Origine e diffusione del vampirismo di Serena Bono, intervista all’autrice

INTERVISTA A SERENA BONO

Autrice del saggio Origine e diffusione del Vampirismo, il doppio volto della donna: angelo o demone?

Albatros Edizioni, Roma, 2010

Intervista a cura di LORENZO SPURIO


LS: Com’è nata l’idea di analizzare in un saggio critico-letterario la figura del vampiro?

SB: Sin da piccola sono stata attratta da storie macabre e dell’orrore e soprattutto da quelle di vampiri. Andando avanti con gli anni ho cercato di approfondire sempre più l’argomento. Leggendo e analizzando i vari racconti del genere e soprattutto quelli dedicati al vampirismo mi sono accorta di quanto poco si parlasse delle donne vampiro: era sempre l’uomo il protagonista delle narrazioni. Così ho cercato di studiarne le cause e rivalutarne la figura.

LS: Come tu alludi spesso nel testo, la figura del vampiro è polisemica e, analizzando vari testi o reperti che presentano la figura del vampiro, non è strano trovare anche informazioni diverse e contrastanti su di lui. Perché secondo te succede questo?

SB: Dobbiamo distinguere il vampiro che si crede realmente esistito da quello letterario. Partiamo dal presupposto che si sta trattando di un personaggio mitico e che quindi la maggior parte delle informazioni si rifaccia a leggende, i tratti che se ne ricavano sono principalmente estrapolati da fonti inizialmente orali e da tutto ciò che il folklore ci ha tramandato. Il vampiro ci appare con sembianze e comportamenti differenti a seconda del luogo e della condizione sociale che si sta vivendo in quel momento. E’ la letteratura che attraverso i secoli ne modifica l’aspetto: da bestia sanguinaria, rozza e primitiva a uomo fascinoso e acculturato.

LS: Quanto credi che il romanzo di Bram Stoker, Dracula, abbia contribuito a far conoscere la figura del vampiro nella nostra società?

SB: Molto. Per la creazione del conte Dracula, Stoker attinse soprattutto alle credenze del folklore rumeno prendendo spunto da una figura realmente esistita: il sanguinario Vlad Tepes.  L’opera di Stoker sarebbe una sublimazione di argomenti ritenuti tabù, una fusione fra i violenti e sanguinari attacchi dei vampiri e esperienze dei sensi in misteriosi incontri notturni. Il conte Dracula è un vampiro sottilmente perverso e con una sessualità deviata, dai tratti fortemente erotici: viso affilato, denti aguzzi e splendenti, folti capelli e un’espressione affascinante, implacabile ed erotico, una creatura diabolica che ha il compito di sedurre. Esso rappresenta le paure dell’uomo, il male che inconsciamente si teme e che alberga in ognuno di noi ma che non vediamo e riconosciamo.

LS: In uno studio attento come questo è rilevante il fatto che citi il racconto lungo dell’italo-inglese Polidori, Il Vampiro, considerato da molti come il primo testo letterario che affronta il tema del vampirismo. E’ semplicemente un luogo comune ed esistono narrazioni precedenti che affrontano il tema oppure è davvero pioniere nella scelta del tema del vampirismo in letteratura?

SB: Sicuramente Polidori fu il primo che realizzò un racconto che ha come protagonista un vampiro con le sembianze che tutti noi oggi conosciamo. Grazie a lui il vampiro assume aspetti particolari: in primo luogo la storia ha ben poco a che vedere con il fatto concreto di succhiare il sangue: l’argomento pressoché esclusivo è il sesso. Ruthven il protagonista, è un uomo estremamente attraente, trasgredisce le regole sociali ma lo fa con la collaborazione delle sue vittime, egli riesce a portare in superficie le tendenze represse. Per la vittima il vampiro sembra onnipotente, irresistibile, ipnotico, elegante, ben vestito, un maestro nell’arte della seduzione, un cinico, una persona esente dai codici socio-morali predominanti che può fornire una liberazione sessuale.

LS: Quali autori ti piacciono di più leggere? C’è un particolare filone letterario che ami?

SB: Non ho una preferenza particolare, quando mi trovo in libreria mi faccio attrarre dalla copertina e dalla descrizione del libro. Devo ammettere di essere un po’ monotematica, oltre alla letteratura di genere noir prediligo i thriller, soprattutto quelli storici: tutto ciò che tratta azione e mistero.

LS: Nella tua analisi tendi sempre a far distinzione tra spettri o figure comunque incorporee che pure nella tradizione succhiavano sangue dai vampiri propriamente detti. Qual è la necessità di questa distinzione? In un certo senso non sono anche loro dei vampiri?

SB: Lo sono in quanto succhiatori di sangue ma le loro caratteristiche sono differenti da quelle che possiedono i vampiri di epoca più moderna. Da bestie brutali e primitive, a uomini eleganti, raffinati e di estrema sensualità che non uccidono solo per pura sopravvivenza o piacere.

LS: Credi che nella letteratura e nella cinematografia d’oggi il vampiro venga ancora utilizzato con successo oppure stia diventando una semplice moda che finisce per disinteressare e/o annoiare il lettore/lo spettatore?

SB: Considerando le vendite di libri e gli incassi cinematografici non mi sembra che l’argomento stia passando di moda anzi credo che si stia nuovamente rivalutando. L’importante e far riscoprire sempre nuovi aspetti.

LS: Il vampirismo e tutta la tradizione folklorica legata a Vlad l’Impalatore sono documentati da molte fonti di tipo archeologico, rituale, letterario. Quando pensiamo al vampirismo siamo però erroneamente portati a pensare che si tratti di qualcosa che appartenga al mondo della finzione. Come richiamavo nella recensione, recenti e raggelanti fatti di cronaca hanno portato alla luce di inquietanti cavamenti di sangue su vittime per fini vari. Siamo di fronte a preoccupanti casi di vampirismo contemporaneo? Quali sono le tue considerazioni a riguardo?

SB: Visto che il vampirismo si è palesato con aspetti differenti in ogni epoca, non trovo strano che si possa riscontrare anche ai giorni nostri. Molti credono di essere, come attualmente vengono definiti, dei “real vampires”, vivono un’esistenza del tutto comune alla nostra se non per alcuni aspetti importanti come quello del bisogno di suggere sangue. Queste però sono persone che non nuocciono alle altre. Per quanto riguarda casi di cronaca  credo semplicemente si tratti di persone mentalmente instabili.

LS: Secondo la tradizione folklorica e l’immaginario pubblico il vampiro è associato a una grande carica erotica. Il vampiro è infatti sensuale, attraente, dallo sguardo magnetico e mesmerizzante. Anche il tema del sangue, del calore, del rosso, dei fluidi corporei, rimanda a un universo erotico. Quanto c’è di sensuale e di sessuale nella figura del vampiro?

SB: A mio giudizio molto. Personalmente sono sempre stata attratta dalla figura del vampiro incantevole e incantatore, il quale seduce le proprie vittime portandole spesso alla morte ma questa non è necessariamente orribile o dolorosa, può rivelarsi voluttuosa e sensuale. L’atto in cui il vampiro prende possesso dell’anima di un essere, il così detto morso, non è solo bisogno ma qualcosa di più profondo e intimo: passione tra carnefice e vittima. Cosa c’è di più intimo dello scambiarsi del sangue, fonte di vita?  Al momento in cui avverà l’unione di tale fluido si avrà l’unione di due “anime”.

LS: Freud nei Tre saggi sulla sessualità  del 1909 parlò di fissazioni e regressioni sottolineando come una fissazione alla fase orale dello sviluppo psicosessuale del soggetto comporti in età adulta degli atteggiamenti legati all’apparato orale: mangiare, mordere, succhiare, fumare, etc. In questo senso l’attività di morsicatura e succhiamento del sangue del vampiro potrebbe essere analizzata, in termini psicoanalitici, come una sorta di fissazione di questa fase di sviluppo psicosessuale o è una forzatura sostenerlo?

SB: Credo sia un argomento da lasciare analizzare a chi ha competenze  nel campo della psicanalisi ma, si, potrebbero esserci dei legami.

LS: La tradizione popolare sa molto bene che per difendersi dai vampiri è necessario tenere con sé dell’aglio o un qualche oggetto religioso. I crocefissi e l’acqua santa funzionano sul vampiro in maniera destabilizzante anche se non sono capaci di ucciderlo. Nel tuo saggio leggiamo che l’animosità del vampiro nei confronti della religione è dovuta dal fatto che il vampiro rappresenta la morte e la morte dopo la morte mentre la religione è in qualche modo un sistema di accettazione dell’idea della vita dopo la morte. Se la religione è intesa come una speranza, come un sostentamento, il vampirismo rappresenta la morte della morte. Al di là di questa spiegazione ideologica abbastanza ricercata c’è però storicamente o folkloricamente qualche riferimento al rapporto tra il vampiro e ad esempio i membri del clero? Ci sono delle letture che potresti consigliarci per indagare questo aspetto del vampirismo?

SB: Molti furono i teologi e religiosi che lasciarono propri documenti e testimonianze sul vampirismo. Tra i più ricordati vi è Dom Augustin Calmet, un religioso francese che cercò di dimostrare l’esistenza di queste mostruose creature. Tra XVII e XVIII secolo la credenza nel vampiro e la paura che ne conseguì portò la società ad un atteggiamento irrazionale: vennero violate un incredibile numero di sepolture, le tombe mostravano cadaveri rosei e sanguinolenti cui imputare epidemie o sventure. Si intensificò l’uso di piantare paletti nel petto dei morti sospetti. E’ qui che intervennero sia le forze di polizia che la Chiesa che vietò le esumazioni non autorizzate. Intervenne persino un Papa per smentire l’esistenza dei vampiri.

LS: Il vampiro rappresenta il mostro cattivo che distrugge e che annienta la vita e che soffre la vista di simboli religiosi, similmente a quanto succede con il Demonio. Il rapporto tra uomo e vampiro, ricalca in un certo senso il rapporto tra Dio-Satana, Bene-Male?

SB: Il rapporto che vi è tra uomo e vampiro dovrebbe essere quello tra vittima e carnefice ma l’uomo in quanto umano ha insito in se sia il bene che il male; il vampiro dovrebbe incarnare solo ciò che è malefico ma può mostrare avvolte anche un barlume di umanità sintomo della sua esistenza precedente. Quindi credo che alla fin fine siano simili.

LS: Ricordo di aver sentito dire o di aver letto che il vampiro può essere ucciso o almeno indebolito scagliandogli oggetti in argento addosso (ancor meglio negli occhi). Non trovo nessun riferimento a questo nel tuo saggio, ergo devo concludere che probabilmente devo sbagliarmi o devo essermi confuso con qualcos’altro. Puoi dirmi se è così o se invece c’è un fondo di verità?

SB: Diversi studi prendono in considerazione anche questa teoria solitamente più diffusa per i Licantropi, ma ho preferito riportare solo ciò che è più specificatamente inerente al vampirismo.

LS: Cosa ne pensi della recente saga di Twilight di Sthephie Meyer, trasposta anche in film? La conosci?

SB: Credo che negli ultimi anni stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione della figura del vampiro, in particolare appunto, con l’uscita nelle librerie di Twilight che ha dato il via a tutta una serie di cambiamenti cinematografici. Qui i vampiri non temono più la luce del sole, sono creature buone che rinnegano la loro natura malvagia, non si nutrono di sangue umano, non temono i simboli sacri. La differenza con i non-morti della tradizione, descritti dalle penne di Polidori e Bram Stoker, è più che evidente. I tempi cambiano e con essi le aspettative del pubblico moderno. A me continua a rimanere nel cuore la trasposizione che ne da F.F. Coppola ma devo dire che anche questa saga è interessante.

LS: Hai altri progetti in cantiere? Hai in mente di approfondire questa tua ricerca, già molto ben curata e tematicamente circoscritta, o piuttosto di dedicarti ad altre tematiche? Quali?

SB: Al momento ho in cantiere un altro saggio….follie e superstizioni…..

Ringrazio Serena Bono per avermi concesso questa intervista.

Lorenzo Spurio

 4 Agosto 2011

E’ SEVERAMENTE VIETATA LA RIPRODUZIONE DI STRALCI O DELL’INTERA INTERVISTA SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

Luto en la Monumental

Così titola il popolare quotidiano spagnolo Abc in riferimento all’ultima corrida sul territorio catalano, svoltasi domenica 25 settembre 2011 nella plaza de toros La Monumental di Barcellona.

Tra nostalgia per una festa perduta ed entusiasmo di moltitudini di persone per aver posto la parola “fine” a un complesso festivo basato su crudeltà ed efferatezza, da gennaio 2012 saranno vietate in tutto il territorio della Catalogna i festejos taurinos, tutti i complessi festivi e cerimoniali che impiegano il toro come attore della festa (encierros, corridas, novilladas e toros en la calle).

Di seguito alcune foto tratte dalla rete (quotidiani Abc, El Mundo, El Pais) dell’ultima tarde taurina de Catalunya:

Marco Nuzzo intervista Emanuele Marcuccio

Intervista a Emanuele Marcuccio

a cura di Marco Nuzzo

 

MN: Su invito di Gioia Lomasti, ho deciso di intervistare Emanuele Marcuccio, poeta, scrittore, aforista e collaboratore editoriale per Rupe Mutevole Edizioni, consigliere onorario per il sito “poesiaevita.com” e caporedattore per il blog “Vetrina delle Emozioni”.

Quando e come nasce il tuo desiderio di scrivere in versi?

EM: Il mio amore per la poesia nasce nel 1985, in prima media, grazie alle lezioni di italiano, tenute dalla prof.ssa di italiano, storia e geografia. Però, solo nel 1988, in quarta ginnasiale ho sentito il desiderio irrefrenabile di scrivere in versi, ma erano solo pasticci, solo esercizi, non erano poesie, scrivevo anche senza essere ispirato – grave errore – solo nell’aprile 1990 (in quinta ginnasiale) scrissi la prima poesia “La scuola è in alto mare”, in un gruppo artistico, durante il periodo delle occupazioni scolastiche, fu subito pubblicata nella bacheca della scuola e, per la prima volta mi chiamarono “poeta”; proprio questa poesia dà l’incipit alla mia raccolta Per una strada, pubblicata da SBC Edizioni nel 2009. Sono stato ben felice di inviarne una copia con dedica autografa alla cara prof.ssa delle medie, ormai in pensione, e non si riteneva degna della dedica.

MN: Cosa vuol dire, per te, fare Poesia e cosa non deve mai mancare in un tuo scritto?

