“Notre-Dame” di Emanuele Marcuccio con una nota critica di Lucia Bonanni

“NOTRE-DAME”[1] DI EMANUELE MARCUCCIO: UNA LETTURA

Contributo critico a cura di Lucia Bonanni

Con la lirica “Notre-Dame” Emanuele Marcuccio aggiunge un’altra perla al suo mondo poetico. Scritta il 28 aprile 2019 e dedicata “[a]lla cattedrale di Notre-Dame di Parigi colpita il quindici aprile 2019 da un incendio che ne distrusse il tetto, la guglia e ne danneggiò la struttura”, come si legge nella nota a piè di pagina dell’autore.

Questa la lirica dell’autore che, di sotto, riportiamo nella sua originale disposizione grafica dei versi: “Madre e il suo universo// soffocato/ sotto il peso// e le fiamme/ a corrodere// il tempo/ passato/ sotto gli archi// la luce per le vetrate// risplende// non più“.

La poesia si compone di undici versi, modulati su una struttura essenziale e un alternarsi di versi lunghi e versi brevi, disposti in quattro unici, due distici e una terzina, separati da spazi bianchi per favorire la riflessione e dare respiro al componimento in quanto “[l]a sua ispirazione poetica è ‘un’ispirazione drammatizzata’ in cui egli si apre agli stimoli che gli giungono dall’esterno come ai luoghi della mente e alle nebulose che avvolgono la memoria e il ricordo, regalando sempre felicità al lettore”[2]. Concisa ma non uniforme, la lirica incanta e seduce per l’acume creativo e la molteplicità delle suggestioni che sa trasmettere. Con piglio felice l’autore descrive l’avvenimento con purezza stilistica e intensità espressiva, ponendo in apertura del testo la parola “Madre” a evidenziare il significato del termine nella sua valenza spirituale che richiama anche quella terrena. Lo splendore solenne di Maria di Nazareth si accentua nel continuum del verso “e il suo universo” come assoluto universale, un cosmo riferito alla sua originale purezza e alla sua maestà celebrata nei tanti dipinti tra cui spiccano La maestà di Santa Trinita di Cimabue, La Madonna di Ognissanti di Giotto e La Madonna Rucellai di Duccio, esposte nella medesima sala alla Galleria degli Uffizi di Firenze, e volge lo sguardo anche all’universo costituito dalla cattedrale. Già nel titolo si nota l’appellativo “Dame”, titolo onorifico, presente negli ordini cavallereschi cristiani che equivale al cavalierato al femminile. Si pensi ad esempio alla Madonna delle Milizie che, secondo la tradizione cattolica, agli inizi dell’anno Mille apparve su un cavallo bianco, vestita da guerriera per liberare la città di Scicli (RG) dalle incursioni saracene.

Uno scatto di quei terribili momenti (foto presa dalla rete)

Nel primo distico del componimento si dice che l’universo della cattedrale è “soffocato/ sotto il peso” della guglia e del tetto, crollati a causa dell’incendio. Il verbo soffocare evoca l’idea del fumo sprigionato dalla combustione, un fumo asfissiante, afoso, che reprime e sacrifica e non si riesce a sedare perché le fiamme continuano ad avvolgere e “a corrodere” la struttura del manufatto insieme a tutto “il tempo/ passato/ sotto gli archi”. Nella terzina il participio passato del verbo “passare” vibra di un percorso temporale, immaginato come ininterrotto, duraturo, permanente, ma anche trascorso ad ammirare le tante bellezze della chiesa madre di Parigi. Costruita tra il primo e il secondo secolo dell’anno Mille, la cattedrale è il primo esempio di chiesa gotica, presenta una pianta a croce latina, cinque navate, volte a crociera con archi rampanti e le belle vetrate colorate che trasformano l’edificio in un tempio splendente. E adesso che la fuliggine ne ha annerito la sfavillante bellezza, “la luce per le vetrate// risplende// non più”. Qui i complementi di moto per luogo e moto attraverso luogo nell’accezione figurata anche di fendere, attraversare, mettono in evidenza l’estetica della luce che dopo l’accaduto “risplende// non più”. Il senso dell’oscuramento luminoso è dato dalla locuzione “non più” in contrasto col verbo risplendere con l’avverbio “non” che nega, modifica e capovolge il predicato e l’avverbio “più” con funzione di cessazione dei raggi luminosi che attraversavano le vetrate.

Di ampio respiro il carattere stilistico della lirica, impostata con tono aulico, naturalezza di espressione e partecipazione emotiva. Ancora una volta “[c]on i suoi scritti [l’autore] offre senso di appartenenza, incuriosisce, si traspone nell’altro e fa vivere speranze in un modo ricco e profondo”[3] perché “l’intento della poesia è sempre quello di celebrare, costruendo un’architettura di parole nei più vari registri, dai più intimistici e introspettivi ai più altisonanti”[4].

LUCIA BONANNI

San Piero a Sieve (FI), 16 settembre 2020


[1] Emanuele Marcuccio, in AA.VV., Rivista di Poesia e Critica Letteraria “Euterpe”, N. 29, Luglio 2019, p. 34.

[2] Lucia Bonanni, “L’Anima di Poesia di Emanuele Marcuccio, dolce poeta.Lettura del suo mondo poetico, partendo dall’analisi della silloge, Anima di Poesia”, in AA.VV., Rassegna Storiografica Decennale. IV, Limina Mentis, Villasanta, 2018, pp. 83-84.

[3] Id., “L’Anima di Poesia di Emanuele Marcuccio, dolce poeta”, in Op. cit., p. 84.

[4] Emanuele Marcuccio, “Introduzione alla poesia”, in Id., Pensieri Minimi e Massime, Photocity, Pozzuoli, 2012, p. 31.

