Jane Eyre, una rilettura contemporanea di LORENZO SPURIO

Jane Eyre. Una rilettura contemporanea

di LORENZO SPURIO

Lulu Edizioni, 2011, pp. 101

ISBN: 9781447794325


Recensione di Anna Maria Folchini Stabile

Perché Jane Eyre è da ritenere un testo letterario tanto significativo nella storia della letteratura moderna da meritare ancora oggi una lettura attenta e meditata? Lorenzo Spurio nel suo saggio Jane Eyre. Una rilettura contemporanea ce ne fornisce la ragione spiegandone il perché: l’opera ha in sé tutti gli elementi narrativi atti a determinarne il valore di caposcuola del genere, tanto da essere punto di riferimento per tutte le opere letterarie che trattano il tema dell’orfano, i problemi razziali e coloniali, il tema del folle e della redenzione collettiva dei personaggi che tra tali argomenti prendono corpo e si muovono. Il saggio di Lorenzo Spurio nell’Introduzione motiva l’importanza e la novità del romanzo Jane Eyre  di Charlotte Brontë che, per la prima volta nel panorama letterario europeo e per il suo tempo, ha come protagonista una figura femminile marginale e sottovalutata nella società inglese di quel tempo: l’orfana povera che passando attraverso innumerevoli traversie personali, diventa istitutrice acquisendo indipendenza economica. Successivamente ella sale nella scala sociale, recuperando il proprio status e la propria ricchezza perduta, realizzando così anche il suo sogno d’amore. La donna con la Brontë assume nuova dignità sociale, tanto che Jane alla fine del suo percorso di crescita può affermare a pieno diritto: «Sono padrona di me stessa».

Ma Lorenzo Spurio supera l’analisi del testo in sé e sviluppa il suo saggio sull’analisi dei temi che concorrono tutti insieme all’originalità del testo della Brontë: la sofferenza di Jane che forgia un carattere forte superando incredibili angherie, la figura della pazza, presenza negata nel contesto delle vicende narrate eppure assolutamente determinante nello svolgimento delle stesse, il problema dei rapporti della società inglese con le colonie e con i coloni, condizionati dalle distanze e dagli stili di vita differenti dalla madrepatria. Ciò che interessa dell’opera di Spurio è il confronto comparativo del testo della Brontë con i sequel di Jean  Rhys, Wide Sargasso Sea (1966), di D.M.Thomas, Charlotte (2000), di  Sherri Browning Erri, Jane Slayre (2010) e di Bianca Pitzorno, La bambinaia francese (2004). In tutti questi romanzi i temi cari alla Brontë ritornano e ogni autore dà una sua personale interpretazione ai personaggi che la scrittrice traccia, spostando il punto di vista sulle colonie, come fa la Rhys che dà voce al sentire della comunità creola  di Giamaica, alle commistioni razziali, al disprezzo inglese per i creoli che invece si percepiscono inglesi, pienamente legati e   collegati all’Inghilterra di cui si sentono emanazione e parte viva, giustificando disagi e follie, condannando Rochester, l’uomo amato da Jane nel romanzo originale e qui rivisitato nelle vesti di un prepotente razzista insensibile, non vittima di un matrimonio artefatto, ma causa della pazzia delle moglie ormai folle che si consuma nella sua stanza. Lo stesso avviene per la Pitzorno che ripropone e sviluppa il tema dell’orfana, del rapporto con le comunità delle Indie occidentali, il problema della schiavitù e dell’abolizionismo. Il tema sociale è dominante. Nel testo Charlotte di D.M. Thomas il sequel ambienta la narrazione nel 2000, ma rimanda in continuo a vicende passate di cui la protagonista, studiosa di letteratura e del personaggio Jane Eyre, conosce  i particolari tanto che si immedesima in esse fino a riviverle in prima persona. Jane Slayre, crea un romanzo horror in cui non mancano vampiri e crudeltà di ogni genere e Jane trionfa, ma in qualità di assassina di vampiri, traslato di ingiustizie che percorrono tutta la narrazione.

