Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Esiste una dimensione dove tutti possono incontrarsi per un attimo, uno sguardo, uno squilibrio, una vertigine? La poesia è linguaggio universale?
Questa dimensione c’è ed è la dimensione spirituale dell’uomo, un minimo denominatore comune indiscutibile, a prescindere dal fatto religioso. Quando dico dimensione spirituale mi riferisco a tutto ciò che ad essa si riconduce sul piano intellettuale e sul piano della bellezza universale che chiamiamo arte, musica, poesia, letteratura. E’ questo il luogo proprio della vertigine umana ed è su questo linguaggio universale che è possibile un punto di incontro. Tutto ciò che è frutto del bello non è mai divisivo. L’armonia delle cose e dei linguaggi mette tutti d’accordo, solo a volerlo. Non è un caso che le dittature, al loro sorgere e permanere, abbiano tra le loro nefandezze i roghi dei libri. Quanto alla poesia, essa non è mai divisiva come non può essere divisivo il linguaggio del cuore. Se imparassimo di più a ragionare e a parlare con il cuore molte cose potrebbero cambiare in meglio.
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Nei marosi del mondo in tempesta, quale sentimento ti avvolge: la nostalgia per il mondo di prima, la spinta al mondo nuovo, la fuga nella poesia, l’illusione che questi ultimi anni passati siano stati solo un momento di squilibrio generale?
Ripeto sempre, quando me ne è data l’occasione, che la nostalgia è una componente essenziale della mia poesia, da distinguere dalla malinconia che è invece una nostalgia malata, quindi sterile, che fa male al cuore. La nostalgia sana è invece quella che dal passato trae solo il bene legato ai valori del vivere. Un po’ come la tradizione che è l’humus nel quale affondano le radici che si spandono lungo il futuro. Ecco perché la vera poesia non è mai una fuga dall’esistente ma una spinta verso il nuovo .
Ed ecco perché il poeta è sempre un po’ il profeta dei tempi nuovi, nel caso specifico colui che vive nella certezza che ogni turbamento è destinato a dissolversi e che gli stessi squilibri rappresentino solo crisi di passaggio proprio perché la poesia, anche quando tratta stati d’animo negativi, è sempre un po’ aperta alla speranza, non certo all’illusione.
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Comunque la nostalgia è presente in tutti noi almeno in minima parte, come la vivi in poesia?
Credo di aver già risposto in qualche modo a questa domanda. Se devo puntualizzare meglio, dirò che la vivo con una grande serenità interiore, facendovi ricorso senza problemi. Definirei la mia nostalgia come un sogno che vive nel passato, che pertanto non mi assilla ma mi trasporta dolcemente nel mondo dei desideri del cuore dove tutto è apertura schietta e solidale e dove anche il surreale ha la sua ragion d’essere.
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Per te poeta la poesia è mai stata una fuga dal reale?
La realtà contiene la poesia e la poesia contiene la realtà. Distinguerei il mio fare poesia in due tempi, quello della mia prima giovinezza e quello della maturità. Non mi vergogno a dire che nel primo tempo la mia poesia era soprattutto una fuga dal reale e dalla visione pessimistica e malinconica del mondo proprie dell’età. Il tempo mi ha guarito da questa che era una vera e propria malattia per cui fare poesia oggi è per me una immersione nel reale ma sempre con uno sguardo disincantato. Direi che la mia poesia contenga il reale, lo abbracci, lo faccia proprio. Sono le suggestioni del reale l’anima della mia poesia.
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Mario Narducci e Anna Manna Clementi in un recente evento letterario
Credi davvero che il mondo possa rinnovarsi oppure le dinamiche eterne continueranno a dominare il mondo? E la poesia può avere un ruolo in questo percorso di rinnovamento?
Per me che sono un inguaribile ottimista, la risposta è scontata: il mondo ha nel suo dna le capacità rinnovarsi. Certo, tutto è fatto di spinte e contro spinte e a tutto c’è un limite. Ma io sono convinto che essendo l’uomo solo una piccola componente di questa terra, essa saprà sempre trovare in se stessa le capacità di trarsi fuori dal pericolo. Tutto sta a non tirare troppo la corda, ma io, nonostante tutto, ho fiducia grande nell’uomo.”
