La ultima temporada taurina a La Monumental

Tra meno di un mese inizierà l’ultima temporada taurina a Barcellona dato che recentemente la comunità autonoma di Catalogna ha votato l’abolizione delle corride. E’ stata la prima e per ora l’unica comunità autonoma spagnola a votare una decisione di questo tipo ma va tenuto presente che la Catalogna è la regione spagnola più diversa e lontana dalla cultura tipicamente spagnola. E’ nota l’avversione tra Barcellona e Madrid. Tra castigliano e catalano. La cultura catalana ha teso negli ultimi anni a enfatizzare gli aspetti meno dichiaratamente castigliani. Essendo la corrida, la lidia de toros, un elemento culturale più propriamente legato e connesso alla Spagna castiza, i catalani non ci hanno pensato due volte a votare contro questa pratica che definiscono una barbarie. Per i catalani che invece amano le corride a partire dal 2012 non dovranno far altro che recarsi in una delle tante plazas de toros presenti sul territorio spagnolo.

(Nella foto il torero Finito de Cordoba durante una corrida)

La temporada taurina barcellonese inizierà  con una novillada[1] la domenica di Pasqua, il 24 aprile 2011 e si chiuderà il 26 settembre con la celebrazione della Mercé, la patrona della città. Ci saranno corride il 1, il 13 e il 29 di maggio, il 26 di giugno,  il 3, 10, 17 e 24 luglio e il 7,13, 21 e 28 d’Agosto per culminare poi il 24 e 25 settembre con la festa de la Mercé. Durante la festa de la Virgen de la Mercé viene ballata la tipica sardana e compositi gruppi di castelleros formano castelli umani alti svariate decine di metri nella centrale plaza San Jaime.

La plaza de toros di Barcellona, la Monumental, è una delle più grandi e prestigiose di tutta la Spagna dopo Las Ventas di Madrid e la Maestranza di Siviglia.  Da essa sono nati talentuosi toreros che hanno avuto fama mondiale.


LORENZO SPURIO

29-03-2011


[1] La novillada è una corrida nella quale si torea con toros novillos, ossia giovani e dove il torero generalmente non ha ancora ricevuto l’alternativa, una sorta di esame con il quale il lidiador o torero principiante diventa matador de toros. La alternativa è una sorta di rito di passaggio che consente al torero principiante di diventare un torero a tutti gli effetti che può sfidare toros bravos.

Chinaski il nazista

Charles Bukowski con le sue storie di vita sregolata e maledetta ci ha abituato ad atteggiamenti licenziosi o sessualmente deviati, degrado, emarginazione, isolamento, alcolismo e comportamenti maniacali. Il suo principale beniamino, Henry Chinaski, è spesso ritratto mentre si sta ubriacando con della birra scadente o con degli scoli di whisky di bottiglie che sono disseminate in casa sua o mentre fa sesso con le sue donne descrivendoci la componente più animalesca e tralasciando quella passionale. In ogni caso, in ciascuna storia si sottolinea il temperamento qualunquista del personaggio, il suo menefreghismo verso gli altri e il suo comportamento sfrontato e irriverente nei confronti degli altri. E di se stesso.

La critica si spacca sostanzialmente in due circa l’analisi di Chinaski e del suo creatore, tra coloro che lo bollano come ossessionato al sesso, manesco, insofferente agli obblighi lavorativi, immagine di una vita degradata e allucinata e che lo pongono in una condizione di reietto e coloro che invece ne analizzano il personaggio più a fondo, sviscerandolo dalla sua etichetta di barbone manesco e sottolineandone le carenze, la complessa strutturazione del personaggio e l’origine delle condizioni d’indigenza. A Chinaski sono state date le più varie caratterizzazioni (tutte abbastanza negative). E’ stato detto che è un maniaco, un barbone, un mitomane, un reietto, un sex-addicted, un emarginato, una sorta di diavolo, un criminale, un violento, un alcolizzato, un maschilista, un animale e tanto altro. Alcuni hanno aggiunto che è un nazista.
Va sottolineato il fatto che né Chinaski né Bukowski hanno mai espresso pubblicamente, al contrario di molti altri autori, una chiara posizione politica. Chinaski si scaglia sia contro gli hippy ultrasinistroidi che contro i borghesi, sia contro i suoi capi di lavoro che contro persone che conducono esistenze economicamente disagiate. Non critica particolari strati della società ma critica la società nel suo complesso. Non esprime un’idea politica né evoca un modello di stato che secondo lui potrebbe essere migliore rispetto ad un altro. Alcuni hanno visto nel temperamento violento, maschilista e insensato di Chinaski alcuni elementi comuni al comportamento dei fedeli del nazismo. Va ricordato che Bukowski nacque in Germania, paese che lasciò nei primi anni della sua infanzia per stabilirsi a Los Angeles. Nel romanzo autobiografico Ham on Rye (1982) Chinaski ripercorre i momenti cruciali della sua infanzia: il difficile rapporto con i genitori, l’isolamento nel contesto periferico, l’emarginazione a scuola e l’amicizia con pochi ragazzi tra cui Crapa Pelata, la scoperta del corpo e l’interessamento all’universo femminile. Traccia in un certo senso la biografia stessa di Bukowski ed è una narrazione atipica all’interno della sua produzione perché, contrariamente al suo stile, mancano le scopate e le alcolizzate tanto frequenti nelle altre opere. Il capitolo cinquantadue del romanzo appena citato ci parla di Chinaski e del nazismo. Può pertanto essere considerato un primo punto di contatto tra i due universi. In questo capitolo si dice che la guerra in Europa era favorevole a Hitler e che alla scuola gli insegnanti erano tutti nemici alla Germania e sinistroidi. Chinaski non è nazista, considera il nazismo come un’eventuale possibilità di scelta non per motivazioni politiche ma per motivazioni tutte personali:

«Forse, con Hitler al governo, mi sarebbe toccata un po’ di fica ogni tanto, e magari qualcosa di più del dollaro alla settimana che mi passavano i miei genitori. Non avevo niente da perdere. E poi, essendo nato in Germania, non me la sentivo di tradire il mio paese d’origine, e non mi andava di vedere l’intera nazione tedesca, l’intero popolo tedesco, demonizzati e dipinti nelle tinte più fosche» *.

Se decidiamo di definire Chinaski nazista dobbiamo anche dire che non è nazista politicamente parlando ma per motivazioni astruse: per la sua comune origine tedesca e per il fatto che immaginando di poter essere devoto al Fuhrer potrebbe ottenerne dei vantaggi: soldi e fica. Il suo essere nazista è motivato dal suo desiderio di sentire e mostrarsi diverso dagli altri (gli insegnanti sinistroidi), è semplicemente un modo per differenziarsi da persone che non ama. («Per pura alienazione, e naturale spirito di contraddizione, mi trovai schierato contro il loro punto di vista» ).
E nello stesso capitolo rende ancora più chiaro che in realtà non ha niente di nazista:

«Evitavo accuratamente ogni riferimento diretto a negri ed ebrei, che, poveretti, non mi avevano mai dato rogne. Tutte le rogne che avevo avuto me le avevano date i bianchi ariani. Quindi, non ero nazista per carattere o per scelta; erano gli insegnanti, ad appiccicarmi addosso quell’etichetta, con il loro atteggiamento conformista, le loro idee conformiste e i loro pregiudizi antitedeschi» .

C’è da concludere che se possiamo definire Chinaski un nazista, non è un nazista con mitra in pugno o pronto ad urlare o a deportare gente in campi di concentramento. E’ un nazista strano, che cerca di difendere la sua ideologia in maniera strumentale e per nulla politica.