EM: “Poesia” è una parola che deriva dal verbo greco “ποιέω” (poiéo), che significa “faccio”, “costruisco”, quindi, il poeta è colui che fa, costruisce (con le parole). La poesia è la più profonda forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni, anche se non si esprimono mai chiaramente ma, come trasfigurati; come ci insegna Ungaretti in una meravigliosa intervista del 1961, non si riuscirà mai ad esprimere appieno la propria anima. Poi, la poesia è anche musica, anzi, la precorre e la contiene in sé ed è la mia maniera di fare musica, infatti, amo molto la musica classica e molte mie poesie sono ispirate dall’ascolto di essa; anche se non scrivo in rima, eccettuate solo tre poesie, solo la rima spontanea contempla la mia poesia, dipoi, la musicalità e la fluidità del verso e, proprio queste ultime caratteristiche non devono mai mancare in un mio verso, oltre alla spontaneità di quello che io chiamo “il primo fuoco dell’ispirazione”.

MN: Come sono strutturate le tue opere? Utilizzi la metrica, la rima e/o delle figure retoriche particolari e perché?

EM: Nelle mie poesie non utilizzo la metrica, sarebbe troppo vincolata la mia ispirazione, sarebbe come ingabbiata, non mi sentirei libero di esprimermi, anche se il critico letterario e poeta Luciano Domenighini, in un breve saggio critico al mio Per una strada, rileva in alcune poesie delle forme di metrica spontanea, ovviamente nel senso di lasse e non di strofe che, non potranno mai essere spontanee. Recentemente sono stato ben felice di intervistarlo per il blog “Vetrina delle Emozioni”. Seguo una struttura su due fasi fin dal 1990: la prima fase è quella che io chiamo “il primo fuoco dell’ispirazione”, che può giungere in qualsiasi momento con l’affiorare alla mente dei primi versi, quindi, mi metto subito a scrivere in brutta copia su di un qualsiasi foglio o pezzo di carta e, mentre scrivo, penso i successivi versi da mettere sulla carta. Basti pensare che, il grande poeta Giuseppe Ungaretti usava appuntare le sue poesia anche in trincea utilizzando la carta che avvolgeva le cartucce. La seconda ed ultima fase si riferisce alla ricopiatura in bella copia con i vari aggiustamenti grammaticali e retorici, aggiungendo, a volte, anche dei nuovi versi o parole. In seguito, durante la correzione di bozze e in previsione della pubblicazione, potrei operare dei piccoli cambiamenti variando la posizione delle parole, sostituendo qualche parola, la disposizione dei versi, a volte anche gli “a capo”, perché, quello che cerco, oltre alla freschezza della spontaneità, che è la prima cosa, è la fluidità e la musicalità del verso, senza quasi mai usare la rima, servendomi di giochi fonetici delle consonanti e coloristici delle vocali giungendo in alcune poesie alla metrica spontanea, senza mai stravolgere il senso e l’ispirazione primigenia della poesia. E, volendo essere più preciso, da ca. due anni, dopo aver appuntato la poesia su un foglio di carta, non la ricopio subito sul quaderno, ma faccio passare anche una settimana mettendo il foglio in mezzo al quaderno, come se volessi farla “decantare”, anche se sono astemio. Uso le figure retoriche, anche se le uso in maniera spontanea, penso che nessun poeta possa mai prescindere dall’uso di almeno una figura retorica. La figura retorica che uso di più è l’enjambement, poi, mi piace molto l’anafora e indulgo spesso all’elisione, sempre per esigenze di fluidità del verso e musicalità. Penso che un verso in enjambement doni un grande respiro e maggiore fluidità al verso, piuttosto ché un semplice “a capo”. Non scrivo in rima per scelta, per me questa blocca o vincola l’ispirazione poetica, finora, su 131 poesie, ho scritto solo tre poesie interamente in rima e in rima libera. In altre poesie, se la rima raramente è presente, è solo spontanea.

MN: Quando scrivi, ti ispiri ad altri poeti o ricerchi una tua personalità, un tuo modo di poetare?

EM: In passato mi ispiravo ad altri poeti, dal 1990 al 1996 ca. Avevo bisogno di modelli da cui partire, ero molto influenzato dagli studi liceali, mi ispiravo a Foscolo, a Leopardi, a Petrarca, agli stilnovisti e ai lirici greci. Per quanto riguarda, Foscolo, Leopardi, Petrarca e gli stilnovisti, i riferimenti si possono ricondurre ai vocaboli utilizzati e non all’imitazione del loro stile e, nella poesia “Rammarico” ho cercato di rivisitare lo stile dei lirici greci, mentre, nella poesia “Amor” ho cercato di rivisitare lo stile degli stilnovisti, facendo ricorso alla rima e senza usare la metrica, con la riproposizione del tema della donna-angelo, tanto caro agli stilnovisti. Questa poesia rappresenta un unicum nella mia produzione poetica. Dal 1997 il mio stile abbandona sempre più questi modelli ricercando uno stile sempre più personale fino ad arrivare nell’agosto 2010 a scrivere una poesia priva di alcun segno di interpunzione, con la quale, credo si sia inaugurata la terza fase del mio percorso poetico. Pubblicata in un’antologia poetica di autori vari Frammenti ossei, edita da Limina Mentis Editore lo scorso maggio, ad appena nove mesi dalla sua scrittura.

Trascinarsi (21/8/2010)

Acciaio rovente

mi tempesta il cuore

e non mi fa vivere

Tremendo m’arroventa

smarrito il mio andare

e m’inabissa

vuoto

Tedio mi sovrasta

avanzo e mi fermo

e mi sommergo di ricordi

e mi sommerge in un abisso

MN: Ci parleresti del tuo Per una strada?

EM: Per una strada è la mia raccolta di poesie, edita dalla ravennate SBC Edizioni nel marzo 2009, è attualmente l’unica raccolta di poesie, conta ben 109 titoli e i temi sono molto variegati; sono le poesie che ho scritto tra il 1990 e il 2006. Sono sedici anni, con le mie sensazioni, con le mie emozioni, con le mie letture, con i miei studi, con le mie gioie, con i miei dolori, con le mie delusioni, con le mie nostalgie, con i miei rimpianti, con le mie ribellioni, con le mie rinunce, con i miei sbagli, con la mia indifferenza per il proprio dolore, un dolore ben più profondo di quello fisico, e mai per l’altrui e, con un silenzio tra il 2002 e il 2005. Per comodità possiamo dividere Per una strada in due parti: una grande prima parte che va dal ’90 al ’99 ed una seconda parte, più piccola, che va dal ’99 al 2006. Nella prima parte ci sono anche tre omaggi al grande poeta spagnolo Federico García Lorca, di cui ho cercato di imitare, in maniera personale, lo stile. Le tematiche di questa prima parte sono varie e particolareggiate, si va da poesie dedicate a grandi scrittori e poeti come, Vittorio Alfieri, Giacomo Leopardi, Leonardo Sciascia, Seneca; a episodi di libri, come ne “Lo squarcio nel cielo di carta”, ispirata ad un episodio de Il Fu Mattia Pascal di Pirandello, o a personaggi mitici della letteratura come in “Nausicaa”, “Oreste ad Elettra”, “Ad Astianatte”, “Amleto”, “Cirano di Bergerac”; a compositori come Chopin, Bartók, Prokof’ev, Saint-Saëns.

Si passa da tematiche introspettive come in “Malinconia”, “Indifferenza”, “Ricordo”, “Sogno”, “Desiderio improvviso”, “Stelle sul mare”, “Palermo”; a tematiche civili come ne “L’inquinamento”, “Pace”, “Albania”, “Massacro”, “Urlo”, quest’ultima scritta nel giorno del primo anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie e agli uomini della scorta. Si va da poesie dedicate alla visione di quadri come “Le mietitrici” di J. F. Millet, “Alla Gioconda” di Leonardo da Vinci; a poesie dedicate a personaggi storici come “Annibale”. C’è anche il tema religioso, come in “Perdono” e “Perdona!”. Per passare ufficialmente dalla prima alla seconda parte utilizzo la poesia “Veritiero ardir”, con la quale annuncio il mio cambiamento di stile, scritta nel 1999, all’indomani della notizia della prossima pubblicazione, in un’antologia, di 22 mie poesie; ma già in alcune della prima parte sono ravvisabili dei piccoli cambiamenti di stile come in “Istante di tempo”, “Urlo”, “Cime”, “Indifferenza”, “Palermo”, “Barbagianni”, “Sé e gli altri”, “L’orologio”, “Piccola ambulanza”, “Ultimi pensieri di un robot”, quest’ultima ispirata alla morte di Roy, dal film Blade Runner di Ridley Scott. Si ravvisano cambiamenti ancora più sostanziali anche in “Memoria del passato”, “Per una strada”, “Picchi di silenzio”, “Stelle sul mare”, “Desiderio improvviso”, “Fuoco”. Con mia grande sorpresa, come ho detto poc’anzi, grazie al critico Domenighini ho scoperto che, in alcune mie poesie c’è della metrica spontanea, come in “Canto d’amore”, “Il grillo col violino”, “Dolcemente i suoi capelli…”, tutte e tre appartenenti alla seconda parte. A partire dalla seconda parte, che copre indicativamente gli anni dal 1999 al 2006, il mio stile si fa più profondo e maturo, non più necessariamente legato a poeti specifici, tranne ne “Il grillo col violino”, in cui vi è ravvisabile il Pascoli nell’uso delle onomatopee e, in “Dolcemente i suoi capelli…”, un mio piccolo omaggio alla grande stagione della poesia italiana dei tempi passati. Una poesia ispiratami guardando di sfuggita il viso di una ragazza che, dolcemente giocava con i suoi capelli, facendone anelli con le dita, alla fermata dell’autobus ed io ero sull’autobus, è stato lo sguardo di un attimo fuggente. In questa seconda parte inizio a raggiungere il mio ideale poetico: la semplicità di espressione unita alla profondità di significato. Per quanto riguarda le tematiche di questa seconda parte, abbiamo la tematica civile, come in “Per i rifugiati”, “Verde, bianca, rossa terra”, quest’ultima ispirata ai vari episodi di violenza che, purtroppo avvengono in Italia e spesso compiuti da chi è chiamato a far rispettare la legge, ecco il perché di questo titolo così significativo.  Abbiamo la tematica introspettiva che, penso non debba mai mancare tra i temi delle poesie di qualsiasi poeta, come in “Canto d’amore”, “In volo”, “Là, dove il mare…”, quest’ultima, scaturita, a due mesi di distanza da una delusione amorosa, in cui c’è il desiderio di dimenticare, anche se permane il dolce ricordo di questo breve amore. Proprio per questa poesia nel luglio 2010 mi è stata assegnata una menzione d’onore al I premio internazionale d’arte “Europclub” Messina – Taormina 2010. Abbiamo il tema della dedica, come in “Fremere”, poesia dedicata a mio padre, mancato lo scorso gennaio, non vedente da quando avevo un anno; in cui ho cercato di immaginare quello che potrebbe provare un uomo che diventa non vedente. Abbiamo il tema degli episodi o personaggi di argomento letterario, come in “Veglia notturna di Hagen”, “Natasha”, quest’ultima dedicata alla figura di Natasha Rostova, ispiratami dalla lettura del romanzo classico di Tolstoj Guerra e pace, una lunga e impegnativa lettura di quasi 2000 pagine. Abbiamo il tema paesaggistico, come in “Primavera” e in “Paesaggio”, in quest’ultima vi è la descrizione di un paesaggio dell’anima e non di un paesaggio necessariamente reale. Abbiamo il tema religioso nella poesia “Accoglili nella Tua pace, Signore!”, che ho anche tradotto in inglese ed è stata pubblicata da un editore americano un anno prima della sua versione originale. Poesia ispiratami da un tragico avvenimento di cronaca locale, l’annegamento di due pescatori, avvenuto nel mare che costeggia la mia amata e martoriata Palermo, che tanta fonte d’ispirazione è per me. E, c’è una curiosità: la poesia “Affollamento e inutili affanni”, che conclude la raccolta, pensa che l’ho scritta in piedi su un autobus affollato.

MN: Come e quando cresce, in te, la voglia di pubblicare e perché? Perché questo titolo: Per una strada?

EM: Mi sono deciso a pubblicare per la prima volta nel 1999, infatti, ventidue poesie sono state editate nell’agosto 2000, nell’antologia di poesie e brevi racconti di autori vari Spiragli 47, dalla milanese Editrice Nuovi Autori. Mi sono deciso dopo i numerosi apprezzamenti da parte dei miei amici, parenti, conoscenti e, soprattutto da parte dei professori del liceo; tutti mi raccontavano che si emozionavano leggendo le mie poesie e questo voglio, che le mie poesie emozionino un sempre più vasto pubblico di lettori. Come scrivo in un mio aforisma “Il poeta cerca sempre di emozionare i suoi lettori, è questo il suo fine e, quando quelli capaci e nella sua stessa linea d’onda si accostano ai suoi versi, scatta la comunicazione e, di conseguenza, l’emozione e l’ascolto. La semplice lettura rimarrebbe lettera morta.”.  Per una strada, come ho già detto prima, è la mia raccolta di poesie, finora l’unica e, questo titolo ha un’origine davvero curiosa, ogni volta che lo racconto sembra un aneddoto, e invece è la pura verità. Un pomeriggio autunnale e novembrino del 1998, per strada c’erano gli alberi senza le fronde, un pomeriggio ombroso, ventoso e senza sole, che annunciava un temporale. D’improvviso mi raggiunse l’ispirazione e, non avendo null’altro su cui scrivere se non il retro di uno spiegazzato scontrino della spesa, presi la mia penna e vi appuntai subito questa poesia, da cui in seguito prenderò il titolo per la mia raccolta.

Per una strada (10/11/1998)

Per una strada senza fronde

si aggira furtivo e svelto

il nostro inconscio senso,

passa e non si ferma,

continua ad andar via

e non si sa dove mai sia.

Quando la scrissi, la misi pure da parte, mi sembravano quasi insignificanti quei versi, sfuggiva anche a me il suo significato profondo, in seguito capii che, quell’apparentemente semplice poesia nascondeva in sé l’essenza della mia stessa ispirazione, furtiva e svelta, che passa e vola via e, se non l’afferro e la trattengo nel mio cuore con i versi che metto sulla carta, passa e vola via e nessuno sa più dove mai sia. Poi, ho intitolato la mia raccolta Per una strada, proprio perché l’ispirazione, furtiva e svelta, mi ha raggiunto, la maggior parte delle volte, proprio per strada: camminando, sull’autobus, ecc… E c’è un’ultima motivazione, ben più profonda o, forse si tratta della motivazione ultima? Proprio per la presenza di quel “senza fronde”, che ha un significato proprio e metaforico al contempo; con quel “senza fronde” ho cercato di riassumere il sentimento di straniamento e di smarrimento dell’uomo contemporaneo, che si ritrova privo di valori e di qualcosa in cui credere, simile ad un albero in autunno, spogliato delle sue foglie. Sorge quindi il bisogno di aggrapparsi a qualcosa o a Qualcuno in cui credere, prima che anche le radici vengano strappate via dalla tempesta dell’inverno.

