“Dal bisogno di sapere al desiderio di capire” di Ettore Bonessio di Terzet

Quando l’essere umano ha iniziato a pensare qualcosa ( sapendo di pensare), ha pensato come relazionarsi alla Natura e agli altri esseri umani, dapprima dello stesso gruppo.

Un problema si presentò ogni volta che gruppi diversi, magari della stessa etnia, venivano in contatto. Per lo più, ci dicono i dati archeologici, lo scontro era inevitabile, ma talora i gruppi si integravano, si allargavano e aumentavano la capacità del “nuovo gruppo “ di vivere meglio e di raffinare la propria tecnologia.

Che cosa pensavano e si dicevano gli esseri umani di questo gruppo ipotetico?

Certamente erano meravigliati di quello che vedevano sentivano provavano. Contemporaneamente erano curiosi di vedere e di sapere che cosa fossero le cose che vedevano, come funzionassero, come fossero “fatte” e come poterle utilizzare ai propri fini benefici.

Meraviglia curiosità emozioni voglia di sapere che cosa.

Questi i primi movimenti della mente e dello spirito degli esseri del nostro gruppo, mantenutisi per via genetica negli umani ulteriori.

Anche noi ci meravigliamo di fronte ad una cosa nuova, siamo stupiti dall’architettura di un tempio antico o di un palazzo modernissimo; siamo curiosi di avvicinarli di toccarli di vedere che cosa siano; siamo emozionati e vogliamo sapere come sono fatti. Poi li nomineremo secondo il nostro linguaggio in generale ed alcuni daranno loro un nome secondo la propria lingua, distinguendosi dai più.

E via così, venendo sempre più alla mente ed allo spirito il senso dell’ignoranza, il desiderio di sapere sempre di più e il sentimento disturbante di sapere che non sappiamo tutto, se non si intenda per tutto il mondo degli oggetti circostanti. Il che pare una limitazione da non prendere in considerazione.

Allora dobbiamo aggiungere ai primi moti che abbiamo detto, anche l’ignoranza, il sapere di non sapere.

Ignoranza che porta uno squilibrio, la sensazione che “muovendoci” incontreremo cose che non conoscevamo e che non sappiamo che cosa siano e come si comporteranno.  Queste cose ignote portano un nuovo moto della mente e dello spirito: la paura.

Sappiamo soddisfare la nostra meraviglia lo stupore la conoscenza, ma non subito il sentimento di ignoranza e quello della paura.

Ignoranza e paura sono i sentimenti che hanno guidato gli esseri umani nella progressione positiva e negativa dell’evoluzione che va verso la completezza dell’essere umano.

Con che cosa si può combattere l’ignoranza è ben intuibile: con lo studio e la continua conoscenza degli oggetti. Ma la paura non è così facile da superare.

imagesMa anche l’ignoranza non è estinguibile giacché le cose da conoscere “aumentano” con il progredire del conoscere e del sapere.

Che cosa fare?

Per l’ignoranza non c’è scampo.

Possiamo arrenderci non procedendo più nella conoscenza e rientriamo, per sicurezza di sopravvivenza, nella “norma media del gruppo”.

Altrimenti possiamo continuare a conoscere a studiare e indagare “le cose del mondo nostro e altrui”, vicino lontano lontanissimo, ma nella consapevolezza che non raggiungeremo mai la conoscenza totale. Così alcuni esseri continueranno ad accumulare e raffinare il proprio conoscere tentando di pervenire ad un sapere più completo (più profondo) in campi relativamente ristretti e circoscritti, ossia si specializzano. Ma anche in questo caso, l’essere umano non può non riconoscere che ha un limite oltre il quale non può andare e, ragionevolmente, accetta (alcuni non lo accettano) tale limite come il limite di se stessi.

Bisogna ammettere che l’ignoranza si può contenere, ma non sconfiggere.

Più si conosce e più entriamo nella consapevolezza che un vasto territorio di conoscenze rimane da esplorare e che a noi, esseri umani, non è concesso toccare la fine di esso.

L’ignoranza non si sconfigge, ma fa riconoscere in particolare il limite del singolo essere, e in generale i limiti dell’umanità.

Vediamo che cosa succede con la paura.

Dapprima abbiamo paura di tante cose, dal buio al fuoco, del nuovo, del diverso sino a costruirci un nemico su cui scatenare la nostra paura che trasformiamo in aggressività.

Quando ci sembra di aver sconfitto la paura con l’aver individuato il perché del suo insorgere, ecco che un altro evento, cosa o persona, fa rinascere la paura.

