N.E. 02/2024 – “Ut pictura poësis. La forma dello Spirito nell’opera di quattro celebri artisti-poeti”, saggio di Wanda Pattacini

Immagino lo Spirito come un soffio vitale che da lontano sfiora le chiome degli alberi spogli, senza foglie, sullo sfondo di un cielo indaco, quando la Natura è immobile e non c’è ragione fisica che giustifichi il vento. L’artista, ad occhi chiusi, attende l’ispirazione. Non indaga più le ragioni del suo sentire così profondo e oscuro, né del suo vedere al di là dell’apparenza effimera e fugace. Ormai sa: è solo uno strumento attraverso cui l’Essere sussurra o urla, rivelandosi. Ha risposto a quella chiamata da veggente, votandosi ad una esistenza spesso fuor di regola. Talvolta ha invidiato l’inconsapevolezza dell’uomo comune, ma non ha mai rinunciato al proprio dono, rimanendo fedele a se stesso e affinando le proprie doti espressive per tradurre in parole, colori, forme o note i quesiti insondabili dell’Esistenza.

Talora la chiamata dello Spirito è talmente forte che un’Arte non basta per dargli espressione. Un rapporto privilegiato è il binomio poesia-arti figurative. Già nella letteratura antica la relazione parola-immagine è frequente nell’uso della figura retorica dell’ekphrasis in grado di eternare in prosa o in poesia la magnificenza di manufatti artistici ideati dall’uomo. Si pensi allo scudo bronzeo di Achille descritto in un celebre passaggio dell’Iliade omerica o alla preziosa veste ricamata offerta come premio di una gara di corsa nella Tebaide di Stazio.

In questa sede, però, non indagheremo il potere del metodo ecfrastico in grado di trasformare le parole in pennello. Al contrario, passeremo in rassegna l’attività di quattro grandi personalità di artisti-poeti che hanno lasciato un segno indelebile e ineguagliabile usando diversi e molteplici mezzi espressivi, sempre allo scopo di dara forma visibile all’Invisibile.

Michelangelo Buonarroti

Secondo lo storico dell’arte cinquecentesco Giorgio Vasari l’artista che fra i morti e i vivi porta la palma e trascende e ricuopre tutti è il divino Michelangelo Buonarroti (1475-1564), ovvero colui che raggiunse l’eccellenza nelle tre arti maggiori – pittura, scultura e architettura – superando persino gli antichi. Sono capolavori universalmente noti il David marmoreo, la Pietà del Vaticano, gli Ignudi in torsione e le Sibille visionarie della volta della Cappella Sistina, la Cupola di San Pietro, metafora della volta celeste. Meno conosciuta al grande pubblico, invece, è l’attività di Michelangelo come poeta. Per comprendere l’importanza che la pratica letteraria rivestiva per lo scultore toscano basta citare le sue parole al momento dell’invio all’amico Vasari di due liriche di intonazione spirituale: “Messer Giorgio, io vi mando due sonecti; e benchè sien cosa scioca, il fo perchè veggiate dov’io tengo i miei pensieri”. Una cosa scioca dunque, eppure depositaria dell’inquietudine e della passione che ha animato i capolavori del Buonarroti, che ricomponeva, correggeva e riformulava i propri scritti poetici sempre in cerca dell’immagine più adeguata e della parola più adatta per esprimere verbalmente un concetto o uno stato d’animo. Le sue Rime, quindi, non sono un puro esercizio accessorio, ma il frutto di una vocazione autentica che completa e arricchisce la sua attività di artista.