MN: Da alcuni anni, stai lavorando alla stesura di un poema drammatico. Un sentiero lungo e irto, basti pensare al Faust di Goethe, che impiegò una vita intera per esser scritto; un viaggio, il tuo, lungo il quale ben pochi si sono addentrati, una scelta stilistica notevole e affatto semplice, soprattutto se trasposta in un contesto lontano dal proprio, come può essere l’ambientazione stessa. Ci anticiperesti qualcosa del tuo poema drammatico? Perché questa scelta? Come mai l’ambientazione in una terra a noi lontana sia cronologicamente, che per usi e costumi quale è l’Islanda del IX secolo d.C.?

EM: Effettivamente, con mia grande sorpresa, il genere letterario del poema drammatico è stato affrontato ben poche volte in tutta la storia della letteratura. Si tratta di un testo teatrale, disposto in versi, di carattere drammatico e con un lieto fine, a differenza di una tragedia che, quasi sempre disposta in versi ma, priva di un lieto fine. Appunto, il Faust di Goethe è un poema drammatico, il più vasto e grande che sia mai stato scritto, Goethe vi si dedicò per sessant’anni, ne aveva solo ventitré quando iniziò a scriverlo e, pose la parola “Fine” un anno prima di morire. Io – devo correggerti – sono quasi vent’anni che mi dedico al mio e, sono quasi alle battute finali, mi manca di terminare di scrivere il quinto e ultimo atto e dare una revisione finale a quasi tutto il terzo e al quarto atto. Ho trovato solo due esempi contemporanei di poema drammatico: uno in tre atti Nausicaa del 2002, del poeta, mio conterraneo, Giuseppe Conte e, uno in un atto Il libro di Ipazia del 1978, di Mario Luzi, il grande poeta scomparso nel 2005. Anche nella storia della letteratura, come ho detto prima, il genere è stato frequentato poche volte: ricordiamo il Peer Gynt, del grande drammaturgo norvegese del XIX sec. Heryk Ibsen e, il Manfred, del grande poeta del romanticismo inglese George Gordon Byron, poi, che io sappia e, da quanto ho potuto sapere, non ci sono altri casi. Proprio durante la lettura del Peer Gynt di Ibsen ho deciso di definire il mio scritto “Poema drammatico”, all’inizio lo definivo “Tragedia storico-fantasiosa” ma, le tragedie non hanno un lieto fine e io non vorrei farlo terminare in tragedia, così, ho deciso di cambiare e stavo terminando di scrivere il terzo atto. Il mio poema drammatico l’ho intitolato Ingólfur Arnarson, è in un proemio e cinque atti. Lo sto scrivendo fin dal 1990, ovviamente non è in rima, ambientato al tempo della colonizzazione dell’Islanda, di argomento storico-fantastico. L’ambientazione è storica ma, la trama è fantastica, l’unico personaggio storico-leggendario è Ingólfur che, non è neanche sicuro se sia mai esistito, le notizie sulla sua vita sono solo leggendarie e, ancor più il suo approdo in Islanda; ecco perché ho scelto questo tempo, avvolto da leggende e lontano, il IX sec. d.C. avendo così modo di sbizzarrire la mia fantasia. Gli altri personaggi sono interamente frutto della mia fantasia, ricavandone i nomi dall’islandese, anche i cognomi sono immaginari e ricalcano stilemi che ricordano il norvegese; preciso che, non conosco né l’islandese, né il norvegese, semplicemente, mi sono documentato sui nomi e la pronuncia, ovviamente, gli indigeni, che si incontreranno dal secondo atto in poi, non hanno cognome e, anche la loro presenza è del tutto fantasiosa. Ho anche creato una distinzione tra, i vichinghi, che chiamo “barbari”, in quanto non civilizzati ed i normanni civilizzati (i norreni), gli antichi colonizzatori dell’Islanda; non ho voluto impelagarmi con il paganesimo e tutte le sue conseguenze, infatti, ho immaginato i personaggi, contro ogni criterio storico, come dei pagani non credenti e per questo li chiamo “normanni” e non “vichinghi”, che, invece, sono pagani credenti e pirati e sanguinari violenti. Mi sono innamorato dei meravigliosi paesaggi islandesi, pur non essendoci mai stato e vedendoli solo in fotografia, su un opuscolo turistico inglese, regalatomi in quinta ginnasiale, che conservo gelosamente, tanto da avermi ispirato la scrittura di un poema drammatico, ambientato appunto in Islanda. Dici bene, scrivere un poema drammatico richiede uno sforzo immenso e, qualcuno mi ha detto che mi sono imbarcato in un’impresa titanica e, anche adesso, pur essendo quasi alla fine, mi sento di darvi ragione: ho quasi un senso di vertigine e paura di essermi spinto forse al di là delle mie forze creative. Pensa, un caro amico compositore, dopo aver letto il proemio e un paio di scene del primo atto (una tempesta, una battaglia e un monologo), ha deciso di scrivere le musiche di scena per questo mio poema drammatico. Attualmente sta scrivendo una prima bozza di pot-pourri dei brani che saranno poi inseriti, come musiche per i vari atti e, pensa, anche il suo maestro di composizione gli ha dato il suo parere favorevole. Preciso, si tratta di musiche di scena in senso proprio, non di un’opera lirica, magari, in futuro potrebbe pensarci un altro compositore. La poesia fa parte del mio essere, la prosa non è nelle mie corde (preferisco leggerla), non riuscirei mai a scrivere un racconto, né un romanzo, ecco perché ho scelto il teatro e un poema drammatico per cercare di esprimere la mia vena narrativa e, al contempo, continuare a cercare di esprimere la poesia che il cuore mi detta. Con la scrittura di questo poema non ho voluto conformarmi alla spontaneità, alla facilità dell’immediatezza espressiva, come ho fatto di solito con le mie poesie; la spontaneità rimane però la prima idea, il primo fuoco dell’ispirazione che, negli anni ha subito vari ripensamenti e successive modifiche formali. La spontaneità rimane perché ho sempre atteso l’ispirazione per scriverlo, non mi sono mai seduto a tavolino e – adesso scrivo – e sono passati più di vent’anni da quel primo abbozzo in prosa del 1989, del solo primo atto, abbozzo in prosa ormai perduto. Poi,dal 1990 trasposto in versi aggiungendo il proemio e proseguendo di seguito direttamente in versi, senza prima abbozzare in prosa gli altri quattro atti.

MN: Emanuele Marcuccio è anche aforista; quanti aforismi hai scritto ad oggi?

EM: Sì, dal 1991 ho scritto ottantuno aforismi e quattro sono stati pubblicati lo scorso dicembre nell’antologia del premio internazionale per l’aforisma Torino in Sintesi, II edizione – 2010, edita da Joker Edizioni. Le tematiche principali di questi aforismi riguardano la vita, l’amore e la poesia. Di questi miei aforismi, ne voglio citare uno dei quattro editi: «Solo al momento della morte, questo nostro orologio sconnesso della vita darà l’ora esatta.».

MN: Un lavoro a tutto tondo, dunque, che si completa con la collaborazione editoriale per una casa editrice e, per diversi siti e blog letterari, con la partecipazione a concorsi di poesia con non pochi risultati. Ce ne parleresti più approfonditamente?

EM: Sì, io che ho penato quasi dieci anni per poter pubblicare il mio libro (il titolo di “Per una strada” lo avevo pensato fin dal 1999), sono stato ben felice e molto meravigliato di ricevere il 9 giugno dell’anno scorso una proposta di collaborazione editoriale da parte di una casa editrice diversa da SBC Edizioni. Con Rupe Mutevole nel giugno 2009 avevo pubblicato due mie poesie inedite nell’antologia Poesia e Vita, scritte successivamente alla stesura della mia raccolta Per una strada, con queste due poesie, nel mio piccolo, ho contribuito, insieme ad altri 49 autori, nell’aiutare il piccolo Emanuele Lo Bue che, da anni versa in uno stato di coma neurovegetativo. Ci tengo a ringraziare qui la cara amica poetessa Gioia Lomasti, promotrice e organizzatrice di questa lodevolissima iniziativa di solidarietà e, proprio lei ha proposto il mio nome all’editore, dapprima come autore e poi come collaboratore editoriale. Così, a novembre 2010 è uscita la prima raccolta di poesie a mia cura e, sono stato ben felice di curarne anche la prefazione; l’autrice è la stessa Maristella Angeli che, a fine agosto ho intervistato per il blog “Vetrina delle Emozioni”, la raccolta in questione è Il mondo sottosopra, la sua quinta raccolta. Lo scorso febbraio, invece, è uscita proprio la tua, sempre a mia cura e, con una mia nota di commento a pag. 7, era la tua Non ti piacerei, vestito dell’inverno appena trascorso. E un’anticipazione: massimo entro dicembre prossimo uscirà la terza raccolta a mia cura, di cui ho curato anche la prefazione e, per espresso desiderio dell’autrice, posso anticipare soltanto il titolo: Petali d’acciaio. E il 15 settembre scorso ho scritto questo poetico augurio, così, di getto… in omaggio a tutti gli autori, specialmente quelli pubblicati a mia cura, specialmente quelli di cui ho curato l’intervista.

Che il viaggio fantastico verso lidi

inesplorati cominci,

che tanti lettori faccia sognare…

Viaggiate autori, sognate,

veleggiate, verso lidi inesplorati, credete

credete nei vostri sogni,

non desistete,

non arrendetevi… !

Poi, mi chiedevi dei premi che ho ricevuto… sì, due menzioni d’onore in due concorsi internazionali. La prima nell’aprile 2003 per la lirica “Dolce sogno” al Concorso internazionale di poesia “Città di Salerno”, organizzato dall’associazione culturale “La Tavolozza”. E della seconda ne ho già parlato, nel luglio 2010 per la lirica “Là, dove il mare…” al I premio internazionale d’arte “Europclub” Messina – Taormina 2010.

MN: Preferisci la poesia o la prosa?

EM: Decisamente preferisco la poesia, la prosa preferisco solo leggerla. Come ho detto prima, la poesia è la più profonda forma di comunicazione verbale mai creata dall’uomo per esprimere i più reconditi sentimenti umani, le più profonde emozioni; la poesia riesce ad emozionare, etimologicamente parlando, riesce a portare allo scoperto (l’anima), come scrivo in una mia poesia, riesce a portare allo scoperto “l’obliato proprio sé fanciullo”. La poesia riesce a far conoscere se stessi, riesce ad interrogarci, riesce a farci riflettere, riesce ad emozionarci, riesce a rendere l’ordinario straordinario e, in qualche maniera, anche a migliorarci, a renderci più sensibili nei confronti degli altri. La poesia, infatti, è piacere per gli occhi e per il cuore, qualcosa che ci meraviglia e ci colma d’interesse, che ci spinge a ricercar nuovi lidi, dove far approdare questo nostro inquieto nocchiero che è il nostro cuore. La poesia si nutre di sogni e il poeta non è solo un cultore di sogni ma, sogna, si emoziona e si meraviglia lui stesso; spesso vorrebbe perdersi in quei sogni ma, deve ritornare alla realtà, alla dura realtà, che usa come filtro e come ancora per non annegare nei suoi stessi sogni. La poesia si nutre anche di musicalità, di armonia tra le parole, senza necessariamente fare uso della metrica o della rima. Con tutto il rispetto, la narrativa e la prosa in genere preferisco leggerla e non scriverla ma, anche in questa possiamo trovare della poesia. Però, con la scrittura del mio poema drammatico ho cercato di fondere le due cose in un tutt’uno, ho cercato di scrivere una storia servendomi dell’amata poesia e del teatro e, il teatro, si presta molto a questo genere di connubi, solo così potevo esprimere la mia vena narrativa. Infatti, sulla scorta dei grandi poemi del passato, ho inserito una voce narrante (fuori scena) che, ogni tanto si fa sentire nel corso del poema, questa voce fuori scena rappresenta l’io narrante del poeta, non ho potuto proprio farne a meno. Come scrivo in un mio aforisma “Un poeta non deve mai lasciarsi condizionare dal marketing, dal consumismo o dalle mode del tempo, la sua ispirazione non sarebbe più spontanea e sincera, deve bensì lasciar parlare la propria anima, senza alcun condizionamento.”. Quindi, nessuno può dirmi di scrivere un romanzo, perché così ci sarebbero più lettori ma, mancherebbe la cosa più importante: l’ispirazione. In fondo, la mia risposta al genere del romanzo è il poema drammatico, certamente di gran lunga più impegnativo ma, per me l’unica possibile. E, non è proprio per il poema drammatico che mi hai definito anche scrittore?

MN: Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano? Cosa miglioreresti al suo interno e in che modo?

EM: Cito un altro mio aforisma: “Non lasciamo che il mercato sia deciso dai vari lettori di illetteratura che, purtroppo, sono la maggioranza, bisogna che ci siano dei lettori colti e critici, capaci di fare delle scelte di cultura nelle proprie letture. La figura dell’autore, che, prima di tutto deve essere un lettore critico e colto, è l’ideale.”. Sì, se io fossi un editore, vorrei che il comitato editoriale sia formato da altrettanti autori; solo un autorevole comitato editoriale, presente in ogni casa editrice, può dare una svolta all’attuale andazzo editoriale, in cui si dà maggior risalto all’illetteratura e, si mettono in una nicchia opere davvero meritevoli e di valenza letteraria. Proprio per questo motivo la critica letteraria agli autori contemporanei è sempre più in declino, come recentemente ha lamentato Cesare Segre. Ogni tanto si sente di qualche critico letterario che ha scritto sull’opera di un autore sconosciuto al grande pubblico, alla grande editoria ma che, non a caso ha attirato la sua attenzione. Sono i libri di valenza letteraria che fanno la letteratura e alcuni diventano dei classici, il futuro non è dei best-seller e dei libri, preconfezionati ad hoc per un certo tipo di lettori, di qua a cinquant’anni cadranno nel dimenticatoio.

MN: E cosa pensi della cultura nel nostro Paese? Ritieni che i media possano in qualche modo influenzare la cultura e, se sì, come?

EM: Credo che oggigiorno si faccia tanta confusione, la cultura non è semplice intrattenimento, ma è capace di lanciare un messaggio che porti alla riflessione, che porti a conoscere, senza mai smettere di riflettere, perché, proprio la riflessione genera cultura. I mass-media, se la cosa interessasse davvero, potrebbero avvicinare alla cultura, soprattutto la televisione, quella che potrebbe maggiormente influenzare la cultura, quella a cui paghiamo un canone annuale, che ci propina programmi da semplice intrattenimento, mettendo in una nicchia, in orari tardi e proibitivi programmi di indubbio valore culturale. Recentemente c’è stato un minimo cambiamento con il proporre il teatro in prima serata, ma, una rondine non fa primavera.