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La poesia può dominare l’ansia oppure l’ansia annienta la poesia?
L’autenticità della poesia si misura dall’assenza dell’ansia. Quando ci si lascia trasportare dall’irrefrenabile, il linguaggio poetico cede il passo a quello del terrore psicologico e la poesia si annulla. Questo non significa che poesia coincida con atarassia. Significa solo che senza pace interiore non può darsi poesia, anche quando sembra che dentro abbiamo l’inferno, perché il delta della poesia è sempre questa pace che è il desiderio profondo dell’uomo.
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Le arti debbono dialogare tra loro?
Parlare di arte sottintende parlare il linguaggio della bellezza universale. Ora il linguaggio della bellezza non è separativo, non contempla muri di sorta eretti tra l’una e l’altra. La musica senza poesia e questa senza arti visive apparirebbero monche, come si volesse circoscrivere l’intelletto in un proprio ambito e chiudere gli occhi di fronte alla complessità della cultura. Le epoche di rinascita e di maggiore espansione artistica, sono sempre state quelle in cui le arti si sono incrociate dialogando tra di loro.
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La cultura europea è consapevole dei suoi tesori poetici?
Anche qui distinguerei tra passato e presente. Tra i classici e i contemporanei. Sul passato e sui classici la risposta non può essere che affermativa. Lo è molto meno, invece, quando parliamo di poesia contemporanea. E questo spesso accade perché nella valutazione generale entrano in gioco dinamiche che dovrebbero essere estranee al giudizio sincero e spassionato. Come quando si assegnano Nobel a partire dal dato geografico o politico. Questo modo di guardare alla poesia in realtà la mortifica, mentre umilia i suoi maggiori rappresentanti.
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La poesia è uno sgabello scomodo, un tappeto volante, un eremo, il riflesso delle anime nei cieli?
E’ un po’ tutto questo perché il poeta, in quanto profeta del proprio tempo, è uomo scomodo di per sé, solo che a differenza del profeta che cercava di eludere in ogni modo il mandato di Dio tra gli uomini, il poeta non si sottrae al suo compito che tiene vivo giorno per giorno con i suoi versi. La forza del poeta sta dunque nella sua ascesi, nell’essere, il poeta, sostanzialmente un anacoreta, un solitario, tutte qualità che gli permettono all’occorrenza di astrarsi da tutti, di rientrare in se stesso e di ascoltare la voce dell’anima. Ecco perché direi che il poeta è il riflesso delle anime nei cieli. Un po’ tappeto volante capace di raggiungere altezze da vertigini che altri possono solo intuire.
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Adesso fai tu una domanda al mondo. Salutaci con una domanda.
Più che una domanda la mia vorrebbe essere una preghiera, un’implorazione a non dimenticare mai il lato poetico della sua dimensione. Il mondo esiste (per chi crede) perché Dio è essenzialmente poeta, il più grande di tutti i tempi come si evince dal linguaggio biblico. E se la poesia è all’origine del mondo, solo la poesia può continuare a tenerlo in vita. E’ un’affermazione certamente di speranza. Ma è dettata dal cuore e, come dice il vecchio adagio, al cuor non si comanda.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
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Soltanto la sera ha questo vento d’aprile, questo fiume odoroso di miseria umana tra le mie scartoffie tra scatoli di qualche anno appena.
Questo vento d’aprile della dolcezza in bocca, nel cammino di tutti, degli dei, dei corifei, di cravatte e capelli, di vagoni umani.
Questo vento d’aprile tra conifere natanti, questo vento sa tutto del mio possibile, sa tutto di me.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
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Alle donne che trovano nella poesia la valvola salvifica della loro vita
“Spiritualità”: parola complessa, eterogenea, considerata la sua essenza polisemica, infatti può essere spirituale la religiosità, intesa come dovere ed impegno nella fede, oppure è spirituale la ricerca del divino, l’apertura interiore verso il trascendente, ma si può anche farne una considerazione realistica, ossia si può vedere l’incorporeità nella realtà e, sebbene non percepibile con i sensi fisici, considerarlo la fonte da cui la materia tangibile trae vita.