Lo studioso Raffaele Gramegna**  in un testo ha evidenziato il fatto che il racconto Svastika incluso nella raccolta Tales of Ordinary Madness (1983), nella sua versione italiana Storie di ordinaria follia non è stato incluso nella raccolta. Ha tentato di analizzarne il motivo contattando direttamente le case editrici italiane che avevano stampato l’opera nella versione tradotta e tutte hanno risposto tergiversando ed eludendo la domanda del critico. L’interpretazione più ovvia è quella di considerare il fatto che un titolo così scomodo e un racconto nel quale si parlasse di Hitler collegandolo alla politica americana non poteva essere stampato e divulgato. La mancanza del racconto nella raccolta è dunque non il segno di una svista grossolana ma quello dell’imposizione di una censura. Raffaele Gramegna dopo un’interessante introduzione al racconto in questione ha riportato il racconto nella sua lingua originale e poi tradotto da lui in italiano.

Si tratta di un racconto profondamente diverso dallo stile tipicamente buwoskiano: manca un’ambientazione periferica degradata, mancano riferimenti al bere e alla voglia di ubriacarsi, mancano le tanto amate corse dei cavalli e addirittura il sesso. Se a vari lettori amanti dell’autore venisse proposto di leggere questo racconto senza rivelare chi l’ha scritto probabilmente nessuno indovinerebbe che si tratta proprio di Bukowski.

Il racconto è breve, diretto e incisivo e utilizza ampiamente il discorso diretto. Il personaggio principale non è Chinaski ma in questo caso il protagonista è il presidente degli Stati Uniti che all’apertura del racconto viene sequestrato da agenti della polizia. Viene condotto in un appartamento dove si trova dinanzi il Fuhrer sebbene sia molto invecchiato. Per mezzo di due medici chirurghi tedeschi, il presidente viene sottoposto a una operazione di scomposizione e congiunzione di parti di corpi diversi che ci fa pensare a Frankenstein. E’ un operazione senza dolore, che non lascia cicatrici e che consente il cambio di personalità tra il presidente americano e il Fuhrer.
Il racconto andrebbe analizzato più approfonditamente a più livelli. Sembra stupido a questo punto considerare come la censura abbia potuto tagliare un racconto di Bukowski per la presenza di elementi fastidiosi (la svastica del titolo, la presenza del Fuhrer) quando nella contemporaneità abbondano testi che utilizzano la storia o particolari momenti di essa in chiave revisionista o negazionista. Bukowski è uno scrittore e le storie che racconta sono frutto del suo ingegno.
E’ sempre difficile affibbiare a una persona una determinata ideologia politica, un pensiero sulla società basandosi sui suoi atteggiamenti e le sue parole che possono rivelarsi in questo contesto anche contrastanti. La questione si fa ulteriormente più difficile nel caso di Bukowski che è sempre stato lontano dai temi politici e un acre criticatore di ogni ambito e rango del sistema sociale.
Il suo anticonformismo, il suo temperamento che lo porta continuamente a rompere schemi e commettere crimini e reati, la sua sfrontatezza nei confronti della vita, il suo marcato individualismo non ci consentono di individuare nella sua persona un’ideologia reazionaria né tantomeno nazista come è stato a volte sostenuto dalla critica. La sua critica contro tutto e tutti, compreso se stesso, potrebbe paradossalmente avvicinarlo ad un’ideologia confusa come quella anarchica. Si tratta ovviamente di interpretazioni vaghe e paradossali che sottolineano ancora una volta quanto la sua persona e quella di Chinaski siano variegate e complesse e prive di una chiara dimensione politica.

* Le citazioni sono tratte da Charles Bukowski, Panino al prosciutto, Milano, Tea, 2010, pp. 272-273.

**  Charles Bukowski, Svastica (a cura di Raffaello Gramegna), Viterbo, Millelire Stampa Alternativa, 1994. Questo testo può essere letto on-line o scaricato collegandosi al sito: http://www.stampalternativa.it/liberacultura/books/buk.pdf


25-03-2011
LORENZO SPURIO

Il fantasy contemporaneo

Il genere fantasy è uno dei maggiori coltivati nella letteratura a noi contemporanea. Allo stesso tempo è un genere molto apprezzato e stimato non solo da ragazzi e giovanissimi ma anche da gente matura che attraverso i meandri del fantastico e del meraviglioso riscopre mondi che fanno sognare ad occhi aperti. Noti a tutti sono le vicende di Alice nel paese delle Meraviglie, Peter Pan nei giardini di Kensington, Pinocchio o le varie fiabe dei fratelli Grimm. Al suo interno il genere fantasy si divide per l’eterogeneità dei temi in ulteriori sottogruppi: historic fantasy, science fantasy e urban fantasy. Frankenstein di Mary Shelley ad esempio è un romanzo fantastico che appartiene al science fantasy ponendo questioni importanti sullo studio della scienza in età vittoriana. Ha dei caratteri profondamente diversi dalle storie di Peter Pan o quelle di Alice che invece sono calate in una dimensione completamente magica e sovrannaturale.


In tempi a noi recenti le narrazioni fantastiche hanno preso la forma di trilogie o di serie di romanzi di uno stesso ciclo. Le più importanti opere in tal senso sono la serie di romanzi dello scrittore inglese Isaac Asimov che appartengono al Ciclo della Fondazione (science fantasy con particolare attenzione al mondo ultraterrestre e allo spazio), la trilogia del Signore degli Anelli di J.K. Tolkien (scrittore tra l’altro del famosissimo Lo Hobbit e studioso del poema epico inglese Beowulf), la serie di romanzi di C.S. Lewis incentrati sulle Cronache di Narnia ed ovviamente la saga di cinque libri della scrittrice britannica J.K. Rowling sulle vicende del maghetto di Hogwarts, Harry Potter.

Molti lettori si sono sorpresi nel trovarsi affascinati dalle vicende di Harry Potter e non hanno visto l’ora che i vari film tratti dai cinque romanzi uscissero nelle sale. In effetti il fantasy di Harry Potter ha avuto un successo senza precedenti. E’ un fantasy dove i caratteri principali sono il magico e il misterioso, la continua presenza del male e la lotta tra bene e male, la ricerca della verità. Non è altro che una fiaba molto lunga perché ha tutti gli elementi caratteristici della fiaba: l’eroe, l’aiutante dell’eroe, i nemici, i falsi amici, ambientazioni segrete, percorsi pericolosi, scenari gotici, inquietanti, la presenza di mostri, l’impiego della magia.

Un articolo apparso oggi sul quotidiano Corriere della Sera alla sezione cultura si chiedeva quali fossero le nuove vie del fantasy dato che da anni oramai Harry Potter ha esaurito le sue vicende. Il giornalista non guardava tanto agli autori stranieri ma alla letteratura nostrana. A Bologna in occasione della Fiera Internazionale del Libro per ragazzi si ritroveranno i rappresentati delle case editrici italiane che da anni pubblicano il genere fantasy oltre a critici, studiosi.

Maxime Chattam esordisce il prossimo 25 marzo nelle librerie italiane con Alterra (edizione Fazi), il primo volume di una trilogia: è la storia di sopravvissuti a una tempesta spaventosa che non può non ricordare alcune opere dei padri del fantasy. Secondo l’autore il fantasy è « un modo per sfuggire la durezza del quotidiano, ritrovare emozioni che avevamo quando eravamo adolescenti. È, in un certo senso, come il romanzo rosa. Permette di credere in qualcosa di grande: amore, amicizia, valori perduti. In fondo tutti abbiamo sognato, almeno una volta nella vita, di essere capaci di compiere atti eroici, di avere dei poteri, magari anche magici».

Melissa Marr invece con la sua serie Wicked Lovely propone una storia di fate malvagie e intriganti ma è presente anche il tema dell’amore che ha permesso a qualche critico di avvicinare le sue opere al romance.