MN: La poesia che, in qualche modo, ti ha più influenzato? Mi spiego meglio: qual è la poesia che, per un motivo o per l’altro, avresti voluto scrivere e per quale motivo?

EM: Leopardi è il mio poeta preferito, non certo per il sistema del suo pessimismo cosmico ma per l’infinita e meravigliosa musicalità dei suoi versi. Quanto mi ha ispirato la musica dei suoi versi e, “L’infinito” è la poesia che preferisco più di tutte, non solo per i suoi versi infinitamente pieni di musicalità, ma perché la vedo come un’oasi di speranza lungo il deserto del suo pessimismo cosmico: “Così tra questa / immensità s’annega il pensier mio / e il naufragar m’è dolce in questo mare.”. Pensa, che in una mia poesia giovanile del 1991 ho cercato di imitare la musica di questi versi immensi cambiando le parole, cito dalla mia raccolta Per una strada: “Così, tra questi versi immensi / gioisce l’animo mio, / e l’ondeggiar / mi molce e m’accarezza.”.

MN: Alcune tue poesie sono state tradotte anche in lingua inglese e dialetto siciliano. Ce ne parleresti?

EM: Veramente sono stato io stesso a tradurre quattro mie poesie in inglese e una di queste mie traduzioni, quella dell’allora inedita “Accoglili nella tua pace, Signore!”, nel maggio 2008 è stata pubblicata nell’antologia poetica di autori vari Collected whispers, da Howard Ely Editor, Owings Mills, USA, dunque, quasi un anno prima della versione originale, edita nella mia raccolta Per una strada. In queste traduzioni ho cercato di ricreare in qualche modo la musicalità della versione originale, ho scelto attentamente i suoni di quelle parole, senza badare a particolari questioni linguistiche. In un certo senso avviene una ricreazione della stessa poesia ma, quello che più importa, è che si senta la poesia, che si ascolti la sua voce, che permanga il suo spirito, anche se l’abito è cambiato. E proprio questo ho cercato nel tradurre una mia poesia in inglese. Mentre, per quanto riguarda quella tradotta in vernacolo siciliano, si tratta della mia edita e premiata “Là, dove il mare…”, tradotta con grande maestria dall’amico poeta e commediografo Alessio Patti, della quale ha creato anche un video molto suggestivo ed emozionante. Proprio dalla visione di questo video e, durante la lettura ad alta voce della traduzione in siciliano della mia poesia, mi ha raggiunto l’ispirazione e ho scritto, dopo 125 poesie in italiano, la mia prima e, attualmente unica poesia in vernacolo siciliano “Munnu crudili”, pubblicata lo scorso aprile nell’antologia poetica di autori vari La biblioteca d’oro – Poesie in siciliano, da Unibook, a quasi cinque mesi dalla sua scrittura. A proposito di vernacolo siciliano, in realtà bisogna parlare di lingua siciliana, leggo un brano dalla prefazione, scritta dalla poetessa Santina Russo, curatrice di questa antologia: «La lingua siciliana, troppo spesso declassata da molti a “dialetto” è, in realtà, una lingua a tutti gli effetti. Molti filologi ed anche l’organizzazione Ethnologue, descrivono il siciliano come “abbastanza distinto dall’italiano tipico tanto da poter essere considerato un idioma separato”, come risulta anche confrontando il lessico, la fonologia, la morfologia delle due varietà linguistiche. Peraltro, il siciliano non è una lingua derivata dall’italiano, ma, al pari di questo, direttamente dal latino. La lingua siciliana esiste da centinaia d’anni, la tradizione poetica siciliana nasce con la corte federiciana nel XIII secolo e fioriscono da allora illustri poeti e cantori in siciliano aulico che costituiscono tuttora modelli per un’eventuale canonizzazione della lingua poetica siciliana scritta. […] È doveroso, a tal proposito, specificare che non esiste attualmente una canonizzazione condivisa della lingua siciliana, soprattutto a livello orale, dove sono evidenti le differenze fonologiche, morfologiche e lessicali da una zona all’altra della Sicilia. Diverso, il discorso per la lingua scritta, per la quale esiste una tradizione secolare alla quale poter far riferimento per una produzione poetica siciliana a regola d’arte.». E già Dante gli aveva dato dignità di lingua nel suo De vulgari eloquentia, leggo: «E per prima cosa facciamo un esame mentale a proposito del siciliano, poiché vediamo che il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell’isola hanno cantato con solennità. […] Il volgare siciliano, a volerlo prendere come suona in bocca ai nativi dell’isola di estrazione media (ed è evidentemente da loro che bisogna ricavare il giudizio), non merita assolutamente l’onore di essere preferito agli altri, perché non si può pronunciarlo senza una certa lentezza… Se invece lo vogliamo assumere nella forma in cui sgorga dalle labbra dei siciliani più insigni… non differisce in nulla dal volgare più degno di lode.».

MN: Quali sono le tue letture? Hai un genere che preferisci su tutti? Perché?

EM: Sì, il mio genere preferito sono i classici della letteratura, proprio perché la letteratura dà voce ai sogni dell’umanità, ai suoi dolori, alle sue speranze e, leggere un classico significa immergersi in un mondo lontano ma allo stesso tempo vicino ai nostri sogni, alle nostre speranze, ai nostri dolori. E, citando un mio aforisma “Se si legge un classico, si va sul sicuro e si evitano delusioni. Perché un classico nasconde in sé tutto un mondo da scoprire, e quel mondo ci assomiglia.”.

MN: E le letture che non leggeresti mai? Per quale motivo?

EM: I romanzi horror e i romanzi rosa: non amo spaventarmi inutilmente e non amo le storie troppo sentimentali.

MN: Cosa spinge, secondo il tuo parere, uno scrittore o un poeta a scrivere e susseguentemente a pubblicare le proprie opere?

EM: Se è un vero scrittore e non un cercatore di facili guadagni, penso che lo spinga a scrivere la voglia di conoscere se stesso, di tirar fuori quello che ha celato in sé. Come scrive Proust ne Il tempo ritrovato “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.”.

Sì, scriviamo di una realtà come trasfigurata e, nel contempo cerchiamo di porgere al lettore una speciale lente di ingrandimento, che trasfiguri e ingrandisca allo stesso tempo.

MN: Pensi sia importante il confronto con altri autori?

EM: Per me è molto importante il confronto con altri autori, specialmente quando trovo dei punti di contatto con il mio modo di scrivere e di poetare. Su internet sto conoscendo tanti poeti in maniera virtuale e, uno l’ho conosciuto dal vivo ad una presentazione del suo libro di poesie, invitato da lui stesso. Penso che tra colleghi poeti, scrittori, drammaturghi e artisti in genere si debba instaurare un rapporto di rispetto e di stima reciproca e mai di concorrenza, mai avere la presunzione di possedere la verità, purtroppo, questo raramente accade; a questa presentazione, a cui sono stato invitato dallo stesso autore, c’ero solo io tra il pubblico, come autore, gli altri erano tutti lettori e, molto lodevole e nobile, da parte sua, l’avermi ringraziato pubblicamente della mia presenza ed alla fine ci siamo scambiati i nostri rispettivi libri con autografo.

MN: Vuoi anticiparci qualcosa riguardo ai tuoi prossimi lavori e/o progetti?

EM: Oltre al poema drammatico, di cui abbiamo parlato ampiamente e, anticipo che sarà pubblicato in due volumi: il primo volume conterrà i primi due atti ed uscirà molto probabilmente entro il 2012. Poi, ho in preparazione una seconda raccolta di poesie, che ho intitolato Anima di poesia, dal titolo una mia inedita poesia, pensa, questa poesia l’avevo messa pure da parte, come avevo fatto con “Per una strada”, la poesia che ha dato il titolo alla mia prima raccolta. Con la differenza che, “Anima di poesia” non l’ho appuntata dapprima sul retro di uno scontrino della spesa ma, su un semplice foglio di carta. Ho deciso di dedicare tutta la raccolta alla memoria del mio caro papà, mancato il 25 gennaio scorso… E, spero di intervistare tanti altri autori per il blog “Vetrina delle Emozioni” e di curare la pubblicazione di altrettanti libri di poesie.

MN: Grazie per la tua disponibilità, Emanuele e, ad maiora!

EM: A te Marco, semper, è stata una piacevole conversazione!

A cura di Marco Nuzzo                                                                

21 settembre 2011

INTERVISTA PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE. E’ SEVERAMENTE VIETATO PUBBLICARE PARTI O L’INTERA INTERVISTA SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE.

Pastorale Americana di Philip Roth

Pastorale Americana di PHILIP ROTH

Torino, Einaudi,  2005, pp. 425

ISBN:9788806174118

Recensione a cura di Francesca Mazzucato

Pastorale americanaRileggere Pastorale Americana. Dopo qualche anno. Ritrovare il capolavoro, il libro che contiene tutto. E’ stata una delle cose più belle che ho fatto in questi giorni, insieme al rito consueto di scendere al mare alla sera, col mio compagno. Pastorale Americana di Philip Roth è uscito l’anno scorso nei tascabili Einaudi, ed è attualmente disponibile su IBS, qui,  a 7 euro e 70. Niente. Un regalo. Già il libro è un regalo, poterlo avere a un prezzo simile è davvero un’occasione da non perdere. E’ la storia dello Svedese, Seymour Levov, ebreo, sportivo eccellente, ottimo imprenditore, tutto intriso del sogno americano, desideroso di farne parte, smussando gli angoli, eliminando ogni distonia, rifuggendo dalle sbavature, rispettoso, marito e padre felice. E’ la storia dello Svedese ma anche di tanti ebrei americani, e non solo ebrei, che hanno condiviso e creduto in quel sogno, che è stato anche il sogno di una vita carica di possibilità, priva di incertezze, di cadute, o costellata di quei piccoli errori ai quali è sempre possibile porre rimedio. Un sogno che, nel caso di Seymour Levov viene letteralmente “frantumato” da una bomba, da altre bombe. Una bomba reale, che la figlia amatissima (forse troppo amata) Merry, una volta adolescente, utilizza per far saltare un emporio e un ufficio postale, incollerita, devastata dalla Storia che non è, non lo è mai, solo ordine, prosperità, qualcosa di preciso e nitido, che si può governare, che scivola senza incrinature. Merry sarà la colossale distonia nella vita dello Svedese. E Roth ci racconta quest’epica che si allarga, che pagina dopo pagina diventa ora narrazione pura , ora inarrestabile flusso di coscienza, ora parodia incredibile (feroce ed esilarante la riunione degli ex compagni di scuola ormai vecchi), ora trattato filosofico, ora amara riflessione sulla vita, e ancora dramma, elegia, grottesco. Roth ricostruisce la Storia dell’ ex sportivo mitizzato da tutti gli amici, dell’abilissimo imprenditore, del marito orgoglioso di Miss New Jersey( la moglie Dawn, personaggio femminile indimenticabile, che alleva vacche, si fa un lifting a Ginevra, si fa scopare dall’amante china sul lavandino, rinnega il passato e la bella casa dove si era dipanata l’illusione di felicità), ricostruisce la Storia( e la maiuscola è d’obbligo essendo in realtà un puzzle di storie a comporre una Storia condivisa e condivisibile dove tutti, come in un gioco di specchi, ci riconosceremo, troveremo tratti , fisionomie, comportamenti, attese, mascheramenti e mistificazioni che conosciamo) con un meccanismo letterario di scomposizione e di evocazione. L’avvicinamento al tema, attraverso i ricordi e lo sport. Il baseball. Il basket. In qualche modo un topos fondamentale di ogni grande romanzo americano:”Lo svedese brillava come estremo nel football, pivot nel basket e prima base nel baseball.Soltanto la squadra di basket combinò qualcosa di buono ( vincendo per due volte il campionato cittadino con lui come marcatore principale), ma per tutto il tempo in cui eccelse lo Svedese il destino delle nostre squadre sportive non ebbe troppa importanza per una massa studentesca i cui progenitori- in gran parte poco istruiti ma molto carichi di preoccupazioni- veneravano il primato accademico più di ogni altra cosa….Ciononostante, grazie allo Svedese, il quartiere cominciò a fantasticare su se stesso e sul resto del mondo, così come fantastica il tifoso di ogni paese…L’assunzione di Levov Lo Svedese a domestico Apollo degli ebrei di Weequahic si può spiegare meglio, credo, con la guerra contro i tedeschi e i giapponesi e le paure che essa generò. Con lo Svedese che furoreggiava sul campo da gioco, l’insensata superficie della vita forniva una specie di bizzarro, illusorio sostentamento, il felice abbandono a una svedesiana innocenza, per coloro che vivevano nella paura di non rivedere mai più i figli, i fratelli o i mariti.” Questo lo leggiamo nelle primissime pagine. Non è un romanzo che richiede tempo o pazienza al lettore per entrare dentro davvero nella narrazione. Richiede coraggio. Il coraggio che richiedono i grandi libri, abbandonarsi, non sfuggire pagine che sembrano costeggiare o solo avvicinare il tema principale, pagine che paiono solo digressioni, ma sono funzionali e talvolta rivelatrici preziosissime della trama della storia e del suo intreccio che si disfa e si ricompone, continuamente,  ondulatorio, simile al procedere e arretrare delle onde ( fra schiuma, alghe e detriti),senza tregua, senza assoluzione, senza senso, molto spesso, o con un senso aleatorio, volatile, dai colori d’arcobaleno, un senso che, quando pensi di averlo afferrato è già volato via e ti lascia silenzioso e interdetto. C’è un’ironia straordinaria in queste pagine di Roth che richiama l’ironia dell’ Ulisse di Joyce, naturalmente con il timbro personalissimo dell’autore, filtrato come in altri romanzi dal suo alter ego letterario Nathan Zuckerman:” Ma lo spirito o l’ironia per un ragazzo come lo Svedese, sono solo intoppi al suo passo spedito: l’ironia è una consolazione della quale non hai proprio bisogno quando tutti ti considerano un dio. Oppure c’era tutto un lato della sua personalità che lo Svedese nascondeva, o questa cosa era ancora in embrione, o, più verosimilmente, mancava. Il suo distacco, la sua apparente passività come oggetto di desiderio di tutto questo amore asessuato, lo facevano apparire, se non divino, di molte spanne al di sopra della primordiale umanità di quasi tutti gli altri frequentatori della scuola. Era incatenato alla storia, era uno strumento della storia…” E’ un libro carico di compassione, autentica compassione umana, non compassione idiota, che non vede, ma occhio e parole che vibrano di fronte alle debolezze umane. Straordinario il pezzo nella fabbrica dei guanti, quando lo Svedese racconta nei dettagli la storia delle concerie e di come suo padre prima e poi lui hanno saputo ingrandirsi, e lo racconta  a una sorta di “piccola carnefice”, a una persona che è l’interlocutrice completamente sbagliata, una delle maschere funebri che il destino indossa per far crollare le nostre certezze, le nostre passioni, la nostra dedizione, le basi che credevamo granitiche e che sono in realtà fangose e scricchiolanti della nostra personalità, di quell’illusione di “io ” stabile. Rileggetelo cogliendo l’occasione dell’edizione economica, ottima da tenere in borsa o in tasca. Oppure, se non l’avete mai letto, avvicinatevi a questo romanzo straordinario. “Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna., e ancora meno per l’impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l’impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l’incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti.” Roth è scrittore che vive appartato, che è consapevole delle rinunce che richiede il suo lavoro. Anche in questo caso si inserisce in una tradizione di scrittori americani che hanno scelto un volontario isolamento per dedicarsi al loro lavoro lontani dalle continue seduzioni mediatiche. Tutti i suoi lavori meritano attenzione,  in particolareLamento di Portnoy,  Zuckerman scatenato e Zuckerman incatenato, La controvita. In Pastorale americanaoltre a una narrazione che non riuscirete a dimenticare, troverete un’analisi dell’America, attualissima, sociologica ma anche psicologica che non si lascia sfuggire, pur focalizzandosi su un preciso momento storico, le pieghe, gli anfratti, i vicoli oscuri, le case borghesi, le stanche ritualità sociali che perpetuiamo per noia, le passioni incomprensibili, il lato oscuro. Ecco, il lato oscuro. Del singolo e della vita. Parla solo di questo, in fondo.