E così via, possiamo andare più avanti per giungere alla matrice della paura: la morte.

Abbiamo paura perché sentiamo che siamo limitati dalla fine del nostro essere umani. Abbiamo paura di qualche cosa esterna ed interna perché abbiamo paura della morte. In generale, e oggi più di ieri, non siamo educati alla morte, se non attraverso pedagogie che inibiscono le nostre capacità e possibilità e ci portano se non alla rassegnazione, alla depressione.

Come superare la paura della morte?

Respingere il pensiero di essere immortali come quello dell’inutilità del fare, soprattutto non lasciarsi prendere dal naturale e vitalistico scorrere della vita, manifesto in certi modi di dire: è il destino, doveva andare così ecc.

Ogni essere umano è padrone e responsabile del suo destino e possiamo agire secondo quello che siamo. Ritorniamo all’accettazione del nostro limite, di noi stessi.

Nessuna rassegnazione, nessuna depressione, nessun fatalismo quindi.

Anche l’idea di immortalità può essere riportata, con una conversione mitica, al fatto che un tempo siamo stati immortali e che poi per qualche evento che non sappiamo e per una ragione ignota alla nostra ragione, siamo adesso mortali. Dobbiamo accettare di essere mortali e meglio lo faremo se migliore sarà stata l’educazione a questa condizione.

Solo con la consapevolezza che il nostro vero limite è la morte e non l’ignoranza, possiamo liberarci da questi due sentimenti e possiamo vivere nella libertà e responsabilità verso noi stessi e gli altri. Anch’essa limitata e non assoluta.

Sappiamo, adesso, che sin dall’Inizio l’essere ha saputo di esser limitato a tal punto che sparisce, muore agli affetti agli amori alle cose che per lui erano piacere gioia e lo soddisfacevano anche per un altro sentimento che aveva bussato alla sua mente e al suo spirito: la Bellezza.

La morte ci porta via il sentimento della Bellezza e del Bello.

Che fare a questo punto? Entra in gioco il pensiero.

Per una buona parte dei secoli, dalla Grecia ad oggi, il pensiero è stato confuso con la filosofia, con una certa filosofia che si presenta, troppo spesso sotto mentite spoglie, come una retorica per convincere e guidare la massa verso predeterminate finalità economico-politiche.

La scienza del potere è questa certa filosofia.

Dicevamo che entra in gioco il pensiero. Abbiamo molte tipologie di pensiero: metaforico, simbolico, mitico, metafisico, pragmatico, pratico, scientifico, tecnico e tecnologico (tutti di ordine operativo questi ultimi) ecc.

Entra, può entrare in gioco il pensiero totale, somma dei vari pensieri e che si può esprimere come pensiero trasformativo, a differenza del pensiero filosofico che si esprime  come normativo e ripetitivo.

Il pensiero trasformativo è il pensiero che può salvare l’essere dalla sua paura fondamentale, la morte.

Gli impulsi che il sentimento della morte agita nel nostro interno ed esterno come atti e azioni possono non essere repressi (per paura), ma trasformati in possibilità positive per l’essere. Vale l’esempio di Van Gogh che, ossessionato dalla paura di non essere accettato e quindi isolato, respinto e negato come artista, ha trasformato le energie della paura della morte in opere d’artepoesia. Ed altri esempi esistono.

Trasformare la morte in vita attraverso l’opera d’artepoesia e non per raggiungere una immortalità orizzontale, ma per se stessi prima di tutto ovvero per esprime tutto quello che si poteva dire all’interno del limite riconosciuto e accettato. All’interno di questo limite l’artistapoeta esplode tutte le proprie energie non pensando a se stesso, ma mirando oltre la propria vita, alla vita dell’umanità, alla vita che non muore, ma si trasforma.

Oltre lo spazio e il tempo, verso lo spaziotempo, verso gli universi mondi indefiniti, forse infiniti. Grande scommessa anche senza fede in un Dio, avendo fede nella propria attività, nell’arte scelta per segnarsi nella massima umanità.

Ogni segno è parola.

L’essere trasforma il limite in una luce di Bellezza, siccome l’artistapoeta cerca nel suo “fare artistico”  primariamente, se non solamente, la poesia. E sappiamo, nessuno può negarlo, che nel nostro complesso gruppo etnico europeo la poesia cerca l’idea che esprime la Bellezza.

Semplicemente possiamo dire che l’essere per esistere umanamente al massimo non può che essere un artistapoeta, un essere trasformativo che agisce e opera per la Bellezza, sconfiggendo ignoranza e morte, perché ha capito il grande gioco del pensiero e della parola a cui è stato chiamato.