Non mancano nel saggio di Lorenzo Spurio i riferimenti anche alla filmografia dell’opera che testimonia la validità e l’attualità del personaggio di cui si narra. Ciò che emerge dalla lettura è soprattutto l’attenzione che Spurio ha concentrato sull’analisi del testo e la conoscenza approfondita di esso e delle opere comparate. Significativa è, inoltre,  l’intervista a lui rilasciata da Sherri Browning Erri che inquadra la sua Jane Slayre come un omaggio alla Jane originale, ma usando i modi espressivi alla moda in questi nostri tempi  in cui i vampiri impersonano i cattivi e Jane, buona, trionfa uccidendoli. Perché Jane Eyre, in fondo, per tornare alla domanda iniziale, è il trionfo dell’happy end  e, forse, in questo sta il suo perdurante successo. Lorenzo Spurio ne è convinto.

 Anna Maria Folchini Stabile

Angera (Va), 15 agosto 2011


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Hai smesso i pantaloni corti di Mauro Biancaniello

di MAURO BIANCANIELLO

Recensione di Ida Verrei e Patrizia Poli

Sono molti e universali i temi che attraversano la raccolta di liriche “Hai smesso i pantaloni corti” di Mauro Biancaniello: l’amore, la memoria, la guerra, il dolore, il fulgore dell’estate, un eros fantasticato e represso in un legame concreto e maturo.

“Il ricordo è poesia e la poesia non è se non ricordo”, recitava G. Pascoli. Ed è attraverso la rievocazione di un vissuto recente, attraverso quella facoltà affascinante e misteriosa che è la memoria, che Mauro Biancaniello ci regala nel verso un flusso d’immagini, quasi fotogrammi di un film a colori. Cattura frammenti di vita quotidiana e li trasfigura in messaggi poetici, ingenui e lievi, ma palpitanti di emozioni. E così si dispiega il filo dei ricordi: dalla visione onirica della nonna, che “sale le scale del paradiso”, all’immagine dolente della madre, insieme alla quale “non ha mai distolto lo sguardo”, dai balenii luminosi di un’adolescenza svanita, insieme ai pantaloni corti ormai smessi, ai sogni dell’incerto futuro di un’età adulta.

I ricordi, “l’adolescente ritorno”, appartengono a un giovane che da poco “ha smesso i pantaloni corti”, e sta ora osservando, stupito e fiero, il proprio divenire uomo. La giacca e il pantalone lungo, stesi sul letto, sembrano diventare “una persona, un adulto”.  In quel “sembrano” c’è tutta l’incertezza della crescita e il timore che la maturità porti con sé il “grigio” di un vivere senza più slanci. A questo proposito, torna più volte l’immagine dell’incrocio, del “crocevia infinito”, fatto di scelte temute e non ancora compiute, mentre certezze infantili crollano, ideali perdono consistenza, affiorano cinismo, egoismo e supponenza, per essere compresi, sublimati e rimossi, in un tempo che corre, “che non è infinito” perché “si è già dopo mai ora”.

C’è tutta la freschezza della giovane età nell’opera di questo sensibile artista, che riesce a cogliere nella realtà il segno dell’umana condizione, fatta  di istanti di gioia, ma anche di un tempo che “è solo attimo da mordere”, “lacrime piante senza vergogna”: non solo, quindi, dolci nostalgie, ma anche un tuffo nel dolore, forse vissuto e non solo intuito. D’altra parte, come dice Alda Merini, la poesia nasce anche dai graffi dell’anima.

Contraddistingue la poesia di Biancaniello un’estrema semplicità, che è limpidezza e purezza di parole, sgorgate dal cuore e dalla mente così come le si sente e le si pensa. Un esempio è quel “abbiamo visto tanto” rivolto alla madre, capace di racchiudere un’intera vita di amore e sofferenze patite. E ancora il dolce commiato dalla nonna, con la terra che cade sulla bara. È un linguaggio facile ma ricercato, quello del nostro poeta; il verso si fa mezzo dell’esigenza comunicativa, di voglia di narrarsi; il ricordare è un rivedere, un rivivere, un rivisitare attimi di vita, ma è anche approccio a temi universali.