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“Sistema Massonico e Ordine della Rosa Rossa” di Paolo Franceschetti

Sistema Massonico e Ordine della Rosa Rossa
Il sistema di controllo in cui viviamo e le connessioni con il Vaticano
di PAOLO FRANCESCHETTI

 

Cosa c’è realmente dietro i delitti più importanti della storia giudiziaria italiana e internazionale? Dal mostro di Firenze alle Bestie di Satana per passare da Erba, Cogne, Garlasco e tanti altri…

 

sistema-massonico-e-ordine-della-rosa-rossa-libroPaolo Franceschetti in questo libro offre un quadro della società in cui viviamo, molto diverso da quello che ci appare attraverso le fonti ufficiali di informazione. In particolare si parla di come i media condizionino e falsifichino vicende giudiziarie importanti, di omicidi eccellenti, da Pantani a Rino Gaetano, o Pier Paolo Pasolini, per toccare anche il caso Moro e altri casi importanti della storia Italiana, al fine di delineare un quadro sconvolgente della realtà effettiva, di cui non si parla.

Tra le pagine di questo saggio si sviluppa un’analisi impeccabile e reale in materia di massoneria, Chiesa cattolica, e sistema in cui viviamo. Una particolare attenzione è dedicata alla potente organizzazione magica fondata ufficialmente da A. E. Waite: L’Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’Oro, vero responsabile dei casi  più illustri della nostra storia.

Si dipana così una matassa intricata ma affascinante, che ci porta a conoscere una realtà che pare fantascientifica ai più, ma purtroppo molto più reale e concreta di quella, falsa, edulcorata e manipolatoria, che ci offrono i giornali, i libri, la Tv e la cultura ufficiale.

L’autore Paolo Franceschetti, avvocato, docente di materie giuridiche, ha pubblicato libri e articoli in materia giuridica (diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo), per poi specializzarsi come legale nel settore dei delitti esoterici e approfondire l’influenza della massoneria e della Chiesa Cattolica nella storia contemporanea e passata. Occupatosi per ragioni personali dei delitti del Mostro di Firenze, per poi divenire legale di Paolo Leoni, indicato dai media come il capo delle cosiddette Bestie di Satana, insieme a costui (e grazie a costui) ha intrapreso uno studio approfondito delle dinamiche pratiche, sociali, ed esoteriche di alcuni delitti di matrice massonica o cattolica.

Lo trovi qui: http://www.unoeditori.com/index.php?method=ecom&action=zoom&id=616

 

 

 

Un racconto di Natale: “Silenziosa notte” di Gianluca Paolisso

Silenziosa notte

racconto di Gianluca Paolisso

 

1Il piccolo paese di Oberndorf era avvolto nel silenzio della notte. Il solo lieve rumore che avreste potuto udire in quel tempo era la neve che lentamente si posava sul terreno ghiacciato. Praterie di bianco si perdevano a vista d’occhio fino al limitare dei boschi, che avvolti dalle tenebre apparivano come una indelebile macchia di inchiostro su un foglio inviolato.

I focolai oramai in fin di vita emanavano piccoli lampi di luce a intermittenza, che riflettendosi sui vetri delle finestre screziate d’azzurro, creavano fugaci e irripetibili giochi di colore. Nell’aria fredda dell’inverno si respirava un profondo desiderio di vita, e di riposo.

Eppure, la notte del neonato ventiquattro dicembre non portò ristoro a tutti.

In lontananza, una piccola fonte di luce nacque pian piano dalle lunghe e buie pareti della Chiesa di San Nicola.

Il Reverendo Joseph Mohr camminava nervosamente nella piccola stanza in penombra che fungeva da Sacrestia, posta esattamente dietro il lato sinistro dell’altare. Leggeva e rileggeva quasi ossessivamente un foglio: al minimo contatto, la carta sembrava bruciare più delle fiammelle ancora vive nel camino di fronte a lui. Si asciugò con l’avambraccio la fronte madida di sudore, poi sedette di peso su una sedia, reclinando il capo in avanti. “Non può essere vero!”, mormorò, passandosi entrambe le mani sul volto accaldato.

Ad un tratto, il cigolio sinistro di una porta lo fece sobbalzare:<< Chi è? >>.

:<< Stia tranquillo, Reverendo, sono io.

:<< Oh, Elizabeth …

:<< Mi scusi, non avrei voluto spaventarla.

:<< Non preoccuparti – mormorò Joseph, sedendosi nuovamente – Cosa ci fai sveglia a quest’ora?

:<< La stessa domanda potrei fargliela io – replicò la donna, il volto evidentemente provato dal sonno interrotto. L’uomo annuì lentamente, lo sguardo perso nel vuoto. Dopo secondi che parvero eterni, invitò Elizabeth a sedersi accanto al fuoco.

:<< Qualcosa vi turba, Reverendo? – Come unica risposta Joseph Mohr le porse quasi meccanicamente il foglio graffiato d’inchiostro, fonte del suo turbamento notturno: la donna ne lesse rapidamente il contenuto, gli occhi illuminati da una gioia irrefrenabile. Guardò il Reverendo, incredula.

:<< E’ il canto di Natale?

:<<Sì.

:<< Oh, che gioia, Reverendo! Tutti i fedeli del paese lo aspettavano con ansia, quest’anno più degli altri anni!

:<< Avevano paura che avessi perso completamente l’uso della penna … – replicò Joseph, amaramente.

:<< Questo pensiero ci ha sfiorati, lo ammetto, ma abbiamo sempre sperato che questo periodo passasse in fretta. Le nostre preghiere sono state ascoltate!

:<<Elizabeth, devo farti vedere una cosa>>.

Joseph condusse la giovane donna sul fondo dell’altare, dove l’imponente organo di San Nicola regnava incontrastato, diffondendo la sua ombra autoritaria fin quasi al principio della lunga navata centrale.

Elizabeth tremava per il freddo, emettendo piccoli sbuffi di vapore candido dalla bocca.

:<<Guarda i tasti – disse Joseph, indicando i lunghi rettangoli bianchi e neri disposti come soldatini sotto i loro occhi.

:<<Non vedo nulla – mormorò Elizabeth, sfregandosi le mani.

:<< Guarda meglio. – La donna si avvicinò alla tastiera, incuriosita. Nella penombra regnante sull’altare notò sottili e lunghe crepe azzurrognole estendersi sulla superficie dei tasti, a creare uno strano effetto color madreperla. Provò a premere un tasto, ma invano. Sembrava bloccato. Guardò Joseph, interdetta.

:<< Credo proprio che non ci sarà nessun canto di Natale, Elizabeth – sentenziò l’uomo, scuro in volto. La donna guardò a lungo la tastiera dell’organo, incredula.

:<<Come è possibile?