Si pensi, a tal proposito, alla dibattuta questione del non finito michelangiolesco. Si tratta di un procedimento tecnico-artistico adottato sistematicamente dallo scultore che contrappone parti scolpite, finite e levigate a parti lasciate allo stato di abbozzo. Variamente interpretata come il “non portato a termine” o il “non pagato”, la spiegazione più suggestiva di questa pratica si rintraccia nella filosofia neoplatonica di cui l’artista era imbevuto sin dai tempi della frequentazione della cerchia di Lorenzo il Magnifico. Secondo quest’ottica, allora, gli incompleti Prigioni ideati per la Tomba di papa Giulio II sarebbero perfetti così, eternando il conflitto tra lo Spirito, levigato e netto riflesso della perfezione divina, e il Corpo, che intrappola l’Anima nelle spire della materia solo sbozzata e inerte, impedendole di raggiungere il suo Creatore. A supporto di questa teoria interviene il celebre sonetto “Non ha l’ottimo artista alcun concetto”, che esplicita l’idea michelangiolesca secondo cui la statua è già presente nel blocco di marmo e il compito dell’ottimo artista è semplicemente liberarla dal suo superchio, ovvero l’eccesso di materia, lasciando che la propria mano sia guidata dall’intelletto. Per Michelangelo, quindi, la scultura per via di levare è l’unica forma di scultura concepibile, come attestato dal madrigale “Sì come per levar, donna, si pone”. In questo componimento l’effetto della donna sull’amante è liberatorio e nobilitante perché in grado di liberare dalla sua carne (cruda e dura scorza) l’anima (l’alma che pur trema) dell’artista privo di volontà e di forza. Alla stessa maniera la viva figura della statua è liberata dalla pietra alpestra e dura grazie alla mano dello scultore.

Una interessante analogia si riscontra tra lo stile poetico e lo stile artistico del divino Michelangelo: in poesia è insofferente ai vincoli delle forme metriche obbligate, prendendo ispirazione dal modello dantesco e dalla regola petrarchesca, rinnovandoli, però, con uno stile più personale e riflessivo; nelle arti figurative e in architettura egli fissa in principio i canoni ideali della perfezione rinascimentale, per poi scardinarli dall’interno, configurandosi, quindi, come il primo manierista nella Storia dell’arte.

Artista visionario e poliedrico l’inglese William Blake (1757-1827) si distingue come incisore, poeta e pittore protoromantico. I limiti della realtà sensibile sono stretti per lui che indaga i temi della Bibbia con grandi stampe a colori e il mondo spirituale della Commedia dantesca con miniature. Come letterato – o dovremmo meglio dire veggente – ha ideato mondi immaginari divisi tra le opposte forze del Bene e del Male. I due stati contrari dell’anima umana trovano espressione nei Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza.

William Blake

Il confronto tra The Lamb e The Tyger è da manuale: le due poesie, che ad una prima lettura superficiale evocano due veri animali con le loro caratteristiche, condividono in realtà un significato più profondo, ovvero il problema della Creazione e dell’identità del Creatore (Little Lamb, who made thee?Tyger! […]What immortal hand or eye/could frame thy fearful symmetry?). L’agnello, allora, rappresenta la perfetta innocenza dell’infanzia e la tigre il male che proviene dall’esperienza. Ma l’innocenza è anche uno stato dell’anima che può essere presente in un adulto (si pensi al pronome I riferito al poeta stesso) e gli occhi ardenti (burning) della tigre bruciano di rabbia e violenza, ma sono anche luminosi (bright), trasformando l’animale in qualcosa di splendente, forse la luce dello Spirito che sottomette l’errore e l’ignoranza delle tenebre della notte (forests of the night). Lo stile poetico di Blake è essenziale, nudo e musicale: con un ritmo incalzante denso di simboli ed allegorie è in grado di tradurre in parole visioni mistiche e immaginifiche.

Una battaglia cosmica tra il Bene e il Male frutto di una spiritualità anticonformista si concretizza anche in campo pittorico, in particolare nelle opere del ciclo di acquerelli de Il Grande Drago ispirato ad alcuni passaggi dell’Apocalisse biblica. La speranza luminosa di una Donna incinta vestita di Sole – metafora della Chiesa o della Vergine Maria – si oppone alle cupe tenebre del Male incarnato in un enorme drago a sette teste e dieci corna, che cede i suoi poteri infernali ad una Bestia venuta dal mare. La forza mistica delle immagini apocalittiche è resa da Blake attraverso un segno grafico semplificato ed essenziale: una linea quasi fumettistica definisce figure surreali che dominano fondali evanescenti, privi di indicazioni di profondità, ad alludere ad una dimensione altra, parallela ed alternativa a quella umana.