Questo giovane uomo ha una speranza, una forza tutta sua. Sa che, quando “si riesce a oscurare il proprio io per dar luce a un’altra persona”, allora, davvero, “si può dire di amare.”

Patrizia Poli e Ida Verrei

RECENSIONE PUBBLICATA PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE. E’ VIETATO PUBBLICARE STRALCI O L’INTERA RECENSIONE SENZA PERMESSO DELL’AUTORE.

Emanuele Marcuccio intervista Luciano Domenighini

Intervista a Luciano Domenighini

a cura di Emanuele Marcuccio 


Da quanto tempo scrivi, come è nato in te il desiderio di scrivere poesie e di dedicarti alla critica letteraria?
La prima poesia l’ho scritta a dodici anni. L’amore per la critica letteraria è venuto molti anni dopo.

Cos’è per te la poesia, cosa non deve mai mancare in una poesia in generale e nella tua in particolare?
La poesia è la forma più intensa e diretta di comunicazione verbale. Non deve mai mancare l’ispirazione assieme alla ricerca di una forma esatta.

E cosa non deve mai mancare nello scritto di uno scrittore?
Oltre all’ispirazione, il rispetto della parola, la consapevolezza che la parola è una risorsa, non va sprecata, banalizzata.

Dal punto di vista strettamente stilistico com’è il tuo poetare, utilizzi la metrica o solo la rima, o nessuna delle due e perché?
Sono affascinato dai vari modi di poetare, in metrica, in rima, in prosa lirica.

Quanto tempo impieghi per scrivere una poesia?
Dipende. In genere le poesie in metrica e in rima richiedono più tempo, prevedendo degli obbiettivi obbligati. Sono, alle volte, come un gioco enigmistico che però non deve essere fine a se stesso. Il rischio è quello di perdere efficacia poetica per ottenere il metro e la rima giusti. Ma è una sfida in più.

Perché, secondo te, la poesia ha minor pubblico rispetto alla narrativa, tanto da esser considerata di nicchia?
Perché tramite la poesia si comunica in una dimensione intima, privata, esclusiva, e molte persone hanno paura di entrare in questo ambito manifestandolo pubblicamente.

Preferisci scrivere a penna o al PC?
A penna.

Quali esperienze sono state per te più significative per la tua attività di poeta e critico letterario?
Come poeta è stato il conseguimento di alcuni premi letterari. Ricordo in particolare
con piacere quella volta, alla premiazione del “Graffito d’oro” del 2008, dove l’attrice
che leggeva le poesie premiate, si commosse leggendo la mia, che qui vado a riportare:

AL FIGLIO

Figlio,
tutto al mondo ha un prezzo
ma tu non saperlo.

Pensa che ogni cosa sia offerta
In dono
e in dono ricevuta.

Nulla è scontato
e non c’è ricchezza
senza meraviglia.

Nessun dono da me, povero padre,
se non che una carezza.

Lieve ti sia,
come un ricordo senza nome e
dimenticata
sempre ti accompagni.

(2007)

Come critico letterario l’esperienza più significativa riguarda la recensione e i commenti alla raccolta di un giovane e promettente poeta siciliano, sì, lo stesso che mi sta adesso intervistando.

Grazie infinite, per il mio Per una strada è stato un vero onore, un pregevolissimo dono. Come nasce in te l’ispirazione, come organizzi il tuo scrivere, ci sono delle fasi?