La spiritualità, considerata la sua eterogeneità semantica, è ravvisabile in tantissimi poeti, a cominciare dalle origini della letteratura italiana e, solo per citare il più famoso, ricordiamo Il Cantico delle creature di S. Francesco d’Assisi. Tuttavia non volendo esplicare un lungo elenco di autori in cui la spiritualità, intesa nella pluralità delle sue esplicazioni è presente, si ritiene opportuno fermarsi alla contemporaneità che, pur caratterizzata dal consumismo e dall’alienazione etico-morale, tuttavia non manca nei versi di alcuni poeti e poetesse.
La poetessa Patrizia Cavalli (1947-2022)
In tale delimitazione temporale, particolarmente rilevante è la silloge di Patrizia Cavalli, Poesie (Einaudi). La poetessa sostiene che solo ai versi è possibile affidare un ruolo significativo, in vista di quei valori che definiamo come religiosi, o meglio spirituali. La poesia infatti rivendica l’approfondimento di valori che si possono indicare anche con il termine di verità. D’altronde, la filosofia del Novecento ha rivalutato tale funzione e in particolare Haidegger ha affermato il primato della poesia come e in quanto forma di conoscenza.
Rilevante è anche la concezione della poetessa Chandra Livia Candiani che nella silloge Il silenzio è cosa viva (Einaudi), sostiene che il silenzio favorisce la meditazione che non divide quel che consideriamo spirituale da quel che consideriamo ordinario e i gesti quotidiani possono diventare, possono diventare forme di preghiera, spiritualità.
Infine si vuole ricordare, come espressione del poliedro vivere e sentire la spiritualità, Mariangela Gualtieri che nella raccolta Senza polvere senza peso (Einaudi). La poetessa con una scrittura in viva tensione compone versi di suggestione lirico-visionaria, in cui le inquietudini dolenti della precedente raccolta, aspirano a distendersi in immagini di interiore gioia. Infine appare opportuno evidenziare e lodare la scelta di pubblicazione della suddetta, prestigiosa casa editrice che ha dato voce alla spiritualità presente nelle suddette poetesse.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
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Il concetto espresso nell’affermazione “Poesia e spiritualità” potrebbe essere confuso o scambiato con “Poesia è spiritualità”; ma quell’accento sulla “e”, trasformandola da congiunzione in affermazione d’identità, muta tutto il percorso concettuale che si dovrebbe prendere per parlare di Poesia. Infatti, accostare due termini (o concetti) con una “e”, congiunzione, significa oggettivarli, porli di contro, per similitudine o contrasto. Alla stessa maniera si pongono come principio identitario perché poesia è alla fine spiritualità, come espressione dello spirito. Quindi il dualismo identità-opposizione assume una dimensione concettuale che ha diverse particolarità, influenzando poi la poesia stessa come espressione della sensibilità e sentimento.
Se l’identità, nel principio cardine della logica occidentale, come vuole Aristotele, non ammette negazione, perché ciò che è se stesso non può esser altro, per contro però, proprio per dover essere se stesso, ha necessità di confrontarsi con altro, in quanto è l’esistenza di quest’ultimo a blindarlo nel suo essere assolutamente sé. Però formulare il rigido “Poesia è spiritualità” relega la poesia nel solido schema della sola espressione spirituale, intesa questa nell’interpretazione di espressione non in senso lato di espressione dello spirito, ma particolare di espressione dello spirito religioso o filosofico.
Di conseguenza dovendo poi allargare l’orizzonte interpretativo a un significato di spiritualità, ossia azione dello spirito, a ogni attività di pensiero umano, il concetto di spiritualità ne sarebbe fortemente sminuito e depotenziato come valore morale etico di vivere l’esistenza. Su questa via, percorrendola tutta, giungiamo al fondo di sostenere che la poesia al fine può non essere spirituale, nel senso di spiritualità come connotato di valore etico, ma definirsi poesia intellettiva, cioè prodotto d’intelletto e ragione e sensibilità in senso lato.