  

Ettore Bonessio di Terzet

1 settembre 2013

QUESTO ARTICOLO VIENE PUBBLICATO DIETRO GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE.

In a lifetime – Storie di mare, di terra e altre storie

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Torna l’appuntamento con l’Irlanda allo Shakespeare Cafè di Parma (Via Goito 1 – Link http://www.shakespearecafe.it/it/index.html)

Mostra fotografica di Sandro Pezzi

Concerto/Reading con:
Sandro Pezzi – Voce, chitarra
Reggiani Stefano – Narrazione e testi
Cecilia Bolognesi – Violino
Elde Lini – Violoncello
Fiorenzo Fuscaldi – Percussioni

Tre poesie di Rosaria Minosa con un commento di Lorenzo Spurio

Tre poesie di ROSARIA MINOSA

con un commento di LORENZO SPURIO

   

NOTTE  STELLATA

di Rosaria Minosa

  

In questa notte stellata….
Non esiste confine…. tra cielo…. terra…. mare
In questa notte stellata….
Solo le lucciole sono regine,
mentre i pesci sono padroni del Mare.
In questa notte stellata,
gli alberi…. cullano il mondo con i loro rami e le loro foglie,
mentre i fiori chiudono i loro petali
per raccogliere i sogni degli uomini.
In questa notte stellata….
La Luna ….
Osserva ogni creatura di Dio…. per dare loro pace.
In questa notte stellata….
Il mio pensiero
oltrepassa il confine dell’infinito.
Chiudo gli occhi…. e il mio cuore si riempie d’amore….
Affinché il giorno dopo…. io riesco a “DONARLO”.

 

 

 

CIELO

di Rosaria Minosa

 

Cielo ….
avvolgimi nel tuo “IMMENSO INFINITO”,
avvolgimi nel tuo “INFINITO DIVINO”.
Fammi cullare….
dalle tue amiche nuvole.
Cielo ….
inebria la mia mente….
affinché per un attimo  dimentichi “ IL MONDO”.
Cielo….
abbracciami per un attimo….
perché quando aprirò gli occhi….
quell’attimo…. diventerà “UN’ETERNITA’”.

  

                                                            

LETTERA DI UNA MAMMA

di Rosaria Minosa

  

I nostri sogni, si sono fermati quel maledetto giorno.
Uno squillo di telefono.. una corsa in ospedale.. tu.. eri già in sala operatoria
all’improvviso per me e tuo padre, non c’era luce.. non c’era sole.. non c’erano parole.. ma solo buio..fitto .. nero.
L’inferno era dentro di noi. L’inferno era attorno a noi.
Da quel momento, i secondi.. i minuti.. le ore.. i giorni, tutto sembrava andare lentamente. Il tempo si era fermato.
Tutto era immobile.. le persone.. l’aria, tutto ciò che era attorno a noi.
Solo l’attesa.. era viva. Attesa così lunga.. amara.. dolorosa.
Ti avevano tagliato la strada, non avevano rispettato lo stop, a me e tuo padre non interessava,
era importante, solo il tuo respiro, sentire la tua voce, sentirsi chiamare “mamma e papà”.
All’improvviso, mano nella mano, io e tuo padre abbiamo iniziato a camminare in una nuova strada.
I nostri sogni “distrutti”.
Vederci invecchiare assieme, tra le grida gioiose dei nostri nipoti. Vederti davanti all’altare con la tua “sposa”.
Sogni lontani.. sogni svaniti. La porta della sala operatoria si è aperta. Tu eri vivo, respiravi
era come se io e tuo padre, ti avessimo partorito in quell’istante “UN NUOVO FIGLIO”.
Io e tuo padre, mano nella mano, piano piano abbiamo dovuto conoscerti.
Il nostro futuro, il tuo futuro,
non sarà più di schiamazzi di bambini o vederti soffrire per le tue prime cotte.
Il nostro futuro, è fatto e sarà di piccoli gesti guardarti negli occhi, e cercare di cogliere il tuo primo sorriso.
Non possiamo più camminare assieme, le tue gambe non potranno più muoversi,
le tue braccia non potranno più abbracciarci, la tua bocca non dirà più “MAMMA E PAPA’”.
La nostra vita, la tua vita, va’ nello stesso binario. Il nostro treno non corre, ma procede adagio,lento.
La strada non è più scura, ma io e tuo padre riusciamo a vedere ogni giorno, un piccolo spiraglio di Luce.
Luce che è presente, anche quando la sera tutto tace, e il buio e il silenzio prendono il sopravvento.
Perché è quella “Luce”, che ci dà la forza e il coraggio, di dire
“DOMANI E’ UN ALTRO GIORNO”.