Edvard Munch

L’indagine dello Spirito e di intensi stati emotivi è il principale oggetto di interesse dell’artista norvegese Edvard Munch (1863-1944). E la Natura è il suo mezzo di espressione. Così scriveva il pittore sul suo taccuino nel 1908: “la Natura non è soltanto ciò che è visibile all’occhio – sono anche le immagini interiori dell’anima – sul lato posteriore dell’occhio”. I dipinti dell’artista postimpressionista, infatti, esplorano i sentimenti più profondi e inquietanti della psiche umana e le forme naturali ancora riconoscibili in essi sono solo un pretesto simbolico per alludere agli abissi segreti dell’anima tormentata di Munch che, per primo, è riuscito a dare una voce universale alla propria angoscia personale, tracciando la strada della rivoluzione artistica del Novecento.

Questo importante e sofferto percorso pittorico è affiancato da una copiosa e variegata produzione scritta carica di lirismo, con cui il pittore indaga il significato dell’arte, racconta gli ambienti e i personaggi della propria vita, completa e chiarisce il significato dei propri dipinti, spesso considerati oscuri. Egli sperimenta molteplici generi – prose liriche, schizzi letterari, lettere di viaggio, articoli di giornale, pagine di diario – per i quali pensava alla pubblicazione, come si deduce dal testamento con cui lasciava le bozze dei propri lavori al Comune di Oslo. Il doppio trattamento di alcuni motivi in maniera sia artistica sia letteraria è indicativa del suo modus operandi. Le molteplici e celebri versioni de L’Urlo si accompagnano, infatti, ad altrettanti testi che chiariscono il significato e potenziano la forza espressiva di un quadro divenuto icona del mal di vivere. Queste le parole scritte da Munch nel 1892:

Camminavo lungo

la strada con due

amici – poi calò

il sole

Il Cielo

si fece

all’improvviso rosso sangue

Mi arrestai, appoggiandomi

contro la balaustra mortalmente

stanco – il fiordo nero-blu

e la città

erano lambiti da lingue di sangue

I miei amici proseguirono

e io rimasi immobile

tremante

d’angoscia –

e udii riecheggiare

attraverso

la natura

un immenso infinito

grido.

La recente traduzione in lingua italiana di una selezione di scritti di Munch consente di apprezzare a pieno il parallelismo artistico e letterario dell’artista norvegese, rendendo note composizioni ancora sconosciute al grande pubblico. Ne emerge anche un interessante confronto tra uno stile di scrittura rapido e spontaneo che, trascurando ortografia e punteggiatura, esprime i moti dell’animo nella loro cruda immediatezza, e uno stile pittorico nudo ed essenziale, basato su semplificazioni deformanti e colori arbitrari, riflesso dei colori dell’Anima.

Paul Klee

Posto sulla soglia chiaroscurata tra il Visibile e l’Invisibile, l’artista svizzero Paul Klee (1879-1940) osserva l’incontro tra il mondo esterno e il mondo interiore, intuendo il Mistero che si nasconde dietro l’esperienza più sensibile e quotidiana, senza mai riuscire ad afferrarlo, ma suggerendone le tracce attraverso molteplici arti. Musicista, poeta e pittore egli ricerca costantemente la forma d’arte a lui più congeniale per tradurre in un codice decifrabile la chiamata mistica dello Spirito. Se è con la pittura che ha cambiato il corso della Storia dell’arte, ispirando generazioni di artisti, si cimenta con successo anche nell’arte della parola. I suoi Diari, ricchi di aforismi, poesie e annotazioni, sono costruiti, infatti, come un sapiente oggetto letterario. Sia nella pagina dipinta sia nella pagina scritta la sua cifra stilistica risiede nella inafferrabilità e nella mutevolezza che apre infinite possibilità alla sua forza creatrice, impedendogli di assumere una forma fissa ed una regola troppo rigorosa che insterilisca il suo daimon. Nel 1901 Klee scrive:

Non chiederti cosa sono.

Non sono nulla

non so nulla.

Conosco solo la mia felicità.

Ma non chiedermi se me la merito.

Lasciatemi solo dire

che è ricca e fonda.