Chiariamo, ora, il concetto di “spiritualità”: particolare sensibilità e profonda adesione ai valori spirituali, in particolare l’insieme degli elementi che caratterizzano i modi di vivere e di sperimentare realtà spirituali, sia con riguardo a forme di vita religiosa, sia con riferimento a movimenti filosofici; sotto questa luce la poesia deve definirsi in canoni ben definiti e determinati. Ma se prendiamo il termine “poesia” dal latino “poesis”, e prima ancora dal derivato greco, abbiamo «fare, produrre», siamo su “capacità e “abilità” di produrre composizioni verbali in versi, cioè secondo determinate leggi metriche, o secondo altri tipi di restrizione; con un certo grado di approssimazione si può dire che il significato di poesia è individuabile nell’uso corrente e tradizionale nella sua contrapposizione a prosa, perché i due termini implicano rispettivamente e principalmente la presenza o l’assenza di una restrizione metrica. Però una poesia che si limita e rispetta restrizioni metriche, ossia di modo di esprimersi, ha necessità primaria di agire sotto l’egida e guida della ragione e forse non necessariamente della logica in quanto, attraverso la metafora può superare anch’essa, in certi limiti. Quindi deve presupporsi un qualcosa che unisca sensibilità e ragione, sentimento e coscienza critica razionale e questo ponte lo possiamo trovare nel «calcolo poetico concettuale», forma di pensiero definibile come un ossimoro, figura retorica consistente nell’accostare parole che esprimono concetti opposti, perché, in effetti, un dualismo contrario esiste.
Infatti “calcolo”, deriva da “calcolare”, ovvero determinare misure, quantità, rapporti mediante calcoli matematici, e, in senso più esteso, valutare qualcosa, metterla in conto. È una operazione transitiva di azione mentale poggiante sulla Ragione, sulla determinazione razionale di definizione logica. Il termine concetto, invece, coincide con quello di universale con il quale il soggetto crea una propria rappresentazione astratta degli oggetti percepiti ed è un simbolo mentale, tipicamente associato con una corrispondente rappresentazione in una lingua o nella simbologia. Il calcolo, pertanto, è intimamente legato al concetto di riuscire a vedere la realtà o sentirla, nel caso del discorso poetico. L’ossimoro sta nella contraddizione propria della visione di calcolo concettuale raffrontata con la poeticità, perché quest’ultima è essenzialmente facoltà della poesia, intesa sia come generica capacità creativa sia come arte letteraria e quindi tipica di ciò che ispira poesia o è degno di essere trattato in versi; attitudini proprie della dimensione sentimentale o di sentimento che nulla ha a che fare con il calcolo concettuale predefinito, sebbene anche nella poesia sia presente la concettualità come sfondo interpretativo di ciò che si vuol esprimere.
L’incontro o scontro, quindi, fra il pensiero poetante e la poesia pensante è quel luogo in cui la Pura Emozione del sentire deve necessariamente farsi carico della sua realtà, perché non può esistere e definirsi se non si concede e accede, poi, alla materialità che la salvaguarda.
La poesia è quella forma di “esternazione” di un arcano sentire, e per “sentire” deve intendersi non ciò che i cinque sensi possono manifestare, in altre parole manifestare quel che interpretano materialmente anche se in una forma assolutamente particolare, ma piuttosto quell’“avvertire” un paradigma del vivere in una forma metafisica, oltre la fisica, e percorrerla però con quella condizione che è propria dell’ente esistenziale, cioè la ragione la quale è presa d’atto del reale contingente.
Il «calcolo poetico concettuale», pertanto, diventa l’unità di misura, e strumento di analisi e valutazione della Poesia e sue espressioni. La poesia in quel suo viaggio, fra il sentire e il dover necessariamente farsi carico del suo stato contingente di reale in cui sta, deve creare una dimensione sua, in cui interpretare un’altra realtà, questa si meta-fisica, dove la meta è oltre, altrove, e il fisico non è la realtà stessa, ma quello stato concettuale ed emozionale che decifri l’esistenza di chi attraverso la poesia comunica e trasferisce il proprio “sentimento” all’esterno di sé.