Io sono un poeta della domenica, a tempo perso, o meglio sarebbe dire, a tempo rubato al lavoro e agli impegni familiari.
L’ispirazione nasce casualmente, improvvisamente, realizzando nella memoria una frase, un sintagma, un ritmo, un’assonanza. A volte se non si hanno subito carta e penna per annotare quello che è balenato nella mente, il lampo dell’ispirazione va perso.
Poi il lavoro di costruzione del testo può essere lungo, laborioso, a più fasi (anche con rifacimenti a distanza di anni).
Ma è importante non perdere l’input iniziale…

Concordo e, citando un passo della mia introduzione alla poesia “Perché la poesia sia vera e sincera deve esserci questa scintilla iniziale, dopodiché possiamo scrivere di getto, in maniera spontanea o, fare un lavoro di lima ricercando la rima più adatta o la parola, o il suono e starci tutto il tempo che ci è necessario. In caso contrario, diventerebbe solo qualcosa di artificioso che non è espressione dei nostri sentimenti.”Nel 2004 hai fatto stampare a tue spese, in 150 copie, presso una tipolitografia una raccolta che hai intitolato “Liriche esemplari”. Ce ne puoi parlare?
“Liriche esemplari” è un’antologia, una raccolta retrospettiva che copre un arco molto ampio di tempo. Come accade a molte opere prime di uno scrittore dilettante già avanti con gli anni e totalmente inedito, anche “Liriche esemplari” ha un carattere che definirei retrospettivo-riepilogativo e in qualche modo anche testamentale.
Anche la sua veste editoriale essenziale, spoglia, totalmente priva di commenti e illustrazioni, se si esclude una fugace autoprefazione, è in linea con questa prospettiva di “messaggio nella bottiglia”.

Perché proprio questo titolo “Liriche esemplari”?
Lo spiego nelle quattro righe dell’autoprefazione: “esemplari” non sta per “da prendere ad esempio” ma sta per “esempi di composizione poetica”, in vari metri e stili, dalla prosa lirica al sonetto, alla rima dantesca, ecc… Ho voluto sottolineare l’aspetto tecnico, esercititativo, eclettico, della raccolta.

“Liriche esemplari” sta per “esempi di composizione poetica”, quindi, preferisci scrivere in metrica o in verso libero, qual è per te la vera poesia?

La formula, il modulo letterario è solo un tramite per ottenere la “forma letteraria” che è il vero obbiettivo dell’artista. Io non ho preferenze sul tipo di tecnica da usare: scelgo quella che più si adatta ai vari momenti ispirativi.

Ci sono altri scritti, stampati a tue spese?
No.

Cosa ti ha spinto a stampare a tue spese?
Vanità, solo vanità.

Quali sono i tuoi poeti preferiti, ce n’è uno in particolare?
I miei preferiti sono Dante, Tasso, Leopardi, Pascoli, Shakespeare, Puskin, Gozzano. In particolare però il poeta prediletto è Dino Campana.

E qual è la tua poesia preferita?
Questa, dai “Canti Orfici”:

Nel silenzio azzurrino

. . . . . . . . . . . .

L’aria ride: la tromba a valle i monti
Squilla: la massa degli scorridori
Si scioglie: ha vivi lanci: i nostri cuori
Balzano: e grida ed oltrevarca i ponti.
E dalle altezze agli infiniti albori
Vigili, calan trepidi pei monti,
Tremuli e vaghi nelle vive fonti,
Gli echi dei nostri due sommessi cuori…
Hanno varcato in lunga teoria:
Nell’aria non so qual bacchico canto.
Salgono: e dietro a loro il monte introna:
. . . . . .
E si distingue il loro verde canto.

. . . . . . . . . . . .

Andar, de l’acque ai gorghi, per la china
Valle, nel sordo mormorar sfiorato:
Seguire un’ala stanca per la china
Valle che batte e volge: desolato
Andar per valli, in fin che in azzurrina
Serenità, dall’aspre rocce dato
Un Borgo in grigio e vario torreggiare
All’alterno pensier pare e dispare,
Sovra l’arido sogno, serenato!
O se come il torrente che rovina
E si riposa nell’azzurro eguale,
Se tale a le tue mura la proclina
Anima al nulla nel suo andar fatale,
Se alle tue mura in pace cristallina
Tender potessi, in una pace uguale,
E il ricordo specchiar di una divina
Serenità perduta o tu immortale
Anima! o Tu!