:<< Il freddo. Ha gelato quasi tutti i tasti.

:<<Quasi?

:<< Se ne sono salvati quattro- disse Joseph, inarcando le sopracciglia in una smorfia amaramente ironica – Pochi per scrivere anche la melodia più semplice, non credi? – Elizabeth si avvicinò nuovamente alla tastiera, individuando poco dopo i quattro tasti miracolosamente scampati alla morsa del gelo. suonò un accordo, poi un tasto alla volta, con estrema delicatezza … Joseph ascoltò con noncuranza i lievi tocchi di suono prodotti dalla maestosa struttura di legno morente, pensando che per la prima volta nella sua vita il Signore aveva dimenticato di ascoltare le sue preghiere. La disperazione iniziava a regnare pericolosamente nella sua anima. Come avrebbero accolto i fedeli quella improvvisa mancanza di novità? Da oltre dieci anni l’abitudine si era mutata in tradizione: un nuovo canto di Natale rappresentava l’illusoria speranza di un anno sereno, privo di guerre o divisioni. Joseph pensò che dopo quell’insuccesso avrebbe dovuto chiedere il trasferimento, e che quelli, probabilmente, erano i suoi ultimi giorni a Obendorf nella veste di Reverendo di San Nicola.

Elizabeth intanto continuava a premere i quattro tasti superstiti, lo sguardo da scolaretta concentrata: un accordo, poi un tasto alla volta, con estrema delicatezza … poi accadde. Una melodia inaspettata invase la Chiesa di San Nicola: era semplice, eppure contornata dai colori di una sconvolgente bellezza. Joseph si ridestò immediatamente dai suoi pensieri, come incantato alla vista di angelo.

:<< Risuonalo!

:<< Cosa?

:<< Questo breve fraseggio. – Elizabeth ripeté quella serie da quattro note, e vide il Reverendo Joseph Mohr tornare improvvisamente alla vita. Un sorriso di luce si dipinse sul suo volto.

:<< Ce l’abbiamo fatta, Elizabeth! – disse, abbracciandola con forza.

:<< A far cosa? – chiese la donna, perplessa.

:<< La melodia per il canto di Natale … l’abbiamo trovata, anzi, l’hai trovata. Sei un genio!

:<< Non capisco …

:<< Non importa. Ho già il seguito nel cuore e nella mente. Devo solo trovare qualcuno che possa aiutarmi a scriverla.

:<< Ci sarebbe Franz Gruber, Reverendo. È un giovane organista arrivato da poco a Oberndorf. L’ho conosciuto qualche giorno fa. Forse potrebbe aiutarla.

:<< Sì, potrebbe. – Joseph era elettrizzato e allo stesso tempo spaventato da ciò che correva furiosamente nella sua anima. D’altra parte doveva combattere un nemico impietoso come pochi: il tempo. Dalle finestre della Sacrestia iniziavano a intravedersi i primi colori del giorno. Aveva solo ventiquattro ore per convincere quel Gruber ad una collaborazione quanto mai paradossale. In una giornata avrebbero dovuto comporre la musica, fissarla sul pentagramma, e poi provarla fino alla nausea per la domenica di Natale … e con quale strumento? Certamente in paese nemmeno il musicista più appassionato avrebbe potuto permettersi un organo da piazzare in salotto. Joseph piombò nuovamente nello sconforto. Non ce l’avrebbe mai fatta.

Se aveste chiesto l’opinione degli anziani di Obendorf riguardo quell’inverno, sicuramente vi avrebbero risposto che non se ne era mai visto uno così freddo. La neve cadeva incessantemente da mesi, con piccole pause di sereno oramai dimenticate. In breve tempo il bianco aveva sommerso il paese, rendendo inaccessibili molte abitazioni e impedendo un regolare trasporto delle merci per via. Molti giovani si davano da fare con pale e vanghe per liberare le strade e le vie di accesso: il sudore si gelava sui loro colli, e ben presto, con l’andare del giorno, venivano irrimediabilmente offuscati dalle ombre della sera, divenendo essi stessi ombre di fatica e nevischio.

Quando il Reverendo Joseph Mohr uscì dalla Chiesa, un vento gelido lo investì impietosamente: si coprì il volto con la mantellina nera, guardando per un attimo il cielo: vide unicamente una massa compatta di grigio pronta ad emettere nuovi interminabili sbuffi di neve. Si incamminò a passo svelto verso la casa di Franz Gruber che, secondo le indicazioni fornite da Elizabeth, doveva trovarsi nella parte estrema del paese, al confine con il Comune di Arnsdorf.

Raramente Joseph avrebbe potuto attraversare la via principale del paese senza essere fermato da numerosi fedeli in cerca di assistenza materiale o spirituale: quella mattina Obendorf sembrava disabitata. La neve aveva costretto i più ad una reclusione forzata.

Il Reverendo, in un quadro così apparentemente desolante, sarebbe apparso come una macchiolina di inchiostro nero sfuggita erroneamente alla mano di un pittore.

:” Dovrebbe essere questa”, pensò Joseph. In effetti le indicazioni coincidevano: una piccola casa in legno situata sul limitare del bosco. Il Reverendo si avvicinò alla porta, ansimando, ma prima che potesse bussare, questa si aprì energicamente. Joseph quasi saltò dallo spavento. Un uomo dal fisico imponente e dall’aspetto burbero lo osservava con evidente sospetto.

:<< Chi siete? – chiese il padrone di casa, rivelando una voce profonda e cavernosa.

:<< Come avete fatto a sapere che stavo per bussare?

:<< Vi ho visto dalla finestra. Chi siete?

:<< Sono il Reverendo Joseph Mohr, della Chiesa di San Nicola.

:<< Non ho soldi.

:<< Oh, no, non preoccupatevi, non sono venuto per questo. Siete Franz Gruber?

:<< In persona.

:<< Bene, allora forse dovrei essere io a darle dei soldi.

:<< Non capisco …

:<< Posso? – chiese Joseph, tremando visibilmente.

:<< Oh, sì … prego, accomodatevi>>.