In una lettera del suo epistolario il poeta romantico inglese dell’800 John Keats si chiede se esista un luogo tra l’essere e il non essere, e se c’è, quello è il luogo della poesia. Perché se il reale non coincide con ciò che è, allora, il poeta che scrive del proprio stato guarda non in ciò che è e nemmeno in quel che non è, ma in un’altra dimensione. Lì sta la poesia! Siamo nella realtà della irrealtà della poesia. Ed è in quello scambio di significato della “e” congiunzione con la “è” come determinazione di uno stato d’essere, il farsi esistenza di qualcosa. Per Keats, poi, la questione della Poesia è “salvezza” di compimento perché ciò che non si compie, che non arriva a manifestarsi nell’assolutezza del suo essere bellezza-verità, è fallimento; se non c’è creazione perfetta, né formazione compiuta non v’è salvezza. E questo avviene nella presa d’atto dell’Assenza e delle mancanze rispetto a un’idealità sentita e vissuta che lascia il Poeta incompiuto nella sua stessa dimensione da cui vuol uscirne. E anche in questo caso la comparazione “poesia e spiritualità” ha un suo significato profondo perché “salva” la poesia, ossia il fare, produrre del poeta in una possibilità ampia di manifestarsi in modi e forme altrettanto ampie.
Al pari la “poesia è spiritualità” chiude in rigidi schemi sia il poeta sia la sua poetica, perché non ammette diversità. Scrive sempre Keats che “il Poeta è la più impoetica delle creature” perché dovendo essere la poesia “compiuta”, che vuol dire assoluta, il poeta che non è assoluto ma mancante, non è poetico. Perché non è poesia ciò che è pensato per ricatturare ciò che è assente. Se la poesia è desiderio di ciò che non è, perché già stato, lamento di ciò che è, che è meno di ciò che speriamo, allora la poesia è impazienza del significato. L’incompiutezza cui è condannato il Poeta, per voler esprimere l’assoluto del suo sentimento e fallire in questo perché costretto a fermarsi sull’assenza e mancanza della realtà in cui guarda e sente. Ed egli, il Poeta, con la Poesia passando sopra la realtà, trasfigurandola riesce con l’immaginazione a creare una possibile realtà che seppure sia assente e mancante diviene realtà proiettata e definita. L’irrealtà della poesia diviene pertanto realtà vissuta dall’emozione del sentimento, e siccome il Poeta “vive” di emozioni, quella realtà dell’irrealtà diviene la “sua realtà”, che poi cerca di trasferirla, esternando il suo “sentire”. Passaggio, questo, dal sentire al dire, attraverso il linguaggio cui il Poeta stesso deve affidarsi per determinarlo. Ecco il significato diversivo tra la comparazione in un “e”, e l’identità di un “è”.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Spiritualità è far addormentare il proprio dolore con una ninna nanna d’amore, risvegliando così dolcemente, al tempo stesso, la propria assopita felicità.
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Terapie Spirituali
Scrivere è sognare il paradiso prendendosi cura della propria anima in una stanza refrigerata del proprio torrido e personale inferno.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Loretta, benvenuta e grazie per aver permesso questa intervista. Ha recentemente dato alle stampe un volume dal titolo “Romanzo indigenista” (auto-pubblicato sulla piattaforma Amazon), potrebbe parlarcene un po’?
Iniziai a scrivere questo romanzo nell’agosto del 2013 e l’ho ultimato nel novembre del 2019. La privilegiata convivenza di oltre quattro anni con gli yanomami nella loro lussureggiante patria-foresta, mi ha segnata profondamente; nella loro cultura il nome attribuito a una persona può variare nel corso della sua esistenza, quindi ho affidato il racconto della mia vita a quattro voci, che cambiano se rimandano a infanzia, adolescenza, maturità o vecchiaia. La scelta è stata influenzata anche dall’opera di Pirandello, che mi affascina fin da quando ero un’adolescente. Il contenuto del romanzo ricostruisce il mio andare e venire dal “primo” al “terzo mondo”, dal Brasile al mondo yanomami considerato “primitivo”, dall’Europa all’America Latina, dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia alla fotografia, dalla lotta per la conquista e il riconoscimento dei diritti indigeni alla lotta per l’affermazione e il rispetto della mia individualità. Nella cultura yanomami il tempo è scandito dal susseguirsi delle stagioni, per cui possiamo definirlo “circolare”: la concezione indigena mi ha permesso di oltrepassare quella occidentale, che raffigura il tempo come se fosse una linea retta su cui le date appaiono in ordine cronologico. I paragrafi del libro rimandano ad ambiti geografici e temporali diversi; il criterio di inserimento in una sezione piuttosto che in altra, non segue l’ordine cronologico, né quello della stesura dei capitoli, ma è determinato dalla maggiore intensità con cui ho vissuto uno degli eventi durante un determinato ciclo della mia vita. Mi piace affermare che ho atomizzato e ricreato il tempo, così il passato è presente e il presente è già futuro.