Secondo Chattam un buon fantasy deve contenere degli elementi imprescindibili: l’epica, una buona storia che si sviluppa a più livelli, la magia, i riferimenti letterari, religiosi, scientifici. E’ un’opera complessa alla pari di un romanzo storico costruito da anni e anni di ricerca storiografica e studio sul campo.

Vampiri, orchi, uomini creati in laboratorio, streghe, maghi, principi falsamente cortesi, scienziati pazzi, creature malvagie, licantropi, draghi rimangono a tutt’oggi i personaggi preferiti di storie fantastiche e  meravigliose, capaci di interessare e coinvolgere grandi e piccoli.

LORENZO SPURIO

22-03-2011

La religione della pasta: il Manifesto della Cucina Futurista

Nel 1930 Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista italiano, definito “caffeina d’Europa” per la sua effervescenza culturale e per il profondo eclettismo e dinamismo delle idee proposte nei vari manifesti programmatici del movimento pubblicò un singolare manifesto futurista, quello della Cucina Futurista.  Il manifesto non deve stupire in quanto il futurismo, similmente alle varie avanguardie storiche, era intenzionato a trasmettere i propri ideali in ciascun campo del sapere e ad influenzare ciascun ambito della vita dell’uomo: letteratura, pittura, scultura, architettura, cinema, fotografia, cucina e cosi via.

Altra cosa che non deve stupire il lettore del manifesto è il carattere innovativo, trasgressivo, dirompente dei contenuti che Marinetti e i futuristi propongono. Da ricordare sono i proclami interventisti e militaristi in cui la guerra veniva definita «sola igiene del mondo» o «regina di tutte le cose» o l’invito diretto dei futuristi di andare a distruggere i musei definiti «cimiteri» della cultura. Il linguaggio dissacrante, polemico e provocatorio dei proclami e dei manifesti è proprio una delle caratteristiche dei futuristi. I futuristi intendono far arrabbiare, polemizzare, creare una risposta indignata, animare le masse, scioccare, incrementare i sentimenti di odio, vendetta e violenza. Si ricorderà a questo punto le grottesche “serate futuriste” che vennero organizzate in vari teatri italiani in cui sostanzialmente venivano lette alcune poesie futuriste o altri testi e poi venivano fatti dei discorsi contro il popolo in sala, contro il comune che li ospitava, alimentando critiche, polemiche, scontri verbali e fisici e le famose scazzottate durante le quali anche gli stessi futuristi vennero spesso coinvolti riportando ferite.

Nel Manifesto della Cucina Futurista l’aspetto più dissacrante e dirompente è l’invito di Marinetti a non consumare la pasta, alimento ampiamente diffuso e di largo consumo che addirittura contraddistingue in tutto il nostro paese. La pastasciutta è considerata da Marinetti come un alimento grasso e pesante, al quale contrappone un’alimentazione più semplice e rigorosa che consenta di mantenere il forma l’organismo. Marinetti parla della necessità dell’abolizione della pastasciutta che definisce «assurda religione gastronomica italiana». In realtà non è così assurda considerando l’ampio consumo nelle famiglie italiane. L’Italia non solo è il paese che più di ogni altro consuma pastasciutta ma anche quello che più ne produce. La definizione di religione gastronomica in fondo risulta azzeccata. La pasta, continua Marinetti, è un alimento che non si mastica ma si ingozza e questo è sinonimo di fiacchezza, pessimismo e neutralismo. In che modo è possibile vedere in un piatto di pasta fumante e profumato il sintomo di neutralismo? Stiamo navigando tra il comico e il paradossale, ovviamente. Ma l’idea di abolizione della pastasciutta dalla gastronomia italiana ha per Marinetti anche motivazioni di carattere economico: «L’abolizione della pastasciutta libererà l’Italia dal costoso grano straniero e favorirà l’industria italiana del riso».

Il pranzo futurista ideale deve avere caratteristiche organolettiche (odore, sapore, colore, forma). Marinetti propone anche delle singolari ricette che si basano sulla composizione di ingredienti diversi che vengono assemblati insieme nel formare un tutt’uno in quelli che definisce «complessi plastici saporiti e tattili». Le stranezze non sono finite e Marinetti annuncia l’abolizione della forchetta e del coltello ed invita a mangiare le pietanze direttamente con le mani per stabilire un rapporto tattile con il cibo. Questa prescrizione si configura però come un chiaro segno d’incivilimento e imbarbarimento dell’uomo contemporaneo.

A tavola è prescritta l’abolizione dell’eloquenza e della politica mentre è permessa, seppur in maniera limitata, quella della poesia e della musica. Traducendo in termini pratici ed attuali potremmo interpretare in questa prescrizione la negazione della televisione accesa durante il pasto e di qualsivoglia dialogo tra i commensali.

A dispetto della rigidità e dell’intransigenza delle nuove regole della cucina dettate dai futuristi lo stesso ideatore fu ben presto immortalato nel ristorante “Biffi” di Milano nell’atto di mangiare un bel piatto di spaghetti. Seguì l’ovvia critica e derisione popolare che utilizzò soprattutto una frase «Marinetti dice basta, messa al bando sia la pasta. Poi si scopre Marinetti che divora gli spaghetti». Morale della favola, non togliete la pasta agli italiani!

Testo completo del manifesto della Cucina futurista: http://www.allimaca.com/public/prova/manifesto-c.futurista.pdf

LORENZO SPURIO

20-03-2011

L’unità d’Italia. Ma esiste?

E’ bello vedere camminando in giro per le diverse città italiane i tricolori sventolare per celebrare il centocinquantesimo dell’unità d’Italia. Peccato che la festa non sia stata riconosciuta dal governo come festività annuale e che l’Italia possa festeggiare i suoi compleanni solo di cinquanta in cinquanta. Festeggiare cioè una volta a generazione. Più o meno. Bella la festa, le celebrazioni, le frecce tricolori e gli alzabandiera ma può uno stato festeggiare la sua unità e indipendenza dai popoli oppressori una volta ogni cinquanta anni? Che senso ha? Forse è proprio per questo motivo che sono nate le polemiche leghiste che, oltre a riconoscere uno sperpero monetario per le celebrazioni dell’evento, non vedono il motivo della festa. Suonare l’inno nazionale all’apertura delle sedute comunali e provinciali in questa circostanza finisce per risultare senza senso, quando non si è mai fatto per molti decenni.

Come ogni caso italiano anche le celebrazioni dell’unità d’Italia, che avrebbero dovuto vedere tutti gli italiani uniti, da Aosta fino a Caltanissetta, in realtà sono stati il luogo delle polemiche e delle critiche che hanno sottolineato, mai come in questo momento, problemi gravi. Il problema più grave è che, anche se l’Italia festeggia i suoi centocinquanta anni della sua unità in realtà non è unita per niente. Il divario tra Nord e Sud Italia, presente al momento dell’unificazione è ancora presente; la questione meridionale non è stata mai risolta e mai come oggi è cosi evidente e stridente nei confronti del Nord sovrasviluppato. Massimo D’Azeglio l’aveva detto al momento dell’unificazione “Fatta l’Italia, facciamo gli Italiani”. Toccherà ricordare che il re che aveva fatto l’Italia, utilizzava il francese per parlare in famiglia. Gli italiani non si sono ancora fatti, sebbene l’Italia esista. O, meglio, si sono fatti in più modi diversi. Veneti e campani sono entrambi italiani ma sono cosi culturalmente diversi che di fatto potrebbero dar vita a due stati separati (proprio come vorrebbero i fedeli di Bossi). L’unità d’Italia le tiene unite sotto un unico governo, sotto un’unica lingua e moneta, ma la cultura e i problemi sociali sono profondamente diversi. Si è lavorato poco allora in questi centocinquanta anni per formare gli italiani, per renderli coesi. O forse si è lavorato male.