La casa, esternamente di una semplicità che oseremmo definire “popolare”, all’interno presentava un unico ambiente caldo e accogliente: un caminetto sfrigolava con le sue fiamme color arancio acceso, dietro una tendina un letto color panna intagliato nel legno, e tutt’intorno una mobilia semplice e frugale. Franz Gruber fece sedere il suo inatteso ospite senza troppe cerimonie. Scostò alcuni spartiti dal tavolo al centro della stanza, poi chiese:<< Allora, cosa vuole? >>. Joseph Mohr tirò un profondo respiro, poi raccontò all’organista la sua personale sventura.

:<< Posso comprendere la sua preoccupazione – esordì Franz Gruber, dopo aver ascoltato pazientemente la storia del Reverendo – Ma non capisco in che modo io possa esserle d’aiuto.

:<< Ecco … il favore che le chiedo è grande, me ne rendo conto. – Tirò un nuovo sospiro, poi decise di non perdere più tempo in inutili preamboli – Avrei bisogno di stendere con lei una melodia che sia pronta per essere suonata e cantata domani mattina in Chiesa >>. L’organista aggrottò la fronte, visibilmente stupito da quella richiesta.

:<< Lei vorrebbe comporre una melodia in un giorno, partendo da sole quattro note di base?

:<< L’ho già composta, signor Gruber. È tutta qui, nella mia mente!

:<< E dovrebbe essere pronta per la Messa di domani mattina?

:<< Sì.

:<< Che pazzia!

:<< La prego, lei in questo momento è la mia unica speranza.

:<< Me la canti, allora.

:<< Cosa?

:<< Mi faccia sentire questa nuova melodia natalizia. In caso contrario non potrò aiutarla in nessun modo>>. Joseph arrossì di colpo: stupidamente non aveva considerato quella eventualità. Non aveva scelta. Si slacciò leggermente il bavero del colletto, sorridendo nervosamente. Prese dalla tasca il foglio con il testo, dispiegandolo con cura e, dopo qualche attimo, iniziò a cantare. La sua voce era chiara e limpida, a tratti squillante. Provò una forte emozione che per attimi apparentemente infiniti provocò in lui ricordi sopiti nel fondo della sua anima. Aveva gli occhi lucidi. Franz Gruber ascoltò in religioso silenzio, fino alla fine, poi guardò a lungo Joseph, senza proferir parola. Questi fu il primo a rompere il silenzio:<< Cosa ne pensa?

:<< Lei è un tenore – rispose Franz Gruber, sorridendo impercettibilmente.

:<< Sì, ed ho qualche rudimento musicale …

:<< Notavo. Reverendo, le dico la sincera verità: penso che questa melodia sia molto bella, ma avrebbe bisogno di qualche modifica interna.

:<< Non sarei venuto da lei, signor Gruber! – replicò raggiante Joseph, porgendogli il foglio.

:<< Inoltre dovremo lavorare con poco. L’unico organo funzionante che io conosca si trova ad Arnsdorf, nella scuola elementare al centro del paese, dove insegno. Ma con questo freddo credo sia inutile anche solo pensare di muoversi. Avrei una possibile alternativa, Reverendo.

:<< Mi dica.

:<< Scrivere una partitura per chitarra e due voci soliste. In questo caso opterei per un tenore e un basso, in mancanza di un coro.

:<< Mi affido a lei, signor Gruber. Ma la chitarra …

:<< Ne ho una qui. Direi di metterci al lavoro.

:<< Certo. Signor Gruber …

:<< Mi dica, Reverendo.

:<< Grazie.

:<< Non lo faccio per lei. Lo faccio per me>>.

800px-Organo_di_Santa_Maria_degli_Angeli_e_dei_Martiri_-_Roma_-_Concerto_di_Natale_2009_-_1In poche ore i due stesero una prima bozza del canto su spartito. Franz Gruber accompagnava con la chitarra il canto del Reverendo Joseph Mohr, che pian piano vedeva nascere e consolidarsi un piccolo e inaspettato miracolo. Eppure la sua mente tornava costantemente ad una frase pronunciata dal suo collaboratore organista qualche ora prima:” Non lo faccio per lei. Lo faccio per me”. Così, davanti ad un silenzioso e fumante caffè, trovò il coraggio di chiedere:<< Cosa la turba, signor Gruber? – L’uomo alzò di scatto la testa, come una preda di fronte al predatore.

:<< Lei non è qui per confessarmi, Reverendo. La sto aiutando, e tanto basta.

:<< Non vorrei risultare invadente, ma lei poco prima ha affermato che ha accettato questa collaborazione non tanto per me, quanto per lei. Perché?

:<< Preferirei non parlarne>>. Franz Gruber si alzò, camminando lentamente verso la finestra. Joseph tacque, ripercorrendo con lo sguardo lo spartito ancora incompleto. Il silenzio si protrasse a lungo. Ad un tratto, l’organista mormorò:<< Si tratta di mia figlia. – Il Reverendo alzò lo sguardo – Non mi parla da mesi, oramai.

:<< Perché?

:<< Non lo so. Vede, sua madre morì due anni fa … un incidente. Fu un duro colpo per tutti. Ecco, da quel momento Katrine ha iniziato pian piano ad allontanarsi da me: nutre nei miei confronti un odio inspiegabile. È come se ogni suo sguardo volesse ricordarmi le mie responsabilità per la morte della madre. Forse ha ragione: non sono mai stato un padre e un marito esemplare, e questo mi fa soffrire ancor di più tutte le volte che sento la sua mancanza. Dopo qualche tempo decise di lasciare la nostra casa a Mariapfarr, e si trasferì qui a Obendorf dalla sorella della madre. Non la vidi per due anni. Solo pochi mesi fa ho trovato il coraggio di trasferirmi qui, con la speranza di trovare un lavoro che potesse mantenermi, e soprattutto con la speranza di rivederla. Il lavoro è arrivato: insegno musica ai bambini della scuola comunale di Arnsdorf …

:<< E Katrine?

:<< Ogni volta che ci incontriamo per strada, fa finta di non vedermi, e passa oltre.

:<< Capisco.

:<< Mi ha chiesto perchè questa collaborazione aiuta più me che lei … Ecco, Reverendo, è molto semplice: non riuscirei a vedere la mia vita separata da uno strumento musicale o da uno spartito. La musica mi ha sempre salvato dalla crudeltà della vita. Alle volte immagino che ogni mia piccola composizione possa arrivare nel cuore e nella mente di Katrine, e che possano farle comprendere quanto io, in tutto questo tempo, non abbia mai smesso di amarla.