. . . . . . . . . . . .

La messe, intesa al misterioso coro
Del vento, in vie di lunghe onde tranquille
Muta e gloriosa per le mie pupille
Discioglie il grembo delle luci d’oro.
O Speranza! O Speranza! a mille a mille
Splendono nell’estate i frutti! un coro
Ch’è incantato, è al suo murmure, canoro
Che vive per miriadi di faville!…
Ecco la notte: ed ecco vigilarmi
E luci e luci: ed io lontano e solo:
Quieta è la messe, verso l’infinito
(Quieto è lo spirto) vanno muti carmi
A la notte: a la notte: intendo: Solo
Ombra che torna, ch’era dipartito…

 Trovo che Campana possegga delle capacità tecnico-metriche, una immaginazione poetica e una nobiltà linguistica assolutamente superiori.

Quali sono i tuoi libri preferiti, c’è un libro del cuore?
La Divina Commedia, Ulisse di Joyce. I Canti di Leopardi, Myricae di Pascoli, i Canti Orfici di Campana.
Il mio libro del cuore sono i Promessi Sposi. La sua prosa ha un tono singolare e inconfondibile, edificante, consolatorio, rasserenante.

E c’è un genere di libri che non leggeresti mai?
Non ho particolari preclusioni nei confronti di qualche genere letterario. L’importante è che un libro sia scritto bene.

Nella tua vita ti è mai capitato qualcosa che ha rischiato di allontanarti dalla poesia, o che ti ha allontanato per un periodo dalla poesia o dalla scrittura in genere?
Se mai ci sarebbe da chiedermi cosa di tanto in tanto mi ha avvicinato alla poesia.
Nella mia vita la poesia è stata un’eccezione ricorrente.

Ami la tua terra, la tua regione o vorresti vivere altrove?
Amo la mia terra, anche se la mia è stata una vita da esule. Tutte le terre sono belle se vi si trova qualcuno da amare e che ci ami. Ma la terra natìa è una madre, viene prima di noi, sono le nostre radici, e ce la portiamo dietro nella vita, qualunque cosa noi facciamo o diventiamo.

Tra poesia e prosa, cosa scegli e perché?
Scelgo la poesia perché mi è più congeniale. A scrivere in prosa ci ho provato ma non ne viene fuori nulla.

Hai un sogno nel cassetto?
Scrivere belle poesie e aver più tempo per farlo. E poi diventare uno scrittore famoso, ricco e ascoltato.
È proprio vero che i sogni non hanno età.

Cosa pensi dell’attuale panorama editoriale italiano?
Ci sono molte opportunità per chi abbia un po’ di tempo per dedicarsi alla scrittura. Ma le grandi case editrici sono poche.

Cosa pensi dell’attuale panorama culturale italiano?
E’ in corso, tramite i “media”, un processo di acculturazione delle masse, di alfabetizzazione del gusto ed è chiaro che, in questo ambito, non si può andare tanto per il sottile. E’ una cultura essenzialmente didascalica, catalogativa, compilativa, estemporanea, d’accatto. La cultura del passa-parola, del tam-tam mediatico, del “sentito dire”, delle frasi fatte e dei luoghi comuni, dietro a cui quasi sempre c’è un sottofondo di qualunquismo e di propaganda più o meno celata. Fortunatamente sopravvivono i buoni testi letterari.

Cosa pensi dei premi letterari, pensi siano importanti e necessari per un autore?
Quando sono istituiti con serietà, rappresentano un’occasione per gli scrittori.

