In nome dell’amore di Melissa Panarello

In nome dell’amore (2006) di Melissa Panarello è un testo breve, di appena quaranta pagine, scritto sotto forma di una lunga lettera di risposta e di critica che fa all’eminente cardinale Camillo Ruini. La Panarello, principalmente nota per il suo romanzo Melissa P. – 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire (2003), che ha dato origine a critiche molto dure ma che dall’altra parte ha avuto un grande successo[1], utilizza un linguaggio semplice, fresco, accessibile a tutti e spigliato nel confutare le tesi e le critiche mosse dal presidente della Cei.

I temi cari alla Chiesa che il cardinale Ruini rappresenta vengono qui discussi, analizzati e snocciolati in maniera molto rigorosa, secondo un punto di vista estremamente diverso da quello del porporato. La Panarello parla della necessità della liberalizzazione dei costumi sessuali, dell’aborto e di questioni che sono d’oggetto d’interesse della società, causando spesso divari ed alterchi tra coloro che si professano i difensori della vita (gli antiabortisti) e coloro che invece prediligono nuove norme nella società che diano più ampio spazio ai giovani, alla liberalizzazione dei costumi e che sottolineino la libertà di scelta.

La materia è difficile da trattare. Contrariamente a ciò la Panarello scrive in maniera lucida e di getto come se stesse descrivendo una qualsiasi scena da romanzo rosa. In ballo ci sono questioni d’attualità importanti e che la Panarello considera di promozione sociale e culturale.

La Panarello esordisce con il ricordo di due giovani adolescenti in cui una ragazza rimane incinta dopo un rapporto sessuale incauto, senza precauzioni. La ragazza capisce di aver sbagliato ma non vuole tenere il bambino, vorrebbe interrompere la gravidanza. La bigotta madre di lei, ligia alla morale, forza la ragazza a tenere il figlio, che poi si rivela essere due gemelli. Secondo la Panarello la decisione della madre della giovane (conforme all’idea della Chiesa) non è altro che egoista e presuntuosa poiché – dice la Panarello- è nella natura dei giovani, nella fase adolescenziale commettere degli errori. La Panarello vede dunque nell’aborto una via di scelta che bisogna considerare e che dovrebbe essere legalmente garantita.

La mittente della lunga missiva rigetta al cardinal Ruini e alla Chiesa in generale le accuse dei pro-abortisti di fomentare la cultura della morte, termine che lei utilizza per riferirsi a chi commissiona le varie guerre che invece vengono combattute nel mondo, legittimate dagli stati e le cui vittime la Chiesa celebra solennemente e con riconoscenza:

Le guerre e le pene disumane sono un inno alla morte, non l’aborto.[2]

Non solo. La Panarello va oltre e contesta nuovamente la Chiesa che aborre i sistemi di contraccezione. Sostiene che se questi venissero riconosciuti e permessi, si limiterebbero gli aborti oltre che si limiterebbe la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. Non cela la sua disapprovazione e indignazione di fronte al fatto che l’Italia sia un paese prevalentemente cattolico e nel quale la Chiesa abbia un potere molto forte, addirittura al di sopra della politica. A questo riguardo scrive:

La mia indignazione va verso il governo e lo Stato italiano che hanno permesso che la Chiesa fosse quasi la sola a occuparsi di una questione che avrebbe dovuto riguardare solo gli elettori e lo Stato stesso.[3]

La Panarello sembra avere il diavolo in corpo in questa lunga lettera accorata e animosa al cardinale Ruini nella quale gli pone una serie di domande consecutive, quasi a incitare una risposta che, secondo la natura della lettera, chiaramente non c’è. Parla anche del matrimonio e si chiede se in effetti le nozze possano rappresentare la celebrazione dell’amore e dopo vari ricordi che la riguardano conclude di no. L’atea Panarello piuttosto che di matrimonio preferisce parlare di contratto o di momento di festa con i parenti nel quale quest’ultimi sono solo interessati al banchetto, ossia all’elemento ludico.

La Panarello è un fiume in piena. Non ne risparmia nessuna al cardinal Ruini e alla Chiesa. Lo fa in maniera diretta, semplice, elegante e critica. Difende il divorzio, sostiene le coppie di fatto e le coppie che preferiscono convivere e donarsi il loro amore senza dover necessariamente ufficializzare l’unione, parla della difficile questione delle adozioni e delle varie leggi che spesso la rendono irraggiungibile. Appoggia l’omosessualità: gli omosessuali –dice la Panarello- pur non potendo trasmettere la specie umana- sono in grado di amarsi e Dio dovrebbe essere contento di loro perché conoscono che cosa sia l’amore.

La Panarello parla poi a lungo della sua iniziazione al sesso, parlando dei suoi primi rapporti mossi da un desiderio di conoscenza e di curiosità e non dall’amore. Individua delle fasi successive della sua scoperta del sesso che corona nell’equazione sesso uguale amore. Le domande per il cardinale Ruini continuano ad abbondare e nell’ultima parte della lettera la Panarello affronta temi caldi per la Chiesa: la masturbazione, la pornografia e si dice chiaramente incredula di fronte al giuramento di castità dei prelati.

È facile capire che a questa lunga lettera ricca di domande il cardinale Ruini non abbia risposto in maniera diretta. Dall’altra parte le risposte, le decisioni della Chiesa sono visibili a tutti seguendo l’atteggiamento e la condotta che la stessa prescrive al clero.  La Panarello sa che forse la sua missiva non verrà letta o che, se verrà letta, non contribuirà a cambiare le sorti del nostro paese per le questioni da lei descritte. Si fa semplicemente portavoce di una grande fetta del nostro paese (sia credente che atea) che pensa le sue stesse cose e che vorrebbe che la Chiesa si modernizzasse e si mostrasse al passo coi tempi, garantendo le libertà sessuali necessarie.

Il titolo del testo a questo punto credo che voglia significare proprio questo: “In nome dell’amore”  invece della formula cattolica “In nome di Dio”; la Panarello,atea e agnostica, pone l’amore (omosessuale, eterosessuale, lesbico, autoerotismo) al vertice di tutto, rimpiazzando la posizione piramidale di Dio.

Non ci sono conclusioni o considerazioni finali su questo testo, si tratta di un ampio working in progress, che potrebbe essere incrementato da nuove esperienze o racconti. Si tratta semplicemente di un’immagine del nostro paese nel quale viviamo e che è dominato da una serie di dubbi, incomprensioni e ingiustizie che la Panarello sembra voler riassumere attraverso una delle sue numerose domande:

Perché la Chiesa si ostina, in tanti campi, a vivere in un mondo parallelo ignorando ciò che accade nel nostro?[4]

 

LORENZO SPURIO

08-02-2011

 


[1] Il grande successo di questo romanzo fu dovuto anche alla realizzazione filmica dello stesso (Melissa P., regia di Luca Guadagnino, 2005).

[2] Melissa Panarello, In nome dell’amore, Roma, Fazi, 2006.

[3] Melissa Panarello, In nome dell’amore, Roma, Fazi, 2006.

[4] Melissa Panarello, In nome dell’amore, Roma, Fazi, 2006.

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