   

Commento di Lorenzo Spurio

 

E’ un compito difficile commentare tre poesie di un autore, soprattutto se a noi contemporaneo, se non si conosce il suo profilo umano e letterario e soprattutto, perché il commento potrebbe finire per risultare semplicistico o poco in linea con la sua reale poetica. Ad ogni modo tenterò di dare una mia interpretazione e lettura di tre poesie di Rosaria Minosa.

Delle tre liriche inviatemi mi sento di avvicinare le prime due “Cielo” e “Notte stellata” per la loro affinità concettuale che si evidenzia già dal titolo stesso: entrambe vedono l’io lirico con gli occhi puntati verso l’alto, verso il cielo. Nel primo caso non ci è data la determinazione temporale della giornata, non sappiamo se il cielo sia diurno o notturno (sembrerebbe diurno, perché si parla di nuvole), ma leggendo la lirica ci rendiamo ben presto conto che questo non ha molto senso ai fini del messaggio ivi contenuto.

In “Cielo” Rosaria Minosa utilizza una terminologia che oserei definire “panteistica” o addirittura “universalistica” in quanto fa riferimento a concetti/espressioni indefiniti: si parla, infatti, di ‘infinito’, ‘immenso’ ed ‘eternità’. Concetti che, se vogliamo, possiamo caratterizzare anche secondo una venatura religiosa in quanto ci si riferisce all’infinito chiamandolo “infinito divino”. C’è un senso di mistero e di sospensione in questa lirica in cui la poetessa sembra cercare nella natura sconfinata, soprattutto nella possenza dell’atmosfera, un abbraccio rincuorante (“Fammi cullare…/ dalle tue amiche nuvole”) che individua una velata fuga dalla realtà (le cui motivazioni, però, non vengono fornite al lettore). Il discorso lirico qui contenuto si realizza sul livello della temporalità impossibile da considerare e valutare perché imprecisa e sempre caratterizzata da un velo di infinito, ma dalla quale si evince il desiderio di trasformazione dell’attimo (il momento) in qualcosa di perpetuo (l’eternità).

Nella lirica “Notte stellata” si aggiungono i chiari segnali di una natura rigogliosa, presente e padrona del suo spazio (“Le lucciole sono regine”; “i pesci sono padroni del mare”) che sembra acquisire la sua autorevolezza indiscussa, però, solo di notte, quando le attività dell’uomo sono ferme. La lirica, maggiormente caratterizzata nella tinta cromatica delle immagini, ci fornisce un mondo che pensiamo essere buio (quello della notte) che, invece, è luminosissimo perché abitato dalla Luna, dalle stelle e addirittura dalle lucciole. Il sentimento universale che porta l’io lirico a riconoscersi e quasi a volersi liquefare nello scenario naturalistico dormiente, ma assai vivo, si chiarifica nel finale quando la poetessa appunta: “Chiudo gli occhi…e il mio cuore si riempie d’amore…/ Affinché il giorno dopo… io riesco a DONARLO”.

L’ultima poesia, “Lettera di una mamma” in realtà non è una vera poesia, ma una prosa, sebbene contenga elementi di alto lirismo dovuti all’andamento tragico ed empatico della vicenda in sé narrata (si osservi, infatti, il titolo in cui si dice “lettera”, genere che normalmente è di tendenza prosastica). Il contenuto è doloroso e struggente: una madre mette sulla carta la pena provata dal momento del grave incidente del figlio che da quel giorno sarà un vegetale e non potrà più muoversi né parlare. I sogni fatti e alimentati negli anni svaniscono come bolle di sapone e tutto si fa dolore: la speranza che il figlio si salvi da quell’incidente viene presto soppiantata dalla sua grave invalidità con la quale i genitori dovranno fare i conti giorno per giorno.

Dal giorno si passa alla notte, la luce si fa soffusa e sembra spegnersi per sempre facendo piombare il tutto nel buio se non fosse presente quel “piccolo spiraglio di Luce” che, forse, è figlio del baluardo della religione cattolica alla quale ci si può attaccare ancora di più in circostanze simili.

Il buio e il silenzio prendono il sopravvento”, ma la morte, immagine del buio e del silenzio totale, che viene allontanata dalla salvezza seppur a costo della grave invalidità, viene scalfita dai flebili bagliori di una speranza dolorosa, ma che va alimentata giorno per giorno: “Domani è un altro giorno” è la chiusa di questo strozzato canto d’amore e d’angoscia.