Recentemente ho letto un articolo di Cesare Segre sul “Corriere della Sera”, riguardo all’irresistibile declino della critica letteraria agli autori contemporanei, con la conseguente perdita di prestigio della letteratura. Da critico letterario, cosa pensi a riguardo, è davvero in declino la critica letteraria?
Credo che nel Novecento si sia verificata una sovraesposizione della letteratura alla critica letteraria. In certi casi la critica letteraria è diventata quasi un genere letterario a sé stante e, in non pochi casi, ha contribuito a determinare la fortuna o la disgrazia di qualche autore. Inoltre spesso ha avuto una funzione scopertamente commerciale, sovrastimando opere di scarso valore. Il richiamo di Cherchi a un’impostazione schematica della critica letteraria, secondo il modo della filosofia scolastica, è interessante perché definisce l’opposto di quella critica vaga, enfatica, fumosa, indefinita e indefinibile e non di rado, come detto, pretestuosa, che ha imperversato e tuttora imperversa. Io credo che entrambi questi estremi vadano evitati. La valutazione di un’opera letteraria deve poggiare su parametri di riferimento chiari e in qualche modo oggettivabili, ma al contempo dovrebbe consentire al critico di manifestare il proprio gusto, la propria sensibilità e la propria fantasia interpretativa.

Quanto è importante per te il confronto con altri autori?
È molto importante. Per imparare soprattutto nuove tecniche e nuove soluzioni espressive. E poi, dal punto di vista umano, per condividere questa colleganza, questa esperienza comune. Va da sé che, comunque, per entrare nel mondo di un poeta e nel suo immaginario, per capire il senso e l’atmosfera della sua poesia occorre che si realizzi una simpatia, che si stabilisca una sintonia con il suo testo poetico. Questa corrispondenza, quasi sempre è automatica, spontanea e dipende dalle affinità fra lettore e autore o dalla concomitanza di particolari stati d’animo che favoriscono questa comprensione.

Ci sono dei consigli che vorresti dare a chi si accosta per la prima volta alla scrittura di poesie o alla scrittura in genere?
Nessun consiglio, se non quello di avere il proposito di migliorarsi costantemente. E poi l’umiltà, il rispetto verso altri autori, lo spirito di autocritica soprattutto con l’obbiettivo di evitare le secche dell’autoreferenzialità.

Vuoi anticiparci qualcosa su quello che stai scrivendo?
Una nuova raccolta di poesie. Sono circa sessanta titoli anch’essi di metro e stile differente, anche se orientati prevalentemente verso la prosa lirica.

 Grazie tante per la tua disponibilità e tanti auguri per la tua attività di poeta e critico letterario!

 A cura di Emanuele Marcuccio

 

 

 

LUCIANO DOMENIGHINI è nato nel 1952 a Malegno in provincia di Brescia. Ottenuta la maturità classica si laurea in Medicina e inizia la professione medica quale medico di Medicina Generale, attività che svolge tutt’ora. Nel 2000, a Bologna, ottiene il primo riconoscimento letterario , una segnalazione a un premio di poesia. Nel 2003 vince il premio internazionale “Provincia di Trento” per la poesia “Canzone” E  nel 2004  al Vittoriale di Gardone Riviera gli viene assegnato il premio internazionale “Gabriele d’Annunzio” per la poesia “Esercizio di rima”. Sempre nel 2004 pubblica la sua prima raccolta di versi “Liriche esemplari”. Collabora nel frattempo saltuariamente con giornali locali come critico letterario.  Nel 2004 ottiene il 4° posto al premio Nazionale  di Poesia  “Il graffito d’Oro”, riservato a Medici e Farmacisti letterati, con la poesia “Dalla spiaggia” e due anni dopo nel 2008 sempre al “Graffito d’oro”, vince il premio speciale della giuria con la poesia “Al figlio”. Ancora nel 2008 ottiene una segnalazione alla XXI edizione del premio Nazionale Città di Corciano con la poesia “Mottetto”. Nel 2010 redige un breve commento critico ad alcune poesie di giovani poeti siciliani fra cui 15 titoli della raccolta “Per una strada” di Emanuele Marcuccio.


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