I leghisti hanno fatto le loro decisioni in merito alla non partecipazione alle celebrazioni dimostrando, in un certo senso, di non mostrarsi cosi italiani come i romani o i torinesi dove nella loro città venne fondata la prima capitale dello stato italiano. Polemiche anche nella provincia autonoma di Bolzano dove il presidente, di origine sudtirolese, ha annunciato alcune settimane prima dell’evento che la provincia non avrebbe preso parte ai festeggiamenti in quando pur appartenendo allo stato italiano ha un’ampia popolazione di origine tedesca che non si riconosce nel popolo italiano e nella sua cultura. Oltretutto la minoranza tedesca ha sottolineato il fatto che Bolzano e il Trentino vennero annessi all’Italia solo a conclusione della prima guerra mondiale e che quindi nemmeno si poteva festeggiare i cento cinquanta anni d’unità. Bell’affronto per il presidente Napolitano e per l’Italia unita. In molti si sono vergognati del presidente della provincia di Bolzano, della sua arroganza e del fatto che, pur non festeggiando l’Italia riceva abbondanti fondi e soldi dal governo italiano.

Non da ultimo i monarchici hanno sottolineato che l’unità d’Italia si raggiunse sotto la monarchia sabauda, grazie anche alla figura di Re Vittorio Emanuele II. Nel 1861 non c’era la repubblica italiana ma la monarchia e dunque i Savoia hanno preso parte alla celebrazione al Pantheon dove il presidente Napolitano si è presentato per una visita la tomba di Re Vittorio Emanuele II. Alcune bandiere con lo scudo sabaudo sono riapparse sventolanti a qualche balcone o tenute a spalla da qualche nostalgico. L’Italia si fece con i Savoia ed è merito loro. Qualcuno smorza subito questo entusiasmo ricordando che i Savoia non hanno fatto altro che rovinare l’Italia con i loro comportamenti spregiudicati dando credito a Mussolini e firmando le leggi razziali e fuggendo dall’Italia nel momento in cui il popolo aveva più bisogno del proprio governante.  Se i Savoia hanno fatto l’Italia unita, si sono anche macchiati di gravi crimini proprio contro gli italiani. Ma questa è un’altra storia. Oppure no?

Difficile coniugare idee diverse e contrastanti, i leghisti che chiedono incessantemente il federalismo che pure era stato proposto a suo tempo da Carlo Cattaneo, i monarchici nostalgici e coloro che non si sentono italiani perché appartengono a una minoranza di lingua diversa. C’è da chiedersi se l’Italia sia veramente unita. Se ci rispondiamo che non lo è, allora che cosa stiamo festeggiando?

LORENZO SPURIO

18-03-2011

150 anni dell’unità d’Italia

Si potrebbe scrivere molto e ricordare varie eventi storici che hanno permesso la costituzione dello stato unitario italiano nel 1860. Si potrebbe parlare dei moti rivoluzionari che coinvolsero le città settentrionali, o dei vari tentativi di presa della città eterna, della spedizione dei Mille, dell’abbattimento del regno delle Due Sicilie o addirittura dei vari plebisciti a cui la gente venne chiamata ad esporsi circa l’annessione allo stato unito. Il blog festeggia i 150 anni dell’unità d’Italia attraverso una serie di foto di patrioti, politici e pensatori italiani che resero grande il nostro paese e permisero con i loro sforzi e le loro imprese di giungere all’unità d’Italia. Per ovvie ragioni vengono ricordati quelli più significativi ma è ovvio che ve ne sono numerosi altri che permisero questa grande impresa. Viva l’Italia! Buona festa dell’unità d’Italia!

GIUSEPPE GARIBALDI (1807-1882)

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GIUSEPPE MAZZINI (1805-1872)

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CAMILLO BENSO, Conte di Cavour (1810-1861)

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VITTORIO EMANUELE II, Re d’Italia (1820-1878)

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CARLO PISACANE (1818-1857)

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SILVIO PELLICO (1789-1854)

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AURELIO SAFFI (1819-1890)

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EMILIO BANDIERA (1818-1844) E ATTILIO BANDIERA (1810-1844)

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BENEDETTO CAIROLI (1825-1889)

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NINO BIXIO (1821-1873)

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LORENZO SPURIO

16-03-2011

Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa (2006)

Il film Mafalda di Savoia. Il coraggio di una principessa (regia di Maurizio Zaccaro, paese: Italia, anno: 2006) narra la storia della principessa di casa Savoia, figlia di re Vittorio Emanuele III e della regina Elena che, considerata nemica del regime nazista, venne internata in un campo di concentramento dove trovò la morte. Il film non trasmette scene che riguardano la nascita della principessa, la sua infanzia e la sua adolescenza. Al contrario, si apre con il suo matrimonio assieme al Principe Filippo d’Assia che avvenne al castello di Racconigi il 23 Settembre 1925.

Velocemente scorrono le immagini della vacanza di nozze della coppia principesca e la nascita dei prime due bambini dopo di che l’azione si sposta dieci anni più tardi nel 1935.

Questa volta ci troviamo a Berlino dove il partito nazionalsocialista di Hitler si è giù costituito cosi come un’imponente milizia nazista. Il marito della principessa, il principe Filippo d’Assia è un membro dell’esercito tedesco, nazista convinto. Intanto in Germania e nelle varie città europee inizia la lotta contro gli ebrei: vengono distrutti i negozi ebraici e i tedeschi si accaniscono contro di loro. La principessa Mafalda si schiererà apertamente a favore degli ebrei che vengono vessati in una circostanza in cui i nazisti irrompono nei negozi degli ebrei. Questo episodio costituirà la sua condanna a morte dato che a partire da quel momento la principessa viene considerata cospirazionista contro il regime nazista.

Tra lei e il marito iniziano gli screzi: secondo il marito, in qualità di moglie di un ufficiale tedesco, deve condividere le sue idee e non mostrarsi in pubblico a favore dei nemici.

Il film fa un ulteriore balzo temporale e si sposta al 1942. Mafalda sta parlando con suo cugino, l’erede de re del Montenegro[1] che è stato deposto dai nazisti. Il regno del Montenegro non potrà essere restaurato perché i nazisti sono alle calcagna.

Allo stesso tempo la principessa viene continuamente tenuta sott’occhio dai nazisti che la considerano una traditrice nei confronti del regime. Per lo stesso motivo al principe Filippo viene revocato il suo incarico di governatore dell’Assia-Nassau e viene mandato a Francoforte sull’Oder dove sostanzialmente viene destituito dei vari incarichi militari.

Il 26 Agosto 1943 la principessa Mafalda torna in Italia dove il re suo padre gli comunica che teme per la sorte di un’altra sua figlia, Giovanna[2] perché suo marito, Re Boris III di Bulgaria (1894-1943) è stato avvelenato probabilmente dai nazisti. Mafalda non ci pensa due volte e decide di andare in Bulgaria a sostenere la sorella per la perdita del marito, sebbene la madre, la regina Elena glie lo scongiuri. La situazione in Europa è molto pericolosa.

La principessa Mafalda arriva a Sofia dove conforta la sorella Giovanna e partecipa assieme a lei al funerale di Re Boris III di Bulgaria. Terminata la sua visita alla sorella riparte in treno alla volta di Roma. Intanto l’8 Settembre 1943 re Vittorio Emanuele III firma l’armistizio con gli angloamericani, destituendo Mussolini; l’Italia passa a combattere a fianco di inglesi ed americani contro la Germania. Questo evento segnerà a morte il destino di Mafalda che, inconsapevole del cambio di strategie del re suo padre cadrà in mani nemiche. La regina Elena nel film è particolarmente critica nei confronti del marito al quale fa capire che con la firma dell’armistizio senza avvertire Mafalda l’ha praticamente esposta ad un grave pericolo. Il re e la regina abbandonano la capitale e si rifugiano a Brindisi.