Philip Roth sul web(una piccolissima selezione)

http://orgs.tamu-commerce.edu/rothsoc/

http://www.zam.it/home.php?id_autore=80

http://www.dazereader.com/philiproth.htm

http://www.scaruffi.com/writers/roth.html

FRANCESCA MAZZUCATO

RECENSIONE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. LA DIFFUSIONE DI PARTI O DELL’INTERA RECENSIONE E’ SENZA PERMESSO DELL’AUTRICE E’ SEVERAMENTE VIETATA.

La Monumental chiude i battenti. Ultima corrida a Barcellona.

Articolo di Lorenzo Spurio

Tra pochi giorni la corrida in Catalogna diventerà una chimera. Si celebrerà questo fine settimana, infatti, l’ultimo festejo taurino a La Monumental. Il parlamento catalano ha approvato, infatti, il 28 giugno 2010 con 68 voti a favore, 55 contrari e 9 astenuti la proibizione delle corride in tutta la Catalogna a partire dal 1 gennaio 2012.

Nel cartello dell’evento per l’ultima corrida, disegnato da Miquel Barceló, si vede un toro in primo piano, clamorosamente fuori dal coso, dall’arena, e gli spalti dell’arena dipinti con una tecnica pittorica a pennellate veloci, vuoti e desolati. Un’immagine che non ha mancato di destare stupore e generare polemiche dato la sua marcata austerità e l’uso di tinte cromatiche troppo scure.

L’ultima corrida si celebrerà domenica 25 settembre nella plaza de toros La Monumental a Barcellona e l’evento avverà in concomitanza con la Fiesta de la Merced (Mercè), patrona della città. Torereanno Juan Mora, Serafín Marin e il famoso José Tomás che in varie interviste si è detto onorato ed emozionato per la sua presenza nella ultima corrida della storia in Catalogna. Così andrà in scena l’ultima manifestazione di una pratica antichissima, frutto della cultura della tauromachia e dell’identità spagnola (malvista dai nazionalisti catalani).

Javier Villán, spietato critico taurino, nel suo libro Liturgia del dolor ha scritto: “A Barcellona, i pochi aficionados rimasti vivono in una situazione di clandestinità terminale […] La colpa della decadenza della corrida a Barcellona non è solo del nazionalismo antispagnolo; ma anche di una cattiva gestione imprenditoriale e di una passione popolare indolente, che ha lasciato passare ogni tipo di abuso, soprattutto la mancanza di rispetto verso il toro. E la critica taurina è inesistente. L’arena è per turisti, per ragazze svedesi. Davanti a una passione più vigorosa e a una fiesta più combattiva, il nazionalismo avrebbe potuto far poco”.

Fonti:

Cicala, Marco, “L’ultima corrida a Barcellona”, La Repubblica, 2 ottobre 2009.

Pita, Elena, “Quién de más por la Monumental?”, El Mundo, 20 de septiembre de 2011.

Sesé, Teresa, “El cartel de la última corrida en Barcelona causa furor”,  La Vanguardia, 21 de septiembre de 2011.

“Agotadas las localidades para ver a José Tomás este domingo en la Monumental”, La Vanguardia, 20 de septiembre de 2011.

“José Tómas, emocionado pero apenado ante su última corrida en Cataluña”, Abc, 20 de septiembre de 2011.

“Miquel Barceló pinta el cartel del último festejo taurino en la Monumental”, La Vanguardia, 16 de septiembre de 2011.

“Miquel Barceló presenta el cartel de la última corrida de toros en Barcelona”, Libertad Digital, 16 de septiembre de 2011.

LORENZO SPURIO

21-09-2011

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La caduta, gli ultimi giorni di Hitler (2004)

La Caduta. Gli ultimi giorni di Hitler (2004)

Titolo originale: Der Untergang

Regia di Oliver Hirschbiegel

Paese: Germania

Il film affronta l’assedio dei russi a Berlino e gli ultimi momenti della vita di Hitler, prima di suicidarsi assieme a Eva Braun nel suo bunker berlinese. Le vicende messe in scena sono basate sul testo Inside Hitler’s Bunker: The Last Days of the Third Reich scritto dallo storiografo Joachim Fest (1926-2006).

Siamo nel 1945. Il film inizia con il racconto di una donna anziana, Traudl Junge, che fu la segretaria di Hitler, benché non fosse fervente nazionalsocialista.  Traudl ripercorre a ritroso il suo arrivo a Berlino, la sua assunzione come collaboratrice di Hitler e il suo lavoro da segretaria nel bunker berlinese.

Berlino è attaccata dai russi che utilizzano l’artiglieria e bersagliano la porta di Brandeburgo e il Reichstag; i russi sono a soli dodici km di distanza dalla capitale.

Il Führer è malato, viene spesso inquadrata la sua mano che trema, forse per il morbo di Parkinson o più probabilmente per la sua schizofrenia e follia senile.

Alcuni gerarchi nazisti consigliano al Führer di lasciare Berlino, solo così potrebbe salvarsi ma Hitler si rifiuta. La caduta di Berlino è un episodio d’imminente accadimento. Anche Traudl glie lo consiglia. Il Führer è deciso: o rovescerà la scena o soccomberà, ma rigorosamente a Berlino.

Tra i vari gerarchi nazisti ci sono posizioni diverse, c’è chi vorrebbe che il Führer riparasse in un’altra città, chi ormai è certo che la guerra la Germania l’abbia persa, chi, al pari di Hitler, vuole portare avanti le azioni militari per la difesa di Berlino e per vincere la guerra.

Eva Braun, la compagna del Führer, è presentata sempre con il sorriso stampato in bocca, con i capelli ben sistemati e vestita in maniera raffinata.

Nel film organizza una serata di ballo nel bunker. La musica, la danza e l’aria di festa contrastano in maniera stridente con il clima di morte e di guerra diffuso in Germania e in tutta Europa. La compresenza di felicità e tristezza, di vita e morte è ben tratteggiata nel film: la musica e l’elettricità sono brevemente interrotte a causa dei bombardamenti e gli scoppi d’artiglieria.

Le complicazioni, gli insuccessi militari, l’assedio dei russi si sommano alle farneticazioni e alla malattia degenerante del Führer. Il Führer spera nell’operazione Steiner, ma i gerarchi gli fanno capire che Steiner non ha un contingente sufficiente per condurre un’azione militare di successo.  A questo punto anche Hitler ha capito che la guerra è perduta ma non intende lasciare Berlino.

Hitler ha predisposto un aereo per mettere in salvo Traudl e altre donne che lo hanno servito nel bunker ma queste rifiutano di andarsene, vogliono continuare a rimare con il Führer.

La situazione degenera in poco tempo e Berlino è sottoposta a bombardamenti e scoppi; gli ospedali abbondano di feriti gravi ai quali vengono amputati arti, mentre fuori la battaglia infuoca le strade.

Hitler comincia a pensare all’idea di suicidarsi con delle pasticche. Eva scrive una lettera alla sorella prima di suicidarsi nella quale le dice che alla morte lei erediterà i suoi beni.  In una delle ultime scene Hitler si fa scrivere dalla segretaria il suo testamento politico, che è un messaggio di profondo odio nei confronti della comunità giudaica.

Il Führer ed Eva Braun prima di suicidarsi decidono di sposarsi nel bunker. Intanto i russi stanno accerchiando Berlino e restringendo la loro presa. Il Führer rifiuta la capitolazione. Hitler chiede che una volta morto il suo corpo venga bruciato e scompaia dalla circolazione, non vuole che sia esposto al pubblico ludibrio ne imbalsamato per un museo.

E’ curiosa la scena in cui Eva si mette il rossetto allo specchio prima di andarsi a suicidare assieme a suo marito. Il Führer prende commiato dalla segretaria e dalle altre donne che lo avevano sempre servito poi assieme a Eva si chiude in una delle stanze del bunker, entrambi prendono delle pasticche (anche se questa scena non viene mostrata nel film) e il Führer si spara alle tempie (sul film si sente solo il suono dello sparo). Il Führer muore. I corpi del Führer e di sua moglie vengono bruciati, così come lui aveva richiesto.

Alcuni gerarchi vorrebbero firmare la capitolazione ma Joseph Goebbels, ministro e nuovo cancelliere del partito (a partire dalla morte del Führer) si rifiuta. Ormai la sorte di tutti è segnata. I vari gerarchi si suicidano, avvelenandosi o sparandosi. La signora Goebbels fa preparare una soluzione che fa bere a tutti i suoi figli dicendo che è una medicina, si tratta di una sostanza soporifera. Una volta addormentati inserisce a ciascuno una pasticca velenosa in bocca e muoiono all’istante. Il cancelliere fa dettare il suo testamento spirituale alla segretaria del Führer.

Il cancelliere Goebbels spara a sua moglie e poi si toglie la vita. I corpi vengono bruciati. Gli alti vertici del nazismo si sono autoeliminati.

I russi accerchiano il quartier generale dei nazisti. L’ex segretaria Traudl tenta di fuggire nelle file russe. I nazisti le consigliano di provare, magari i russi salveranno una povera donna.

Quando i russi accettano la resa, altri gerarchi nazisti si suicidano. Non possono sopportare di essere sopravvissuti al Führer e non intendono consegnarsi nelle mani dei russi.

L’ex segretaria del Führer riesce a salvarsi e sarà proprio lei, una volta anziana, a raccontare la storia.  Verso la fine del film il regista ci fornisce una breve scheda dei gerarchi nazisti: il loro suicidio o la loro pena al processo di Norimberga. Alla fine Traudl, anziana, racconta di aver scoperto solo dopo che il regime aveva ucciso più di sei milioni di persone ma il suo ruolo di segretaria del Führer non c’entrava in nessun modo con quelle morti. Non venne condannata in quanto per il suo ruolo di “collaboratore giovanile” non le venivano riconosciute colpe.

LORENZO SPURIO

23-02-2011

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Intervista a Giorgia Catalano, a cura di Emanuele Marcuccio

Intervista Giorgia Catalano, poetessa e scrittrice inedita

a cura di Emanuele Marcuccio 

Su invito di Gioia Lomasti, per il blog Vetrina delle Emozioni, ho deciso di intervistare gli autori dei libri di poesie, pubblicati a mia cura e non solo, la volta scorsa ho intervistato Lorenzo Spurio. Continuiamo con Giorgia Catalano, poetessa e scrittrice di racconti, tuttora inediti.

EM: Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere, quando hai scritto la tua prima poesia?

GC: Ho iniziato a scrivere a 13 anni. Il mio “esordio” è stato un racconto che, a leggerlo ora, potrebbe far sorridere, ma, finalmente, ero riuscita a mettere nero su bianco una storia tra le tante che, fin da bambina molto piccola, articolavo (poi costringevo amici e parenti ad ascoltarle). Lesse questo mio “libro”, la mia insegnante di religione, la quale mi spronò a continuare perché, mi disse: “In questo racconto ci sei tu, c’è la tua carica positiva. Non smettere”. Oggi, purtroppo, questa donna non c’è più, altrimenti sarei stata lieta di parlarle dei miei primi successi. Nell’età dei primi amori (diciamo intorno ai 15 anni), una infatuazione per me importante, mi spinse a scrivere in versi. Ma non erano dedicati soltanto all’oggetto dei miei pensieri, anzi. C’erano odi alla natura, ai paesaggi che mi colpivano di più, a tutto ciò che suscitava le mie emozioni. Sentivo la necessità di rendere visibile ciò che avevo nel cuore.

EM: Tutto ciò mi porta indietro nel tempo, pensando che, anch’io mi misi a pasticciare in versi a poco più di quattordici anni per una infatuazione amorosa, dico “pasticciare” perché, col senno di poi, erano dei semplici esercizi e non poesie, scriverò la prima vera poesia a sedici anni, dopo quasi due anni di questi esercizi. Cos’è per te la poesia, cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?

