: Hai centrato la mia intenzione, ma solo in parte. Lo scopo predominante era quello di “fotografare” l’attesa di questa afroamericana, che in quel momento rappresentava un certo tipo di origine e ceto sociale, bellamente seduta in Times Square a rimescolare nella sua borsetta, rigorosamente taroccata, come se fosse in attesa non solo di un incontro. Sembrava stesse aspettando NY… e forse quello che la città avrebbe deciso di regalarle nell’immediato futuro. Mi aveva anche colpito il fatto che avesse un tattoo sulla spalla (sul retro non visibile sulla foto), che io avevo inspiegabilmente associato a un nome che mi era frullato nella testa: Rose. Da questa sensazione è nata la sintesi testuale di Rose’s Tattoo, che pone in evidenza anche questa pratica dei segni sul proprio corpo, ormai diventata linguaggio e parte integrante di un certo tipo di generazione.
LS: La decisione di corredare ciascuna lirica con una foto è sicuramente molto azzeccata perché le poesie si caratterizzano per essere molto evocative dal punto di vista descrittivo e per avere quindi un’altissima carica visuale. La scelta del bianco/nero delle foto credo che, più che derivare da scelte tipografiche ed editoriali, derivi da una tua esplicita volontà. E’ così? Perché?
MAM: In questo devo contraddirti, mio malgrado, perché il suggerimento mi è stato fornito da Diana Battaggia, Direttrice Editoriale di LietoColle, con cui ho discusso verbalmente di questa particolare struttura e che mi ha risposto con un semplice: perché no? Fammi vedere qualcosa… L’idea di rielaborare tutte le immagini al computer, attraverso l’utilizzo di filtri e di una serie di passaggi, è stata mia e necessaria. Il motivo principe è stato quello di poter trattare temi importanti, con immagini a volte “rubate”, che rapidamente potessero introdurre e trattare l’argomento, senza il rischio di ledere l’altrui sensibilità. Il lavoro più duro è stato proprio quello di selezionare, rielaborare e preparare la sintesi testuale all’interno dell’immagine. Quest’ultima parte è stata realizzata con il prezioso aiuto del mio collega di lavoro Mattia Ferrari, che ovviamente ringrazio. La scelta del bianco e nero si tagliava particolarmente bene con il profilo della silloge. Sentivo infatti che questa opera doveva rimanere all’interno del contesto poetico (ho richiesto e ottenuto che potesse essere inserita nella collana Erato di poesia di LietoColle).
LS: In un libro in cui si parla di New York ci si aspetterebbe di leggere della statua della Libertà, di Wall Street o di Central Park, tutti spazi che possono essere considerati come dei grandi assenti. Come mai non figurano in nessuna lirica?
MAM: Come credo di averti già accennato, mi sono trovato di fronte ad una scelta personale. Trattare la metropoli come l’avrebbero presentata tutti o scandagliarla e renderla viva di nuove sfumature, in parte solo nascoste? La decisione finale, con grande mia soddisfazione, è stata NYB, esattamente la seconda opzione. Ho preferito aprire finestre su vari temi, sull’arte (rubata, come con il carro etrusco al Metropolitan Museum, ne “Il Carro riemerso”), sulla Musica e il Teatro (in “Carnegie Hall”), sulla condizione disagiata di alcuni involontari e disperati spettatori di eventi (“NYC Homeless” – che tuttavia tratta anche il tema della solidarietà), sul dolore e sul ricordo (“The Sound of Silence”, “Fire’s men hearts still living”, “Walking on pain”), sul tema dell’amore (nella secondo me bellissima “Simply Lovers” – un amore in Times Square) e molti altri ancora. Alcuni di quei simboli che sono stati non selezionati, si ritrovano in parte in altre Poesie ed immagini, sia pure non in forma diretta e, siccome è mia ferma intenzione tornare a New York, non escludo di creare un seguito a questa silloge con una trama e una forma magari diversa. Why not?
LS: Le liriche che aprono la raccolta fanno riferimento alle stragi dell’11 settembre 2001 ma lo fanno in una maniera attenta, moderata, evitando di dare nomi o di indicare date, colpevoli o ad esempio cifre. Per qualsiasi lettore sarà facile intravedere l’ombra minacciosa di quei gravosi incidenti che, oltre a provocare un gran numero di vittime, rese evidente quanto l’uomo contemporaneo è esposto alla violenza e quanto è perennemente in pericolo. L’11 Settembre ha, in un certo senso, marcato due età distinte: quella dell’America da tutti vista come forte e imbattibile e quella dominata dalla paura, dal dubbio, dal terrore, tutti sentimenti circoscrivibili in una parola, ‘paranoia’. Qual’è stata la tua esperienza personale quando sei venuto a conoscenza degli attentati e in che maniera, in che cosa, hai percepito negli americani, in New York, il marchio di questa indelebile offesa all’umanità?