In una celebre poesia del 1920 – riportata anche sulla sua lapide – afferma:

Qui sono inafferrabile

abito bene con i morti

come con i non nati. Sono

vicino alla creazione. Eppure

non abbastanza.

Così come le sue parole sono magiche ed evocative, aperte a molteplici e suggestive interpretazioni, il suo stile pittorico è ricco e variegato e, pur rifuggendo da classificazioni ed etichette, la sua è una pittura di luce, fatta di segni impalpabili e leggeri e toni liquidi che trascolorano. Egli è in grado di decifrare la lingua dello Spirito, che incanta chi è pronto ad ascoltarla. Nel dipinto Strada principale e strade secondarie, ad esempio, tasselli acquerellati di colori azzurri e aranciati si compongono in una trama definita da linee sottili e pur dense di lirismo, quasi fossero venature del marmo o del legno: la via principale è tracciata, ma la Vita percorre vie traverse e inaspettate.

Se dopo questa breve disamina dell’opera di queste quattro geniali personalità vi starete chiedendo quale sia la forma espressiva più adatta ad eternare lo Spirito, la mia risposta è il motto oraziano ut pictura poësis: Poesia ed Arte sono sorelle, figlie del Vento dell’Ispirazione che muove la mano di artisti e poeti, o, forse, gemelle se si segue il pensiero del poeta lirico greco Simonide secondo cui la pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla.


Bibliografia

Blake William, Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza che mostrano i due contrari stati dell’anima umana, a cura di Roberto Rossi Testa, Milano, Feltrinelli Editore, 2009

Botta Gregorio, Paul Klee. Genio e regolatezza, Bari-Roma, Laterza, 2022

Buonarroti Michelangelo, Rime, a cura di Paolo Zaja, Milano, Rizzoli Bur, 2010

Klee Paul, Poesie, a cura di Giorgio Manacorda, Milano, Ugo Guanda Editore, 1978

Munch Edvard, La danza della vita. La mia arte raccontata da me, Roma, Donzelli Editore, 2022

Plutarco, La gloria di Atene, a cura di Italo Gallo e Maria Mocci, Napoli, D’Auria, 2003

Vasari Giorgio, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino ai tempi nostri. Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, a cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1986


Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.

“Riflessi letterari” di Giuseppina Vinci, recensione di Giovanna Albi

Riflessi letterari
Di Giuseppina Vinci
Tracce per la meta edizioni, 2013
Genere: Saggistica
 
Recensione di GIOVANNA ALBI

 

coverGiuseppina Vinci  di Lentini, docente di letteratura straniera al Liceo Classico della sua città, ci propone la sua terza opera letteraria, Riflessi letterari, in cui si mescolano generi diversi, riflessioni letterarie, poesie, articoli,esegesi personali di famosi testi della letteratura italiana ed inglese: autori romantici e del Novecento che si interrogano sugli eterni quesiti dell’uomo di natura ontologica e teleologica. Poeti e scrittori alle prese con l’insofferenza, l’inquietudine, il male di vivere. Si  parte da un testo celeberrimo di Leopardi del Ciclo di Aspasia “A se stesso” e l’autrice riflette su “Quel poserai per sempre” che pessimisticamente allude al nichilismo del genio di Recanati, il più grande filosofo-poeta di tutti i tempi. Colui che seppe guardare in faccia la realtà senza nessuna consolazione religiosa. La realtà nuda e cruda, fatta di carne e ossa che gridano il proprio male di fronte all’indifferenza della natura indomita. La riflessione sulla morte come fine del tutto che è “nulla eterno”, precorso da quel sentimento di noia che si coglie dinanzi la caduta delle illusioni. “Il passero solitario” allude al distacco dal mondo, al senso di inadeguatezza e di inettitudine alla vita, ben diversa condizione rispetto a quella del gabbiano Jonathan che, pur deriso  per la sua diversità, impara a volare alto; il poeta non vola, ma si ritrae in se stesso nel suo amaro silenzio, nel suo pessimismo sempre più personale e cosmico. Il “passero solitario” viene paragonato all’albatros di Baudelaire che viene bistrattato e catturato dalla convenzione, dalle istituzioni, sempre così pronte a mortificare il diverso.