GC: La poesia la vivo come un’amica fedele. Da bambina, molto piccola, raccontavo al mio diario segreto, i miei sentimenti, le mie rabbie, le mie paure. Oggi credo che la poesia sia per me, come una valvola di scarico, come la possibilità che do a me stessa di espandermi in una dimensione parallela alla realtà che, proprio da questa, trae la sua essenza. Sì, perché senza i dolori, le difficoltà o le gioie e le soddisfazioni della vita reale, non potrebbe esserci poesia. La poesia, a mio avviso, deve essere come noi dovremmo essere, per volerci veramente bene: se stessa. Sbagliato voler somigliare a qualcun altro, voler copiare, per esempio, lo stile poetico di qualche grande autore. Si snaturerebbe la nostra personalità. Non sto parlando, in questo momento, di tecnica, di affinamenti stilistici che, con il tempo e la preparazione sul campo, possono migliorare la forma poetica, ma essenzialmente del significato che noi, stiamo dando ai nostri versi. C’è chi attraverso la poesia, farebbe rivoluzioni. C’è chi dichiara il proprio amore e le proprie passioni terrene, carnali. C’è chi denuncia le nefandezze del mondo. C’è chi sfoga le proprie rabbie, i propri fallimenti e disappunti. Niente di tutto ciò deve essere perso tra le parole, tra quei silenzi espressi dagli “a capo” – come tu dici, Emanuele – altrimenti, non sarebbe più la “Nostra” poesia. La nostra personalità, il nostro sentire, il nostro vivere, devono obbligatoriamente sopravvivere tra i versi che noi scriviamo, altrimenti non lasceremmo un’impronta di noi stessi, ma di qualche cosa che sarebbe altro da noi. Nella mia poesia non deve mai mancare la speranza. Alcune di esse sono così cupe e pessimistiche che, a rileggerle a distanza di tempo, mi fanno venir voglia di piangere perché mi intristiscono. La vita è dura lotta. È prova continua, ma non bisogna mai abbandonare la speranza che le cose possano migliorare. Talvolta, ciò che oggi ci sembra assurdo e ingiusto, domani troverà risposta in qualcosa di meraviglioso. È questo che non deve mancare nelle mie poesie, altrimenti mi sentirei finita. Proprio perché, per me poesia è vita, deve essere anche speranza in un futuro quanto meno diverso. E non lo dico da sognatrice – purtroppo, i sogni adolescenziali sono rimasti chiusi in un cassetto ermeticamente – ma da donna che guarda in faccia la realtà e vuole ancora credere in qualche cosa, soprattutto nei suoi sentimenti e nelle sue – se posso osare (spero di non peccare di presunzione) – capacità.

EM: Quindi, per te la poesia di argomento civile, ispirata dagli accadimenti contemporanei, non sarebbe poesia?E, mi sembra di capire, anche la poesia amorosa, di cui è costellata la nostra letteratura?

GC: Tutto ciò che riesce ad emozionarci, è poesia. L’amore è, in assoluto, il primo ispiratore, in tutta la storia della nostra letteratura. Anche io ho scritto delle poesie d’amore, così come ne ho scritte ispirandomi soprattutto al tema dell’intercultura, da me molto sentito. Ci sono, è ovvio sia così, delle fasi evolutive, per ognuno di noi. In questo momento, forse anche per vicende o stanchezze personali, i miei versi sono più intimistici, meno… collettivi, meno sociali. Ma non è così in tutte le liriche. Anche un telegiornale può suscitarmi emozioni, nel bene, o nel male, e farmi scrivere. Parlo spesso, per esempio, dell’amore tra madri e figli. Non si può dire che anche questo non sia amore!

EM: Sì, in qualsiasi poesia che scriviamo e di qualunque argomento, deve sopravvivere qualcosa di noi, anche se trasfigurata dai nostri versi. Cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?

GC: Ciò che ritengo sia essenziale nel componimento di uno scrittore sono originalità e semplicità d’espressione. Tutti devono poter leggere. Oggi, più che mai, in una realtà multietnica, non è così scontato che un libro riesca ad essere letto da tutti, perché non è detto che la nostra lingua sia conosciuta con completa padronanza, da tutti. Questa considerazione l’ho ricavata dalle piccole cose di tutti i giorni. Quando insegnavo nella scuola dell’infanzia, per esempio, era sempre una sfida preparare il “cartellone giusto” per informare tutte le famiglie di un qualche evento scolastico. Doveva essere il più semplice possibile, chiaro, senza paroloni da dizionario e diretto, quasi come il titolo di un articolo di giornale. Poi, con il tempo, si pensò con le colleghe, di coinvolgere i genitori stessi e di far scrivere loro il messaggio originale, nelle varie lingue entrate a far parte della nostra quotidianità scolastica. Non è pensabile che un libro possa essere reso in tante lingue – a meno che non sia un bestseller pluritradotto – quindi, il compito di uno scrittore è quello di rivolgersi a tutti, quasi come se stesse parlando con tanti amici, come se stesse leggendo le pagine del suo libro, ad un pubblico, il più variegato possibile.

EM: Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna delle due e perché?

GC: Credo di poter definire il mio poetare, privo di metrica. Di tanto in tanto, si possono trovare nei miei componimenti, delle rime, ma tendenzialmente, non sono cercate. Ho provato a scrivere qualche testo poetico, completamente in rima, ma lo sento povero, almeno, questa è la mia sensazione. È come se le emozioni rimanessero imbrigliate tra le parole e, se non si trova la rima giusta, rischia di essere compromessa l’intera poesia. No, preferisco leggere una poesia libera da schemi e costruzioni stilistiche. Altro, invece, sono le filastrocche, o le storie rivolte a bambini molto piccoli (3-6 anni, in genere), che destano maggiore interesse e curiosità nei piccoli ascoltatori, se sono composte in rima. Le fiabe scritte in questo modo, possiedono una musicalità ed una sonorità che talvolta può anche essere accompagnata dal suono di uno strumento che ne scandisce le battute o i versi, “letterariamente” parlando. I bambini, poi, sono facilitati, in questo modo, nell’apprendimento, soprattutto mnemonico. Non dimentichiamoci le famose filastrocche che, ancora da adulti, conserviamo con cura nel nostro bagaglio, che ci hanno permesso di imparare a memoria i giorni della settimana, quanti giorni ci sono in un mese o il nome delle Alpi e così via. Sono proprio un classico esempio di quanto ho espresso poc’anzi.

EM: Concordo, per me la rima blocca o vincola l’ispirazione poetica, l’ho sempre pensata così, meglio la rima spontanea. Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?

GC: Da pochi attimi, a giorni interi. Dipende molto dal mio stato d’animo e dai sentimenti che ho bisogno di rivoltare e buttar fuori, come lava incandescente. Talvolta, lunghe poesie le scrivo senza interrompermi, in pochissimi minuti e, pur lasciandole in standby per qualche giorno, prima di approvarne la versione definitiva, rimangono così come le ho scritte, in un primo momento, di getto. Altre volte, ho qualche cosa dentro che mi impedisce di avere le “idee chiare”; allora, mi limito ad un ascolto interiore. Sento la tensione del momento e la traduco in parole che, il più delle volte, quando le rileggo a distanza di ore o di giorni, modifico almeno in parte. E poi, come mi ha suggerito un caro amico scrittore di Napoli, Mario Scippa, è meglio aspettare che le immagini vengano da noi. Non dobbiamo essere noi a cercarle. Se non le trovi, meglio – in quel momento – non scrivere.

EM: Sì Giorgia, mai scrivere senza essere ispirati, come scrivo in un mio aforisma “Siamo al servizio della poesia, la poesia non è al nostro servizio. Quando vuole ci visita, basta rimanere in ascolto attento e attentamente osservare, il resto lo fa la poesia e la nostra ispirazione, che la nostra scrittura libera dal caos inconscio dov’è nata.”A proposito di lunghe poesie, Montale, in una famosa intervista televisiva dichiara che, la poesia deve essere breve e afferma che, “Un’emozione che dura ¾ d’ora è uno spavento… “. Cosa pensi di questa affermazione?

GC: Montale legge ¾ d’ora di poesia, come uno spavento. Io mi sento di aggiungere che uno scritto così lungo sono tanti spaventi messi insieme e tradotti in parola. Sono un terremoto che vibra dentro di noi, un movimento tellurico che spinge la solita lava del vulcano, a cui spesso faccio riferimento, fuori dal cratere con tutte le emozioni di rabbia, di paura, di costernazione, che ci turbano in quel momento. Ci sono le emozioni lampo che, invece, si riescono a tradurre in pochi versi, o in poche parole e racchiudono in sé più di quanto non si riesca a leggere nei ¾ d’ora dello spavento…  

EM: Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?

GC: Un testo narrativo è più immediato, più facilmente comprensibile e, generalmente, racchiude, quasi come un tema scolastico, un inizio, uno svolgimento ed una fine. Il lettore si appassiona alla vicenda narrata ed immagina, pagina dopo pagina, il proprio film. Tant’è che molti sono i lettori delusi dalle revisioni cinematografiche, proprio perché non ritrovano le proprie immagini, la propria interpretazione di ciò che hanno letto. Ricordo, quando il mio primogenito era molto piccolo, di avergli letto, un po’ alla sera, per accompagnarlo al sonno, un testo che, all’epoca, fu un gran successo di Luis Sepulveda: “La gabbianella e il gatto”. Ebbene, la storia contemplava, tra i vari protagonisti, un gatto francese ed uno napoletano – spero che i miei ricordi non mi ingannino – leggendo, davo carattere ad ogni personaggio ed il gatto francese, nonché quello napoletano, parlavano con le loro cadenze ed i loro intercalari tipici dell’una o dell’altra inflessione e mio figlio moriva dal ridere. Quando guardammo il cartone animato, entrambi rimanemmo delusi, perché non c’erano né il gatto francese, né quello napoletano… La poesia, invece, rispecchia un momento, un’emozione, uno stato d’animo. È come una fotografia. In fondo, anche quest’ultima coglie l’attimo che mai più sarà. Nel momento in cui scrivo i miei versi, sono sicuramente influenzata dal mio stato d’animo, dal mio modo di essere in quel momento e li imprimo tra le righe, tra le parole. Non è detto che quella stessa poesia io sia capace di riscriverla identica, il giorno dopo, perché, come la foto che ritrae un fiume, l’acqua impressa nell’immagine, a distanza di un giorno, non sarà più quella del giorno precedente. Fondamentale è anche il linguaggio poetico che differisce notevolmente da quello narrativo. Talvolta, ci si trova di fronte a testi anche molto ermetici, a parole stravolte nel loro significato originario, che possono cogliere impreparato un lettore. Ogni poeta esprime se stesso nelle sue liriche ed ognuno lo fa seguendo un proprio imprinting. Non è facile decodificare un testo poetico, non sempre. La lettura di una poesia è meno immediata, rispetto alla lettura di un testo narrativo. Credo sia proprio questo il motivo per il quale la poesia “non ha mercato” ed è considerata di nicchia.

EM: Preferisci scrivere a penna o al PC?

GC: Scrivere a penna mi permette di scarabocchiare – mi riferisco alle liriche – scrivere al PC lo preferisco quando racconto delle storie. Generalmente, dopo averle tracciate come manoscritto, e dopo averle rese definitive, trasferisco le poesie al PC e ne faccio diversi backup, per maggior sicurezza. I racconti, invece, viaggiano direttamente sulla tastiera del PC, perché mi sento più a mio agio, perché sono più rapida e più intuitiva.

EM: Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di autrice?

GC: Credo che nessun autore sia esente da influenze autobiografiche. Come diceva il buon Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”. Spesso, mi trovo a prendere in prestito questo pensiero che per lui era rivolto, nello specifico, all’osservazione scientifica. Nella vita, più o meno, succede la stessa cosa. Nulla deriva dal nulla. Ogni cosa ha un suo perché, sebbene non si riesca, o non si voglia dare subito una risposta a ciò che accade. Nulla si distrugge. I brutti ricordi, così come quelli belli, continuano a ciondolare sospesi tra oblio ed amnesia. Tutto si trasforma, per fortuna! Ciò che era paradosso e dolore ieri, può diventare forza interiore oggi ed è proprio da queste violente trasformazioni – talvolta, purtroppo, sono così – che ciò che si scrive viene influenzato.

EM: Come nasce in te l’ispirazione, come organizzi il tuo scrivere, ci sono delle fasi?

GC: L’ispirazione trae origine da una parola sentita, da un ricordo, dalla visione d’un paesaggio, da un torto subito, dalla rabbia, dalla paura, da un sentimento o da un’emozione provata, insomma, per qualche evento che mi ha colpita particolarmente durante la giornata. E, soprattutto, non è mai prevedibile. A volte è netta. Come un lapillo incandescente, fuoriesce dal vulcano imprimendo la sua forza ed il suo calore sul foglio di carta. Ovunque io sia. Spesso mi capita quando sono sull’autobus, o quando mi godo qualche attimo di silenzio, la sera, dopo aver messo a dormire i bambini, o in ufficio. Ripeto, ovunque. Ci sono situazioni nelle quali non mi è subito possibile scrivere “il ritornello che mi tormenta”, allora cerco di impararlo a memoria, di stringerlo forte a me come se fosse un ricordo importante. Il più delle volte, però, cerco di dare subito sfogo a quella carica vulcanica che, altrimenti, rischio di perdere. Una volta tradotta in parole, quella sensazione mista tra uno stato d’ansia ed un mal di stomaco, o di uno smarrimento tra la gente ed un improvviso risveglio notturno, mi sento più serena. Perché ormai, mi dico, ciò che era dentro di me, sono riuscita a liberarlo e a tradurlo in qualche cosa di concreto, di leggibile. Poi, come ho già accennato, c’è la fase della revisione del testo scritto, a distanza di ore e, talvolta, di giorni. In ultimo, la resa definitiva al PC e l’archiviazione.

EM: Alcune tue poesie sono state pubblicate in varie antologie di autori vari, ce ne vuoi parlare?

GC: È successo quasi per gioco. La scorsa estate, navigando su internet, ho letto dei bandi di concorsi letterari che prevedevano, in caso di selezione, la pubblicazione della poesia o delle poesie inviate, in un’antologia, magari a tema. Ho pensato che non mi sarebbe costato nulla provarci, che sarebbe stato anche un modo per mettermi in gioco, per capire se ciò che scrivo, può essere gradito anche da altre persone. E così ho iniziato ad inviare le mie liriche un po’ ovunque. Ad oggi, ne sono state pubblicate sei dal Collettivo Poetico “Poesiaèrivoluzione”; una dal Collettivo Poetico “I percorsi di Pacifico”, tre da Aletti Editore, una da Gds Edizioni e cinque nel libro d’arte “I sogni e le stelle”, edito da Egs Edizioni/Galleria d’Arte Signorini, di prossima uscita. Una delle mie liriche ha anche vinto un premio, in occasione di un concorso organizzato dalla rivista “Mammaoggi.it”. Inoltre, sono stata felicissima di sentirmi leggere, all’inizio dello scorso luglio, durante la trasmissione radiofonica “L’uomo della notte”, condotta da Maurizio Costanzo, dalla calda voce dell’attrice Valentina Montanari. È stata davvero una grande emozione.

EM: Cosa ti ha spinto la prima volta a voler pubblicare, anche solo in un’antologia di autori vari? Perché hai deciso di intitolare la tua prima raccolta di poesie Un passaggio verso le emozioni?