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Per il fatto che ha vissuto a contatto vari anni con la comunità indigena Yanomami in Brasile e per aver dedicato molti studi e volumi a quella realtà è considerata una delle maggiori studiose e divulgatrici nel nostro Paese. Può raccontarci come è nato il suo amore verso il mondo indigeno brasiliano e come si è avvicinata ad esso?
La ringrazio per considerarmi una delle maggiori studiose e divulgatrici, in Italia, della vita e cultura yanomami, ma a pensarla come lei è un ristretto numero di persone. Poiché lotto contro preconcetti e stereotipi, sono poche le porte che mi vengono aperte per realizzare una sensibilizzazione più ampia circa la problematica yanomami. Case editrici e mezzi di comunicazione preferiscono divulgare notizie sensazionalistiche, farcite di stereotipi, esotismo, superficialità.
Quando ero ancora una bambina, due desideri si installarono nella mia mente: diventare scrittrice e operare nel “terzo mondo”. Quando arrivò l’età giusta per fare drastiche scelte di vita, decisi che prima avrei svolto volontariato internazionale; l’esperienza, poi, mi avrebbe fornito temi interessanti da salvaguardare attraverso la scrittura, ed è ciò che ho fatto. Nelle Marche, dove ancora non vivevo, conobbi due persone che lavoravano con gli yanomami. La loro testimonianza e le stupende foto che uno dei due proiettò, mi fecero innamorare di questo popolo; la sua situazione esistenziale, all’epoca già difficile, mi fece decidere di operare in mezzo a loro, con loro.
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Loretta Emiri impegnata in un’attività di alfabetizzazione nel Demini, negli anni Ottanta.
Il termine “Yanomami” che contraddistingue tanto la comunità e la loro lingua, che cosa significa?
Il termine “Yanomami” è generico e fu adottato in Brasile da coloro che per primi lavorarono con questo popolo, cioè antropologi, funzionari governativi, missionari. Nel dizionario da me scritto si legge: YÃNOMAMÈ = (1) homem, pessoa, gente. (2) Yanomami de língua yãnomamè. (3) Língua yãnomamè. Per quanto riguarda la lingua, va precisato che della famiglia linguistica yanomami fanno parte ben sei lingue differenti, ognuna delle quali con molti dialetti.
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Quale peculiarità si sente d’individuare nella comunità Yanomami rispetto alle altre del contesto dell’Amazzonia brasiliana che ha conosciuto e/o studiato nel corso del tempo?
Con gli yanomami ho vissuto a lungo; con le altre etnie presenti nello Stato di Roraima ho avuto contatti sporadici, per cui non sono in grado di determinare le peculiarità di queste ultime. Posso solo dire che la differenza maggiore è lo spazio che occupano: gli yanomami vivono in foresta, la maggioranza degli altri gruppi vive nella savana. È l’occupazione territoriale e l’utilizzo delle sue risorse che determina il formarsi delle peculiarità delle società indigene.
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Esiste un senso di spiritualità nella comunità Yanomami? In quali manifestazioni concrete si esplica?
Il senso di spiritualità tra gli yanomami è talmente forte che hanno preservata intatta la foresta amazzonica fino ai nostri giorni. Gli yanomami sono animisti, per cui credono che ogni essere vivente, compresi vegetali, animali, cose, possiede uno spirito ed esso, a seconda della situazione, può essere benefico o malefico. Questo concetto determina che la vita del popolo yanomami sia impregnata di spiritualità, anche nelle più banali e normali attività quotidiane.
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Come definirebbe il concetto di “anima”?