:<< Forse lei lo sa. – disse Joseph, scaldandosi le mani sulle pareti della tazza ancora colma di caffè.

:<< Non lo so, Reverendo. Non so più nulla. Rimettiamoci al lavoro, vuole?

:<< La ringrazio, signor Gruber. Non so come avrei fatto senza il suo aiuto. – disse Joseph, osservando le prime ombre della sera far capolino sui tetti di Obendorf.

:<< No, Reverendo. Lei ha aiutato me, più di quanto possa immaginare. E, so che le sembrerà strano, ma vorrei chiederle un favore.

:<< Dica pure.

:<< Lasci che sia io ad accompagnarla domani mattina. – Joseph sorrise, scuotendo il capo.

:<< Avevo giusto bisogno di un basso. – A quelle parole il Reverendo strinse la mano dell’organista, che sorrise a sua volta con sguardo complice, poi si incamminò nel bianco della strada, stringendosi alla mantellina ondeggiante nel vento. Pian piano la sua ombra scomparve nelle spire del buio.

Franz Gruber respirò a pieni polmoni l’aria della sera, percependo una fetta di gelo trapassargli il petto con dolce violenza. Poi mormorò, quasi a se stesso:<< Benvenuta, silenziosa notte >>.

Finalmente arrivò il tanto atteso venticinque dicembre. Arrivò il Natale.

Quella mattina, la neve non cadde. Un cielo terso si affacciò sulle case e i selciati di Obendorf, che sembravano respirare il sereno con avidità, come volessero trattenerlo per sempre nei loro cuori di legno e pietra. I radi stormi di uccelli in volo potevano osservare dall’alto un paese improvvisamente tornato alla vita, dove centinaia di puntini neri in movimento si dirigevano lentamente, a piccoli gruppi, verso la Chiesa di San Nicola. Le campane suonavano a festa, annunciando la divinità, o forse solo la grande umanità di un uomo.

Alla fine della cerimonia, Il Reverendo Joseph Mohr abbracciò con un sorriso tutti i fedeli di Obendorf, seduti in religioso silenzio, in attesa. Discese lentamente le due file di scale che separavano l’altare dall’inizio della navata centrale, avvertendo un lieve brivido corrergli lungo la schiena. Il momento era arrivato:<< Come potete vedere – esordì, indicando il lato destro dell’altare, sul quale svettava una piccola pedana in legno a più livelli – quest’anno non avremo un coro. E, fino a pochi giorni fa, io stesso credevo di non poter mantener fede alla nostra vecchia tradizione. – Lievi mormorii si sollevarono vivacemente dall’uditorio – Eppure – continuò il Reverendo – il Signore non ha smesso di ascoltare le nostre preghiere.>>. Con un cenno della mano, invitò Franz Gruber a salire sull’altare: egli avanzò con sicurezza, la chitarra in mano, gli occhi evidentemente provati da una forte emozione. Sedette al fianco del Reverendo, che rimase in piedi, gli occhi rivolti verso un punto indefinito. Ad un tratto, lievi arpeggi di chitarra risuonarono nella Chiesa, leggeri come una brezza che bagna gli alberi sul far della sera. Il pizzicare delle corde diradava nel freddo un silenzio fatto di sospiri.

Dopo minuti che parvero eterni, un applauso fragoroso, simile alla pioggia che batte sui vetri di una finestra. Molti fedeli, commossi, non potevano far altro che abbracciare il vicino, scossi da una gioia incontenibile. Altri rimasero in silenzio, come incantati da un’ eco sconosciuta.

Joseph Mohr guardò il signor Gruber. Piangeva. Posò delicatamente una mano sulla sua spalla, in segno di ringraziamento, ma l’organista non vi fece caso: il suo sguardo si perdeva negli occhi di una ragazza seduta tra le prime file, le mani giunte come ad implorare perdono.

Poco dopo, sul sagrato di San Nicola, centinaia di fedeli si strinsero intorno al Reverendo Joseph Mohr, confuso nell’animo da quell’inaspettato e tumultuoso calore. Ringraziava tutti, e gli sembrava di non aver ringraziato nessuno; sorrideva distrattamente, come se il suo animo fosse distante dal presente, ancorato alla magia di un canto. Si guardò intorno, alla ricerca del signor Gruber, ma invano: sembrava essere scomparso.

Ad un tratto, vide Elizabeth farsi spazio tra la folla, saltellando graziosamente come una ragazzina:<< Reverendo! – esclamò, abbracciandolo con forza – è stato … Oh mio Dio!

:<< Elizabeth – riuscì ad articolare Joseph, stretto in una morsa di ferro – Grazie …

:<< Non so cosa dire.

:<< Non dire nulla, ma lasciami respirare! – La donna sciolse l’abbraccio, ricomponendosi con evidente imbarazzo.

:<< Mi scusi, Reverendo, sono così felice! Questo nuovo canto è meraviglioso, unico … non ho mai ascoltato nulla di simile!

:<< Hai visto il signor Gruber, per caso?

:<< Reverendo, non mi prestate attenzione – replicò Elizabeth, offesa.

:<< Perdonami – disse Joseph, lo sguardo perso oltre la folla che pian piano andava disperdendosi – Vorrei solo ringraziarlo per quanto ha fatto.

:<< Eccolo, Reverendo! Lo vede? – disse la donna, indicando un punto lontano – E’ in dolce compagnia>>.

Joseph vide l’organista sul limite estremo del sagrato parlare con una ragazza dai capelli rossi color fuoco. I due si abbracciarono a lungo, poi la giovane donna si incamminò verso casa. L’organista la vide scomparire nel bianco, passandosi un avambraccio sulle gote rigate di lacrime.

:<< Signor Gruber.

:<< Oh, Reverendo …

:<< Era Katrine?

:<< Sì. Pensavo che non mi avrebbe salutato.

:<< E invece? – l’organista alzò le braccia al cielo.

:<< Come può sentirsi un uomo felice, Reverendo?

:<< Non lo so – disse Joseph, sorridendo – ma credo che non se la passi poi così male.

:<< Sono d’accordo con lei! Sa’, penso che la musica mi abbia salvato ancora una volta.