GC: Come dicevo, è stato quasi un gioco. In realtà non ci speravo nemmeno, di essere pubblicata ed è stata davvero una piacevole sorpresa, potermi leggere su carta stampata e pubblicata (visto che diverse di queste antologie hanno l’ISBN). La scorsa estate sono andata in vacanza nelle suggestive vallate del Cilento. Ho soggiornato in una bella casa vacanze dalla quale vedevo tutto il verde delle colline e lo splendido azzurro del mare e, un pomeriggio, mentre passeggiavo per Prignano – questo è il nome del piccolo centro che mi ha ospitata – ho scattato foto qua e là, a quegli scorci che mi suggerivano estasi ed emozione, o anche semplicemente destavano la mia curiosità. Tra questi scatti, ce n’è uno che ritrae un passaggio buio verso una terrazza che dà sul mare e la vallata. Nella foto è molto evidente la luce che c’è al fondo del passaggio, con l’azzurro del mare sull’orizzonte. Ed è proprio dall’osservazione di quella foto che nasce il titolo della raccolta “Un passaggio verso le emozioni”. Si passa dal buio alla luce, dall’oscurità dei brutti ricordi, alla speranza di un futuro migliore.

EM: Tra tutte le poesie che hai scritto finora ce n’è una che ti è più cara o che ritieni più significativa?

GC: Di poesie ne ho scritte molte, ma, in effetti, ce ne sono alcune che sento più mie. Sicuramente la poesia “Azzurrità”, che è la prima ad essere stata pubblicata in una delle antologie di cui si è parlato, è una delle liriche a cui tengo in particolar modo, perché è stata una sorta di trampolino di lancio. Affettivamente, invece, mi sento molto legata alla poesia: “Il mio firmamento” che sarà pubblicata nell’agenda 2012 Le pagine del poeta – Ugo Foscolo, da Editrice Pagine di Roma e sarà anche nel libro d’Arte Signorini, al quale ho già fatto cenno. Questa poesia parla delle mie tre stelle, alle quali è dedicata la mia prima raccolta, di prossima edizione. E le mie tre stelle “faticose, d’amore rivestite”, sono i miei tre figli: Nicolò (19 anni), Matteo (quasi 10) e Simone (7). Sono il mio firmamento, senza il quale i miei giorni sarebbero bui e le mie notti, prive di senso. Sono coloro che accendono le mie energie e le riassorbono. Coloro che mi tengono in vita.

EM: Hai scritto anche racconti, ce ne vuoi parlare?

GC: Ho scritto dei racconti. Per uno di questi – un racconto breve – ho ricevuto una menzione speciale ad un concorso letterario patrocinato lo scorso anno, tra i vari enti, anche dal Comune di Trofarello, in provincia di Torino. Un altro – questa volta, un lungo racconto – è stato proposto per la pubblicazione da una casa editrice del leccese, ma, per motivi di ordine pratico, ho rifiutato la proposta. Ne ho scritti altri ed altri sono in lavorazione, ma preferisco, almeno per il momento, concentrare le mie energie sulla poesia. Sono impegnata su più fronti: dal familiare, al lavorativo e scrivere narrativa impegna molto molto tempo. Anche questa è una delle ragioni per le quali, almeno per il momento, non sto investendo molto sui miei racconti. Mi manca il tempo materiale da dedicare, come meriterebbero, ai miei scritti.

EM: Hai mai provato a scrivere un romanzo?

GC: Sì, mi sto cimentando da un paio di anni con la mia autobiografia. Per ora, al PC, in formato libro, ho scritto circa 365 pagine. Forse, molte persone, potrebbero chiedersi chissà che cos’avrò mai di così interessante e intrigante da raccontare, per aver già scritto così tanto, ed avere ancora da narrare altri vent’anni della mia vita! Non è sicuramente la biografia di un personaggio famoso, forse potrebbe non interessare a nessuno, ma così tante vicende, per me, di un certo rilievo, mi hanno vista protagonista, che ho sentito l’esigenza di raccontarle.

EM: Quali sono i tuoi poeti preferiti?

GC: Ho sempre apprezzato molto Leopardi e Foscolo, che, per certi versi, sento molto vicini a me e ho voluto bene a Quasimodo, Ungaretti e Montale. Per quanto riguarda, invece, l’universo poetico femminile, mi ha sempre colpita la schiettezza ed il coraggio di Sibilla Aleramo e adoro Alda Merini con il suo dire e non dire. Ci sono poi anche diversi autori contemporanei, magari, come me, esordienti o inediti, che apprezzo molto per la musicalità dei propri versi, per il contenuto e per l’umanità che trasuda dalle loro liriche.

EM: E qual è la tua poesia preferita?

GC: Una delle poesie che preferisco è: “Ed è subito sera” di Salvatore Quasimodo. Nella sua brevità, c’è tutto. Dall’origine del mondo, alla fine dello stesso, vissuto nell’esistenza del singolo uomo.

EM: Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?

GC: Il libro che ho letto più volentieri, in assoluto, è: “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello. È un autore che ho sempre letto volentieri, ma ricordo che quel libro, lo lessi tutto d’un fiato, in un solo pomeriggio e me lo porto dentro, perché ho patito con il protagonista i suoi stati d’animo. Le paure, le ansie, le gioie illusorie di non appartenere più alla propria vita e la triste ed amara consapevolezza che, malgrado la fuga da se stesso, la sua vita tornava verso di sé, prepotente rubandogli, beffarda, anche quella che lui credeva essere la sua vera identità.

EM: C’è un genere di libri che non leggeresti mai?

GC: Non amo l’horror. L’inquietudine che ne deriva dalla lettura di un libro, o dalla visione di un film del genere, mi raggela le vene. L’eccessiva suspense e i raccapriccianti e spaventosi colpi di scena, mi destabilizzano. Preferisco letture più “serene” che mi coinvolgano, che mi lascino con il fiato sospeso, ma che non mi impauriscano inutilmente.

EM: Nella tua vita ti è mai capitato qualcosa che ha rischiato di allontanarti dalla poesia o, che ti ha allontanato per un periodo dalla poesia o dalla scrittura in genere?

GC: Scrivere è passione, scrivere, forse, è malattia. Chi non è affetto da questo “male”, forse, non riesce a capire profondamente le esigenze di chi lo è. Per un certo periodo, che è durato più di un decennio – diciamo dalla nascita del mio primogenito ho smesso di scrivere, soffocando le mie emozioni in uno spazio circoscritto della mia mente e del mio cuore. Non era gradevole sentirsi la “diversa” della famiglia e allora ho voluto uniformarmi a tutti coloro che mi circondavano. Poi, ho sentito l’esigenza di essere me stessa e di non più fingere davanti allo specchio della mia vita. Perché è mia e di nessun altro e, sebbene ci si sforzi di piacere a tutti, alla fine, ci sarà sempre qualcuno a cui non è dato di piacere.

EM: Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?

GC: Sono nata in Liguria, a Ventimiglia, proprio sul confine italo-francese, ma i miei genitori sono entrambi di origine pugliese. Io vivo a Torino dall’età di 2 anni, circa, quindi, posso tranquillamente dire di sentirmi una torinese. Adoro la mia città e cerco di viverla al meglio. Ho provato a vivere altrove, per un breve periodo, ma, alla fine, sono tornata sui miei passi. Poi, soprattutto in questi ultimi anni, così come ha sponsorizzato l’ex Sindaco Chiamparino, per le Olimpiadi del 2006, Torino non si è mai fermata. Ci sono ancora tanti problemi da risolvere, ma credo che nessuna città italiana ne sia esente. È una città che ama la cultura e questo è per me come una coccola gratificante. Pullula di stimoli culturali, creativi. Vengono organizzati moltissimi eventi di rilevanza internazionale – e, non mi riferisco soltanto al Salone del Libro… Tutto ciò mi fa stare bene, in questa città.

EM: Tra poesia e narrativa, cosa scegli e perché?

GC: Amo entrambe. In questo momento, come ho già spiegato, forse proprio per mancanza di tempo, non mi sto dedicando molto alla narrativa, ma mi piacerebbe molto poterlo fare, per sentirmi più completa. Esprimersi in versi arricchisce lo spirito. Raccontare è stupendo. Ho scritto anche delle canzoni per bambini, durante il periodo in cui ho insegnato nella scuola dell’infanzia, e delle storie-filastrocche che ai bambini sono piaciute molto. Bisogna fare delle scelte. Per ora scelgo la poesia, in attesa di poter avere un po’ più di tempo da dedicare alla mia voglia di raccontare.

EM: Hai un sogno nel cassetto?

GC: Come mamma – forse rientro nei soliti luoghi comuni – vorrei poter vedere la gioia dei miei figli e la realizzazione dei loro sogni. Come autrice, mi piacerebbe poter incontrare il consenso di un congruo numero di lettori. Credo che la soddisfazione maggiore per un autore sia quella di avere contezza di aver regalato emozioni e arricchito, in qualche modo, chi si è avvicinato per pochi attimi, attraverso magari anche solo pochi versi, alle sue creazioni. Un sogno nel cassetto? Terminare il mio romanzo e riuscire a pubblicarlo.

EM: Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano?

GC: Una volta, un amico illustratore di libri rivolti all’infanzia, mi ammonì, dicendomi che il mondo editoriale è una giungla. Purtroppo, almeno in parte, convengo con quanto mi disse questo amico. Molte case editrici speculano sui sogni e sulle aspirazioni di tante persone che hanno la passione per lo scrivere e trattano i libri come se fossero prodotti da banco da esporre in una corsia di supermercato. Ciò che conta è guadagnarci. Ci sono anche realtà editoriali minori che ancora puntano sulla qualità e sull’umanità, avvicinandosi agli autori con amicizia e comprensione, ma, purtroppo, non sono molte. La stessa Susanna Tamaro, intervistata al Salone del Libro di Torino 2011, ha consigliato agli autori emergenti di non demordere, di credere in ciò che si scrive e di avere pazienza, perché non è così semplice trovare subito l’editore disposto a pubblicarti. E lei stessa ha vissuto questa condizione. Ma non ha rinunciato alla sua passione e, alla fine, la sua costanza è stata premiata.

EM: Sì, mai demordere, mai scoraggiarsi e smettere di scrivere! E cosa pensi dell’attuale panorama culturale italiano?

GC: Ci sono tanti stimoli interessanti. Tante proposte, tante persone che “fanno” la cultura. Anche la cultura, come la lingua – soprattutto quella parlata – cambia sembianza, con la trasformazione della società. I nostri genitori intendevano, per cultura, qualche cosa di diverso rispetto a quanto intendiamo noi oggi. Oggi, anche internet è cultura ed è uno strumento importante tanto più che quando eravamo bambini non esisteva. Cultura, intercultura. Apertura verso mondi diversi dal nostro, verso mentalità e tradizioni diverse. Anche questa è cultura. Prima di tutto, la cultura della tolleranza. Da questa ne derivano tutte le altre forme.

 EM: Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?

GC: Ritengo che i premi letterari siano importanti per un autore, perché attraverso questi ultimi, ci si mette costantemente in gioco. Le sconfitte sono sempre dietro l’angolo e diventano uno sprone per migliorarsi. E se poi arriva qualche riconoscimento, ci si sente appagati e invogliati ad andare avanti, perché vuol dire che ciò che si è scritto, ha incontrato il favore di una giuria o di un pubblico più vasto.

 EM: Il mese scorso ho letto un articolo di Cesare Segre sul Corriere della Sera, riguardo all’irresistibile declino della critica letteraria agli autori contemporanei, con la conseguente perdita di prestigio della letteratura. Cosa pensi a riguardo, è davvero in declino la critica letteraria?

GC: È difficile poter rispondere a questa domanda. Forse, è proprio l’abbondare di scrittori, rispetto ad un tempo, che mette in difficoltà la critica. C’è eccessiva saturazione.

 EM: Quanto è importante per te il confronto con altri autori?

GC: Credo che confrontarsi con altri autori sia fondamentale. Le diversità, se vissute bene e con saggezza, sono sempre fonte di arricchimento. Confrontarmi con altri autori mi entusiasma moltissimo. Si possono condividere esperienze e rendere meno gravose le difficoltà legate alle prime pubblicazioni. Si possono unire le forze, per aprirsi nuovi orizzonti. Non deve esistere rivalità. Non nel mondo letterario, perché ognuno esprime al meglio se stesso.

EM: Sì, bisogna che ci sia rispetto e stima reciproca, senza mai avere la presunzione di possedere la verità, purtroppo questo, raramente accade.

Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?

GC: Non bisogna mai credersi “arrivati”, nemmeno dopo aver visto le prime

pubblicazioni. Bisogna mettersi continuamente in gioco. Io ho ancora molta strada da fare. Ho raccolto qualche piccolo frutto, soprattutto in questo ultimo anno, ma “emergere” non è semplice. Oggi, purtroppo, tanti scrivono. Pochi leggono. E, forse, è anche questo che ha mandato in crisi il mondo editoriale. Come dice Giorgio Maremmi, scrittore ed editore da anni, dell’omonima casa editrice di Firenze, nel suo “Avalon – L’agenda dello scrittore” – “[…] ci sono troppe case editrici per il numero di lettori, in Italia. Ce ne sono ancora poche, per poter soddisfare tutte le richieste di pubblicazione di tutti gli autori […]”.

EM: Vuoi anticiparci qualcosa su quello che stai scrivendo, prossime pubblicazioni?

GC: È mia intenzione continuare a scrivere anche narrativa, nei ritagli di tempo che mi saranno concessi tra tutte le cose che mi impegnano durante le mie lunghe giornate.La prossima pubblicazione, sarà, appunto, la mia prima raccolta: “Un passaggio verso le emozioni”. Tutto il resto…. è divenire.

EM: Grazie per la tua disponibilità e tanti auguri per le tue prossime pubblicazioni!

GC: È stato un gran piacere, Emanuele. Grazie a te per avermi dato questa possibilità.

 

 

A cura di Emanuele Marcuccio                                          

10 settembre 2011 

L’INTERVISTA VIENE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE. E’ VIETATA LA PUBBLICAZIONE DI STRALCI O DELL’INTERA INTERVISTA SENZA CONSENSO DELL’AUTORE.

Jane Eyre, una rilettura contemporanea di Lorenzo Spurio, recensione a cura di Monica Fantaci

Jane Eyre. Una rilettura contemporanea

di LORENZO SPURIO

Lulu Edizioni, 2011, pp. 101

ISBN: 9781447794325

Recensione di Monica Fantaci

L’autore ha preso spunto dal noto romanzo Jane Eyre di Charlotte Brontë per fare un’analisi comparativa con gli altri romanzi che si sono ispirati allo stesso utilizzando riscritture, parodie, stravolgendo la caratteristica dei personaggi del testo madre, è per questo che, nelle prime pagine, sintetizza i quattro libri presi in esame. Spurio evidenzia le dinamiche comportamentali presenti in questi romanzi, focalizzando l’attenzione, in primis, sulla pazzia di Bertha Mason, identificata come appartenente al genere animale e legata al caldo e al fuoco, prosegue con l’analisi del tema coloniale e razziale, quindi l’emarginazione, la ribellione degli schiavi, che coincide con l’inferiorità della donna rispetto all’uomo, che all’epoca era molto evidente, ricordando l’atteggiamento del marito (Rochester) nei confronti di Bertha. In seguito, l’autore passa dalla narrazione della vita di Bertha a quella della magia e della figura degli zombi e lo fa in maniera del tutto naturale, non stancando il lettore e facendo ruotare i temi in maniera chiara e discorsiva.