Moltissimi anni fa mi invitavano a partecipare ad una riunione di preparazione del “Corso di Abilitazione al Magistero per Maestri Kaingang”. Durante l’incontro, non ricordo in che contesto, impiegai la parola “anima”. Uno dei presenti mi fece notare di averla usata in modo improprio. Dal momento che la loro religione vanta molti spiriti, sostenne che un termine intimamente legato al concetto di un solo dio non poteva essere applicato ai Kaingang. Obiezione e argomentazione vennero formulate in modo così schietto e diretto che sentii di essere stata raggiunta da una rivelazione. Da qual momento, riferendomi agli indigeni (ma anche a me stessa) non ho più utilizzato la parola “anima”, preferendo l’uso della parola “spirito”.
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L’anima è qualcosa di strettamente legato all’umano o si ritrova anche negli altri esseri viventi? Esiste un’anima dei luoghi?
Considerando quanto detto sopra, l’anima è qualcosa di strettamente legato all’uomo di religione cristiana, che si rapporta individualmente con una sola divinità. Gli indigeni rispettano e interagiscono con i molti spiriti che popolano la foresta, con ciò riuscendo a mantenerla intatta e sana, perché la foresta tutta è il loro luogo ancestrale, sacro per eccellenza.
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Loretta Emiri partecipa alla conferenza di apertura del Seminario UFRR, insieme a Dawi Kopenawa Yanomami, nell’ottobre del 2023
La spiritualità dell’essere ha a che vedere imprescindibilmente con il suo attaccamento alla dimensione prettamente religiosa o può concernere anche altre dimensioni avulse alla religione?
Come abbiamo visto, nel caso degli yanomami non c’è separazione tra dimensione religiosa e dimensione fisica, materiale. Questo concetto per me è fonte di ispirazione e meditazione costante. Nel mondo occidentale, succede spesso che le belle parole sostituiscono le buone azioni, così che “tra il dire e il fare c’è sempre di mezzo il mare”. E tra il dire e il non fare c’è sempre di mezzo tanta ipocrisia, superficialità, indifferenza verso gli altri. Spesso mi capita di chiedermi se io stessa sono coerente con ciò che scrivo e ciò che nella pratica faccio; quando questo tipo di dubbio mi assale, apro l’archivio e dissotterro testi, che sempre mi tranquillizzano a rispetto.
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Lei ha curato un dizionario yanomami-portoghese. Esistono delle parole nella lingua yanomami che risultano di difficile traduzione in italiano? Quali? Può farci degli esempi?
Realizzai la mia ricerca nella lingua yãnomamè, che è una delle sei che fanno parte della famiglia linguistica yanomami. Sia in portoghese che in italiano le parole che risultano di difficile traduzione sono quelle che derivano dalla cosmogonia yanomami. Nel dizionario, per tradurre il termine rixi ho utilizzato la locuzione “alter ego”, seguita dalla spiegazione “essere simbolico che vive una vita parallela a quella dell’uomo”. Una parola corta come rixi è la rappresentazione di una serie di concezioni, fra cui: ogni individuo possiede un alter ego; vivendo vite parallele, le due entità mai s’incontreranno; la morte dell’alter ego provoca quella dell’uomo a cui è abbinato. Alla traduzione bisogna aggiungere spiegazioni e note affinché il lettore si avvicini il più possibile alla comprensione del sofisticato concetto che può celarsi dietro a una singola, semplice parola.
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Quali sono attualmente le condizioni della comunità Yanomami? Subisce interferenze e minacce dalla società consumistica o riesce a preservare la sua anima primordiale?
Il contatto degli yanomami con i fronti di espansione della società capitalista ha i connotati di un bollettino di guerra. Nel 1974, la strada Perimetrale Nord, voluta dai militari all’epoca al potere, tagliò a sud il territorio yanomami; il contatto con i lavoratori della strada ridusse tredici villaggi a otto piccoli gruppi di superstiti, a causa di epidemie introdotte e verso le quali gli yanomami non avevano anticorpi. Nel 1977, la seconda epidemia di morbillo dall’arrivo della strada uccise la metà della popolazione di tre villaggi. Nell’agosto del 1987 oligarchie e politici locali fomentarono l’invasione del territorio yanomami, dentro il quale confluirono circa quaranta mila uomini; non si sa quanti yanomami sopravvissero alle armi da fuoco e all’avvelenamento da mercurio utilizzato per l’estrazione dei minerali. Anche se l’area yanomami è stata omologata nel 1992, le invasioni non sono mai cessate. La situazione è drasticamente peggiorata durante la presidenza di Bolsonaro, che l’invasione l’ha criminosamente fomentata. Durante il suo mandato, in territorio yanomami sono entrate macchine potenti e uomini fortemente armati legati a fazioni criminose, che hanno prodotto il disastro finale. Nel gennaio del 2023 il governo Lula ha dichiarato Emergenza in Salute Pubblica di Importanza Nazionale, in decorrenza della mancata assistenza agli yanomami. Oggigiorno il popolo yanomami è in pieno collasso territoriale, sanitario, culturale.