Durante il viaggio in treno il convoglio viene fermato alla stazione di Sinaia per volere della regina Elena di Romania (1896-1982) la quale le scongiura di non andare in Italia perché la situazione è molto pericolosa. Mafalda continuerà il suo viaggio e riesce a giungere a Roma e a incontrare i quattro figli che stanno sotto la protezione del Vaticano.

Intanto i nazisti hanno interrotto i contatti tra la principessa Mafalda e suo marito che si trova in Germania e le dicono che se vuole comunicare con suo marito deve recarsi all’ambasciata. Con questo stratagemma i nazisti immobilizzano la principessa che viene condotta nel campo di concentramento di Bunchenwald. La principale accusa che le viene mossa è quella di essere una traditrice nei confronti del regime nazista e di essere stata a conoscenza dell’armistizio firmato da suo padre.

Al campo di concentramento fa conoscenza con alcune persone ma è estremamente afflitta e trascorre i primi giorni rifiutandosi di mangiare. Anche molti degli internati manifestano un atteggiamento astioso nei suoi confronti riconoscendo in lei la figlia dell’uomo che ha condotto gli italiani in guerra. Mafalda si scusa con loro per cose che lei non ha fatto facendo comprendere alla gente che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli.

All’interno del lager si mostra particolarmente coraggiosa come quando riesce a salvare una bambina strappata da una madre che i nazisti avevano appena assassinato. I deportati cominciano ad apprezzare la sua umanità, come il dottor Maggi il quale assieme ad altri uomini si sta occupando di scavare un tunnel per provare a fuggire dal campo.

Il principe Filippo d’Assia, destituito dei suoi incarichi e ormai considerato un traditore dai nazisti non può operarsi direttamente per mettere in salvo sua moglie. Nel film non viene mostrata la preoccupazione del re, della regina e dei membri della famiglia Savoia all’annuncio dell’internamento della figlia nel lager tedesco. I Savoia vengono mostrati come cinici, traditori nei confronti dell’ex alleato tedesco, pavidi e fuggitivi dal loro popolo. Nel film non fanno niente per cercare di salvare la principessa Mafalda.

Intanto iniziano i bombardamenti aerei e le esplosioni nel lager e un gran numero di deportati muoiono. I colori che più abbondano a partire da questo momento sono il rosso del sangue, il giallo degli scoppi e delle fiamme e il grigio del fango che ricopre tutta la superficie di terreno del campo.  Durante uno di questi scoppi la principessa viene colpita da uno scoppio di una granata ed è profondamente ferita. Il dottor Maggi cerca di salvarla operandole l’amputazione del braccio ma dopo poche ore la principessa muore.

Una lettera struggente e drammatica che ripercuote la permanenza di Mafalda al lager viene scritta da una donna rinchiusa nel lager e inviata ai figli di Mafalda. Nella missiva si sottolinea la bontà, la generosità della principessa e il suo pensiero fisso e costante verso la sua famiglia.

Il film si chiude con una scena che trasmette un senso di incompletezza e di dolore, l’immagine del marito il principe Filippo d’Assia assieme ai quattro figli seduti a tavola durante il pranzo e una sedia vuota che sottolinea la pesante assenza di Mafalda.

Prima dei titoli di coda, una frase riassume l’intera esistenza della principessa Mafalda:

Ricordatemi non come una principessa, ma come una vostra sorella italiana.

(Mafalda di Savoia 19/11/1902 – 28/08/1944).

Il film evidenzia come l’origine regale di Mafalda non serva a evitarle la stessa fine che fecero milioni di ebrei, omosessuali ed oppositori al regime nazista. Come la morte di molti italiani anche la sua fu dovuta alle tremende decisioni politiche prese dal re suo padre (l’affido del governo a Mussolini, la firma delle leggi razziali, l’alleanza con Hitler).

Tutta l’azione verte sul personaggio della principessa Mafalda e, a mio avviso, il contesto familiare attorno viene un po’ tralasciato. Non vengono mostrati i Savoia che fuggono da Roma, ne il malcontento che si crea in Italia a seguito della firma dell’Armistizio. Il re e la regina nel film non fanno niente per salvare la loro figlia e anzi, il re con le sue decisioni la pone continuamente in pericolo e in mano dei nazisti. L’immagine dei Savoia che ne esce da questo film non è per nulla positiva, come pure non lo è in quello che la storia ci racconta. C’è dalla loro parte un senso di cinismo e menefreghismo che non si esplica solo nei confronti del loro popolo (fuga da Roma) ma anche nei confronti di una loro familiare.

Per completare l’idea che con questo film ci facciamo di re Vittorio Emanuele III e della sua famiglia nei confronti della guerra, dell’armistizio, della fuga da Roma e della perdita di consenso della monarchia può essere utile vedere un altro film: Maria Josè, l’ultima regina (regia di: Carlo Lizzani, paese: Italia anno: 2001), dove viene narrata la storia della regina Maria Josè d’Italia che fu moglie di Re Umberto II di Savoia, fratello della principessa Mafalda.

LORENZO SPURIO

14-03-2011


[1] Va ricordato che la madre della principessa Mafalda, la regina Elena era una principessa appartenente alla famiglia Njegosh-Petrovic, alla famiglia reale del Montenegro. Il cugino erede del trono di Montenegro di cui si parla nel film è dunque un cugini per via materna.

[2] La principessa Giovanna nel film è interpretata dall’attrice francese Clotilde Coreau, moglie del principe Emanuele Filiberto di Savoia, nipote di Re Umberto II di Savoia che fu fratello delle principesse Giovanna, Mafalda, Jolanda e Maria.

Un baile dominicano, el merengue

La música dominicana inicialmente se conformó mediante la fusión de influencias de España y África, a las que siguieron las de otros países, como Francia y Haití. De España obtuvieron los instrumentos de cuerda, y los adptaron a su medio y a las posibilidades de este país: la guitarra y el tiple. De África con los esclavos de raza negra llegó la tambora, que junto con  el güiro y el acordeón, completan el ritmo del merengue. La danza popular de la República Dominicana se consiguió mediante la fusión de la plena, que son canciones de trabajo de origen africano, y la décima, que es una canción española de estrofas de 10 versos del siglo XVII. La  danza que se corresponde con este tipo de música es el merengue que tiene un poco de ritmos europeos junto con afroamericanos.

El merengue de la República Dominicana  tiene su origen alrededor de 1844 y es uno de los bailes más populares de esta zona. Tiene dos partes: la primera, con líneas cantadas sobre patrones de acordes variables y la segunda que es una sección más rápida.

El merengue se baila en parejas de dos personas y en República Dominicana todos lo saben bailar (jovenes y mayores) y es bailado en muchísimas ocasiones de fiesta pero también en el ámbito domestico, en bares y discotecas. Todos los países tropicales tienen sus bailes y sus música, por ejemplo en Haití están otros tipos de bailes.

Normalmente en el baile del merengue domenicano no hay reglas cerca de la vestimenta que hay que poner pero en algunas fiestas o eventos puedes tener un particular tipo de traje.

Merengue no es el único baile de República Dominicana, son cultivados también otros estilos como la bachata y la salsa. Hoy en día hay un grupo de bachata que ha puesto el país muy alto, se llama Aventura.


FABIOLA TAVERAS ALCANTARA

Santo Domingo, 10-03-2011


Traduzione in italiano dell’articolo.

La musica dominicana inizialmente si costituì mediante la fusione di influenze spagnole e dell’Africa, alle quali seguirono quelle di altri paesi come la Francia e Haiti. Dalla musica spagnola si ripresero gli strumenti musicali a corda (chitarra e tiple) che vennero adottati e impiegati a seconda delle possibilità di questo paese. Dall’Africa degli schiavi neri venne ripreso l’uso del tamburo che assieme al guiro e alla fisarmonica completarono il panorama della musica dominicana del merengue.

