La solitudine in poesia vista attraverso l’immagine del volatile: “il passero solitario” di Leopardi, il gabbiano Jonathan Livingston e l’albatro

Il passero solitario
di  Giacomo Leopardi
 
commento di Giuseppina Vinci

Grande fascino desta il primo verso ‘’d’in su la vetta della torre antica’’ la vetta, le altezze,  si allungano verso il cielo, come guglie di una cattedrale che si elevano verso l’infinito, altri spazi, altri mondi; colui che sta su una vetta non può non essere che diverso dagli altri, colui che ha desiderato raggiungere la vetta aspira a una vita differente perché è differente, aspira all’infinito, a una esistenza ‘’elevata’’.

ps_jpgpassero solitarioIl passero dalla vetta della torre può ammirare un paesaggio bello ricco di luce perché la primavera ha illuminato la campagna e intenerito i cuori, il nostro Poeta ammira la natura e la sua bellezza, non può non ammirarla perché essa ‘’intenerisce il cuore’’. La Torre simboleggia la durezza del carattere, l’impenetrabilità del dolore,  la corazza di una personalità triste, melanconica,  sente di essere forte perché se ne sta in disparte; solitario ha scelto la solitudine e crede di poter vivere da solo. Non può ammirare e gioire delle bellezze della natura come tutti gli altri passeri, come tutti gli altri giovani. Scegliere la solitudine è la Scelta della sua vita, della sua breve vita. Perché rinunciare alla gioia? Breve ma pur sempre viva e presente.

La brevità della gioia dovrebbe impedire di abbandonarsi alla solitudine. Egli si è abbandonato alla Solitudine.Pur breve, la gioia  va vissuta anche se seguita dall’inevitabile dolore. Antica, par ricordare l’ ‘’antico’’ marinaio del poeta inglese Coleridge. Antico, remoto, non vecchio, quasi intoccabile,antico come il Dolore che è sempre stato e sempre sarà, ricorda Keats ( the pain that has been and may be again)  nella sua celeberrima urna greca. Condizione comune a tutti gli esseri umani, non puoi evitarlo. Dolore silenzioso, orgoglioso, remoto come ho scritto in una mia breve composizione. Il passero canta la propria solitudine e alla fine del giorno accetta la fine. Il Poeta sente di rimpiangere i momenti non vissuti, momenti che avrebbero potuto riscaldare il cuore. Anche Jonathan  Livingstone sceglie la solitudine, ma vola, sui mari, sui monti, si stacca dal gruppo, dalla esistenza fatta di obbedienza alle regole stabilite dal capo. Il  gabbiano Jonathan gioisce, spazia, soprattutto perché lontano dal gruppo che non ama volare come lui. Volare è la vita per Jonathan, ma il passero, il Poeta non vola, si stacca dal gruppo non per volare, spaziare, librarsi, gioire ma per rimanere immobile nella solitudine e dunque nella sofferenza.

Il gruppo punisce Jonathan per non essersi adattato, per aver trasgredito, ma lui non cambia, rimarrà lo stesso, amerà volare e continuerà a volare, ossia a vivere.

Il gabbiano di Baudelaire, schernito e annientato, è il Poeta condannato per essere diverso, per essere incompreso, per essere genio. Tutti ciò che appare diverso deve essere annientato. La norma è l’istituzione, e dunque, se fuori dalla norma, deve essere emarginato.

gabbIl poeta, incompreso perché geniale deve essere mortificato e dunque morire. Qui il Nostro, forse schernito dalla comunità recanatese, deliberatamente sceglie di non condividere la sua vita con altri giovani e giovinette del paese. Avrà molto sofferto. La sua adolescenza sarà stata simile a quella di tanti altri giovani, non amati soprattutto nell’ambiente familiare; niente che possa intenerire il suo cuore; durante quegli studi matti e disperati, si affanna a trovare una causa al dolore causa che difficilmente troverà. Un Thomas Hardy che non accetta la  necessità del dolore. Una Natura, le stelle che brillano, fredde e luccicanti rappresentano una Volontà indifferente alla sorte delle umane genti.

Una Volontà immanente, non soltanto indifferente ma che scherza con gli esseri umani deboli e fragili ‘’destinati’’ alla sofferenza. Non un Dio, ma ‘forze oscure’’ come Hardy le definiva, oscure perché ne sconosci l’origine, si accaniscono per far sì che l’uomo soffra e gioiscono della sua infelicità. Raggiungono la meta, il fine. Tess perirà a Stonehenge, condannata per aver assassinato Alec, ma Tess non è altro che simbolo dell’umanità,  vittima di forze oscure. Simbolo della umanità senza speranza, condannata alla morte, alla Fine. Anche Hardy si chiederà il motivo di  tanto dolore. Non saprà mai darsi una risposta. Se non quella di credere alla grande solitudine dell’uomo e alla sua inevitabile sorte di dolore e abbandono. Il nostro Poeta, come il passero perirà, si rammaricherà della vita, della propria vita trascorsa nel rifiuto, Nessuno mai l’ha consolato,  ‘all’apparir del VERO tu misera cadesti’’ dell’altra nota poesia ‘’A Silvia’’, le illusioni che avrebbero potuto confortarlo sono illusioni; la speranza nelle illusioni è anch’essa perita.

Solo il Nulla non perirà.

 

Giuseppina Vinci

Docente di Lingua e civiltà inglese al Liceo classico Gorgia di Lentini.

“Parole a mezza voce nella sera” di Ilaria Celestini

Parole a mezza voce nella sera

di Ilaria Celestini

Aletti Editore, Villalba di Guidonia (Roma)

Anno: 2011

ISBN: 9788864988979

 

Recensione a cura di Lorenzo Spurio

Ilaria Celestini, poetessa bresciana il cui difficile percorso di vita che l’ha portata a una vera e propria battaglia per l’equiparazione dei diritti nella nostra società, con Parole a mezza voce nella sera, sua nuova silloge poetica edita da Aletti Editore, ci regala un testo in cui la parola viene celebrata con attenzione al fine di rivelarne il suo potenziale di espressività. La volontà di inserirsi in un filone poetico di carattere esistenzialista-intimista e in parte vittimista si evince dall’appropriata citazione in esergo, tratta dal poeta metafisico John Donne. La poetessa, dall’animo attento e filantropico, sempre aperta all’aiuto nei confronti di disagiati o di emarginati nella società, riversa in questa silloge molte delle sue idee e convinzioni di carattere intimistico e sociologico che negli ultimi anni si è andata facendo vivendo sulla propria pelle certe situazioni. E’ in questo contesto un lavoro quanto mai realistico e biografico, dal quale traspare molto non solo della vita della poetessa ma anche di come ella si vede in rapporto al mondo.

Il testo si compone di quaranta liriche di lunghezza diversa che partono da considerazioni altrettanto composite tra loro: si va da una sorta di immanentismo vegetale o di vero e proprio panismo nella lirica “Tu in tutto” (p. 9) che apre la raccolta e che ci fa pensare ai celebri versi dannunzani di “La pioggia nel pineto”, finissime liriche d’amore che impiegano un linguaggio semplice e diretto non evitando però di trasmettere un grande fascino (“Desiderio”, p. 10; “Incontro”, p. 25), e un vero e proprio desiderio di regressione all’infanzia, nel mondo dei sogni, dove poter esser cullati dolcemente (“Amore”, pag. 14).

Una nota di leggero vittimismo è riscontrabile nella raccolta; la poetessa scrive, infatti, di un desiderio fugace, inattuale, immateriale comparandolo a “ali di gabbiani/ vele disperse/ nell’eternità” (in “Vele”, pag. 11); fa riferimento alla solitudine e al senso d’indefinitezza dell’esistenza umana, evidente nel passo in cui dice “Nessuna certezza ci dà la vita/ sai? Ancora siamo vivi/ è questo che conta” (in “Parole poetiche”, pag. 18). Nella raccolta è inoltre presente un prezioso omaggio a un suo avo, combattente partigiano, nel quale la Celestini, con uno sguardo amaro ma quanto mai realistico, osserva: “O si vive pienamente/ o si è già morti” (in “Amore partigiano”, pag. 28).

In “Non siamo soli” la poetessa richiama l’attenzione su temi quali la fratellanza, la costituzione della società, l’unità tra persone e popoli, la coesione, il senso di responsabilità in una lirica in cui, forse, condensa il suo significato nei versi finali: “E noi siamo parte/ di ogni frammento di vita” (in “Non siamo soli”, pag. 33).

La poesia della Celestini è una poesia metafisica, che abbraccia il reale e il mistero; pur partendo da squarci quotidiani e comuni, se ne serve per poter indagare una realtà che è altra, superiore, non visibile ad occhi poco sensibili. C’è sempre qualcosa che sfugge nelle liriche della Celestini, un senso d’incompletezza, una sorta di folata di vento che porta via con sé parole e significati. E’ una poesia ricca ma complessa e la sua complessità sta in noi lettori nel riuscire non tanto a carpirne il significato ma a comprendere i vari percorsi tortuosi che la poetessa ha attraversato per poi giungere a scrivere ciò che nella silloge è contenuto.

Lorenzo Spurio

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