 

Lorenzo Spurio

 

Jesi, 28 Agosto 2013

“Battiti d’ali nel mondo delle favole” di Sandra Carresi, recensione di Lorenzo Spurio

 Battiti d’ali nel mondo delle favole

Di Sandra Carresi e Michele Desiderato
TraccePerLaMeta Edizioni, 2012
Pagine: 141
ISBN: 9788890719011
Costo: 10 €
 
Recensione di Lorenzo Spurio

 

untitledL’anno scorso assieme a Sandra Carresi, scrittrice fiorentina, ho scritto e pubblicato un libro di racconti dal titolo “Ritorno ad Ancona e altre storie” (Lettere Animate, 2012) che abbiamo felicemente presentato a Firenze ed ha ottenuto varie recensioni positive. In molte di esse si sottolineava come due autori distanti per provenienza geografica ed età avessero dato vita a un libro la cui scrittura era fluida e senza zone di confine che dicessero al lettore dove terminasse la scrittura di un autore e iniziasse quella dell’altro. Devo confessare che è stata un’esperienza di scrittura molto positiva e interessante che ha dimostrato una certa affinità letteraria con Sandra, persona che si caratterizza per la una grande disponibilità e collaborazione con gli altri. Non è un caso che prima di quel libro scritto con me avesse pubblicato con ilmiolibro “Battito d’ali nel mondo delle favole”, scritto assieme a Michele Desiderato. Quel libro, rivisto, ampliato e dotato di illustrazioni opera di Michela Del Degan, è stato pubblicato da TraccePerLaMeta Edizioni con lo stesso titolo. Il procedimento di collaborazione che ha interessato Sandra e Michele, però, è stato differente dal nostro operato con “Ritorno ad Ancona” in quanto Desiderato ha principalmente ricoperto la vena ispiratrice delle storie narrate che poi Sandra, grazie alla sua abile penna, ha trasposto e “fatto nascere” sulla carta.

Il libro in questione è una raccolta di racconti piuttosto brevi che utilizzano un linguaggio semplice e pulito, facilmente accessibile a tutti e proprio per questo essi possono essere visti anche come delle favole, ossia dei testi che, pur basandosi molto sul fantastico, hanno però un fine pratico, cioè quello volto a trasmettere un certo tipo di insegnamento.

Come viene tratteggiato egregiamente nella nota di prefazione al testo nella quale si richiama il padre della favola moderna, Propp, che con i suoi saggi contribuì a dare uno studio sistematico sul genere, questo libro può essere iscritto senza difficoltà all’interno di questo genere. Alcuni dei racconti che compongono la raccolta presentano vari elementi caratteristici del genere; solo per citarne alcuni l’importanza del mondo naturale con il quale i personaggi colloquiano conoscendo ad esempio il linguaggio degli uccelli; il fatto che i personaggi siano degli animali in grado di intendere, ragionare e parlare; l’intenzione morale che spesso si contraddistingue con la chiusa del racconto e i ribaltamenti di fortuna, episodi che improvvisi e non ipotizzati, cambiano di fatto le pieghe della storia completamente “ribaltandola” (ciò può avvenire sia in bene come avviene ad esempio in “La magia della polvere d’oro”, che in negativo). La favola in parole minime è una narrazione in cui c’è sempre qualcosa di “magico” da intendere con questa parola un sinonimo di “sorprendente”, perché lontano dalla nostra realtà come gli autori scrivono in maniera chiara in quello che sembrerebbe essere un paradosso, ma che non lo è: “La verità non era credibile”(p. 104). Ma se è vero che esse sono delle favole, va anche detto che non sono delle favole nel vero senso della parola, poiché gli autori con questo esperimento letterario hanno voluto espressamente dare al lettore qualcosa di più. La peculiarità dei racconti è che ci si trova in un mondo geografico che, pur descritto nella sua toponomastica, è irreale, difficile o addirittura impossibile cercarlo su un atlante, tanto da richiamare spazi reconditi, manifestazioni dell’immaginifico, ma nei plot che vengono raccontati, o ancor meglio bisognerebbe dire “dipinti”, si insinuano anche le problematiche sociali che sono dell’uomo d’oggi: si veda ad esempio il problema dell’inquinamento visto e dibattuto da due lattine che campeggiano anche sull’immagine di copertina o il riferimento ai centri commerciali che viene fatto nel racconto iniziale “Una fermata utile a Middleton”. Si osservi che questi richiami al mondo contemporaneo sono connotati sempre negativamente quale espressione di massificazione, industrializzazione e caos, configurandosi come anti-eden degli spazi bucolici in cui, invece, si dipanano normalmente le varie storie.