:<< E’ il destino degli uomini di spirito: essere salvati dalle loro stesse creazioni. Il divino respira in tutte le melodie della terra >>. Joseph strinse la mano di Franz Gruber – Ora vada da lei. La starà aspettando. Buon Natale, signor Gruber.

:<< Anche a lei, Reverendo. E grazie >>.

Non appena Franz Gruber fu a debita distanza, Joseph vide Elizabeth camminare con passo lento verso di lui. Come aveva previsto, ancora una volta la sua innata curiosità sembrava non conoscere confini.

:<< Hai origliato.

:<< Solo qualche parola, Reverendo. – Joseph scosse il capo, con aria di falso rimprovero. Respirò profondamente, passando un braccio sulle spalle della donna.

:<< Sai, Elizabeth, credo di aver imparato una cosa importante in questi due giorni. L’amore non può perdersi mai. Per quanto si cerchi di allontanarlo, alla fine ritorna sempre ad invadere il nostro animo, più forte di prima. Da sole quattro note può rinascere una serenità che credevamo perduta.

:<< E’ un miracolo …

:<< Sì, Elizabeth.

:<< A proposito, Reverendo: come mai non ha raccontato ai fedeli la verità?

:<< Quale verità?

:<<  La storia dell’organo.

:<< Nessuno dovrà mai saperlo. – la interruppe Joseph, risoluto – Nessuno!

:<< Non posso raccontarlo nemmeno a mio marito?

:<< Elizabeth!

:<< Va bene: saprò mantenere il segreto.

:<< E’ una promessa.

:<< Certo, Reverendo, ma si ricordi che le prime quattro note sono frutto della mia creatività. Lo rivendicherò sempre e comunque. >> Elizabeth si avviò trionfante verso il paese, canticchiando la melodia che poco prima aveva incantato l’intera popolazione di Obendorf.

Joseph Mohr, sconsolato, alzò gli occhi al cielo, mormorando:<< Signore, dammi la forza! >>.

Joseph Mohr scrisse il testo della celebre canzone natalizia “Stille Nacht” nel 1816. Trasferitosi nella cittadina di Obendorf nel 1817, chiese al musicista Franz Xaver Gruber di comporre la musica per le sue sestine, in un arrangiamento per due voci soliste, coro e chitarra. Non è noto il motivo per cui venne fatta questa richiesta.

 Nel giro di pochi anni, la canzone si diffuse in tutte le diocesi di Salisburgo, e poi in tutta Europa. La versione italiana, dal titolo “Astro del Ciel”è una libera composizione del prete bergamasco Angelo Meli, pubblicata nel 1937.

 

 QUESTO RACCONTO VIENE QUI PUBBLICATO SU GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTORE.

 

Il prete incriminato: Il dubbio (2008)

Il film Doubt (Dubbio), regia e sceneggiatura di John Patrick Shanley, calato nell’America degli anni ’60 affronta un tema molto delicato e che in tempi a noi recenti ha avuto grande eco a seguito di numerosi casi veri e presunti che si sono manifestati e che hanno macchiato l’immagine della Chiesa Cattolica. Nel film infatti c’è una persistente convinzione nella sorella Aloysius che il parroco Flynn abbia intrattenuto strani rapporti con uno dei suoi chierichetti, il ragazzo nero Donald Miller. Tutto il film è improntato a condannare l’uomo, anche in mancanza di forti prove, a screditarlo, per farlo cedere e farlo confessare. Tuttavia non ci sarà nessuna confessione nella storia e tutti, compresi noi spettatori, rimaniamo con un grosso dubbio, impossibilitati a scoprire da che parte sia la realtà. Il chierichetto fu davvero oggetto di morbosi interessi da parte del prete o la suora Aloysius ha ingiustamente macchiato la sua figura in virtù dei suoi pregiudizi e delle sue intuizioni? Non lo sappiamo. Il dubbio, che viene richiamato nella predica iniziale del sacerdote domina su tutta la storia ed è proprio lì che risiede il vero significato dell’intero film. Siamo noi giudici degli eventi. Siamo noi chiamati a dare un’interpretazione. Siamo noi a chiudere la storia come crediamo.

Negli ultimi decenni la cronaca ha riportato (con ritardo) numerosi casi di preti pedofili e addirittura di vescovi ed alti prelati che per troppo tempo hanno coperto tali mostruosità. Uno studio commissionato dalla Conferenza Episcopale Americana nel 2004 ha sottolineato che il 4% di sacerdoti e diaconi americani nell’arco temporale dal 1950 al 2002 si sono resi responsabili di atti osceni per reati di ordine sessuali con minori[1].  Solamente una minima parte di questi cioè appena il 0,23% è stato condannato secondo le leggi previste dai rispettivi stati americani. Quest’esempio è eclatante di come le violenze di membri del clero oltre a non venire riconosciute, non vengono condannate e quindi non vengono ripagate dai carnefici. Lo stesso è avvenuto e avviene in tutti gli altri paesi del mondo più o meno nella stessa maniera (si ricordi i preti pedofili irlandesi e quelli americani di Los Angeles, Boston e Chicago dove in quest’ultimi casi anche gli alti ranghi del clero erano a conoscenza dei crimini ed hanno taciuto).

La Chiesa ha sempre cercato di minimizzare, divagare e spesso di negare anche dinanzi all’evidenza. Si trattano di pagine nere della storia e della nostra attualità che in molti casi hanno animato anche un sentimento di astio e di ripugnanza nei confronti della religione e della Chiesa in generale. Si è trattato ovviamente di reazioni esasperate, drammatiche e forse esagerate. Le uniche misure prese (non sempre) dai cardini della Chiesa nei confronti di preti colpevoli è stato quello di trasferirli da una parrocchia ad un’altra, da una diocesi ad un’altra. Misure come la scomunica e la revoca del mandato, dà sempre predilette dal Vaticano, sono state evitate.

La peculiarità del film in questione non è quella di affrontare questo tema difficile che credo sia stato già impiegato in maniere e forme diverse in altri film ma di calare la storia nell’America degli anni ’60, dominata da una morale ancora austera e che si sarebbe rinnovata solamente con i grandi fermenti giovanili, femministi, antimilitaristi del movimento giovanile del ’68. Vediamo più nel dettaglio che cosa succede nel film.