La danza popolare della Repubblica Dominicana nacque grazie alla fusione della plena (un genere musicale folkloristico di Porto Rico influenzato dalla musica africana e spagnola che si basa sulle percussioni di panderetas e del guiro), canzoni di lavoro di origine africana, e la decima, una canzone spagnola di dieci versi del secolo XVII. La danza che corrisponde a questo tipo di musica è il merengue che somma dei ritmi europei a dei ritmi afro-americani-

Il merengue della Repubblica Dominicana ha la sua origine attorno al 1844. E’ il ballo più popolare di tutto il paese.

Si compone di due parti, la prima costituita da frasi cantate su accordi musicali variabili e la seconda che si caratterizza per l’andamento più rapido.

Il merengue si balla in coppia e nella Repubblica Dominicana tutti lo sanno ballare (giovani, anziani) ed è ballato in moltissime occasioni di festa ma anche all’interno dell’ambito domestico, nei bar e nelle discoteche. Tutti i paesi tropicali hanno i propri balli e la propria musica, ad esempio nel vicino Haiti ci sono degli altri tipi di balli.

Normalmente nel ballo del merengue dominicano non ci sono regole per quanto concerne il vestiario dei ballerini ma in alcune feste ed eventi può essere previsto un particolar indumento da indossare durante la danza.

Il merengue non è l’unico ballo della Repubblica Dominicana, sono coltivati anche altri stili come la baciata e la salsa. Oggigiorno, gli Aventura, un gruppo di baciata, sta avendo un grande successo nel paese.


FABIOLA TAVERAS ALCANTARA

Santo Domingo, 10-03-2011

Tradotto da LORENZO SPURIO

Jesi, 13-03-2011

Ricordando gli attentati dell’11-M

Oggi la Spagna celebra il ricordo per i sette anni trascorsi dai tragici attentati di Madrid dell’11 Marzo 2004. Ripercorriamo i tristi momenti di quella triste giornata che segnò irreversibilmente la vita di numerosi spagnoli.

Alla mattina di giovedì 11 Marzo 2004, tre giorni prima delle elezioni politiche nazionali, dieci zaini carichi di tritolo vennero fatti saltare in aria su quattro treni cercanías (breve distanza, una sorta di regionale italiano) di Madrid, in tre diverse stazioni ferroviarie. L’esplosioni avvennero nell’ora di punta, alle 7.40, nella stazione ferroviaria madrilena di Atocha dove esplosero tre bombe, alla stazione di El Pozo de Tío Raimundo dove esplosero due bombe e alla stazione di Santa Eugenia dove esplose un’altra bomba.

Negli attentati trovarono la morte 192 persone: 177 morirono sul colpo, le altre dopo i successivi ricoveri d’urgenza; i feriti furono 1800 e vennero trasportati nei vari ospedali di Madrid. Si trattò dell’attentato terroristico più grande che la Spagna democratica avesse mai conosciuto. L’Europa si strinse al cordoglio dei cugini spagnoli e subito incrementò le misure di sicurezza nei diversi paesi e nelle capitali. Dopo New York e Madrid, le capitali francese, inglese e italiana si aspettavano un imminente attacco.

Nei giorni che seguirono si diffusero varie idee circa la paternità degli attentati: secondo alcuni i mandanti delle stragi erano i capi dell’Eta mentre secondo altri gli attentati erano di origine fondamentalista islamica.

In primo luogo venne accreditata la tesi dell’Eta; il governo stesso puntò il dito contro l’organizzazione separatista basca, per varie ragioni: l’Eta aveva sempre minacciato il governo spagnolo di voler portare avanti un attentato a Madrid e il tipo degli esplosivi impiegati erano analoghi a quelli che solitamente utilizzava l’Eta. Dopo alcuni giorni la tesi dell’Eta si affievolì lentamente e venne scartata.

La seconda idea circa la paternità dell’attentato era quella del fondamentalismo islamico. Secondo la gente e l’informazione gli attentati erano il prezzo che gli spagnoli dovevano pagare per aver partecipato all’occupazione militare dell’Iraq assieme agli Usa.

Diversamente dall’Eta che è solita avvisare prima degli attentati, in questo caso non ci fu nessun messaggio d’anticipazione ne di avviso. Subito si capì che l’attentato rispondeva in maniera appropriata alle strategie terroristiche islamiche basate sullo scopo di produrre il maggior numero di vittime ponendo esplosivi in spazi aperti e particolarmente affollati. Brevemente la tesi di origine islamica degli attentati venne accreditata e si osservò che gli attentati, accaduti il 11 Marzo, cadevano perfettamente due anni e mezzo dopo degli attentati terroristici di New York. Il giorno 11 richiamava dunque un altro attentato di loro matrice.

Ben presto arrivò la rivendicazione dell’attentato per mezzo di un video in cui un uomo dall’accento marocchino proclamava la lotta di religione in Europa, riconosceva l’attentato e si proclamava portavoce di Al-Qaida in Europa.

La mobilitazione internazionale fu grande: gli Stati Uniti offrirono appoggio diretto alla lotta contro il terrorismo; Italia, Francia, Germania e Olanda issarono le bandiere nazionale a mezz’asta e l’economia soffrì un calo significativo delle borse.

In tutte le città spagnole la gente scese a manifestare, a Madrid manifestarono 2.300.000 persone stringendo tra le mani bandiere spagnole a lutto e cartelli con su scritto  “Todos íbamos en ese trén”,  “Nos estamos todos : faltan 200”, “España unida jamás será vencida”. Anche a Barcellona, Siviglia, Valencia, Valladolid e Oviedo la gente manifestò addolorata ed indignata.

Oggi Madrid ha ricordato le vittime di quegli atroci attentati.

 

11-03-2011 MADRID – Esperanza Aguirre (Presidenta de la Comunidad de Madrid), Alberto Ruiz-Gallardón  (Alcade de Madrid) e Mariano Rajoy (Presidente del PP) all’omaggio per gli attentati dell’11-M alla Puerta del Sol.

 

11-03-2011 MADRID – La celebrazione alla Puerta del Sol.

 

11-03-2011 MADRID – Manuel Cobo (vicealcade de Madrid), Mariano Rajoy (Presidente del PP), Alberto Ruiz-Gallardón (Alcade de Madrid) e Amparo Valcarce (Delegata del governo) durante la inaugurazione al monumento alla stazione di El Pozo.

 

11-03-2011 MADRID – Familiari delle vittime durante l’inaugurazione del monumento in memoria alle vittime alla stazione di El Pozo.

 

 

LORENZO SPURIO

11-03-2011

Una sconfinata giovinezza (2010)

Il film Una sconfinata giovinezza (2010) del regista Pupi Avanti affronta la storia di Lino (Fabrizio Bentivoglio) e Francesca (Francesca Neri), una coppia sentimentalmente affiatata che viene destabilizzata dall’insorgenza del morbo dell’Alzheimer che colpisce Lino.

Lino Settembre scrive articoli sportivi per il giornale Il Messaggero mentre sua moglie Francesca è professoressa  universitaria di filologia romanza. Il film non si sofferma tanto a dipingere la storia d’amore della coppia e i suoi momenti felici e spensierati ma piuttosto sottolinea come la malattia degenerativa di Lino venga a significare un chiaro elemento di rottura della coppia.

Il film si apre con Francesca che accompagnata da un taxi si reca in un posto in campagna nella provincia bolognese per cercare qualcuno. E’ inverno e la giornata è particolarmente fredda, Francesca, triste ed invecchiata, si ferma ad osservare la campagna. Non sappiamo che cosa sia successo e chi stia cercando.