Nel capitolo successivo, Spurio fa un excursus ben preciso sulle tappe del romanzo, soffermandosi sulle argomentazioni dei cinque ambienti dove viene inserita la vicenda di Jane; il libro contiene anche un’intervista fatta dallo stesso Lorenzo Spurio all’autrice  Sherri Browning Erwin, che ha reso Jane un personaggio vampiresco. Infine, l’autore cita la tradizione letteraria contemporanea di Jane Eyre attraverso le riscritture di tutti i generi letterari, dal romanzo all’horror, dal fantasy all’erotico, per concludere menzionando le rappresentazioni del piccolo e grande schermo sulla protagonista del romanzo di C. Brontë. 

Nel saggio si intervallano le storie dei romanzi targati Jan Eyre: si parte dal testo madre della  Brontë, per poi proseguire con Il gran mare dei Sargassi di Jean Rhys, con Charlotte, l’ultimo viaggio di Jane Eyre di D. M. Thomas, con Jane Slayre di Sherri Browning Erwin ed infine con La bambinaia francese di Bianca Pitzorno. La scelta dello scrittore di usare questo ritmo, per analizzare le storie, dà la possibilità al lettore di estendere le prospettive e di percepire tale libro come un archivio dove si raccolgono e dove si raccontano le varie generazioni all’interno di ogni romanzo infatti, all’analisi comparata dei testi si affianca un breve racconto sul periodo storico degli autori che hanno scritto i vari romanzi su Jane Eyre, ciò è fondamentale per comprendere le varie vicissitudini all’interno di ogni racconto, un quadro vasto sul contesto socio-culturale rende consapevole il motivo della preferenza dei personaggi e delle ambientazioni. E’ un testo saggistico ad ampio raggio che risponde alle esigenze letterarie di ogni lettore, permettendogli di riflettere, di rapportare i vari romanzi, per dare una continuità storica dall’età vittoriana fino ad oggi, appurando le somiglianze e le differenze delle varie epoche, in un romanzo che non avrà mai fine.

Monica Fantaci

Palermo, 2 Settembre 2011

RECENSIONE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE. E’ VIETATO PUBBLICARE STRALCI O L’INTERA RECENSIONE SENZA IL PERMESSO DELL’AUTRICE.

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Le Perseidi, Odi e Poesie Varie di Andrea Gigante

Le Perseidi – Odi e Poesie Varie di Andrea Gigante

Arduino Sacco Editore, Roma, 2011, pp. 186

ISBN: 9788863544387

Recensione di Lorenzo Spurio

Il libro d’esordio di Andrea Gigante, una ricchissima silloge poetica dal titolo Le Perseidi, è molto complesso e variegato, frutto di un ampio lavoro di analisi metrico e di studio particolareggiato della letteratura classica.  Il più grande merito che riconosco, a mio modesto parere nell’opera di Gigante, oltre a saper trattare temi tanto diversi e difficili che affondano nel sociale è quello della sua meticolosità stilistica e metrica, il suo amore per la forma, per le sonorità, per la sillabazione attenta. Così il classicismo di Gigante non è solo tematico e celebrativo di una poesia gloriosa appartenuta al passato ma anche e soprattutto stilistico e metrico.

Se dovessimo ipotizzare di che cosa tratta questa silloge, basandoci sul titolo allora dovremmo immaginare che si parla di Perseo, ritratto in copertina dopo aver decapitato Medusa nella famosa scultura del Cellini posta nella Loggia dei Lanzi a Firenze. Ma chi è Perseo? Che cosa rappresenta? Le Perseidi sono delle vestali di Perseo? E’ una possibile interpretazione ma dobbiamo tenere conto che è anche il nome di una costellazione e quindi possiamo intendere queste poesie come delle stelle che luccicano, affascinando l’uomo per la loro magia.

In “Alla lira” fuoriesce un’appassionante immagine del poeta: «Che cosa fare debbano i poeti si chiedono; / Devono fare quello cui da sempre provvedono: /       Cantar l’amore, il bello, il grande, il mondo, / Con la memoria vincere il cupo e tristo oblio, / Degli scuri misteri ridir lo sfolgorio / E scandagliare tutto fino in fondo». Curiose le odi “Il Risorgimento” in onore ai festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia e “I partigiani” in onore ai sessantacinque anni della liberazione d’Italia nella quale Gigante osserva: «I tiranni gettare vollero i dissidenti / In fosse e di atti vïolenti /          Inebriarsi, amando la morte».

La poesia di Gigante è una poesia dall’andamento lungo, quasi prosaico dal messaggio criptico, implicito, che va ricercato a fondo e che, come nella grande tradizione poetica, si caratterizza per una serie di inversioni di parole. Va letta attentamente se non si vuol perderne l’essenza. Gigante propone così temi, stili e linguaggi diversi che però non creano rottura all’interno della silloge, proponendo poesie filosofiche e poesie impegnate che trovano fondamento nella storia, nella memoria o in problemi sociali. Ma sa anche essere una poesia intima e personale come in “A te”. Insomma l’autore esordiente ci accompagna in un percorso variegato che è possibile percorrere prendendo vie diverse. E’ proprio questo, credo, che l’autore vuole favorire: un viaggio in spazi tanto diversi ma che riescono ad affascinare tutti.

Mi capita di leggere molte sillogi di poesia ma devo dire che questo è il primo esperimento che incontro di una poesia classica, sicuramente fuori dai tempi attuali che ha il desiderio di riprendere forme, stili e aspetti appartenenti a un’età di splendore della poesia. Non è però obsoleta né nostalgica perché se la forma è conservatrice, i contenuti sono molto aperti, attuali e condivisibili. Complimenti all’autore.

ANDREA GIGANTE è nato a Roma nel 1986. Si è laureato in Lettere Moderne all’Università “Roma Tre” con una tesi di letteratura francese su un’opera di Geroges Perec. Sta studiando per conseguire la Laurea Magistrale in Italianistica. Le Perseidi, Odi e poesie varie, è il testo d’esordio dell’autore che non cela la sua fascinazione per il mondo della letteratura classica.

LEGGI L’INTERVISTA ALL’AUTORE CLICCANDO QUI.

LORENZO SPURIO

Jesi, 17 Luglio 2011


E’ VIETATA LA RIPRODUZIONE E LA DIFFUSIONE DI STRALCI O DELL’INTERO TESTO SENZA IL PERMESSO DELL’AUTORE

E’ uscito il nuovo numero della rivista Segreti di Pulcinella

E’ uscito il numero di Settembre della rivista Segreti di Pulcinella, diretta dal sign. Massimo Acciai. Il numero è molto ricco di contributi e si caratterizza per l’eterogeneità dei testi. Il tema del numero era “La pace” mentre il tema del prossimo numero sarà “Il tempo” (invio dei materiali scadenza 30-11-2011, vanno inviati a massimoacciai@alice.it)

Ci sono poesie di Massimo Acciai, Paolo Ragni e Anna Maria Folchini Stabile, recensioni di film e libri (tra cui testi di Sara Rota e Mauro Biancaniello), articoli sulle lingue e la segnalazione al nostro concorso “Esordi Amo”. Tra i vari testi segnalo i miei:

–       la recensione al film Amanda Knox, Murder on Trial in Italy (2011) basato sul delitto di Perugia;

–       recensione alla silloge di poesie New Yorker’s Breaths di Maurizio Alberto Molinari;

–       recensione al romanzo Pazienti smarriti di Maria Rosaria Pugliese;

–       recensione alla silloge di poesie Pensieri senza pretese di Christian Lezzi;

–       prefazione alla silloge di poesie Dalla vetrata incantata di Sandra Carresi;

–       la segnalazione “E’ nata la rivista Fucinando”;

–       il saggio “Il mito della nobiltà inglese in letteratura” per la sezione Letteratura per la storia;

–       l’articolo “Le lingue dei popoli dei ghiacci” per la sezione Lingue;

–       L’intervista a me fatta da Massimo Acciai;

–       l’articolo “La corrida è cultura?” per la sezione Tempi Moderni.


La rivista può essere letta online o scaricata in formato pdf, cliccando qui.

Buona lettura e diffondi la notizia.

LORENZO SPURIO

11-09-2011

Rivista Fucinando n°2

Esce oggi, come il 10 di ogni mese la Rivista Fucinando, mensile delle attività del Collettivo Artistico Libero e Indipendente Fucina CHI diretto da Mauro Biancaniello. Nella rivista sono presenti poesie di Anna Bonarrigo, un racconto di Patrizia Poli, recensioni al romanzo “Vedere” di Mattia Zadra, estratti di libri, recensioni a La scatola nera di Amos Oz, Cuore di pietra di Sebastiano Vassalli, design della carta di Rosamaria Francucci, foto di Matthias Bianchi e di Laura Dolfini, il racconto Vindiciae (Sentenza) di Gianluca Paolisso e la segnalazione del bando di concorso “Esordi Amo” finalizzato alla creazione di un’antologia.

Per leggere la rivista on-line, cliccare qui. Buona lettura!

Contatti:

rivistafucinando@virgilio.it

fucina.chi@gmail.com 

Concorso CHRISTMAS CAROLS – I racconti di Natale

CHRISTMAS CAROLS – I Racconti di Natale
Concorso letterario – selezione racconti

PREMESSA
Approssimandosi il periodo natalizio, da sempre caratterizzato editorialmente da uscite e proposte dedicate alle feste, abbiamo pensato di provare anche noi di Creativity Station un qualcosa che potesse inserirsi in questo filone. Vista l’esperienza che da quasi un anno portiamo avanti con le pubblicazioni in pdf del magazine Creativity Papers e gli e-book allegati “I Quaderni”, abbiamo pensato di indire un concorso per racconti che abbiano un temo natalizio o in qualche modo legato all’inverno, fra i quali selezionare i migliori e raccoglierli in un e-book che sarà scaricabile dal web. Come negli altri concorsi che abbiamo già organizzato, la partecipazione sarà completamente gratuita, così come l’editing e la preparazione dell’e-book, non richiederemo alcun contributo agli autori dei racconti selezionati.
Sottolineamo come la pubblicazione sarà realizzata allo scopo di promuovere autori e racconti interessanti, e verrà ampiamente pubblicizzata sulla rivista Creativity Papers che ha un seguito di lettori notevoli, ed è quindi un’occasione che riteniamo importante per tutti gli scrittori interessati a raggiungere un pubblico cospicuo.

REGOLAMENTO

Art. 1 – I PROMOTORI
Il concorso/selezione viene indetto dal forum letterario Creativity Station. La selezione dei
racconti viene effettuata dai membri dello Staff, e il giudizio sui testi è a loro assoluta
discrezione, e insindacabile.

Art. 2 – OGGETTO E REQUISITI DEL CONCORSO
Il concorso ha come oggetto l’invio di massimo due racconti per ogni partecipante. I
racconti possono anche essere già editi (in forma cartacea, digitale, compreso il
precedente inserimento in siti web, blog, forum, altri concorsi ecc.), purché comunque di
proprietà dell’autore che li propone, o per i quali l’autore ha il diritto di distribuzione.
L’autore si impegna a garantire che i racconti siano frutto del proprio ingegno e si assume
ogni responsabilità, anche legale, in caso di appropriazione indebita di testi altrui e
violazione di copyright.
I racconti possono essere anche di genere (fantasy, horror, fantascienza, storici), purché
rispettino il tema del concorso.
La lunghezza del testo deve essere compresa tra gli 2.000 e i 20.000 caratteri (o battute),
spazi compresi.
I racconti devono essere scritti in lingua italiana. Qualora contenessero brani in altra lingua
o in dialetto, non assimilabili a termini o citazioni correntemente utilizzate e comunemente
note, dovrà essere fornita una traduzione.

Art. 3 – PARTECIPANTI
Il concorso/selezione è aperto a chiunque, senza vincoli di nessun tipo.

Art. 4 – MODALITÀ
1) Il concorso/selezione è ASSOLUTAMENTE GRATUITO, non è prevista alcuna spesa per i partecipanti.
L’inserimento dei testi e la selezione, avverrà ESCLUSIVAMENTE SUL FORUM CREATIVITY STATION, con le seguenti modalità:
2) Chi intende partecipare deve essere iscritto o iscriversi a CREATIVITY STATION (iscrizione assolutamente gratuita, basta scegliere un nome utente e una password, e fornire un indirizzo e-mail).
3) Gli utenti possono utilizzare il loro nome proprio o uno pseudonimo. I testi vanno inseriti all’interno della sezione del forum dedicata al concorso.
La sezione è ACCESSIBILE SOLO ALL’AUTORE E AI MEMBRI DELLO STAFF del forum. Questo per garantire che i racconti non vengano letti da altri utenti o visitatori del forum fino al momento della pubblicazione dell’e-book. Per accedere a questa sezione gli autori dovranno richiedere al momento dell’iscrizione al concorso l’abilitazione agli Amministratori del forum, tramite messaggio privato, nel quale dovrà essere allegato un indirizzo e-mail valido per le comunicazioni durante le selezioni.
Una volta effettuata la selezione dei racconti, lo Staff inizierà l’editing degli stessi. Eventuali modifiche sui testi saranno comunque discusse ed effettuate col consenso dell’autore. A termine concorso, gli autori dei testi selezionati, dovranno fornire le loro generalità complete, e il consenso al trattamento dei loro dati secondo termini di legge. I testi rimangono di esclusiva proprietà dell’autore, compresi tutti i diritti di sfruttamento e divulgazione.

4) Il concorso/selezione RIMANE APERTO FINO ALLA MEZZANOTTE DEL 15/11/2011.
Se a tale data non si sarà raggiunto un numero minimo di racconti selezionabili tali da poter costituire una raccolta di almeno 10-15 racconti, il concorso sarà reso nullo. Dopo la chiusura del concorso, inizierà l’editing dei racconti e i lavori per la preparazione dell’e-book, che uscirà indicativamente il 10 dicembre 2011.

Art. 5 – PREMI
Il premio, come precedentemente specificato, consiste nell’inclusione dei racconti ritenuti migliori nell’antologia in e-book che pubblicheremo on line.

Art. 6 – GIURIA
La giuria opera in maniera insindacabile. È composta dai membri dello Staff di CREATIVITY STATION, e dalla redazione della rivista CREATIVITY PAPERS. Per qualunque informazione e comunicazione in ogni fase del concorso, i referenti sono gli Amministratori e Fondatori di CREATIVITY STATION:
Roberto Sonaglia, Samanta Sonaglia. 

http://scrittoricreativi.forumcommunity.net

Un sito WordPress.com.

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