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Loretta Emiri prende parte in diretta alla trasmissione “Geo” di Rai Tre che ha dedicato spazio ad alcuni aggiornamenti sulla problematica yanomami. Ottobre 2023.
L’attività “storica” dei missionari cattolici del Vecchio Continente ha riguardato anche la comunità Yanomami? Quale è stata la ricezione e quali sono stati gli esiti di questa attività di evangelizzazione?
Io decisi di operare tra gli yanomami del Catrimâni perché all’epoca i missionari che con loro già lavoravano non erano preoccupati con l’evangelizzazione, ma con la sopravvivenza fisica e culturale di questo popolo. Resta il fatto che le varie chiese che tra gli yanomami hanno operato, e ancora operano, hanno contribuito a dividere questo popolo, perché ognuna di esse affronta a modo suo la situazione senza interagire, dialogare, collaborare con le altre in funzione del benessere e dell’unità del popolo yanomami.
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Ha assistito a feste o rituali che contraddistinguono la vita sociale della comunità Yanomami? Se sì, può raccontarcene qualcuna (le principali o quelle che l’hanno suggestionata maggiormente)?
In uno dei miei racconti, descrivo il rituale funebre, a cui ho assistito, di un giovane amico yanomami. La lettura del testo risponderebbe egregiamente alla domanda, per cui vi segnalo il link:
A quale divinità (o molteplicità di divinità) gli indios Yanomami sono votati?
Oltre al fatto che si rapportano con sacralità allo spirito insito in ogni cosa, gli yanomami tramandano la memoria dell’eroe mitologico Omá. Quando gli sciamani devono entrare in contatto con l’aldilà, cercano la collaborazione degli Hekurapè, spiriti minuscoli come la propria immagine riflessa negli occhi.
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Esistono testi in forma scritta della comunità Yanomami che hanno affrontato il tema della religiosità, della spiritualità e del rapporto con l’aldilà?
Un libro scritto dall’antropologo francese Bruce Albert e dal leader Davi Kopenawa Yanomami è stato tradotto in italiano con il titolo La caduta del cielo. È una vera e propria enciclopedia yanomami, allo stesso tempo è una biografia e un’autobiografia; c’è dentro di tutto: società, cultura, lingua, cosmogonia, religiosità, scontro con l’invasore uomo bianco. Ne suggerisco la lettura a quanti vogliano avvicinarsi alle concezioni filosofiche della società yanomami.
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Nel 2018 ha pubblicato un libro dal titolo “Discriminati”. Può dirci di cosa si tratta e da che cosa è stata mossa per scrivere quest’opera? Chi sono i discriminati di oggi?
Discriminati è un libro che non avrei dovuto pubblicare. Il progetto iniziale includeva racconti vari e il titolo era Racconti discriminati; discriminati perché rifiutati da un’altra casa editrice. Nello sciocco desiderio di vedere un nuovo libro pubblicato, permisi che alcuni racconti fossero esclusi e un altro, che niente aveva a che vedere con la struttura del libro, vi fosse inserito. Dovetti inghiottire anche il titolo differente. Naturalmente i discriminati di oggi sono anche gli yanomami, le minoranze in generale.
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Grazie per aver risposto con attenzione e disponibilità alle domande di questa “chiacchierata” che ci hanno fatto conoscere da più vicino la comunità Yanomami.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autore ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.
Questo testo viene pubblicato nella sezione “Rivista Nuova Euterpe” del sito “Blog Letteratura e Cultura” perché selezionato dalla Redazione della Rivista “Nuova Euterpe”, n°02/2024. L’autrice ha autorizzato alla pubblicazione senza nulla avere a pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro.