N.E. 01/2023 – “La “Lucania” di Mario Trufelli: il senso dell’appartenenza senza alcun possessivo”. Articolo di Vito Davoli

La Lucania è terra che ha dato i natali a poeti di intenso spessore che inevitabilmente hanno cantato il fascino dell’essenzialità e della durezza di una regione che, come poche, intesse continuamente relazioni creditizie e debitorie con la Storia; quella generale ma soprattutto la propria. Una terra che ha dato vita a straordinari poeti, da Rocco Scotellaro a Leonardo Sinisgalli, da Albino Pierro ad Assunta Finiguerra.

Accanto a questi nomi merita sicuramente menzione Mario Trufelli, lucano di Tricarico, lo stesso paese natio di Scotellaro. Premio Saint-Vincent per l’intensa attività giornalistica, ricordiamo che fu responsabile della Testata Giornalistica Regionale lucana della RAI. Di Sinisgalli fu allievo e amico e nel 1992 vinse il Premio Flaiano per la silloge Prova d’Addio. Ho scelto di ricordarlo attraverso i versi di una splendida poesia dal titolo, appunto, Lucania, parte della silloge L’indulgenza del cielo, che «con le sue 153 poesie, ha il merito di condurre il lettore in un viaggio unico con l’autore, lungo il suo straordinario e pluriennale percorso poetico e culturale» (N. Vitola)[1].

Io lo conosco
questo fruscio di canneti
sui declivi aridi
contesi alla frana
e queste rocce magre
dove i venti e le nebbie
danno convegno ai silenzi
che gravano a sera sul passo stanco dei muli.
È poca l’acqua che scorre
e le vallate son secche
spaccate, d’argilla.
Di qui le mandrie migrano
con l’autunno avanzato
per la piana delle marine
tuffando i passi nelle paludi.
Di qui è passata la malaria
per le stazioncine sul Basento
squallide, segnate d’oleandri.
Da noi la malvarosa è un fiore
che trema col basilico
sulle finestre tarlate
in un vaso stinto di terracotta
e il rosmarino cresce nei prati
sulle scarpate delle vie
accanto ai buchi delle talpe.
Da noi riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo è lontano,
ma c’è un odore di terra e di gaggia
e il pane ha sapore del grano.

Una lirica intensa che intreccia alle raffinate evocazioni descrittive delle immagini di contesto una profonda riflessione, taciuta, nascosta, appena evocata in segnali semantici sparsi lungo tutto il dettato del componimento.

«(…) Silenzi / che gravano a sera sul passo stanco dei muli» oppure «le mandrie migrano / con l’autunno avanzato (…) / tuffando i passi nelle paludi» o ancora «la malvarosa è un fiore / che trema col basilico»… Tutti lievissimi accenni (straordinario il tremolio della malvarosa che quasi lascia intuire il resto dei dettagli stagliati sullo sfondo) a un movimento lento, impercettibile in un panorama di quasi assoluta fissità.

Trovo splendida questa poesia non solo per le meraviglie catturate e dipinte in un’atmosfera di lentezza e malinconia che mi paiono indiscutibili: i colori sono quelli dell’autunno e della sera, quasi sorprendenti nell’affresco di un panorama legato a una regione del Sud che probabilmente ci si aspetterebbe barocca di sole e di luce. Ma anche a questo non rinuncia il poeta, anche in questo caso racchiude l’evocazione dentro i suoi effetti, misurandola ancora in modo da non sconvolgere il panorama generale dato alla lirica: «È poca l’acqua (…) / le vallate son secche / spaccate». 

Epperò è il non detto a sorprendere davvero: un “silenzio” (oltretutto esplicitato – come significante e non casualmente – in un verso dove viene affiancato alla parola “convegno” insieme a nubi e nebbie) che dà all’intera lirica una forza che sembra quasi mancare alle delicatissime dinamiche rappresentate e che mi pare si esprima in due atteggiamenti l’uno celato, l’altro quasi sottinteso. 

Il primo: lo sguardo, celato appunto. I «declivi aridi / contesi alla frana», il passo stanco dei muli e delle mandrie, l’acqua che scorre e le vallate secche e spaccate; le paludi, le scarpate e i buchi delle talpe sembrano quasi oggetti di un’osservazione concreta che non stacca mai lo sguardo da terra, quasi a testa bassa in un atteggiamento che potrebbe essere percepito come rassegnata malinconia in un figurato passeggio: si ha quasi la sensazione di vedere il poeta, mani in tasca e – appunto – testa bassa, affondare i passi nella sua terra e descriverne tutto ciò che gli sale alla vista. Eppure non è rassegnata malinconia quella che si avverte.

Il secondo elemento, il sottinteso, conferisce all’intera lirica un carattere diverso e un sentimento più forte, direi di appartenenza che si esprime in un accenno di rivendicazione, un appena indicato tentativo di reazione. L’incipit assoluto «Io lo conosco» con un accento evidente sulla prima parola, l'”io“, sembra quasi voler sottintendere una negazione taciuta, una specie di “non tu” o “non voi” che sfuma le delicatezze descrittive di ogni verso con un colore più vivace, quasi polemico, risentito… e che trova eco negli iterati «da noi», «da qui»,, non da altre parti, non altrove.

Non casualmente la poesia termina con due chiuse: la prima è l’unico momento in cui quello sguardo a testa bassa si stacca da terra per osservare più in alto e incontrare la civetta che «segna la nostra morte» nella finale consapevolezza dell’inutilità e dell’ineluttabilità dell’assoluto; mentre la seconda («Da noi il mondo è lontano») sembra quasi l’identificazione finale di quel “tu” taciuto: il mondo, quello fuori dai confini metastorici qui rappresentati.

È un abbraccio stretto alla propria terra, una dichiarazione d’amore e di appartenenza che non ha vergogna di alludere anche a sentimenti diversi e più decisi. E il contrasto rende la lirica una sublime esaltazione di ciò che resta, tanto sul piano reale quanto su quello immaginifico, tanto sul piano semantico quanto su quello filosofico: l’essenzialità dell’ «odore di terra e di gaggia/ e il pane ha sapore del grano».

Mario Trufelli

È poesia con la P maiuscola quella che intesse al suo interno un profondo legame fra il detto e il taciuto e attraverso la perfezione delle immagini lancia ponti di percezione affinché il lettore si addentri in quello stesso percorso quasi guidandone i passi fino al punto di spiegarne i “perché” che qui sono tutti e semplicemente appartenenza e amore per la propria terra dove l’accento va, in modo particolare, sulla parola “propria”. Eppure non c’è un solo aggettivo possessivo in tutta la lirica! Non un “mio” o un “nostro” né un “tuo”. La potenza di tale significato è tutta affidata ad altro significante che qui è proprio la reiterazione dei «da qui» e «da noi» appena indicati.

La poesia avrebbe potuto intitolarsi tranquillamente “Terra MIA” ma forse l’identificazione netta, così come per le immagini descritte all’interno della lirica, con il nome della propria terra, la Lucania, è anche il nome di un amore vissuto, partecipato, vero; quasi della “persona” amata in un rapporto di scambio che è evidentemente biunivoco e reciproco o, per lo meno percepito, come tale. 

*

Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.

Questo testo viene pubblicato su questo dominio (www.blogletteratura.com) all’interno della sezione dedicata relativa alla rivista “Nuova Euterpe” a seguito della selezione della Redazione, con l’autorizzazione dell’Autore/Autrice, proprietario/a e senza nulla avere a pretendere da quest’ultimo/a all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ vietato riprodurre il presente testo in formato integrale o di stralci su qualsiasi tipo di supporto senza l’autorizzazione da parte dell’Autore. La citazione è consentita e, quale riferimento bibliografico, oltre a riportare nome e cognome dell’Autore/Autrice, titolo integrale del brano, si dovrà far seguire il riferimento «Nuova Euterpe» n°01/2023, unitamente al link dove l’opera si trova.


[1] N. VITOLO in Francavilla Informa: https://www.francavillainforma.it/2020/06/29/lindulgenza-del-cielo-raccolta-di-poesie-di-mario-trufelli/

“La ragazza di via Meridionale”: esce il saggio di L. Spurio sulla poesia di Anna Santoliquido

È uscito poche settimane fa, per i tipi di Nemapress Edizioni di Roma, il volume saggistico dal titolo “La ragazza di via Meridionale”, opera del critico letterario marchigiano Lorenzo Spurio interamente dedicata all’attività poetica della poetessa, scrittrice e saggista Anna Santoliquido.

L’opera si apre con un contributo critico del professore Vincenzo Guarracino posizionato quale prefazione, testo che apre e anticipa ai tanti argomenti trattati nel corso del libro. Il volume, che porta quale sottotitolo “Percorsi critici sulla poesia di Anna Santoliquido”, è nato ed è stato sviluppato nel corso del 2020, a continuo contatto con la stessa autrice destinataria delle pagine del saggio, spiega l’autore.

Ad arricchire ulteriormente l’opera, organizzata in vari capitoli dove risalta, per ricchezza di contenuti l’intervista condotta da Spurio all’Autrice, è la postfazione del critico Neria De Giovanni, presente nel triplice ruolo di responsabile di Nemparess Edizioni, Presidente dell’Associazione Internazionale dei Critici Letterari e di amica della Santoliquido. Pregevole l’immagine di copertina, opera del noto pittore serbo Zoran Ignjatović, attentamente scelta dalla Santoliquido che, nell’est Europa – come ricorda Spurio nel corso del saggio – è molto stimata, conosciuta, letta e tradotta.

L’idea del volume – come spiegato da Spurio nell’introduzione – è nata nel corso di un approfondimento sull’opera della Santoliquido iniziato qualche anno fa e che ha portato nel 2019 ad attribuirle il prestigioso Premio alla Carriera in seno al Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi” di Jesi. Competizione di prestigio che annualmente celebra la poesia e che ha visto, negli anni, premiati autori di spicco dello scenario letterario nostrano tra cui Dante Maffia, Donatella Bisutti, Marcia Theophilo e Matteo Bonsante.

Nel volume ben viene posto in evidenza il lungo, saldo e apprezzato percorso poetico pluridecennale di Anna Santoliquido, lucana di nascita, barese di adozione, ideatrice del Movimento Internazionale “Donne e Poesia” che negli anni ha prodotto un’attività di promozione culturale e di solidarizzazione assai importante, finanche convegnistica ed editoriale, in tutta Italia.

Ulteriori contributi che arricchiscono il volume non venendo mai meno all’unitarietà dell’opera sono alcune liriche della Santoliquido proposte in versione latina, tradotte dal professore Orazio Antonio Bologna e un contributo del critico romano Cinzia Baldazzi sull’opera della Santoliquido “Una vita in versi. Trentasette volte Anna Santoliquido” da lei presentato tempo fa nella Capitale.

Anna Santoliquido dal 1981 ha pubblicato ventuno raccolte di poesia un volume di racconti e ha curato diverse antologie. È autrice dell’opera teatrale “Il Battista”, rappresentata nel 1999.  Le sue poesie sono state tradotte in ventitré lingue. È presente in numerose riviste, saggi critici e antologie nazionali e straniere. Ha conseguito numerosi riconoscimenti letterari nazionali e internazionali. Nel 2017 le è stata conferita la Laurea Apollinaris Poetica dall’Università Pontificia Salesiana di Roma. Numerose sono le pubblicazioni critiche sulla sua attività poetica tra cui: “Anima mundi. La scrittura di Anna Santoliquido” (2017) e “Una vita in versi – Trentasette volte Anna Santoliquido” (2018) entrambe a cura di Francesca Amendola. Ad esse va ad aggiungersi, ora, il ricco e articolato volume di Lorenzo Spurio.

Il critico Cinzia Baldazzi su “Una vita in versi”, volume di ritratti poetici e testimonianze sulla copiosa attività letteraria di Anna Santoliquido

Intervento critico di Cinzia Baldazzi

Il 6 aprile scorso a Roma, nei locali di Lettere Caffè a Trastevere, ha avuto luogo la presentazione di Una vita in versi (LB Edizioni, 2018), omaggio del mondo intellettuale ad Anna Santoliquido. Il volume, curato da Francesca Amendola, contiene saggi critici, interventi, testimonianze, poesie dedicate, racconti, disegni, fotografie.

Dopo la proiezione del cortometraggio Ritratto di autrice di Letizia Lamartire, Anna è stata intervistata da Andrea Lepone, ha dialogato con la drammaturga Vincenza Renata Li Gioi, ha ascoltato una sintesi di poetica di Rosanna Sabatini e partecipato a un mini-dibattito sulla condizione della donna coordinato dal giornalista Fabrizio Federici con Salameh Ashour, Badia Rami, Umberto Puato, Michele Lofoco. Le poesie di Anna sono state declamate dagli attori Mario Focardi e Carmela La Rocca. Intermezzi musicali con Manuela Ciccotti, Mario Sista e Roberta Murzilli.

Qui di seguito riportiamo l’intervento critico di Cinzia Baldazzi.

 

Ho rivisto

dopo anni

la casa di pietra

avvolta dal sole

e dalla quiete.

Il tempo

nel silenzio

ha scolpito

la sua storia

sulla facciata esterna

per offrirla in dono

agli occhi curiosi

dei forestieri dell’estate.

Anche il vecchio platano

continua a dipingere

il suo quadro

con l’ombra fresca

che da lunghi anni

regala

alle pietre arroventate

e ai resti

di una porta

ormai consunta.

Il sedile

è ancora lì

testimone

nella sua dignità

di pietra.

Non c’è più colei

che dal volto bruno

e dai capelli bianchi

scrutava il cielo

a modo di preghiera…

Tutto aveva un sapore

di storia vissuta,

di rimpianto.

Ho rivisto la vita

in un ciuffo d’erba

cresciuto per miracolo

in una crepa.

Ho parlato con le pietre

della bellezza

della vita

e dell’amore.

 

foto cover libro.jpgLa poesia di Anna Santoliquido appena letta, intitolata La casa di pietra, è compresa nella raccolta I figli della terra pubblicata nel 1981. La sua poetica generale mi ricorda in qualche modo una tematica che a Wolfgang Goethe piaceva sottolineare: “Chi desidera capire la poesia deve recarsi nella terra della poesia, chi desidera capire il poeta deve andare nella terra del poeta”.

In una simile classe di riferimenti credo sia giusto inserire il quid creativo della nostra Anna – come sappiamo, poetessa, saggista, narratrice, traduttrice – della quale il volume Una vita in versi costituisce un segno di ossequio articolato e prezioso a lei riservato dal mondo intellettuale, anche internazionale. La sintesi narrativa-illustrativa del libro è raffinata, ricca delle tracce significative di un’esistenza alimentata dalla greca ποίησις-poíesis, nell’intimo di una “poetica” mutata in vita essa stessa (secondo i termini introdotti dal professor Walter Binni).

Lo scorso mese di novembre mi trovavo a Jesi, alla cerimonia di premiazione del concorso “L’arte in versi” organizzato dall’Associazione Culturale “Euterpe”. Una sorte favorevole, direi una τύχη, ha sortito il nostro incontro: in quell’occasione, infatti, Anna ha ricevuto il prestigioso Riconoscimento alla Carriera. La circostanza – in senso semiotico – per conoscersi meglio e comunicare era pertanto ottimale, anche quando, sedute accanto durante la cena, abbiamo sfogliato insieme l’antologia.

Il giudizio estetico trasmesso dalla sua figura globale è apparso subito chiaro: nutrire una visione esaustiva del successo dell’atto semico nell’affrontare l’evocazione di un τόπος-tòpos letterario.