E poi ancora una riflessione su cosa sia mai la Poesia, questa massima creatura umana, che è “ Lo spontaneo traboccare dei sentimenti potenti, forti, autentici o emozione rivissuta in tranquillità”. Le emozioni romanticamente scattano a contatto con l’universa Natura, fonte perenne di ispirazione, tempio di un mistero sacro, natura incontaminata, consolatrice degli affanni. Madre Natura che scuote l’anima del Poeta fino a far sgorgare “sentimenti potenti, stupore, meraviglia per i doni del creato”.

Si passa poi al Simbolismo di Blake, poeta ai suoi tempi sottovalutato, oggi considerato tra i più grandi artisti della Gran Bretagna.  Ritenuto pazzo per il suo carattere visionario,  che anticipa i poeti maledetti del Novecento, il simbolo è per lui poesia, contrapposizione di opposti, in una visione manichea in cui Bene e Male confliggono sempre in precario equilibrio, in un colloquio incessante con se stesso in cui centrali sono i binomi oppositivi come nella poetica del Leopardi.

Ci si interroga sui motivi della conversione al Cattolicesimo nel 1872 di Alice Meynell , laddove i temi diventano il silenzio e la solitudine. Una poesia di meditazione mistica, è il silenzio che produce  poesia e musica per ritornare all’infinito silenzio.

“Cosa è un uomo?” si chiede l’Amleto; la stessa ontologica domanda attraversa l’autrice, la quale si pone di fronte al problema della crisi dei valori, della globalizzazione, dei mercati, dello spread, dei bund tedeschi, delle borse di Wall Street, Dow Jones…e sa che  il nostro destino è incerto e stiamo per scivolare nel burrone come destinazione finale. Così come nel burrone della morte scivola Virgilia Woolf , in un atto di “comunicazione estrema” lasciandosi annegare nel fiume Ouse, in un gesto estremo che è prova di grande coraggio: o la follia o la morte. Virginia Woolf : una grande della letteratura inglese che condivide tanti punti con James Joyce, anche l’anno di nascita e di morte.

Tutti alla ricerca di qualcosa : così sono i personaggi di James Joyce , tutti con le braccia tese verso il desiderio di appagamento, tutti come Telemaco alla ricerca del padre, tutti come Ulisse nel mare aperto con l’insicurezza dentro di non ritrovare mai più la propria Itaca.

E poi ancora  riflessioni e impressioni sui grandi della letteratura italiana: Carducci e Montale. Il ritorno dell’antico, del primitivo in Carducci, il pianto primordiale per la perdita del figlioletto mentre la natura leopardianamente continua inflessibile il suo corso. Il dolore per la perdita di un figlio è quanto di più insensato vi sia; è il dolore più struggente, quello per cui mai si dovrebbe soffrire. Segue un’analisi dei correlativi oggettivi ripresi da Eliot in Montale, tutti simboli di quel “male di vivere “ che il Poeta incontrò, nella contrapposizione degli opposti come in Blake.

L’opera di Pina Vinci è ricca di spunti di riflessione, ma più che di un saggio si tratta di impressioni anche personali, non sempre supportate dalla dovuta documentazione. Ma forse anche questo è un pregio dell’opera che vuole, non scientificamente analizzare, ma ri-evocare , ri-creare le atmosfere che hanno impregnato le opere più significati di cui sopra ho detto; lo stile semplice, limpido, di facile letture esprime tutta la trasparenza di una persona che intende comunicare il suo incontaminato amore per la letteratura.

 

 

Giuseppina Vinci torna con un saggio letterario: “Riflessi letterari”

Nell’opera parlano Leopardi, Montale, Joyce, Woolf e tanti altri autori

 Comunicato stampa

coverTraccePerLaMeta Edizioni ha appena pubblicato “Riflessi letterari” di Giuseppina Vinci: un percorso tra le pieghe della letteratura italiana ed inglese. La scrittrice analizza secondo la propria esegesi dei testi che propone, opere centrali negli studi sulla letteratura, quali ad esempio alcune liriche di Leopardi , focalizzandosi su precisi  ambiti letterari: il simbolismo, l’ermetismo, il modernismo inglese. La scrittura piana e accessibile a tutti e l’esposizione del suo pensiero critico su ciascun opera/autore è breve, preciso e condensato, capace di fornire all’attento lettore nuovi spunti di analisi e ricerca.