La storia si sviluppa su di diversi piani temporali che comprendono il tempo presente della relazione tra Lino e Francesca che viene minata dalla malattia di Lino e il tempo passato, la rievocazione del passato e dell’infanzia di Lino.

Nel film Lino perderà progressivamente la memoria, non riuscirà più a mantenere il suo lavoro di giornalista sportivo, e diventerà aggressivo nei confronti degli altri, compreso con sua moglie che da lui viene picchiata. Il film vuol mettere in luce come una coppia un tempo felice e spensierata possa trovarsi a fare i conti con una malattia non mortale ma che porta progressivamente alla perdita della memoria e quindi del ricordo e degli affetti.

Francesca decide di rimanere vicina al marito lungo questo percorso anche se le sue condizioni vanno peggiorando di giorno in giorno. Quando la malattia porta Lino ad usare la violenza su di lei Francesca decide che è meglio lasciare la casa e va a vivere momentaneamente da sua sorella. Lino viene accudito da due badanti.

Con ampie retrospezioni veniamo a conoscenza della vita precedente di Lino, della sua infanzia. I suoi genitori morirono quando lui era ancora molto piccolo in un tragico incidente stradale dal quale si salvò solo il cane, Perché. Il fratello del padre tenne per un periodo il ragazzo, accompagnandolo poi da sua zia materna, in campagna bolognese, a Sasso Marconi. Lì visse per un periodo, stringendo amicizia con due ragazzi del luogo dopodiché venne indirizzato agli studi.

C’è un buco, una grande ellissi tra l’infanzia di Lino e la sua relazione pluridecennale con Francesca che sappiamo essere stato coperta solo dal suo lavoro giornalistico e dall’amore verso Francesca. La coppia non ha mai avuto figli.

La malattia di Lino si fa sempre più grave e, superata ormai la fase aggressiva e violenta, si ritrova a compiere azioni e comportamenti caratteristici dell’infanzia: studia le tabelline, gioca con dei tappi su di una pista disegnata sul pavimento. Quando Lino scrive una lettera a sua moglie, ricordandola vagamente, lei va a visitarlo e decide di ritornare a vivere con lui. Se prima Lino era stato violento e pericoloso anche nei suoi confronti, ora è completamente inerme e docile, come un bambino. E’ l’occasione di Francesca per considerarsi madre di quel bambino che non ha mai avuto e di prendersi cura di lui in maniera materna: lo fa giocare, lo aiuta con le tabelline. E’ proprio qui che risiede il significato del film, di quell’eterna giovinezza che caratterizza Lino il quale ha perso la sua identità, il suo presente e l’unica cosa che gli consenta di sentirsi veramente qualcuno è il passato, gli sprazzi indistinti della sua infanzia. Per questo il film parla di una sconfinata giovinezza, di un’età infantile che si protrae, a causa della malattia, a dismisura fino alla maturità ed oltre. Questo può richiamare alla mente il film Il curioso caso di Benjamin Button dove mentre le persone normali si invecchiano con il passare del tempo, Benjamin Button, nasce vecchio, con vari disturbi tipici di un’età avanzata (artrosi, sordità, etc) e con il passare del tempo diventa sempre più giovane, ripercorrendo le varie fasi di crescita ma secondo un ordine inverso.

Quando alcuni ricordi confusi dell’infanzia fanno capolino nella mente caotica di Lino, decide di ritornare sul luogo della sua infanzia, a Sasso Marconi. Affronta il viaggio da solo senza comunicarlo a nessuno; prima va in treno e, una volta alla stazione di Bologna, prende un taxi che lo accompagna fino a Sasso Marconi. Lì cerca quelli che erano stati i suoi compagni e il suo cane che aveva dovuto abbandonare quando aveva iniziato gli studi. Nessuno se lo ricorda, lui è profondamente malato. Alla fine Francesca riesce a rintracciarlo a Sasso Marconi e si mette in viaggio assieme al fratello per andarlo a cercare. In questa maniera si conclude il film, ricollegandosi con la scena d’apertura. Lino, malato di Alzheimer, si è perso e nessuno riesce a trovarlo.

Un film molto appassionato e strutturato che riesce a tenere saldi capi di matasse diverse, quella dell’amore e della sua fragilità, quella della malattia, quello della perdita di memoria, d’identità e dei ricordi e quello della mancanza di maternità. Un film che dipinge magistralmente una condizione disperata e particolarmente realistica che potrebbe svilupparsi in una qualsiasi famiglia, addirittura con lo stesso finale d’incertezza e d’inquietudine per l’amato scomparso.

 

 

LORENZO SPURIO
11-03-2011

República Dominicana

INIZIA OGGI LA COLLABORAZIONE CON FABIOLA TAVERAS ALCANTARA, RAGAZZA DOMENICANA CHE PARLERA’ DELLA CULTURA DEL SUO PAESE.

EMPIEZA HOY LA COLABORACIÓN CON FABIOLA TAVERAS ALCANTARA, CHICA DOMINICANA QUE NOS HABLARÁ DE LA CULTURA DE SU PAÍS.

República Dominicana es un país caribeño situado en la isla La Española, compartiendo isla con Haití. La Española es la segunda isla mas grande del Archipiélago de las Antillas, estando situada al Oeste de Puerto Rico y al Este de Cuba y de Jamaica. Los Dominicanos se refieren a veces a su isla como Quisqueya, un nombre para la Española usado por los indígenas Taínos que significa «madre de todas las tierras».

Si te preguntan por República Dominicana, seguro que lo primero que piensas son en playas paradisiacas y hoteles / resorts de todo incluido, pero República Dominicana es mucho más que sol y playa. Empezando por Santo Domingo de Guzmán, fundada en 1496 fue la primera ciudad del nuevo mundo, nos habré las puertas a la ruta monumental, con su zona colonial declarada Patrimonio de la Humanidad por la UNESCO.

Para los interesados en visitar República Dominicana, pueden pasar su estancia con todo tipo de lujos en uno de los exclusivos complejos turísticos de la República Dominicana, situados principalmente todos ellos en Punta Cana, pero si por el contrario te gusta más la aventura, este país posee tantas mezclas culturales, parajes naturales y personalidad que vale la pena explorarlo a fondo, siendo la región más suroeste de República Dominicana, la zona más desconocida de la isla y la menos turística, una región muy deprimida económicamente pero por su diversidad de paisajes, la hacen junto a la zona de Samaná, el lugar con mas encanto y magia del país.

FABIOLA TAVERAS ALCANTARA

Santo Domingo, 09-03-2011

Traduzione in italiano dell’articolo:

La Repubblica Dominicana è un paese dei Caraibi situato sull’isola di La Española (o Hispaniola), assieme al paese di Haiti. La Española è la seconda isola più grande dell’arcipelago delle Antille e si trova ad ovest di Porto Rico e ad est di Cuba e Giamaica. I domenicani sono soliti riferirsi alla loro isola chiamandola con il nome di Quisqueya, un nome che veniva usato dagli indigeni Taínos e che significa “madre di tutte le terre”.

Se qualcuno ti parla della repubblica Dominicana sicuramente la prima cosa che ti salta alla mente sono le spiagge paradisiache, gli hotel e i resort con tutti i confort ma la Repubblica Domenicana è molto di più di sole e spiagge. Santo Domingo de Guzmán, prima città del nuovo mondo venne fondata nel 1462 e aprì le porte alle rotte commerciali e con il vecchio continente. La città e la limitrofa zona coloniale sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Per chi fosse interessato a visitare il paese, è possibile trascorrere il soggiorno in un hotel di lusso in uno degli esclusivi complessi turistici della Repubblica Dominicana, situati principalmente attorno a Punta Cana ma, a chi interessa l’avventura questo paese possiede tanti mix culturali, posti naturali che vale la pena esplorare a fondo, essendo la regione più a sud-ovest della Repubblica Dominicana, la zona meno conosciuta dell’isola e la meno turistica, una regione dall’economia precaria ma che per la sua eterogeneità di paesaggi la rende, assieme alla zona di Samaná, un luogo ricco di incantesimo e di magia.

FABIOLA TAVERAS ALCANTARA

Santo Domingo, 09-03-2011

Tradotto da LORENZO SPURIO

Jesi, 10-03-2011

Gli horror spagnoli lasciano (molto) a desiderare: Buried-Sepolto (2010)

Il film Buried (Buried – Sepolto, 2010) del regista spagnolo Rodrigo Cortés presenta il tema del seppellimento prematuro, ampiamente trattato nel cinema e in letteratura, un vero e proprio leitmotiv del filone gotico e thriller.

Nei primi due minuti del film lo schermo è completamente nero quasi che lo spettatore sia portato a pensare che il dvd si sia inceppato e ci sia qualcosa che non vada. Poi, sempre rimanendo completamente nero, cominciano a sentirsi dei rumori, dei respiri e dei colpi di tosse. A un certo punto viene acceso un accendino e comprendiamo che c’è un uomo rinchiuso in una bara.

L’uomo è Paul Conroy, autotrasportatore americano che è stato sequestrato da un gruppo di ribelli in Iraq. I ribelli hanno probabilmente ucciso i suoi amici autotrasportatori e lui è stato messo sepolto in una cassa. In un primo momento siamo portati a pensare che si trattino di ribelli e fondamentalisti islamici ma viene poi chiarito che sono semplicemente morti di fame che tramite la richiesta di riscatto pensano di potersi arricchire.

Per tutta la durata del film il protagonista, Paul Conroy, si trova richiuso in una bara di legno sotterrata nel deserto. Ha a disposizione solo tre oggetti nella cassa che si riveleranno importanti: un cellulare, sebbene non sia il suo, una penna e un accendino. Nel film non c’è azione e assistiamo a varie scene in cui Paul, disteso orizzontalmente e incassato, cerca di fare di tutto per salvarsi. Con l’accendino fa luce e permette a noi spettatori di vedere che cosa succede all’interno della cassa. Con il telefono riesce a mettersi in contatto con la famiglia, col governo e lì riceve le richieste del suo ricattatore. Con la penna appunta sul legno i vari numeri di telefono che le agenzie e il governo gli dicono di chiamare.

Il sequestratore telefona a Paul chiedendo un riscatto di cinquecento milioni di dollari entro un tempo di scadenza che gli fornisce e più volte si mette in contatto audio per mezzo del telefono minacciando la morte di vari membri della sua famiglia.

Lentamente la batteria del cellulare si scarica proprio mentre la cassa comincia a imbarcare la sabbia del deserto soprastante. La localizzazione della cassa nel deserto iracheno è difficoltosa per gli enti americani i quali non sembrano interessati ad aprire una trattativa con i sequestratori.

La ditta per la quale Paul lavora gli comunica che non può aiutarlo e che non è un loro dovere. Le speranze di potersi salvare sono azzerate.

La sabbia continua a filtrare fa le fessure delle varie strisce di legno che formano la cassa e lentamente ricoprono il corpo di Paul, riducendo al tempo stesso la quantità di ossigeno disponibile. Intanto il sequestratore continua a minacciarlo dicendogli di tagliarsi delle dita della mano e di filmare il tutto ed inviare il video al sequestratore, altrimenti farà del male alla sua famiglia.

Infine una telefonata di Brenner, un uomo del dipartimento di stato, gli comunica che lo hanno localizzato e che stanno per arrivare. La sabbia ha quasi occupato l’intera cassa. Tra la faccia e la cassa rimangono pochi centimetri di vuoto. Gli americani gli dicono che sono arrivati che stanno per scavare ma, una volta arrivati sul presunto posto, capiscono di essere giunti sul posto sbagliato, sul luogo in cui Brenner aveva salvato precedentemente un uomo dalla stessa sorte. Resosi conto dell’errore, al telefono Bremer gli dice con tono accorato «Mi dispiace Paul, mi dispiace Paul». La cassa si riempie di sabbia. Tutto si fa nero, come all’inizio e il film finisce.

Il film è chiaramente irreale, inverosimile se non addirittura surreale, per vari motivi che cercherò di analizzare. In primo luogo è tecnicamente impossibile che un accendino duri per una durata di novanta minuti, ossia la durata stessa del film. L’ossigeno contenuto nell’aria che si trova nella cassa, alla stessa maniera, non può essere sufficiente a Paul per un tempo pari a un’ora e mezza. A questo riguardo va inoltre tenuto presente che il fuoco della fiamma dell’accendino contribuisce a sperperare il contributo di ossigeno nell’aria. In terzo luogo i tre elementi, accendino, penna e cellulare, gli unici oggetti grazie ai quale la storia può svilupparsi sembrano essere messi nella cassa in maniera forzata ed illogica. Sono un espediente per sviluppare la storia ma sono al tempo stesso una chiara forzatura.

Altro elemento sul quale riflettere è il fatto che il cellulare ha campo anche trovandosi in un ristretto luogo chiuso, coperto e sottoterra. Anche questa sembra essere una chiara incongruenza.

Il tema del seppellimento prematuro è un tema che è stato ampiamente trattato non solo nel cinema ma anche in letteratura. Bisognerà ricordare il famoso racconto “The Premature Burial” dello scrittore americano noir Edgard Allan Poe. Il motivo è stato ampiamente usato all’interno della letteratura gotica, spesso in connessione al tema della catalessi. Lo scrittore americano era ossessionato dal tema che lo mise in scena in numerosi suoi racconti. La paura di essere sepolti vivi, la tafofobia, era una delle sue principali ossessioni.

Nel cinema un altro seppellimento prematuro in una cassa di legno è quello presente in The Vanishing[1] (The Vanishing – Scomparsa, regia di George Sluizer, paese: Usa, anno: 1993) dove pazzo di nome Barney Cousins decide di sperimentare fino a dove può spingere il suo coraggio. Rapisce una ragazza e la seppellisce viva in una cassa. Il fidanzato della ragazza, una volta che è riuscito a ritrovare il mitomane lo implora di dirgli che ne è stato della sua ragazza. Barney gli dice che per saperlo c’è solo un modo: lasciarsi fare tutto quello che ha fatto alla ragazza. Alla fine Jeff accetta e Barney lo droga, lo addormenta e infine lo rinchiude vivo in una cassa seppellendola nella terra. Alla fine, grazie alla nuova ragazza di Jeff, quest’ultimo riuscirà a salvarsi, a uccidere Barney e a trovare il corpo sepolto e ormai senza vita della prima fidanzata.

Seppure il tema del seppellimento prematuro sia trattato pressoché in maniera analoga, la trama del film è molto più elaborata, sostenuta e accattivante. Non punta sullo shock o sulle immagini inquietanti del sepolto vivo ma piuttosto è capace di mantenere una costante suspance tipica del thriller americano.

A mio modesto parere Buried è un film troppo semplice, con evidenti contraddizioni, che predilige le scelte facili, dove non accade molto e dove ci si aspetta sempre qualcosa che non arriva mai. Per chi fosse interessato a vedere un buon seppellimento prematuro posso consigliare il film The Vanishing (1993) che ha una strutturazione e una storia molto più avvincente.

LORENZO SPURIO
08-03-2011

[1] Il film The Vanishing (1993) è tratto dalla romanzo breve The Vanishing (titolo originale: Het Gouden Eì, 1984) di Tim Krabbé. Dal romanzo è stato tratto un precedente film dal titolo The Vanishing, regia di George Sluizer, paese: Usa, anno: 1988.