La Santoliquido è stata infatti, sin dagli inizi, ben cosciente di quanto il ricevente, per comprendere quanto gli viene proposto, debba poter interpretarne, nei vari segni, i segnali lanciati, assieme alle relative circostanze.

In uno scambio dialettico maturo di indicatori e messaggi si sviluppa, ad esempio, la poesia Ritorni, pubblicata in Serbia nel 2007 e sviluppata in due coppie di quartine:

 

chissà come sarò

tra cent’anni

se le gote saranno

muschio o terra

 

non sentirò il trapasso

mi rapirà la luce

le labbra non emetteranno rantoli

ma versi

 

vorrei accanto i ragazzi

il mulo nella stalla

i pulcini sotto il letto

le viole nel bicchiere

 

ritornerò nei sogni

nei desideri delle madri

nella passione degli amanti

nelle nubi del mattino

Anna 2.jpg
Uno scatto durante la presentazione del volume a Roma il 6 Aprile 2019.

Nel microcosmo di questi componimenti, il posto principale per coglierne il significato spetta al destinatario. Che l’ultima parola sul senso di una frase spetti a chi la legge o a chi la ascolta, è una tesi ormai accettata da gran parte della linguistica moderna. Fra i tanti, lo ha spiegato il semiologo Jorge Luis Prieto, uno dei miei maestri: la comprensione di noi interlocutori sarà “buona” o “cattiva”, vale a dire, potremo aver compreso o meno una poetica del genere.

Ebbene, l’atteggiamento poetico di Anna di fronte a un simile stato di cose prevede innanzitutto di fissare l’obiettivo del processo concepito per divulgare i versi, rivelandosi in grado (secondo una Weltanschauung personalissima) di stabilirne lo scopo.

E lo strumento per raggiungere un tale obiettivo, pur nella sua radice dialettica, consiste nel proiettare un insieme referenziale assai ampio, capace di accogliere una vasta gamma di opinioni o interpretazioni.

Ad esempio, nelle strofe de La casa di pietra, ascoltate in apertura, suppongo si possa, da stranieri, in una calda estate, cercare un riparo in versi dalla calura dell’afa: l’autrice intende sgombrare lo sguardo dalle nebbie – ovvero dalle possibili interpretazioni devianti del testo – auspicando di andare al di là di ricordi ininfluenti, illusori.

Introduco ora alcuni versi celebri di Emily Dickinson, scritti nel 1873. Sono contenuti all’interno di una lettera, e originariamente pubblicati in una raccolta epistolare. Chiedo ad Anna di leggerli lei stessa, perché introducono un altro aspetto della sua poetica:  

 

There is no Frigate like a Book

To take us Lands away

Nor any Coursers like a Page

Of prancing Poetry

This Traverse may the poorest take

Without oppress of Toll

How frugal is the Chariot

That bears the Human Soul.

 

Non c’è Vascello che eguagli un Libro

Per portarci in Terre lontane

Né Corsieri che eguaglino una Pagina

Di scalpitante Poesia

È un Viaggio che anche il più povero può fare

Senza paura di Pedaggio

Tanto frugale è il Carro

Che porta l’Anima dell’Uomo

 

A lungo ha viaggiato la Santoliquido, quanto i suoi libri, tradotti in oltre venti lingue, conducendo un impegno operativo di storiografia letteraria o di letteratura storica orientato verso una natura e una società progressive.

E tuttavia, secondo quanto ripeteva il maestro della poetica-critica Walter Binni, non è opportuno valutare i poeti «come un dopo almeno ideale rispetto a strutture e tendenze di loro non bisognose», poiché la loro forza esegetica risulta originale «e di sollecitazione di moti spesso oscuri e fermentati di una situazione storica, sociale, politica, culturale».

Anna 1.JPG
Il critico letterario Cinzia Baldazzi assieme alla poetessa Anna Santoliquido durante la presentazione del suo volume tenutasi a Roma il 6 aprile 2019.