La severa suora Aloysius (Meryl Streep) è direttrice della scuola e ha metodi d’insegnamento molto austeri che prevedono anche punizioni corporali nei confronti degli alunni mentre la suora James (Amy Adams), più giovane, è molto buona e comprensiva nei confronti dei ragazzi. Tutto il film avviene in ambienti religiosi (la scuola retta dalle suore, la canonica e la chiesa).

La sorella James riporta alla superiora Aloysius di un comportamento strano del reverendo Flynn (Philip Seymour Hoffman) nei confronti di un alunno di colore, recentemente arrivato alla scuola, di nome Donald Miller (Joseph Foster). La suora evita di indagare sul reverendo che, secondo la gerarchia ecclesiastica ricopre un ruolo a lei superiore e convoca il reverendo del suo studio per affrontare la questione. Il parroco dà la sua personale versione dei fatti dicendo che il giovane Donald Miller aveva segretamente bevuto il vino delle ampolline per l’eucarestia e così lui l’aveva richiamato per ammonirlo ma affinchè il ragazzo non perdesse il suo incarico di celebrare messa (per aver bevuto alcool) la notizia non venne divulgata dal sacerdote e messa a tacere. La suora James capisce che ciò che aveva intuito era sbagliato ed è contenta nell’ascoltare quanto sia realmente accaduto per bocca del reverendo ma sorella Aloysius non è convinta della sua spiegazione e comincia a dubitare del parroco. Lo tiene sott’occhio, lo osserva, cerca di indagare. Per tutto il film le parole ‘pedofilia’, ‘abusi sessuali’ non vengono mai fatte ma ogni volta che nel discorso ci si riferisce ad esse si parla di attenzioni particolari del parroco nei confronti del ragazzo. Tutto il film è improntato alla ricerca della verità, della sicurezza che però non sarà mai trovata perché il dubbio domina su tutto non permettendo di giungere a una soluzione della questione. Singolare a proposito del dubbio è il sermone iniziale che il reverendo tiene durante una messa nel quale sostiene «Il dubbio può essere una grandissima forza unificante, al pari della certezza».

Il dubbio che aleggia attorno a tutta questa storia è l’impossibilità di avere certezze e sicurezze su quanto realmente sia successo. Tutto resta vago, possibile ed ambiguo. Mentre la sorella Aloysius nutre dubbi sul reverendo, la sorella James dall’altra parte non ne ha nessuno. Alla fine con uno stratagemma la sorella Aloysius riesce a far abbandonare il sacerdote la parrocchia ma la cosa più strana è che il vescovo lo affida ad un’altra parrocchia, elevandolo anche di grado e garantendogli anche la dirigenza della scuola parrocchiale[2].

Il dubbio che si crea rappresenta l’impossibilità di dividere il buono dal cattivo, il sano dal depravato, il vero dal falso ed è una continua corsa e lotta tra gli elementi che costituiscono queste antitesi. L’autore ci suggerisce che tra nero e bianco non c’è il vuoto ma c’è sempre uno spazio liminare indefinito, grigio, nebuloso che pur distanziando le due parti allo stesso tempo le mette in comunicazione. Il bianco e il nero ritornano ampiamente nel film: il bianco dell’innocenza e della verginità dei ragazzi, dell’ostia, simbolo del sacrificio di Cristo, dell’acqua in una delle ampolline dell’eucarestia e il nero del saio del reverendo ma anche quello delle vesti delle suore, il colore della pelle del ragazzo, l’ombra della chiesa, il cielo scuro e il nero del vino rosso in una delle ampolline per l’eucarestia. E’ un contrasto appariscente, quasi stridente. Colori e contrasti che ritroviamo nella copertina del dvd dove una grande croce nera su un campo bianco è impiegata per contenere il titolo, gli attori e tutte le informazioni di produzione del film. L’asta verticale della croce ha la forma del tetto di una chiesa mentre la lettera iniziale del titolo con un carattere antichizzato richiama un’atmosfera gotica. La croce e la Chiesa nella copertina sono colorate di nero mentre il titolo Doubt è riportato in bianco. Non credo sia una scelta dettata dal caso. Se immaginiamo il negativo della copertina siamo sicuri che la nostra interpretazione e simbologia data ai colori rimanga inalterata?

FONTI:

Manohla Dargis, “Between Heaven and Earth, Room for Ambiguity”, The New York Times, 12 December 2008

Jane Wheatley, “John Patrick Shanley’s Doubt: in the Church of Poisoned Minds”,The Sunday Times, 22 January 2009.


LORENZO SPURIO

29-04-2011



[1] Lo studio che fornisce questi dati è contenuto nel testo The Nature and Scope of the Problem of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests and Deacons in the United States, meglio conosciuto come John Jay Report il cui testo completo può essere letto collegandosi al sito http://www.usccb.org/nrb/johnjaystudy/ .

[2] Questo atteggiamento degli alti livelli del clero non deve stupire in quanto anche nella realtà spesso vescovi e cardinali hanno utilizzato il trasferimento da una parrocchia all’altra di sacerdoti compromessi in vicende quali abusi sessuali. Ovviamente il trasferimento si configura sia nel film che nella realtà dei fatti una misura inefficace e insensata poiché le cronache riportano numerosi casi di sacerdoti che trasferiti di sede hanno perseverato nei loro abusi sui minori.

In nome dell’amore di Melissa Panarello

In nome dell’amore (2006) di Melissa Panarello è un testo breve, di appena quaranta pagine, scritto sotto forma di una lunga lettera di risposta e di critica che fa all’eminente cardinale Camillo Ruini. La Panarello, principalmente nota per il suo romanzo Melissa P. – 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (2003), che ha dato origine a critiche molto dure ma che dall’altra parte ha avuto un grande successo[1], utilizza un linguaggio semplice, fresco, accessibile a tutti e spigliato nel confutare le tesi e le critiche mosse dal presidente della Cei.

I temi cari alla Chiesa che il cardinale Ruini rappresenta vengono qui discussi, analizzati e snocciolati in maniera molto rigorosa, secondo un punto di vista estremamente diverso da quello del porporato. La Panarello parla della necessità della liberalizzazione dei costumi sessuali, dell’aborto e di questioni che sono d’oggetto d’interesse della società, causando spesso divari ed alterchi tra coloro che si professano i difensori della vita (gli antiabortisti) e coloro che invece prediligono nuove norme nella società che diano più ampio spazio ai giovani, alla liberalizzazione dei costumi e che sottolineino la libertà di scelta.