Dalla prefazione del critico letterario Lorenzo Spurio si legge: «Giuseppina Vinci, docente di materie classiche al Liceo Classico Gorgia di Lentini, dà prova con questo libro di come la letteratura non solo debba essere letta, possibilmente ad alta voce e senza rumori intorno, ma di come essa debba essere interpretata, riletta, vissuta e ri-creata, perché è proprio dall’interazione che si crea tra autore e lettore che si ricavano i variopinti significati e le leggiadre possibilità di indagine dell’uomo nel mondo reale».

 

L’autrice

Giuseppina Vinci è nata a Lentini (SR), città nella quale vive e insegna presso il Liceo Classico “Gorgia”. Ha pubblicato due libri di poesie e racconti: Battito d’ali (Aletti Editore, 2010) e Chiara è la sera (Angelo Parisi Editore, 2012). Oltre alle poesie e ai racconti, ha pubblicato articoli su quotidiani nazionali e locali, tutti contenuti in Chiara è la sera e è presente  in Cento voci verso il cielo, Antologia poetica e in Antologia di poesie “Il Forte”.

 

                       

TITOLO: Riflessi letterari
AUTORE: Giuseppina Vinci
PREFAZIONE: Lorenzo Spurio
EDITORE: TraccePerLaMeta Edizioni
COLLANA: Sabbia – Critica letteraria
PAGINE: 68
ISBN: 978-88-907190-9-7
COSTO:  9 €

Link diretto alla vendita

 

Info:

info@tracceperlameta.orghttp://www.tracceperlameta.org

Ufficio Stampa: Lorenzo Spurio – lorenzo.spurio@alice.it

Il simbolismo nella poesia di William Blake, un commento di Pina Vinci

A CURA DI GIUSEPPINA VINCI

 

220px-William_Blake_by_Thomas_PhillipsLa produzione poetica di Blake si caratterizza di simboli. The Lamb e The tiger, sono simboli mondi reali, aspetti contrapposti, sentimenti contrastanti.

Il Cristianesimo si avvale di simboli. Per fare un esempio Il pesce per i primi cristiani rappresenta la nuova fede nel figlio di Dio fatto uomo. Il testo sacro è fonte di ispirazione per la produzione artistica narrativa e poetica del nostro Poeta. Il Bene e il Male sempre presenti, si intrecciano, coinvolgono, e  l’Essere umano teso, dilaniato perennemente in conflitto, alla Ricerca di un equilibrio emerge orgoglioso, non sconfitto.

Nella  scelta continua a cui è chiamato, gli ‘’opposti complementari’’ non annullano l’individuo, lo obbligano a intraprendere un cammino,”senza contrari non vi è progresso’’, sviluppo dinamico della Persona. Personalità complessa, affascinante, singolare, geniale, Blake, sempre Attuale

I temi della sua Poetica non circoscritti, non chiusi, non delimitati ma eterni, senza tempo, appartengono all’uomo di tutti i tempi, di tutte le epoche, l’uomo colto o non, è costretto a darsi una risposta e anche a rimettere in discussione ogni eventuale risposta.

Le origini dell’Universo, Dio creatore, Dio che plasma, forgia, modella, sia l’Agnello sia la Tigre, l’Innocenza e l’esperienza, la mitezza e mansuetudine e la violenza, il Bene e il Male, l’amore e l’odio, la bontà e l’aggressività…. ‘’Opposti complementari’’, l’uno necessita dell’altro, dualismo necessario, aspetti della stessa Realtà razionale e non. The Marriage of heaven and hell, paradiso e inferno, eden e ade, contrari coesistono, si attraggono, si completano.

Significati antichi e nuovi, messaggi apparentemente banali e scontati, significanti, simboli, segni per rappresentare la sfera del razionale e del Sentimento, della Percezione e Intuizione.

 

Giuseppina Vinci

Docente di Lingua e civiltà inglese al Liceo Classico Gorgia di Lentini

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