La poetessa di Forenza continua a viaggiare con la sua ispirazione letteraria imparando a illuminare luoghi della sensibilità, dell’anima. Nel brano La sposa agreste, in una raccolta pubblicata a Lubiana nel 2011, dalle parole di una giovane rimasta in patria ad attendere il marito emigrato negli Stati Uniti, apprendiamo:

 

Credeva che il firmamento si sfogliasse

invece lanciava fiamme

l’anima sull’incudine

i cavalli a briglie sciolte.

 

Vorrei ora citare lo studioso canadese Northrop Frye nel celebre lavoro Agghiacciante simmetria, dedicato a William Blake. Lo ricorderete, Blake è stato l’illustratore del Paradise Lost di John Milton: lo ricordo perché Una vita in versi contiene opere pittoriche ispirate proprio all’autrice. Dunque, Frye scriveva: “Coloro per i quali soggetto e oggetto, esistenza e percezione, attività e pensiero sono tutte parti di un’antitesi gigantesca, penseranno naturalmente che l’uomo sia diviso tra una volontà egocentrica e una ragione che stabilisce contatti con il non-Io”.

Con Anna Santoliquido, di sicuro noi donne, insieme agli uomini, non lo crediamo e, per dimostrarlo, giriamo il mondo per confrontarci con noi stessi, con gli altri.

Questa poesia è dedicata a Ernest Hemingway:

 

sono poeta

anche quando la lacrima si cristallizza

la nuvola si rovescia

il pescecane mi azzanna

 

nel mare dei sogni

gli squali fendono l’onda

il pescatore si accanisce

con le mani sanguinanti

 

getto l’amo sul foglio

mi acquatto nella barca

respiro a stento

il sangue tinge l’acqua

 

sono poeta

a Belgrado e a Zagabria

sotto il sole di Puglia

e nel covo dei briganti

 

un ragazzo vigila il mio sonno

con l’impetuosità dei vent’anni

la condanna del consumismo

e il profumo della pelle

 

sono poeta

anche quando le alghe mi ammorbano

l’aria è stagnante

e il treno mi sveglia

 

 

come Santiago

porto a riva la carcassa

forse pentita

di essermi spinta troppo al largo

 

la pesca nell’oceano

ha svelato le voragini

acuito la sete

e scolpito la solitudine

 

Il brano ha per titolo Sono poeta, ed è tratto da una raccolta edita in Serbia nel 2007.   

Al pari di molti artisti, anche Anna ha sviluppato un’ipotesi di risposta intorno al significato della vita nostra e degli altri. Emerge in questa poetica – ieri, oggi, chissà nel futuro – uno spiraglio di felicità, frutto del sapere non il perché di tutte le cose, ma il perché di tutte le cose come appaiono. La base di una simile convinzione è, ad esempio, nel Sensismo di leopardiana memoria: le reazioni emotive, con il bagaglio ideale, sono basate – nel soggettivismo lirico – su dati ben definiti, sensoriali, concreti, immediati, matrice di un contesto naturale, personalizzato in parallelo.

È dunque il caso di chiedersi, con Anna, dove – lontano nel mondo – si possa costruire un nostro nido, collocati però in un transfert con figli sempre cresciuti, un tempo trascorso e, dopo aver riposato pochi istanti, con l’eventualità di continuare il cammino, di riprendere il lavoro. Per ognuno: su differenti latitudini, per ogni popolo o civiltà, in qualsiasi religione.

CINZIA BALDAZZI

 

L’autrice del presente testo acconsente alla pubblicazione su questo spazio senza nulla pretendere all’atto della pubblicazione né in futuro. E’ severamente vietato copiare e diffondere il presente testo in formato integrale o parziale senza il permesso da parte del legittimo autore. Il curatore del blog è sollevato da qualsiasi pretesa o problematica possa nascere a seguito di riproduzioni e diffusioni non autorizzate, ricadendo sull’autore dello stesso ciascun tipo di responsabilità.

Un sito WordPress.com.

Su ↑