La materia è difficile da trattare. Contrariamente a ciò la Panarello scrive in maniera lucida e di getto come se stesse descrivendo una qualsiasi scena da romanzo rosa. In ballo ci sono questioni d’attualità importanti e che la Panarello considera di promozione sociale e culturale.

La Panarello esordisce con il ricordo di due giovani adolescenti in cui una ragazza rimane incinta dopo un rapporto sessuale incauto, senza precauzioni. La ragazza capisce di aver sbagliato ma non vuole tenere il bambino, vorrebbe interrompere la gravidanza. La bigotta madre di lei, ligia alla morale, forza la ragazza a tenere il figlio, che poi si rivela essere due gemelli. Secondo la Panarello la decisione della madre della giovane (conforme all’idea della Chiesa) non è altro che egoista e presuntuosa poiché – dice la Panarello- è nella natura dei giovani, nella fase adolescenziale commettere degli errori. La Panarello vede dunque nell’aborto una via di scelta che bisogna considerare e che dovrebbe essere legalmente garantita.

La mittente della lunga missiva rigetta al cardinal Ruini e alla Chiesa in generale le accuse dei pro-abortisti di fomentare la cultura della morte, termine che lei utilizza per riferirsi a chi commissiona le varie guerre che invece vengono combattute nel mondo, legittimate dagli stati e le cui vittime la Chiesa celebra solennemente e con riconoscenza:

Le guerre e le pene disumane sono un inno alla morte, non l’aborto.[2]

Non solo. La Panarello va oltre e contesta nuovamente la Chiesa che aborre i sistemi di contraccezione. Sostiene che se questi venissero riconosciuti e permessi, si limiterebbero gli aborti oltre che si limiterebbe la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. Non cela la sua disapprovazione e indignazione di fronte al fatto che l’Italia sia un paese prevalentemente cattolico e nel quale la Chiesa abbia un potere molto forte, addirittura al di sopra della politica. A questo riguardo scrive:

La mia indignazione va verso il governo e lo Stato italiano che hanno permesso che la Chiesa fosse quasi la sola a occuparsi di una questione che avrebbe dovuto riguardare solo gli elettori e lo Stato stesso.[3]

La Panarello sembra avere il diavolo in corpo in questa lunga lettera accorata e animosa al cardinale Ruini nella quale gli pone una serie di domande consecutive, quasi a incitare una risposta che, secondo la natura della lettera, chiaramente non c’è. Parla anche del matrimonio e si chiede se in effetti le nozze possano rappresentare la celebrazione dell’amore e dopo vari ricordi che la riguardano conclude di no. L’atea Panarello piuttosto che di matrimonio preferisce parlare di contratto o di momento di festa con i parenti nel quale quest’ultimi sono solo interessati al banchetto, ossia all’elemento ludico.

La Panarello è un fiume in piena. Non ne risparmia nessuna al cardinal Ruini e alla Chiesa. Lo fa in maniera diretta, semplice, elegante e critica. Difende il divorzio, sostiene le coppie di fatto e le coppie che preferiscono convivere e donarsi il loro amore senza dover necessariamente ufficializzare l’unione, parla della difficile questione delle adozioni e delle varie leggi che spesso la rendono irraggiungibile. Appoggia l’omosessualità: gli omosessuali –dice la Panarello- pur non potendo trasmettere la specie umana- sono in grado di amarsi e Dio dovrebbe essere contento di loro perché conoscono che cosa sia l’amore.

La Panarello parla poi a lungo della sua iniziazione al sesso, parlando dei suoi primi rapporti mossi da un desiderio di conoscenza e di curiosità e non dall’amore. Individua delle fasi successive della sua scoperta del sesso che corona nell’equazione sesso uguale amore. Le domande per il cardinale Ruini continuano ad abbondare e nell’ultima parte della lettera la Panarello affronta temi caldi per la Chiesa: la masturbazione, la pornografia e si dice chiaramente incredula di fronte al giuramento di castità dei prelati.

È facile capire che a questa lunga lettera ricca di domande il cardinale Ruini non abbia risposto in maniera diretta. Dall’altra parte le risposte, le decisioni della Chiesa sono visibili a tutti seguendo l’atteggiamento e la condotta che la stessa prescrive al clero.  La Panarello sa che forse la sua missiva non verrà letta o che, se verrà letta, non contribuirà a cambiare le sorti del nostro paese per le questioni da lei descritte. Si fa semplicemente portavoce di una grande fetta del nostro paese (sia credente che atea) che pensa le sue stesse cose e che vorrebbe che la Chiesa si modernizzasse e si mostrasse al passo coi tempi, garantendo le libertà sessuali necessarie.

Il titolo del testo a questo punto credo che voglia significare proprio questo: “In nome dell’amore”  invece della formula cattolica “In nome di Dio”; la Panarello,atea e agnostica, pone l’amore (omosessuale, eterosessuale, lesbico, autoerotismo) al vertice di tutto, rimpiazzando la posizione piramidale di Dio.

Non ci sono conclusioni o considerazioni finali su questo testo, si tratta di un ampio working in progress, che potrebbe essere incrementato da nuove esperienze o racconti. Si tratta semplicemente di un’immagine del nostro paese nel quale viviamo e che è dominato da una serie di dubbi, incomprensioni e ingiustizie che la Panarello sembra voler riassumere attraverso una delle sue numerose domande:

Perché la Chiesa si ostina, in tanti campi, a vivere in un mondo parallelo ignorando ciò che accade nel nostro?[4]

 

LORENZO SPURIO

08-02-2011

 


[1] Il grande successo di questo romanzo fu dovuto anche alla realizzazione filmica dello stesso (Melissa P., regia di Luca Guadagnino, 2005).

[2] Melissa Panarello, In nome dell’amore, Roma, Fazi, 2006.

[3] Melissa Panarello, In nome dell’amore, Roma, Fazi, 2006.

[4] Melissa Panarello, In nome dell’amore, Roma, Fazi, 2006.

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