Più generalmente l’attenzione è volta a rappresentare le vicende di una data realtà geografica solitamente molto ridotta (l’isola, il paesello) dove, per quanto avvengano cose abbastanza improbabili nella nostra realtà, tutto sembra diventare magicamente vero.

Centrali i temi dell’educazione (con l’immagine della scuola e dei libri), della formazione, della crescita, della volontà di sviluppare le proprie capacità intellettive e pratiche e nell’importanza di una condivisione delle proprie abilità e un fascino verso il diverso (“Io penso che in un’atmosfera diversa, bambini con culture diverse, si sono incontrati e si sono regalati qualcosa che veniva dal cuore”, p. 33).

Le perle di saggezza che fluiscono dalle pagine di questo libro sono molte e fruibili a tutti con semplicità, basterà avere una certa predisposizione a saper ascoltare ciò che gli autori vogliono dirci: “tutti si erano arricchiti di un oro che non era pirite e avrebbe continuato a brillare per la vita” (p. 22).

Se ancora oggi, la società post-postmoderna dominata dal disagio, dalla frenesia, dalla spersonalizzante logica “commerciale” delle nostre esistenze, fosse ancora improntata nelle primissime fasi della crescita a un certo tipo di insegnamento, che non è niente di retrogrado né anacronistico, allora sì, forse si potrebbe avere un mondo migliore dove emarginazione, violenza e xenofobia sarebbero messi a tappeto.

 

Lorenzo Spurio

 

Jesi, 29 Agosto 2013

E’ uscito “Maschera” di Vincenzo Monfregola

1059196_10201933685174599_435965659_nMASCHERA “…ci trucchiamo ai confini del cuore…”
di  Vincenzo Monfregola
Casa Editrice: egoEdizioni
ISBN: 978-88-98410-24-8
Numero Pagine: 140
Prezzo: 13,90
 
link per l’acquisto: http://www.twinsgroup.it/twinsstore/home/113-vincenzo-monfregola-maschera.html
 
link pagina facebook: https://www.facebook.com/maschera.it
 
Sinossi:

Porto a voi parole in versi, emozioni in lettere, colori su carta; a voi che respirate di sole, di cielo, di aria quella pura, a voi che amate, piangete, sorridete, vi emozionate. Porto a voi la mia poesia, possa essere di compagnia, di sfogo, di lettura nel tempo, di conservazione per quelli che verranno, per coloro che non vedono, non sentono, non parlano.Porto a voi la mia anima senza veli affinché alcuna maschera salga su quel palco che recita la vita.

“Per una strada” di Emanuele Marcuccio, recensione di Susanna Polimanti

Per una strada
di Emanuele Marcuccio
SBC Edizioni, Ravenna, 2009, pp. 100
ISBN: 978-88-6347-031-4
Genere: Poesia
Prezzo: 12,00 €
 
Recensione a cura di Susanna Polimanti

 

emanuele marcuccio - per una strada“Tutto è passato per una strada, luogo fisico, luogo dell’anima, che è stato trasfigurato dalla mia sensibilità, dalla mia immaginazione, che ho cercato di esprimere con la mia poesia”: parole stupende ed essenziali, scritte da Emanuele Marcuccio, poeta palermitano, nella prefazione alla sua  silloge “Per una strada” – SBC Edizioni.  La nostra vita è cammino lungo sentieri tortuosi e lineari, un passaggio attraverso il tempo terreno. La poesia di Marcuccio  percorre età e stati d’animo differenti, una mescolanza di presente e passato, ogni aspetto della sua realtà poetica è profondamente legato a forti tradizioni artistiche e culturali della sua terra di origine, nonché alla sua storia personale.

Definirei Emanuele Marcuccio un poeta dallo stile arcaico, un’anima antica che predilige l’essere all’avere, un attento ermeneuta alla continua ricerca filologica; in ogni suo verso è estremamente tangibile l’amore per la parola, la sua lirica palesa un’intensa spiritualità, ricorda le antiche odi greche e latine. Memore delle prestigiose liriche classiche, ai cui autori Marcuccio dedica svariati canti, si fa mentore egli stesso, con parole ardenti e passionali penetra tutto ciò che nel mondo è essenziale, suggerisce coraggio ed infonde speranza. Una vena poetica di altri tempi dunque, espressione di affetti e sentimenti su temi come la patria, l’amore, la natura e la libertà dell’individuo; egli manifesta nei suoi versi emozioni che riflettono la contraddizione del proprio tempo in una società moderna di massa,  parole che respirano atmosfere di degrado ed ingiustizie di un progresso pervaso dall’indifferenza verso ogni creatura dell’universo, che siano animali, eventi o luoghi. La dolce e malinconica consapevolezza della capacità distruttiva dell’uomo si alterna e s’intreccia con voci comuni e tradizionali in versi vivaci e coloriti. La sua lirica è echeggiante e pregiata, pregnante di significati connotativi in un insieme di emozioni, immagini ed effetti che la parola è capace di evocare. Imperante il desiderio di un rifugio interiore che sfocia nella dolce catarsi della poesia. Non a caso nella silloge “Per una strada” ritroviamo spesso il verbo “inabissarsi”, il poeta vive ogni suo verso  esattamente come specchio interiore, visione del mondo e mondo essa stessa, secondo quel ritmo purificatorio che le ha impresso. La sua opera è immagine pura della sua stessa integrità  e fedeltà al momento creativo originale.