MAM: Come scritto all’inizio dell’intervista, il giorno successivo all’11 di settembre 2001 avrei confermato il mio primo viaggio a New York, previsto per il ponte di novembre. Gli attentati ci hanno trovato semplicemente al lavoro… Abbiamo ricevuto le prime informazioni via radio e immediatamente ci siamo collegati via web ai telegiornali e abbiamo visto quasi in diretta quello che stava succedendo, lasciando aperte anche le informazioni che giungevano via etere. In agenzia abbiamo smesso di lavorare, non sapevamo cosa dire, ci guardavamo increduli e nel frattempo ci raggiungeva la notizia di un aereo caduto sul Pentagono, un altro diretto sulla Casa Bianca, un altro caduto non si sapeva bene come e dove, abbiamo avuto la netta sensazione di essere di fronte al Terzo conflitto mondiale. Nel frattempo le immagini delle Twin Towers cominciavano a diventare il nuovo sangue della democrazia. Il momento delle implosioni lo abbiamo vissuto in diretta e le lacrime miste alla rabbia hanno colorato il nostro pomeriggio. Oltre ad annullare il mio previsto viaggio, l’attentato ha posto in evidenza un fatto basilare per la nuova società: l’America non aveva mai fatto guerre sul proprio territorio, per la prima volta altri portavano “la guerra” sul suolo americano. E’ una differenza fondamentale se ci pensate, è quello che ha generato la sorpresa, è quello che in un istante ha sconfitto una potenza mondiale, quella che si sentiva talmente al sicuro da non pensare a conflitti vissuti in casa propria. Questa credo sia stata la cosa più sconvolgente per il popolo americano. Per quanto mi riguarda, rinnego con forza qualsiasi tipo di violenza, tuttavia, le immagini che in quei giorni mi hanno portato più dolore, oltre ai morti in diretta delle Twin Towers, è stato vedere ciò che faceva The USA President mentre i suoi figli (e anche i nostri) cadevano come martiri della democrazia affidata a mani sbagliate.
LS: In varie poesie fai riferimenti al melting pot, a quest’attitudine tutta americana (forse anche londinese) che si basa sulla pacifica convivenza e solidarietà tra persone di etnie, razze e religioni diversi. La componente razziale nera in America e nella stessa New York è molto importante. Hai potuto constatare direttamente quando sei stato a New York questa “amalgama riuscita” oppure nella realtà dei fatti non è poi così tale? Può dunque New York essere preso come modello compiuto di società plurietnica?
MAM: Sono un amante dei viaggi da sempre e durante questi anni ho visitato diverse “capitali del mondo” ma in nessuna di queste ho avuto la stessa netta sensazione che ho sentito a NY, un luogo in cui le razze sono realmente parte dell’essenza stessa della città. Anche a Londra e a Parigi le etnie si mescolano in quantità, sia pure per motivi diversi (coloniali in particolare), ma in queste ultime rimane saldo il sapore indigeno delle popolazioni. Vorrei però sottolineare un dato che in parte viene ancora poco evidenziato. E’ la presenza della colonia cinese presente ormai in tutto il mondo, New York compresa, che possiede una capacità di estensione da tenere in grande considerazione, poichè esporta la propria presenza senza troppi clamori, confinandosi abilmente tra le pieghe della società.
LS: Complimenti per la tua silloge. E’ un’opera davvero prelibata. Hai altri progetti di scrittura in cantiere? Stai lavorando a un nuovo libro? Se sì, puoi anticiparci qualcosa a riguardo?
MAM: Ti ringrazio Lorenzo, è stato un piacere essere tuo ospite in questa intervista, ho particolarmente apprezzato la tua recensione e i commenti che hanno dato il giusto rilievo a questo progetto articolato e particolare. La scrittura è la mia grande passione per cui ti posso garantire che non sono mai fermo. Al momento ho in mente altre cose, una in particolare che potrebbe svilupparsi con lo stesso profilo di NYB ma dedicato alla natura e con fotografie non mie. Ma altro ho in cantiere non solo in poesia, magari scritto a quattro mani e, dal momento che non disdegno la narrativa, un progetto di romanzo breve (che possiede già una sua bene definita struttura), ma questo solo quando troverò tutto il tempo necessario, evitando operazioni di editing non richieste…
Ringrazio Maurizio Alberto Molinari per avermi concesso questa intervista.
LORENZO SPURIO
14 Luglio 2011
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