Profonda e costante la presenza divina la cui ispirazione è tracciato potente e luminoso dell’evoluzione artistica di Emanuele Marcuccio; un poeta-musico, la cui poesia ritengo possa egregiamente essere accompagnata dal suono di uno strumento musicale e magari cantata in un suggestivo teatro, come affascinante può considerarsi la lettura dei suoi versi.

 Susanna Polimanti 

Cupra Marittima (AP), 29 agosto 2013

“Ian McEwan: sesso e perversione” di Lorenzo Spurio, recensione di Anna Maria Balzano

Ian McEwan: sesso e perversione

di Lorenzo Spurio

Photocity Edizioni, 2013

Link diretto alla vendita

 

cover“Ian McEwan: sesso e perversione” è l’ultimo interessantissimo saggio di Lorenzo Spurio sul grande scrittore inglese. Si tratta di un lavoro molto ben articolato che analizza con minuziosi dettagli un tema, quello del sesso, in tutte le sue sfaccettature, positive e negative, importantissimo nell’opera dell’artista britannico, rivelando una conoscenza profonda sia dei testi a cui fa riferimento sia degli studi critici  e delle recensioni pubblicate sulle opere dell’autore.

È l’uomo al centro di questa analisi, l’uomo nella sua volontà di prevaricazione, che manifesta nelle sue attitudini sessuali il bisogno di affermazione e conoscenza di sé.

Capitoli su argomenti ancora spesso considerati scabrosi in letteratura, come l’incesto, il sadomasochismo, lo stalking, offrono al lettore un’interpretazione accurata delle opere dell’autore, interpretazione che a una lettura superficiale può sfuggire.

Sono soprattutto i personaggi di “The Cement Garden”, “The Confort of Strangers”, “Enduring Love”, “Sweet Tooth”, al centro dell’attenzione di Spurio, che fa riferimento anche alle teorie freudiane per quegli aspetti che riguardano una parvenza di regressione all’infanzia o addirittura di complesso di Edipo.

Molto interessante appare il riferimento allo studio di Jack Slay, che nella sua opera su McEwan, a proposito dell’incesto, sostiene che esso risponde a “un bisogno di condivisione, un bisogno di amare”, spogliando così questo atto della sua componente di perversione.

È vero, come rileva più volte Spurio, che ciò che può sembrare ambiguo e sgradevole nell’opera dello scrittore inglese, non contiene mai una volontà di colpire il lettore per la sua volgarità, anzi, il discorso di McEwan è sempre metaforicamente rivolto alla funzione dell’arte nella società contemporanea.    

Molto suggestiva l’interpretazione del titolo del romanzo “Enduring Love”, che sostiene meravigliosamente tutta la tesi di Spurio. Il verbo to endure assume qui un duplice significato: da una parte fa riferimento a un amore durevole, cioè duraturo nel tempo, dall’altro a un amore inteso come sopportazione e peso. Ed è questa ambiguità che offre al lettore più chiavi di lettura e una grande libertà di interpretazione.

Ciò che risulta poi estremamente illuminante nell’intero saggio di Spurio è la sua conclusione, che vuole mettere l’accento sulla persistente tendenza perbenista di un certo pubblico di lettori ancora oggi pronti a condannare descrizioni di abitudini sessuali che si discostino dai canoni della morale comune, chiudendo gli occhi su realtà diverse ma pur sempre presenti. Non meno interessante è la denuncia del limite palese di quei critici che associano a un contenuto scabroso una figura d’autore a dir poco disturbata: a questo proposito si ricorda come sia stata messa al bando subito dopo la sua pubblicazione un’opera come “Lady Chatterley’s lover” di Lawrence o quanto scalpore abbia suscitato “Lolita” di Nabokov.

Nelle sue ultime considerazioni Spurio ci offre molti spunti di riflessione che non a caso possono essere giustamente riferiti anche alla sua bella recente raccolta di racconti “La cucina arancione”, che appunto indagano nella natura dell’uomo, mettendone in luce quei lati bui e nascosti che la morale borghese tuttora censura.

 

QUESTO TESTO VIENE QUI PUBBLICATO PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

“Si tira avanti solo con lo schianto” di Davide Rondoni, recensione di Ninnj Di Stefano Busà

Si tira avanti solo con lo schianto” emblematico libro di Rondoni che mostra la poesia come visione lirica di un progetto esistenziale inevitabile e necessario.

 

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

untitledLa demolizione di ogni sogno, di ogni ideale sembrerebbe racchiudere questo titolo, in realtà si rivela in Davide Rondoni, un panorama ineludibile del far poesia: senza lo schianto non vi possono essere crescita, rinascita, superamento, non vi può essere il palese dissidio, la distonìa che muove e sommuove le anime in un mutuabile e vicendevole percorso di vita.

Lo schianto che come precisa lo stesso Rondoni è mutuato  da un verso del testo poetico “Giorno dopo giorno” di Ungaretti è la molla necessaria, forse dilagante e intristita di un giorno qualunque che si propone come faglia, come referente di mistero, di approdo “altro”, di altre destinazioni ed esperienze.

Ma non basta per dare una svolta successiva ad un’arte che in Rondoni è esperimento di un’alterità, che ci prescinde e ci restituisce la nostra vera essenza, la sorte alla quale siamo chiamati, in prossimità, di esperienze e di conoscenze, di eventi personali a noi strettamente legati.

Tutti gli interrogativi, le incognite, le inadeguatezze portano ad un solo destino: il superamento del punto di fuga, relativo alla stessa coscienza che in modo difforme ci porta ad assumere atteggiamenti diversificati nel pensiero, riconoscendo la poesia come interprete di un quid che si nutre di stupore, di curiosità per un sentire che è sempre balzo in avanti, incantamento e curiosità verso noi stessi e l’altrui.

La molla che ha fatto sua l’esperienza di scrittura di questo libro, è a mio parere, il riconoscere la capacità del dolore, l’impatto con esso e condividerlo con l’esperienza stessa del dolore degli altri. Sono incontri con l’altrui “schianto”, all’interno di una strategia comportamentale che ama confrontarsi e dialogare col suo prossimo, evangelicamente edotta dalla sua esperienza personale di uomo e di cristiano.

Rondoni scrive con un linguaggio asciutto, efficace e moderno che sa individuare e, quindi, tradurre il disagio e il dosaggio dei giovanilismi ai quali la sua poetica è diretta. Davide Rondoni è il poeta delle nuove generazioni, cui lo “schianto” ha permesso di vivisezionare il normale intercalare della coscienza e derimerla dalla conoscenza, dalla esperienza.

La sua scrittura è dotata di assonanze necessarie in una visione d’insieme che è religiosamente laica, ma anche con qualche impennata teologico culturale di neofita cristiano.

 

Gli incontri coi personaggi, le visitazioni di luoghi, in apparenza casuali, si mostrano invece forte sollecitazione per l’anima del poeta che ne viene assorbito, fagocitato e ustionato dalla scoperta di umanità, inevitabile al suo linguaggio che non è circoscritto solo all’ambiente familiare, domestico ma risulta inusuale, caratterizzato da forte simbologie e metafore surreali, quanto di lucido e ruvido realismo: in entrambi i casi, fortemente improntati alla vita di tutti i giorni, alle cadute, alle dinamiche, alle ustioni, agli “schianti” propri e dell’altrui solitudine: “ Si tira avanti solo con lo schianto/ il resto va in panne, si esaurisce/ nella schiena ho il fuoco/ di ali bruciate, se mi dici/ rallenta/ precipito in ogni dolore nel raggio di una vita/…/ la vita è solo se scommette d’essere infinita/ l’impatto è una carezza/ nella nostra condizione/ sbandati da ogni morale/ ed è diritta sparata in Dio o/ in una sacrosanta maledizione.”

In definitiva, la poesia per Davide Rondoni fa da supporto ad un più umano sentire, che è “scienza nutrita di stupore” detta alla maniera bigongiariana, e rinnova, riaccende la coscienza della parola con episodi e visioni di sangue e carne,come previsto dal protocollo che abbraccia l’intera essenza dell’umanità.  

QUESTA RECENSIONE VIENE QUI PUBBLICATA DIETRO CONCESSIONE DELL’AUTRICE.

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